E ORA UN PO’ DI FIGURE, CHE COSÌ SI CAPISCE MEGLIO

Due giorni a caso: 5 giorni fa

Ieri

Qualche riflessione in un raro giorno di tregua

Washington Post: l’Ucraina è al collasso [Non che servisse il Washington Post per saperlo]

L’Ucraina sta precipitando in un abisso: la sua economia, la sua finanza stanno collassando e l’aiuto finanziario promesso dell’Occidente, già stimato sui 55 miliardi di dollari, non sarà sufficiente a salvarla. Serve di più, almeno altri 24 miliardi di dollari per il prossimo anno.
Questo quadro fosco è emerso nel corso di “una riunione a porte chiuse tenuta presso la Banca nazionale dell’Ucraina” di cui danno conto Jeff Stein e David L. Stern sul Washington Post.
Nell’articolo si spiega che l’entità iniziale degli aiuti occidentali necessari, cioè i 55 miliardi, era una previsione fatta prima che iniziassero i bombardamenti sulle infrastrutture del Paese, che hanno ulteriormente aggravato la situazione, e ora si stima che servano almeno altri 2 miliardi al mese per evitare il collasso, con l’inflazione già arrivata al 20%.
Nella nota gli autori danno conto di una situazione disperata, con le autorità che sono arrivate a invitare i cittadini a evacuare le città in caso di blackout prolungati, mentre le manifatture e l’estrazione mineraria, che costituiscono la spina dorsale dell’economia (oltre al grano), sono in terribile sofferenza, con molte imprese già costrette a chiudere.

Attacchi prevedibili

I cronisti spiegano che si tratta di una situazione senza precedenti, dimenticando quanto accaduto all’Iraq, alla Libia e alla Siria (e in altri Paesi) nel corso dei regime-change made in Usa e non ricordando che questa è la semplice, brutale, realtà della guerra.
Gli attacchi alle infrastrutture erano più che prevedibili (nel nostro piccolo avevamo preannunciato tale sviluppo) e l’aveva fatto intendere chiaramente anche Putin, quando, prima che iniziassero, aveva chiesto l’apertura dei negoziati ammonendo che “in Ucraina non abbiamo nemmeno iniziato“. [E invece di prenderne atto e regolarsi di conseguenza, hanno preferito raccontarsi che si trattava di una sbruffonata. Dimenticando un piccolo dettaglio: uno che ha oltre 6000 bombe atomiche non ha bisogno di bluffare]
Ma l’ammonimento era stato sommerso nel trionfalismo d’accatto che fin dal suo inizio accompagna questa guerra, la miope propaganda che spiegava come e perché i russi avessero già perso e celebrava le meravigliose armi e progressive inviate a Kiev che avrebbero dischiuso un fulgido destino alle forze ucraine.
Una distrazione di massa utile a eludere i costi reali della guerra. Per evitare che l’opinione pubblica potesse e possa chiedersi se valga la pena continuare a inviare armi o accogliere le richieste russe di aprirsi a un compromesso.
Se cioè parte del Donbass e la Crimea, cioè il prezzo del compromesso, valga più dell’intera ucraina, che più passa il tempo, più verrà degradata. Una constatazione, quest’ultima, ovvia, che pure è elusa dallo stolido slogan che recita come l’invio di armi serva a far sì che l’Ucraina arrivi al tavolo dei negoziati in una posizione di forza.
Ad oggi la situazione dice tutto il contrario: tre, quattro mesi fa Kiev avrebbe avuto molta più forza di adesso a quel tavolo e tale parabola discendente non sembra destinata a mutare a breve.
Tale situazione si ripercuote nei Paesi d’Occidente, chiamati a distogliere parte delle già erose ricchezze destinate ai propri cittadini per supportare Kiev, che oltre ai miliardi di dollari suddetti ne chiede altrettanti sotto forma di armamenti (alle industrie di armi e dell’energia, che stanno lucrando grassi guadagni, non viene chiesto nulla, ovviamente…).

Di corruzione (e) digitale

Rimandando all’articolo del Washington Post per i dettagli sul collasso del Paese e sulle sofferenze dei suoi cittadini, ne riportiamo un cenno che ci sembra significativo: “Dominata da oligarchi e perennemente bisognosa di salvataggi, l’Ucraina era un disastro finanziario molto prima dell’invasione russa. La guerra in piena regola ha mandato la sua economia in tilt”.

Il corsivo è nostro e serve a sottolineare un passaggio apparentemente anodino che ricorda quel che molti, dall’inizio della guerra, hanno dimenticato, che cioè l’Ucraina per anni è stata indicata come “la nazione più corrotta d’Europa”, come da titolo del Guardian del 2015 (solo per fare un esempio, potremmo citare ben altro).

Tale corruzione è presumibilmente aumentata con il conflitto, anche perché il governo ha dichiarato fuorilegge tutti i partiti di opposizione e chiuso tutti i media non allineati. Senza nessun controllo, si sa, la corruzione dilaga. Così tanti finanziamenti dell’Occidente saranno in parte stornati per arricchire i pochi (i conti offshore sono di facile apertura).
Particolare curioso, anche se forse non eccessivamente significativo, che si aggiunge a un altro che riprendiamo sempre dall’articolo, che riferisce come l’unico settore in crescita sia quello del digitale, nonostante il WP lamenti le interruzioni di internet tanto frequenti, fonte di danni enormi a imprese e cittadini.
A magnificare le sorti del digitale ucraino è “Mykhailo Fedorov, vice primo ministro della trasformazione digitale”. Il particolare ci ha incuriosito perché tale ministero, come abbiano accennato in una nota pregressa, si era rivolto al colosso delle criptovalute FTX per creare un canale di aiuto in valuta digitale verso l’Ucraina.
FTX, come si sa, è appena fallita e il suo improbabile Ceo, Sam Bankman-Fried, è stato arrestato alle Bahamas per bancarotta (arresto avvenuto poco prima di comparire davanti al Comitato per i servizi finanziari della Camera, dove avrebbe potuto essere torchiato dai parlamentari senza reti di protezione… non testimonierà).
Particolari, nulla più, che si perdono nell’assordante frastuono delle armi. (Qui)

Sì, stiamo vivendo in un mondo davvero pazzo.

barbara

UNA SBIRCIATA DIETRO LE QUINTE

Finalmente gli audio esclusivi di Biden, Kerry e Poroshenko: una linea diretta criminale tra Kiev e Washington

Visto che nessuno si aspettava che Hillary Clinton perdesse le elezioni presidenziali del 2016, nessuno si era mai premurato di mettere a posto gli affarucci sporchi che erano al momento del voto in essere tra il Vice Presidente USA Joe Biden e l’Ucraina di Poroshenko, quando Barack Obama, ormai al suo secondo mandato, lasciò il posto alla Casa Bianca e cedette il potere a Donald Trump.
Oggi, dopo anni, quei legami mal(celati) e bollati come complottismo o propaganda russa da quattro soldi dai democratici, dai globalisti e da tutti i media della comunità internazionale, tornano prepotentemente protagonisti con ore di registrazioni audio di telefonate intercorse tra Biden e l’allora presidente ucraino Poroshenko, quello stesso presidente messo in carica proprio all’indomani della rivoluzione colorata del 2014 dal peggiore deep state americano.
Gli audio incriminati sono stati messi in onda dal canale Tv americano OAN in uno special in due puntate, e mostrano inequivocabilmente la lunga ed intricata storia che legava l’Ucraina alla famiglia Biden.
OAN dedica il primo dei due episodi al legame di corruzione esistente tra l’ex Vice Presidente Joe Biden, John Kerry e le istituzioni ucraine, esponendo con audio, documenti e video la quantità folli di denaro dei contribuenti americani che lasciavano gli Stati Uniti per essere trasferite sui conti (e nella villa) di Poroshenko & Co.
Nessuno poteva o doveva opporsi a questo tipo di schema. Chi lo faceva, doveva essere immediatamente allontanato e rimpiazzato con un pari grado compiacente.
Quando ad esempio un pubblico ministero, tale Shokin, volle far luce su Burisma e sul fatto che la compagnia pagava Hunter Biden migliaia di dollari al mese per non far assolutamente niente se non esserne il presidente, John Kerry su mandato di Joe Biden pagò Poroshenko 1 miliardo di dollari per ottenere un cambio di magistrato che si mostrasse compiacente nei confronti dell’establishment statunitense, del figlio e dei suoi amici, e ripristinasse lo status quo pre-Shokin.
Poroshenko dichiarò di essere consapevole che Shokin aveva solo fatto il  suo dovere e che non aveva commesso alcun reato, tuttavia, confermò di voler onorare l’accordo e proseguì con lo schema. I soldi che vennero girati a Poroshenko non erano ovviamente il frutto di un sudato lavoro di diplomazia volto ad aiutare la propria patria a crescere e prosperare, ma come disse Rudy Giuliani:
“(…)Poroshenko era milionario. Voleva divenire miliardario. Ecco perché era così corrotto. Era sempre geloso di chi aveva più soldi di lui” (…) “una conoscente mi disse che non si era mai mosso denaro in Ucraina di cui Poroshenko non avesse preso almeno una parte(…)”.
Hunter Biden non aveva esperienza, non aveva diplomi o lauree nel campo, perché mai Burisma lo avrebbe dovuto pagare per mantenerlo in quella così ambita e ben pagata posizione? Così come altri che come Hunter condividevano il lauto stipendio con mansioni assolutamente similari. Cosa dovevano coprire? Erano queste le domande che giustamente il magistrato Shokin si fece quando aprì le investigazioni, prima che le stesse furono chiuse e allo stesso tempo gli fu chiesto di allontanarsi volontariamente presentando con una lettera di dimissioni.
Shokin, dunque, il pubblico ministero che aveva temporaneamente (ed incautamente) bloccato gli asset della Burisma venne sostituito, e al contempo dipinto, in special modo al pubblico statunitense, come un magistrato terribilmente corrotto che non poteva continuare a lavorare su un caso in cui poteva essere coinvolto il Vice Presidente degli Stati Uniti e quindi che richiedeva assoluta onestà, rettitudine e soprattutto serietà.
E mentre quindi Poroshenko si impegnava a scegliere dal catalogo un nuovo burattino da mettere al posto di Shokin, non importa se capace, non importa se con esperienza, ma l’importante era che fosse abbastanza obbediente da fare quel che gli viene richiesto, Biden, che si definisce letteralmente “uomo di parola“, promette a Poroshenko che il miliardo di dollari accordato potrà raggiungere le sue tasche.
Ecco che quindi l’intero teorema dem che narrava dell’assoluta estraneità ai fatti di Biden e famiglia, sorretto da nulla se non dal silenzio obbligato dei media indipendenti censurati ed intimiditi, si smonta miseramente e si mostra in tutte le sue contraddizioni attraverso le inequivocabili parole di Joe Biden e degli altri che compaiono nell’audio.
E quindi proprio come è crollata la narrativa secondo cui nessuno della famiglia Biden ha mai avuto niente a che fare con l’Ucraina, non è mai esistito alcun laptop di proprietà del figlio di Joe, ora cade anche quella secondo cui  lo stesso Biden padre non era coinvolto direttamente ed attivamente nei (mal)affari di famiglia. 
Tutti erano coinvolti, tutti sapevano, tutti fremevano per non essere scoperti nei loro giri di affari all’arrivo di un presidente che non faceva parte del loro stesso giro
Questi legami così profondi, come profondo è lo stato che li ha negli anni creati, traspaiono anche dall’attuale conflitto perché non si può negare che una delle ragioni per cui gli Stati Uniti e in particolare Biden, nella doppia veste di Presidente USA e di figura di riferimento del patto atlantista, spinga tanto per allontanare  gli occhi russi dagli interessi maturati nell’area in anni di politica marcia e compromessa, è per non essere personalmente e direttamente compromesso.
La giornalista di OAN contatta Joe Biden tramite il suo staff al fine di avere un confronto diretto con il Presidente o almeno una sua dichiarazione in merito alle ore di audio in possesso della testata. Invece di ricevere una risposta dalla Casa Bianca o comunque da altra istituzione, la donna viene contattata da un giornalista del The Atlantic, una testata assimilabile alle voci più globaliste e liberal, un fact checker a tutti gli effetti, la quale afferma che tutto ciò di cui OAN è in possesso è sicuramente da riferirsi a manipolazione russa e propaganda del Cremlino.
In risposta al contatto mail, The Atlantic pubblica un articolo non sugli audio di Bidenbensì su OAN e sul fatto che l’emittente sarebbe niente meno che una pedina di Mosca il cui ruolo sarebbe quello di diffondere la disinformazione e la propaganda russa. Da quando The Atlantic lavorerebbe per il governo degli Stati Uniti?
Nel secondo episodio viene infine semplicemente mostrato il tragitto del miliardo di dollari dei contribuenti statunitensi, da Washington a Kiev fino alle tasche di Poroshenko, raccontando anche di chi era fattivamente coinvolto.
L’incredibile avidità di Poroshenko fa sì che tutto il denaro ricevuto dagli Stati Uniti venga pompato all’interno delle proprie compagnie, in maniera tale da farlo fruttare al meglio, costruendo e rinforzando un vero e proprio impero nei cui punti chiave posizionare amici e parenti per evitare tradimenti e problemi con la giustizia ed il sistema in generale.
Immaginate, dicevamo all’inizio, la compiacentissima Hillary Clinton che perde le elezioni e un ignaro Donald Trump che si siede alla Casa Bianca al posto di Barack Obama. Letteralmente un incubo divenuto realtà per Joe che deve coprire non solo i suoi affari ma anche quelli del figlio per il quale ha rubato soldi pubblici e per il quale ha interferito in maniera pesante nel governo ucraino .
Poroshenko viene avvisato da Biden di tenere la bocca chiusa e mai, nemmeno per sbaglio, chiedere soldi direttamente a Trump. Avrebbero provveduto in maniera diversa, destinando sempre e comunque fondi pubblici all’Ucraina.
Chanel Rion, la giornalista di OAN, ammette che le ore di registrazione di cui l’emittente è in possesso, circa 10, sono così tante e aprono la strada a verità così intricate che sarebbe necessaria una investigazione che proseguisse oltre l’estate affinché le informazioni contenute nel resto dei nastri siano verificate e dettagliatamente contestualizzate. Cosa che OAN si impegna a fare per andare oltre ciò che la Rion ritiene essere solo il coperchio di un vero e proprio vaso di Pandora.
I crimini che si prefigurano dal materiale per ora visionati sono diversi, non uno meno grave dell’altro. Alto tradimento, corruzione, frode, interferenza in governo straniero, etc.
Ve n’è per ogni gusto. Seguiremo l’investigazione ed il dossier di OAN con un augurio: che vi sia almeno un magistrato tra Kiev e Washington disposto a fare il suo dovere e far chiarezza una volta per tutte sulla faccenda.
Al contempo dovrà togliere di mezzo una volta per tutte lo spauracchio della propaganda russa, senza il quale, diciamolo pure, il castello di carte dei dem è destinato a vita molto breve.
MARTINA GIUNTOLI, qui.

Non che in linea di massima non si sapesse, ma saperlo anche nei dettagli è sicuramente interessante, e rende ancora più chiaro il motivo per cui nessun broglio era di troppo per impedire a Trump di essere eletto.
E ora diamo un’altra sbirciata dietro altre quinte.

“Andiamo a salvare bimbi ucraini”. Ma sono un gruppo di pedofili

Sono partiti dal Regno Unito in nome del volontariato e dell’aiuto umanitario per tutti quei bambini rifugiati in Polonia dopo l’attacco russo in Ucraina ma, erano – e sono tutt’ora – pregiudicati inglesi mascherati da benefattori. Si scopre, infatti, come titolano tutti i principali giornali britannici, che i protagonisti sono 10 uomini – già noti alle forze dell’ordine per reati sessuali – che, con la scusa dei bambini sfollati dalla guerra sono arrivati al confine polacco per altri scopi, decisamente tremendi.
“I pedofili britannici si sono recati in Polonia sostenendo di fornire assistenza umanitaria ai rifugiati in fuga dall’Ucraina” si legge in una nota de La National Crime Agency. Il grande esodo dopo l’invasione russa in Ucraina ha infatti riguardato per la maggior parte donne e bambini, in quanto i padri e mariti sono dovuti rimanere in patria a combattere, e fin dall’inizio gli enti di beneficenza per i rifugiati avevano avvertito che questi potevano essere presi di mira da uomini predatori.
Si apprende dal The Guardian che “5000 bambini non accompagnati sono stati sfollati dall’Ucraina e assicurarsi che siano al sicuro è assolutamente fondamentale”. Come sarebbe fondamentale – aggiungiamo noi – capire come questi pregiudicati abbiano avuto la possibilità di uscire dal Regno Unito senza nessun controllo e recarsi in Polonia. “Gli autori di reato avrebbero dovuto informare la polizia britannica della loro intenzione di viaggiare – si legge ancora sul quotidiano inglese – e dichiarare eventuali condanne all’arrivo”. “Scopriamo, ovviamente, che non l’hanno fatto” riporta un portavoce a Reuters.
Già a marzo l’Onu aveva affrontato il problema dei bambini senza genitori scappati dal conflitto, esprimendo la preoccupazione per lo sfruttamento di essi da parte di sospetti protettori e trafficanti di sesso. A seguito del richiamo nelle Nazioni Unite, il Ministro degli Esteri inglese, Liz Truss, ad aprile aveva annunciato che avrebbe inviato investigatori in Ucraina proprio per raccogliere le prove di eventuali crimini di guerra, compresa la violenza sessuale.
Curioso come, i dieci uomini che si sono intrufolati nelle aree umanitarie, con il pretesto del volontariato, nelle prime sei settimane di guerra – quindi prima delle dichiarazioni e presunte azioni istituzionali inglesi – vengano scoperti solo in questi giorni.
Al momento non si sa dove siano queste persone. Il The Guardian racconta infatti che, dopo svariato tempo, durante un colloquio con l’immigrazione polacca, le forze dell’ordine polacche hanno chiesto agli autori dei reati di andarsene. I malviventi, come molti altri – probabilmente – si trovano quindi a piede libero nonostante le presunte indagini della Corte internazionale de L’Aja che, non ci è dato sapere, a che punto siano.
Bianca Leonardi, 23 luglio 2022, qui.

E ancora una sbirciatina dietro le quinte della salute di Putin, che come tutti sappiamo ha praticamente un piede nella fossa

https://t.me/letteradamosca/8109

Ancora una dietro le quinte del missile russo sul porto di Odessa che secondo i nazisti avrebbe centrato un deposito di grano; le immagini dell’incendio sembrerebbero invece suggerire che abbiano ragione i russi, secondo cui sarebbero invece state colpite delle imbarcazioni militari

https://t.me/letteradamosca/8123

Dal grano bruciato infatti il fumo esce chiaro

Non c’è invece bisogno di andar dietro le quinte, dato che è tutto evidente sulla scena, per vedere i danni provocati IN UCRAINA dalle armi NATO

E infine una sbirciata a Bojo che, non più impegnato a fare il primo ministro, si diletta a tirare bombe insieme agli istruttori degli ucraini:

https://t.me/letteradamosca/8124

E concludiamo con l’ennesimo omaggio russo al grande cinema italiano e alla grande musica italiana

barbara

QUEL NONNO GIOVANILE DI CUI AVEVA BISOGNO L’AMERICA

Come l’ha definito Beppe Severgnini, l’intelligente, l’acuto, il perspicace, il fine osservatore politico, quello che capisce tutto: guardatelo e ascoltatelo in tutta la sua brillantezza! Biden. Il demente. Il pedofilo. Quello della corruzione in grado di fare concorrenza a quella di Hillary Clinton. Quello degli affari sporchi (molto sporchi) con l’Ucraina. Quello che si addormenta e russa mentre l’interlocutore parla. Quello che scorreggia negli incontri ufficiali. Quello che ha distrutto il confine meridionale e fatto invadere gli Stati Uniti da clandestini, spesso affetti da covid. Quello che ha fatto affondare l’economia provocando un’inflazione da record e un picco di disoccupazione. Quello del disastro afghano. E se la maggior parte delle cose che ho ricordato sono venute dopo, la demenza, caro Severgnini, c’era anche prima. La pedofilia, caro Severgnini, c’era anche prima. La corruzione, caro Severgnini, c’era anche prima. Gli affari sporchi in Ucraina, caro Severgnini, c’erano anche prima.
E ora vediamo un altro paio di cosette.

Svelati i legami della famiglia Biden con la Cina.

Sean Hannity ha elogiato l’ultimo libro di Peter Schweizer, “Red-Handed: How American Elites Get Rich Helping China Win” come “fenomenale” e “da leggere assolutamente” durante un’intervista con l’autore nell’edizione di martedì del suo omonimo show radiofonico.
Hannity ha detto che avrebbe fatto una “serie di interviste” con Peter Schweizer, presidente del  Government Accountability Institute ed ospite del Drill Down oltre ad essere un collaboratore  senior  di  Breitbart News, “per arrivare in fondo a tutta” la documentazione del libro che espone la corruzione delle élite americane rispetto al Partito Comunista Cinese (PCC).
Red-Handed esamina come la strategia del governo cinese della “cattura dell’élite” prenda di mira figure di spicco degli Stati Uniti nel mondo degli affari, dello spettacolo, della politica e della tecnologia. Il PCC si procura influenza e complicità con tali figure attraverso lo sviluppo di relazioni finanziarie.
Il libro di Schweizer documenta un caso di un membro dell’élite del PCC che “se la ride” per il compromesso del governo cinese con Joe Biden.
Hannity ha dichiarato: “Tu parli di una scena. Tu fornisci anche una data. Era il 28 novembre 2020, solo poche settimane dopo le elezioni presidenziali americane, e di come apertamente parlino dell’accesso che ora hanno ai più alti livelli del governo degli Stati Uniti, e letteralmente, i membri del politburo [e] gli ambasciatori stanno quasi ridendo del fatto che – fondamentalmente – hanno compromesso il più alto funzionario eletto degli Stati Uniti d’America“.
Schweizer ha risposto:
“Questo è stato in un incontro a Pechino che si è tenuto poco dopo le elezioni. Un accademico, che è stato anche coinvolto in alcune operazioni di influenza straniera negli Stati Uniti a Washington, D.C., si è alzato di fronte a questo gruppo [di élite cinesi] ed ha parlato di tutti gli amici che Pechino ha ora negli Stati Uniti, ed ha parlato di Wall Street – e naturalmente ho un capitolo nel libro sui titani di Wall Street che sono intimi amici di Pechino – ma a due terzi del discorso dice: “Oh, e abbiamo il figlio del nuovo presidenteHunter Biden, che ha avviato tutte queste imprese. Chi lo ha aiutato ad avviare tutte queste attività?”
“È una scena incredibile, perché questa grande folla di centinaia di alti dirigenti cinesi e funzionari governativi inizia a ridere. Sanno la risposta, ed è davvero straordinario.”
“Questo non è un libro [potremmo] arrivare in fondo [se gli] dessimo tutte le tre ore del nostro show”, ha detto Hannity del nuovo libro di Peter Schweizer Red-Handed.
Schweizer: “Pechino ha potere” sulla famiglia Biden – “Questo richiede un’indagine.
Il collaboratore senior di Breitbart News Peter Schweizer ha detto martedì ad “Hannity” della Fox News che la Cina, la Russia e l’Ucraina hanno anche “assolutamente” informazioni compromettenti  sulla  famiglia  di Joe Biden.
Schweizer ha detto: “Quello che abbiamo scoperto è che circa 31 milioni di dollari sono stati dati alla famiglia Biden da cinque individui provenienti dalla Cina“.
Ha continuato: “Questi individui hanno tutti legami con i più alti livelli dell’intelligence cinese. Così quella che è stata una storia di corruzione e clientelismo è sempre più una storia di spionaggio, spionaggio e di sicurezza nazionale”.
Schweizer ha aggiunto: “Questo richiede un’indagine. Non si tratta solo di politici che ricevono denaro dal loro ufficio”.
Sean Hannity ha chiesto: “Questo dossier su Hunter, e sapevano essere un tossicodipendente. Gli piaceva assumere donne lavoratrici della notte – Lo diremo in questo modo. Lei crede che con tutta probabilità, e che le possibilità siano molto alte, per cui la Cina, la Russia, l’Ucraina, e molti di questi paesi abbiano  compromesso la famiglia Biden?
Schweizer ha detto: “Ohassolutamentenon c’è dubbio. Guarda, se il ministero cinese per la sicurezza dello stato sta cercando di impegnarsi nella ‘cattura dell’élite‘, come la chiamano loro, con i Biden e sono stati forniti 31 milioni di dollari, lo vedrebbero come un fallimento catastrofico dell’intelligence se non avessero ottenuto almeno una leva sulla famiglia Biden. Questo è ciò che rende questo così preoccupante e che richiede un’indagine, perché se non lo facciamo, il presidente sta per basare le decisioni sui suoi interessi finanziari familiari, e sul fatto che Pechino abbia una leva sulla sua famiglia“.
Il collaboratore senior di Breitbart News Peter Schweizer ha poi detto, sempre martedì a “Stinchfield“, un programma di Newsmax TV, che “ogni singolo accordo” che la famiglia di Joe Biden ha ottenuto in Cina è stato fatto con funzionari che erano collegati ai più alti livelli dell’intelligence cinese.
Il conduttore Grant Stinchfield ha chiesto: “Una domanda per te, se puoi, molto veloce. Ci sono accuse impressionanti e fatti realmente accaduti in questo libro. Ce n’è uno che ti colpisce che non potevi credere quando l’hai scoperto?
Schweizer ha detto: “La cosa che mi ha colpito di più sono state le informazioni sui Biden. Ho trovato questa storia sul loro coinvolgimento commerciale con la Cina nel 2018.”
E ha continuato: “Quello che abbiamo fatto in questo libro è stato usare il portatile di Hunter Biden, usando le email che abbiamo ottenuto da uno dei partner commerciali di Hunter Biden. Siamo risaliti a come sono avvenuti quegli affari. E quello che abbiamo scoperto è che ogni singolo affare che i Biden hanno condotto– ed il totale è di circa 31 milioni di dollari – ogni singolo affare che hanno condotto è venuto da un funzionario in Cina che era collegato ai più alti livelli dell’intelligence cinese. Ciò che voglio dire è che erano partner di persone come il viceministro della sicurezza dello stato, le cui responsabilità includono il reclutamento di stranieri, quindi questa è stata la più grande rivelazione per me”.
Schweizer ha aggiunto: “Ecco perché credo che dobbiamo fare la domanda e indagare se i Biden sono compromessi“.
BreitbartNews.comBreitbartNews.comBreitbartNews.com
L’elefantino, qui.

E dopo la distruzione della sicurezza statunitense, passiamo alla distruzione dell’approvvigionamento energetico.

Joe Biden è entrato in carica e, un anno dopo, abbiamo visto un 4% di surplus di produzione interna di petrolio e gas passare a ad un 4% di deficit.

Tratto e tradotto da un articolo di Stephen Moore per Fox Business.

Una volta, durante un incontro con l’allora candidato alla presidenza Donald Trump all’interno della Trump Tower sulla Fifth Avenue a New York, abbiamo discusso di politica energetica. Dissi a Trump che se ci fossimo dati da fare per produrre delle abbondanti riserve di petrolio, gas e carbone per l’America, gli Stati Uniti avrebbero potuto essere indipendenti dal punto di vista energetico in quattro anni.
Trump mi guardò da dietro la sua scrivania e scosse la testa: “Non voglio che l’America sia solo indipendente dal punto di vista energetico. Voglio che l’America sia dominante dal punto di vista energetico”.
Ci sono poche questioni in cui il presidente Donald Trump e Joe Biden abbiano differito più profondamente nelle proprie rispettive politiche come sulla produzione di energia.
Donald Trump è andato a tutta velocità sulla produzione di combustibili fossili. Ha eliminato le restrizioni alle trivellazioni, specialmente in stati come l’Alaska e sulle terre federali negli stati continentali. Ha dato il via libera ad oleodotti di vitale importanza. Ha bloccato nuovi regolamenti ambientali estremisti che avevano solamente lo scopo di soffocare le nostre forniture di petrolio e di gas. Ha riconosciuto la rivoluzione del petrolio e del gas di scisto come un’opportunità senza precedenti per ridurre la dipendenza dal petrolio straniero.
La politica energetica di Trump è stata una sorprendente storia di successo economico. Nel gennaio del 2021, esattamente un anno fa e l’ultimo mese di Trump in carica, per la prima volta da quasi 50 anni, gli Stati Uniti producevano più petrolio di quanto ne consumassero. Non eravamo più un importatore netto di petrolio dall’Arabia Saudita e dalle nazioni del cartello OPEC. Stavamo anche producendo più petrolio e gas dei russi e degli arabi.
Da quando Joe Biden è entrato in carica, un anno dopo, abbiamo visto un 4% di surplus di produzione interna di petrolio e gas scendere ad un 4% di deficit di petrolio e gas. Siamo passati dall’indipendenza energetica alla dipendenza energetica. Questo perché Biden ha dichiarato guerra all’energia americana.
Ha chiuso gli oleodotti ed ha invertito quasi tutte le politiche pro-trivellazioni di Trump. All’inizio di gennaio, Biden ha fermato le trivellazioni in centinaia di migliaia di siti petroliferi potenzialmente eccellenti in Alaska. È ossessionato dal cambiamento climatico, quindi ama l’energia eolica e solare e le auto elettriche che non consumano la benzina. Ma anche nelle ipotesi più ottimistiche, otterremo comunque la maggior parte della nostra energia elettrica, del carburante per i riscaldamenti e del carburante per i trasporti dai combustibili fossili per almeno i prossimi 25-30 anni.
L’unica domanda è se utilizzeremo i nostri combustibili fossili per tenere le luci accese e le auto in funzione da stati come Texas, Oklahoma, Nord Dakota, Wyoming, Pennsylvania, West Virginia e Ohio, oppure se li otterremo dagli arabi, dai russi, dagli iraniani e dai messicani. Dato che gli Stati Uniti hanno degli standard ambientali molto più severi di queste altre nazioni produttrici di petrolio, qualsiasi mossa per abbassare la produzione statunitense ed importare i combustibili dall’estero andrebbe ad aumentare le emissioni di gas serra. È una pessima politica economica, un pericolo per la nostra sicurezza nazionale e non è nemmeno “verde”.
Il costo economico dell’allontanamento dall’indipendenza energetica è già stimato in circa 1 miliardo di dollari di perdita di produzione economica ogni settimana e di circa 50 miliardi di dollari all’anno in meno.
La cosa peggiore di tutte (e una pietosa ed imbarazzante svolta degli eventi) ora che la produzione di petrolio è scesa a causa degli editti di Joe Biden, questo presidente va dai sauditi e dalle nazioni dell’OPEC e li prega di aumentare la loro produzione. È un occhio nero per l’America. Ci fa sembrare deboli, e ci ha reso più deboli.
I due maggiori vincitori della guerra di Biden all’energia americana sono stati il presidente cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin. Questi leader di nazioni che sono chiaramente nemiche degli Stati Uniti non possono credere alla loro fortuna di essersi trovati Joe Biden come presidente. Ha reso l’Europa occidentale e settentrionale dipendente da Putin per le forniture costanti di energia. Nel frattempo, in Cina, Xi dà una pacca sulla testa a Biden e promette che ridurrà i livelli di inquinamento cinese nel mentre costruisce decine di nuove centrali a carbone che bruciano carbone sporco, non pulito.
C’è qualcosa di tutto questo che abbia anche solo un briciolo di senso? Questa strategia mette l’America al primo posto? E a proposito, i numeri dell’indice dei prezzi al consumo sono appena stati rilasciati per il primo anno di mandato di Biden. I prezzi della benzina alla pompa sono aumentati del 52% in 12 mesi.
GrazieJoe.
FoxBusiness.com
Luca Maragna, qui.

E infine ci sarebbe quella piccola faccenda dell’Ucraina, che il demente e la serva Europa di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province ma bordello vogliono attirare nella NATO, ossia imporre alla Russia una potenza nemica sui suoi confini, provocando l’inevitabile – e comprensibile – reazione russa, e offrendosi poi di proteggere l’Ucraina dall’aggressore russo, e a quanto pare sta già inviando forze militari in loco. E se continua così, riuscirà davvero a far scoppiare la guerra. E i primi ad allarmarsi sono proprio gli ucraini.

Giovanni Bernardini

Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha invitato Joe Biden a smetterla di seminare panico strillando che la guerra è alle porte.
E’ un particolare che la dice lunga sulla natura del presidente americano, la cui elezione, alquanto, diciamo così… sospetta, venne salutata come “il 25 aprile del mondo” da alcuni “giornalisti”, si fa per dire, di casa nostra…

Fulvio Del Deo

UCRAINA – Lo “scoop” di ieri della Reuters (la Russia sta ammassando rifornimenti di sangue e medicinali in vista dell’invasione) è stato smentito dalla vice ministra ucraina della Difesa Anna Malyar che ha detto che “il proposito di simili notizie è seminare il panico nella nostra società”. (Notizia completa qui, attivare traduttore automatico)

E anche qualcun altro comincia a preoccuparsi e mobilitarsi.

Fulvio Del Deo

CROAZIA – Il presidente Milanovic insiste: “Per l’Ucraina non c’è posto nella Nato. La situazione al confine russo-ucraino è grave e risponde principalmente agli interessi della politica interna americana e di Joe Biden. In materia di sicurezza internazionale, Washington si comporta in modo contraddittorio e incoerente”.

E d’altra parte l’abbiamo sempre saputo che Biden alla presidenza avrebbe significato guerra; e così, dopo i quattro anni dell’unico fra l’ultima mezza dozzina di presidenti che non solo non ha cominciato nessuna guerra, ma è riuscito a portare al tavolo della pace stati che erano in guerra da sempre, abbiamo quello che riuscirà a far fare la guerra a due stati che, pur fra varie tensioni e conflitti passati, ad entrare in guerra in questo momento non ci pensavano proprio.

barbara

I CRIMINI DI NETANYAHU

1.Il leader del Likud avrebbe ricevuto sigari cubani e un gioiello per la moglie (comprato dalla gioielleria Stern all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv) dal produttore miliardario di Hollywood Arnon Milchan, un vecchio amico dai tempi in cui Bibi era Ambasciatore in America, in cambio di esenzioni fiscali. Esenzioni fiscali che poi non ha mai ricevuto.

2.Netanyahu avrebbe discusso con il proprietario del giornale Yedioth Aharonoth, Arnon Moses, della possibilità di convincere Sheldon Adelson, proprietario del giornale Israel Hayom, l’unico vicino a Netanyahu, a ridurre la tiratura in cambio di un trattamento migliore sullo stesso Yedioth Aharonoth. Si è trattato di un dialogo avvenuto pubblicamente, di cui tutti gli israeliani erano al corrente, e che poi si è risolto con un nulla di fatto.

3.Netanyahu avrebbe favorito la fusione tra la rete satellitare Yes e la compagnia di telecomunicazioni Bezeq in cambio di un trattamento di favore sul sito Walla News, dello stesso proprietario di Bezeq, Shaul Elovitch. Anche questo avvenuto in dialoghi pubblici e non segreti.

4.Netanyahu e la moglie Sara avrebbero compiuto spese private con denaro pubblico (per somme che si aggirano ai 200 dollari). La denuncia è stata fatta da un cameriere che era stato licenziato.

Secondo il Premier tutte queste accuse sono inconsistenti e ha ribadito in più occasioni che se questa è corruzione sono corrotti tutti quelli che svolgono politica, anche nel modo più onesto. Per questo ha chiesto di trasmettere in tv le accuse reali in modo che tutti gli israeliani possano rendersi conto delle stesse e non valutare la sua posizione solamente in base a ciò che hanno raccontato giornalisti più o meno informati ma sicuramente di parte.

Intanto Avichay Mandelblit, il Procuratore Generale, fa il cerchiobottista fra il martello della stampa forcaiola e l’incudine di migliaia di prove su quattro procedimenti, prove che per la quasi totalità dei giornalisti sono schiaccianti mentre lui, da buon magistrato, sa che il collegio di difesa del Premier, formato da i dieci più importanti avvocati di Israele, potrebbe smontare uno a uno i procedimenti o sgonfiarli fino a renderli poco credibili o non penalmente perseguibili. In quel caso proprio Mandelblit si ritroverebbe con il cerino in mano mentre intorno a lui ci sarebbe un fuggi-fuggi generale, anche perché è lecito pensare che se fra quelle carte ci fosse stata veramente la metà di ciò che è stato pubblicato o raccontato in televisione, le manette da tempo sarebbero già scattate intorno ai polsi di Bibi Netanyahu.

Una conferma a tutto ciò è arrivata dalla professoressa Ruth Gavison, già Premio Israele per la Giustizia che, come riporta il quotidiano Israel Hayom, in una discussione che si è sviluppata sulla sua pagina Facebook ha dubitato sulle possibilità di Netanyahu di ottenere un giusto processo. La professoressa ha scritto: “Sono preoccupata che Netanyahu non abbia la possibilità di ottenere un processo giudiziario. Ci sono stati così tanti processi sulla stampa che ora un processo vero non riuscirebbe ad avere una sentenza diversa da quella già decisa sui media. Questa è una tragedia per Bibi ma anche una brutta pagina per il paese e per la società”.

Che la stampa israeliana sia quasi totalmente di sinistra, come ha spesso apertamente accusato il Premier Netanyahu, è un dato oggettivo, e nella rincorsa all’incriminazione ha esagerato al punto che, nell’inevitabile reazione, ha creato un fronte unico nel partito Likud a difesa del Premier, al punto che qualcuno già parlava di una consultazione interna per riconfermare Benjamin Netanyahu alla guida del partito e smentire in modo definitivo le voci che ci sarebbero dei pretendenti al posto di segretario disposti a defenestrare l’attuale leader.

Michael Sfaradi, 5 ottobre 2019, qui

Non solo in Italia è la magistratura a decidere la politica, per esempio assolvendo una negriera speronatrice di motovedette o perseguitando per un intero decennio un innocente.

barbara

LA CARITÀ CHE UCCIDE

Avevo cominciato a dirlo, avendolo visto coi miei occhi, quasi trent’anni fa. L’ha detto, con piena cognizione di causa, uno scrittore somalo un bel po’ di anni fa. Pian piano, sempre meno timidamente, hanno cominciato a dirlo anche altri: gli aiuti stanno uccidendo l’Africa. Noi continuiamo a mandare miliardi di dollari e l’Africa diventa sempre più povera. Non nonostante gli aiuti, bensì a causa degli aiuti. Ora Dambisa Moyo, africana ed economista di altissimo livello, con una ricchissima casistica e documentazione ci spiega come e perché ciò accade. E prima di passare ai dati tecnici, ci illustra il meccanismo – o almeno uno dei meccanismi – con un esempio-paradosso. Che poi, a ben guardare, tanto paradossale non è.

L’efficacia degli aiuti: un paradosso micro-macro

In Africa c’è un fabbricante di zanzariere che ne produce circa cinquecento la settimana. Dà lavoro a dieci persone, ognuna delle quali (come in molti paesi africani) deve mantenere fino a quindici famigliari. Per quanto lavorino sodo, la loro produzione non è sufficiente per combattere gli insetti portatori di malaria.
Entra in scena un divo di Hollywood che fa un gran chiasso per mobilitare le masse e incitare i governi occidentali a raccogliere e inviare centomila zanzariere nella regione infestata dalla malattia, al costo di un milione di dollari. Le zanzariere arrivano e vengono distribuite: davvero una «buona azione».
Col mercato inondato dalle zanzariere estere, però, il nostro fabbricante viene immediatamente estromesso dal mercato, i suoi dieci operai non possono più mantenere le centocinquanta persone che dipendono da loro (e sono ora costrette ad affidarsi alle elemosine), e, fatto non trascurabile, entro cinque anni al massimo la maggior parte delle zanzariere importate sarà lacera, danneggiata e inutilizzabile.

E nel frattempo, aggiungo io, la vecchia fabbrica locale e i suoi macchinari, abbandonati a se stessi, sono diventati inutilizzabili e il vecchio proprietario non ha soldi per rimettere il tutto in funzione. Ma passiamo a qualche dato concreto.

Perfino un’occhiata superficiale ai dati suggerisce che con l’aumentare degli aiuti, la crescita dell’Africa diminuiva, ed era accompagnata da una maggiore incidenza della povertà. Negli ultimi trent’anni, i paesi più dipendenti dagli aiuti hanno mostrato tassi di crescita media di -0,2 percento all’anno.
Per la maggior parte dei paesi, una conseguenza diretta degli interventi basati sugli aiuti è stata un drastico aumento della povertà. Mentre prima degli anni Settanta la maggior parte degli indicatori economici dello Zambia era in salita, dopo un decennio la sua economia era in rovina. Bill Easterly, professore all’Università di New York ed ex economista della Banca Mondiale, sottolinea che se questo paese avesse trasformato in investimenti tutti gli aiuti ricevuti dal 1960 convogliandoli verso la crescita, all’inizio degli anni Novanta avrebbe registrato un PIL pro capite di circa 20.000 dollari, mentre ora era inferiore ai 500, un valore più basso che nel 1960; di fatto, il PIL dello Zambia dovrebbe essere almeno trenta volte quello attuale. E tra il 1970 e il 1998, quando l’erogazione di aiuti era al culmine, in Africa la povertà salì dall’11 percento a uno sbalorditivo 66 percento. Si tratta grosso modo di seicento milioni di africani, su una popolazione totale di un miliardo, costretti a vivere sotto la soglia della povertà. Una cifra davvero sconvolgente.
[…]
Le prove contro gli aiuti sono tanto forti e indiscutibili che perfino l’FMI – uno dei principali sovvenzionatori – ha ammonito i fautori a non riporvi eccessive speranze come strumento di sviluppo; ha anche ammonito governi, donatori e promotori a essere più cauti nell’affermare che un aumento degli aiuti risolverà i problemi africani. Se solo queste ammissioni fossero il catalizzatore di un vero cambiamento…
Il fatto più sorprendente è che non esiste altro settore, in affari o in politica, in cui si permette a insuccessi così evidenti di proseguire a fronte di prove tanto chiare e indiscutibili.
Quindi ecco qui: sessant’anni, oltre un trilione di dollari di aiuti all’Africa, e non molti risultati positivi da mostrare. Se gli aiuti fossero solo innocui – si limitassero cioè a non ottenere quanto proclamano – questo libro non sarebbe stato scritto. Il problema è che gli aiuti non fanno più parte della potenziale soluzione del problema… ma sono il problema stesso.

Credo che tutti dovrebbero leggere questo libro, per capire che tutto ciò che noi “generosamente” doniamo ai poveri africani raggiunge unicamente due destinatari: noi stessi che possiamo così crogiolarci nella coscienza pulita della nostra bontà (e, se siamo cristiani credenti, nella certezza di esserci accaparrati una fettina di paradiso) e i corrotti di ogni risma e di ogni parte del mondo. Pensiamoci.

Dambisa Moyo, La carità che uccide, Rizzoli
la carità che uccide
barbara