noi, abbiam distrutto il Donbass, il Donbass, insieme a voi (che ce le regalate)
Ucraina: «Fiat iustitia, pereat mundus»
“Non cederemo il Sud dell’Ucraina alla Russia”. Così Zelensky ieri, mettendo una pietra tombale sulle possibilità di avviare a breve un negoziato con i russi. In tal modo ha voluto rispondere, in maniera pubblica e inequivocabile, alle richieste di Macron e Scholz, i quali, nel corso delle visita a Kiev (insieme a Draghi) [non è un bijou quel Draghi fra parentesi?], gli avevano chiesto di riprendere i negoziati. Nulla di fatto, il presidente che ostenta la magliettina verde dell’esercito in ogni circostanza, non può smarcarsi dall’America, che non gli consente alternative alla guerra. A rafforzare il rilancio di Zelensky, la parallela dichiarazione del Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, il quale ha affermato che la guerra “potrebbe durare anni“. Se nei giorni scorsi il “partito della pace” aveva avuto un sussulto in Occidente, aprendo spiragli, si può registrare con certa tristezza che tale accenno di vitalità è stato prontamente tacitato. D’altronde era abbastanza evidente anche nei report del viaggio della speranza (per usare un termine in uso ai pellegrinaggi religiosi) di Scholz e Macron: ben pochi media importanti avevano riferito della richiesta avanzata dai leader (e chi ne ha riferito lo ha fatto con la distrazione del caso), limitandosi a ribadire il mantra dell’ingresso dell’Ucraina nella Ue. La definizione “partito della pace” l’abbiamo ripresa da Steven Erlanger, cronista del Times e premio Pulitzer, il quale, interpellato da Yana Dlugy per il New York Times, ha detto che sull’Ucraina in Occidente si registra il conflitto tra il “partito della pace” e il “partito della giustizia”. “Il partito della giustizia – spiega Erlanger -, formato fondamentalmente dall’Europa dell’Est, gli Stati baltici e la Gran Bretagna [e gli Usa, ovviamente], ritiene che c’è in ballo qualcosa di più dell’Ucraina, che è a tema la sicurezza europea. E che se Putin non si sente sconfitto, se non si ferma qui, allora, in qualche modo, proseguirà” nella sua assertività. “Il partito della pace teme che gli obiettivi del partito della giustizia siano l’estensione della guerra, fino a rischiare un’escalation, al coinvolgimento dei paesi della NATO nella guerra, con il fine di mettere Putin all’angolo”. C’è qualcosa di vero in queste righe, ma ancora più corretta la considerazione conclusiva, cioè che se l’America non sostenesse più l’Ucraina, la guerra finirebbe rapidamente, se non subito. La cessazione delle ostilità vedrebbe non tanto Mosca invadere Kiev – mossa che minaccerebbe del caso solo per forzare la mano all’avversario – quanto la leadership ucraina aprirsi subito al negoziato, che i russi accoglierebbero con favore, potendo dichiarare chiusa la guerra e proclamare la vittoria. In realtà, lo scontro in atto non è solo tra un’asserita “giustizia” e una irenica “pace”, ma soprattutto tra una politica estera improntata al realismo e quella, dominante in America (e, in subordine perché subordinata, in Europa), forgiata dall’ideologia iper-liberista e/o neoconservatrice. Tale scontro è descritto molto bene in un articolo di Sumantra Maitra sul National Interest, al quale rimandiamo. In questa sede ci limitiamo a riportare una riflessione di Hans Morgenthau ivi riportata sulla necessità del realismo in politica. “Il realismo sostiene che i principi morali universali non possono essere applicati alle azioni degli Stati nella loro formulazione universale astratta, ma che devono essere filtrati attraverso le circostanze concrete del tempo e del luogo. L’individuo può dire: “Fiat iustitia, pereat mundus (Sia fatta giustizia, anche se il mondo perisce),” ma lo Stato non ha il diritto di dirlo in nome di coloro che sono sotto la propria tutela”. “Sia l’individuo che lo stato devono giudicare l’azione politica in base a principi morali universali, come quello della libertà. Tuttavia, mentre l’individuo ha il diritto morale di sacrificarsi in difesa di un tale principio morale, lo Stato non ha il diritto di far sì che la sua disapprovazione morale per la violazione della libertà ostacoli un’azione politica di successo, a sua volta ispirata dal principio morale di una sopravvivenza nazionale. Non può esserci moralità politica senza prudenza; cioè, senza considerare le conseguenze politiche di un’azione apparentemente morale” . Riflessione che il cronista del NI commenta spiegando che se certo il realismo non è alieno da aspetti negativi, “non è paragonabile alle crociate per la democrazia degli ultimi trent’anni”. Commento precipuo, dal momento che anche il sostegno all’ucraina e alla sua lotta “fino all’ultimo ucraino” contro l’invasore, se pure all’inizio poteva identificarsi come un doveroso sostegno verso l’aggredito, oramai, caduta tale foglia di fico, ha assunto l’aspetto di una crociata per la libertà e la democrazia proprio delle guerre infinite. Tale natura religiosa, che non consente dissidenza (la dissidenza è eresia), fa di questa guerra un conflitto esistenziale e insanabile, escludendo a priori non solo il negoziato, ma la stessa idea del negoziato. Tanto che nelle disquisizioni degli esperti e degli analisti che parlano a nome e per conto del potere dominante, il negoziato non è neanche evocato se non come vago residuo colloquiale per rassicurare le masse. Nulla importa che il mondo sia flagellato dalle conseguenze della guerra e soprattutto delle sanzioni: inflazione e rischio stagflazione in Occidente, fame in Africa, turbolenze e violenze di piazza diffuse all’orizzonte, rischio di nuove ondate migratorie, incremento della destabilizzazione globale… solo per parlare delle conseguenze certe, che all’incerto non c’è limite. Già, nulla importa: Fiat iustitia, pereat mundus. Dove, ovviamente, la giustizia è Cosa loro. 20 giugno 2022, qui.
Sì, direi che il richiamo alla mafia ci sta tutto.
Nuovo comandante esercito inglese: “Prepariamoci a combattere nuovamente in Europa”
Dal Regno Unito giungono le roboanti dichiarazioni di un pezzo grosso dell’esercito a scaldare ulteriormente il clima e le tensioni politiche internazionali. Dichiarazioni che non lasciano preludere a niente di buono, con una distensione sempre più lontana sul fronte del conflitto che vede schierati da una parte i russi e dall’altra gli ucraini, dietro la regia degli Usa che si stanno spendendo tanto in termini di finanziamento militare e appoggio di intelligence a Kiev; accanto a Washington, un ruolo di primo piano hanno poi i fidi alleati britannici. L’annuncio è stato dato qualche ora fa da THE SUN, secondo quotidiano in lingua inglese più venduto al mondo: il generale Sir Patrick Sanders, il nuovo comandante dell’esercito, – scrive il tabloid britannico – ha affermato che “l’assalto sanguinario di Putin all’Ucraina ha scosso le basi della sicurezza globale”. In un primo messaggio rivolto a ogni soldato in servizio, ha detto che “il mondo è cambiato da quando il dittatore russo aveva invaso l’Ucraina il 24 febbraio”. [A me veramente sembra che “il mondo” sia cambiato da quando Biden ha decretato le sanzioni e imposto a mezzo mondo di seguirlo, e ad armare sempre più pesantemente l’Ucraina imponendo parimenti a mezzo mondo di seguirlo. Carina poi la cosa di chiamare dittatore Putin mentre viene chiamato universalmente “presidente” Abu Mazen] Sanders ha promesso di forgiare un esercito in grado di battere la Russia in battaglia e ha avvertito le coraggiose truppe britanniche che ora devono prepararsi “a combattere ancora una volta in Europa”. Il generale, nel suo nuovo ruolo da lunedì scorso – continua The Sun- ha dichiarato: “Ora c’è un imperativo ardente di forgiare un esercito in grado di combattere al fianco dei nostri alleati e sconfiggere la Russia in battaglia”. Ancora, “L’invasione russa sottolinea il nostro scopo principale: proteggere il Regno Unito essendo pronti combattere e vincere guerre sulla terraferma”. [Nel senso che il Regno Unito sta rischiando di essere invaso dalla Russia? Ganzo!] Sanders, 56 anni che ha condotto operazioni militari in Irlanda del Nord, Kosovo, Iraq e Afghanistan, ha promesso inoltre che avrebbe accelerato i piani per modernizzare l’esercito e renderlo funzionale a dispiegarsi all’estero per rispondere più rapidamente alle crisi. Affermazioni forti che si aggiungono a quelle del primo ministro, Boris Johnson, che reduce dalla sua recentissima visita a Kiev ha annunciato: “sarebbe una catastrofe se Putin vincesse” e ha assicurato a Zelensky che “il Regno Unito è pronto a lanciare un’importante operazione per addestrare le forze armate ucraine, addestrando fino a 120.000 soldati ogni 120 giorni per prepararli al combattimento contro i soldati di Putin”. FRANCESCO FUSTANEO, qui.
Una piccola domanda: da quando in qua sono i militari e non i parlamenti a decretare le guerre? Un’altra piccola domanda: tot soldati ogni 120 giorni cioè ogni 4 mesi: per quanti turni? Ossia per quanti anni hanno già deciso che questa guerra CHE NON LI RIGUARDA ma che distruggerà tutti noidovrà continuare?
Assedio di Kaliningrad: nient’altro che una provocazione per l’estensione del conflitto
Le ferrovie lituane porranno delle limitazioni alle merci che transiteranno nella regione di Kaliningrad e ciò è riferito ad un ampio elenco di merci soggette a sanzioni. Le modifiche sono entrate in vigore sabato 18 giugno. Lo ha annunciato il governatore Anton Alikhanov nel suo canale telegram: “… Ci siamo semplicemente confrontati questo pomeriggio con il fatto che da domani queste merci non saranno accettate per il trasporto. Secondo le stime preliminari, si tratta dal 40 al 50% della gamma di merci trasportate tra la regione di Kaliningrad e altre regioni della Russia … “ Secondo Alikhanov, i materiali da costruzione e prodotti finiti esportati dalla regione di Kaliningrad a altre regioni della Russia rientrano nel divieto. La posizione dell’exclave di Kaliningrad è la sua vulnerabilità critica. A rigor di termini, è impossibile in linea di principio detenere un tale territorio, quindi la questione del suo status, prima o poi, sarebbe sorto. C’è un deja vu piuttosto persistente: proprio questo territorio divenne la causa immediata della seconda guerra mondiale, quando Hitler consegnò un ultimatum alla Polonia per un corridoio extraterritoriale verso la Prussia orientale. Oggi la storia si ripete. Il problema è evidente: oggi l’ultimatum alla Lituania sarà presentato in condizioni incommensurabilmente più difficili. L’esercito russo si sta dissolvendo nelle steppe ucraine e sarà molto problematico aprire un altro fronte, anche se si trattasse solo di fronteggiare la Lituania. E lei è un membro della NATO, e quindi tutto è molto più serio. Il blocco di Kaliningrad è in realtà una risposta al conflitto ucraino, alla sua internazionalizzazione. E dato che l’insieme dei paesi baltici, come tutta la “giovane Europa”, è sotto il patrocinio degli Stati Uniti e, in primis, della Gran Bretagna, questa è la mossa degli anglosassoni nella lotta contro l’Europa continentale . La Russia qui e solo il tramite. Non ha senso discutere che la Russia ha un’enorme numero di potenziali territori di conflitto lungo tutti i confini. I suoi avversari hanno una ricca scelta di risposte e di eventuali escalation lungo la maggior parte del perimetro dei confini russi, dall’Artico all’Asia centrale. Qual è il prossimo? In generale, il blocco di Kaliningrad pone una scelta ovvia: la regione non è nella posizione migliore in una situazione di blocco, dovrà affrontare la questione della sopravvivenza nel vero senso della parola. Anche il problema è chiaro: l’invasione dei paesi baltici può tecnicamente terminare con la sua occupazione e la sua occupazione sarà la sua vittoria diventerebbel’obiettivo della “comunità mondiale” . Al momento in realtà esiste un accordo bilaterale per cui questo il blocco sarebbe illegittimo. Ma si sa nel mondo delle regole, le regole valgono solo all’esterno. Quindi nascono tensioni e la Russia ha risposto già che non accetterà lo status quo. Aspettiamoci un mondo molto diverso ed un modo di vivere molto diverso da quello a cui eravamo abituati. Forse vedremo l’inverso dei nostri padri, che hanno visto dopo la guerra un miglioramento della loro vita e delle loro speranze e la prospettiva ideale di un mondo migliore. È ormai certo che in futuro sarà una estensione del conflitto, con mezzi economici o militari. La situazione per noi comincia ad essere più vicina, ma nelle repubbliche autonomiste del Donbass hanno mobilitato già dai 15 ai 65 anni al fronte. Questa è la misura della serietà di ciò che sta succedendo. Quindi come risponderà la Russia per Kaliningrad potrebbe essere una sorpresa. Perché è una questione di sopravvivenza. C’è un bias cognitivo in questo da parte della nostra dirigenza, attenta solo che quadrino i numeri e le alleanze, per aprire carriere di successo. La probabilità di un conflitto armato nel Baltico non è molto alta, ma esiste. “L’Unione Europea deve correggere la situazione con il blocco di Kaliningrad, altrimenti la Russia avrà mano libera per risolvere la questione del transito con ogni mezzo”, ha affermato il capo della commissione del Consiglio della Federazione per la protezione della sovranità Andrey Klimov. Da parte loro, i paesi occidentali comunque cercheranno uno scontro diretto attivamente, non appena la Russia sarà resa più debole dal conflitto in corso. Per ora la Russia comunque avrà l’opzione marittima per portare i materiali, ma la situazione sarà sempre più tesa e soprattutto, resa deliberatamente più tesa. Patrizio Ricci, VPNews, qui.
Nulla die sine povocatione.
Colpite le piattaforme di gas in Crimea: l’Ucraina punta all’escalation del conflitto
L’attacco di Kiev alle piattaforme di trivellazione della società di gas Chernomorneftegaz nel Mar Nero, in Crimea, ha sciolto le mani alla Russia, nel più breve tempo verrà data la risposta. “La Russia colpirà i centri decisionali dell’Ucraina”, ha annunciato il deputato della Duma di Stato Mikhail Sheremet. L’attacco degli ucraini alle piattaforme, dove erano presenti 109 persone, ha provocato 3 feriti, che si trovano nel reparto grandi ustionati dell’ospedale di Sebastopoli, inoltre 7 persone sono disperse, evacuate 94 persone. Ora in Russia aspettano con ansia la tanto attesa risposta della Russia, la gente è stanca delle azioni sfacciate e continue di Kiev. Da sottolineare che i satelliti commerciali americani Worldview-1, Worldview-2 e Worldview-3 hanno fotografato l’area del Mar Nero, dove si trovano le piattaforme di perforazione di Chornomorneftegaz, una settimana prima che le truppe ucraine le colpissero. Il Ministero della Difesa russo ha confermato di aver colpito con i missili “Kalibr2 il centro direzionale dell’esercito ucraino nella regione di Dnepropetrovsk e di aver eliminato oltre 50 generali e ufficiali ucraini. Alcune divisioni dell’esercito ucraino hanno abbandonato i combattimenti nella zona di Lisicjansk a causa della “bassa condizione morale e psicologica e mancanza di proiettili”. Alcuni nazisti ucraini dalla fabbrica “Azot” cominciano a chiedere le trattative e hanno alzato le bandiere bianche… la terra sta letteralmente bruciando loro sotto i piedi. La Russia ha dato l’ultimatum alla Lituania, la quale ha posto il blocco al transito delle merci tra Kaliningrad ed il resto della Federazione Russa. Se la Lituania non revocherà immediatamente il blocco commerciale, la Russia si riserva il diritto di intraprendere le azioni necessarie per difendere i propri interessi nazionali. L’azione provocatoria della Lituania che infrange i propri obblighi internazionali, è considerata dalla Russia come un atto ostile. In sostanza è un casus belli … cercano disperatamente la terza guerra mondiale. Biden intanto ha annunciato che nei tempi prossimi non andrà in Ucraina. MARINELLA MONDAINI, qui.
Mi è capitato spesso di leggere diari di ragazzini ebrei iniziati poco prima della guerra, che dicono corrono voci di guerra ma speriamo di no, la guerra è scoppiata ma speriamo che duri poco, non sta durando poco ma speriamo che non sia troppo tremenda, si sta rivelando veramente tremenda ma speriamo che per noi ebrei non vada a finire troppo male, ci hanno rinchiusi nel ghetto ma speriamo di poter almeno andare avanti in qualche modo, hanno cominciato a deportare ma speriamo di sopravvivere… E noi che leggiamo sappiamo fin dall’inizio come andrà a finire e che nessuna speranza, neppure l’ultima, si realizzerà. Sempre più spesso ho la sensazione di vivere dentro uno di questi libri, in cui si direbbe che qualcuno – più di qualcuno: perché a differenza di allora, quando la volontà di annientamento era di un uomo solo, oggi sembra che il demone della volontà di distruzione totale ne stia possedendo tanti, e con tantissimi a fare il tifo – ne abbia già scritto la conclusione.
“L’ammissione nella Nato degli Stati Baltici sarebbe l’unica mossa che rischierebbe di provocare una riposta vigorosa e ostile da parte della Russia e spostare gli equilibri tra Russia e Usa” (Joe Biden, 18 giugno 1997, qui)
Non sprovvedutezza dunque. Non cialtroneria. Non inadeguatezza. Non dilettantismo. Al contrario: tutto previsto. Tutto calcolato. Tutto pianificato. E ostinatamente portato avanti, per otto anni con Obama, poi quattro anni di sosta, e ora di nuovo con Biden. Prima gli stati Baltici, che già si sapeva avrebbero pesantemente e pericolosamente alterato l’equilibrio, poi, uno dopo l’altro, gli stati dell’est, ancora e ancora e ancora, fino a quando non sono finalmente riusciti a far reagire l’Orso. E ora ascoltiamo qualcuno che conosce la guerra, e conosce i russi. E conosce la Storia.
Guerra in Ucraina, invio di armi e propaganda. L’intervista del Generale Fabio Mini a l’AntiDiplomatico
“Negoziare, finirla con il pensiero unico e la propaganda, aiutare l’Ucraina a ritrovare la ragione e la Russia ad uscire dal tunnel della sindrome da accerchiamento non con le chiacchiere ma con atti concreti.” E’ il pensiero di Fabio Mini, generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano, già Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. “E quando la crisi sarà superata, sperando di essere ancora vivi, Italia ed Europa dovranno impegnarsi seriamente a conquistare quella autonomia, dignità e indipendenza strategica che garantisca la sicurezza europea a prescindere dagli interessi altrui”, dichiara a l’AntiDiplomatico.
E’ stato scritto correttamente come le voci più sensate nel panorama della propaganda a senso unico siano quelle dei generali, di coloro che conoscono bene come pesare le parole in momenti come questi. Come l’AntiDiplomatico abbiamo avuto l’onore di poter intervistare uno dei più autorevoli.
L’INTERVISTA
Dal Golfo di Tonchino alle armi di distruzione di massa in Iraq- e tornando anche molto indietro nella storia – Generale nel suo libro “Perché siamo così ipocriti sulla guerra?” Lei riesce brillantemente a ricostruire i falsi che hanno determinato il pretesto per lo scoppio di diverse guerre. Qual è l’ipocrisia e il falso che si cela dietro il conflitto in corso in Ucraina? Il falso è che la guerra sia cominciata con l’invasione russa dell’Ucraina. Questo in realtà è un atto nemmeno finale di una guerra tra Russia e Ucraina cominciata nel 2014 con l’insurrezione delle provincie del Donbas poi dichiaratesi indipendenti. Da allora le forze ucraine hanno martoriato la popolazione russofona ai limiti del massacro e nessuno ha detto niente. Per quella popolazione in rivolta contro il regime ucraino non è stata neppure usata la parola guerra di liberazione o di autodeterminazione così care a certi osservatori internazionali. E’ bastato dire che la “Russia di Putin” voleva tornare all’impero zarista per liquidare la questione. L’ipocrisia è l’atteggiamento della propaganda occidentale pro-Ucraina che, prendendo atto che esiste una guerra, finge di non sapere chi e che cosa l’ha causata e si stupisce che qualcuno spari, qualcun altro muoia e molti siano costretti a fuggire. Ipocrisia ancor più grave della propaganda è il silenzio omertoso di coloro che tacciono sul fatto che dal 2014 Stati Uniti e Nato hanno riversato miliardi in aiuti quasi interamente destinati ad armare l’Ucraina e migliaia di professionisti della guerra per addestrare e arricchire i gruppi estremisti e neo- nazisti.
Nella stampa occidentale si tende a definire Putin come “un pazzo che ha scioccato il mondo con la sua iniziativa”. Eppure in un video del 1997 l’attuale presidente americano Biden dichiarava come l’allargamento ai paesi baltici (non all’Ucraina!) della Nato sarebbe stato in grado di generare una risposta militare della Russia. Non crede che dal 2014 l’Europa abbia sottovalutato la questione ucraina? Non credo sia stata sottovalutata, ma è stata volutamente indirizzata verso la trasformazione graduale del paese in un avamposto contro la Russia, a prescindere dalla sua ammissione alla Nato. Di qui la pseudo rivoluzione arancione “ (2004), il sabotaggio interno ed esterno di ogni tentativo di stabilizzazione, l’alternanza di governi corrotti, la pseudo rivolta di Euromaidan, il colpo di stato contro il presidente Yanukovich (2014) fino alla elezione di Zelensky. Quest’ultimo è passato da un programma elettorale contro gli oligarchi, contro la corruzione politica e la promessa di “servire il popolo” ad una politica dichiaratamente provocatoria nei confronti della Russia. E questo era esattamente ciò che volevano gli Stati Uniti e quindi la Nato dal 1997.
Il tema dell’espansione Nato però è sempre stato tabù da noi… L’espansione della Nato a est iniziata in quell’anno dopo una serie di prove di coinvolgere nella “cooperazione militare “i paesi dell’Europa orientale ( programma “Partnership for peace”) è stata una provocazione continua per 24 anni. Per oltre un decennio la Russia non ha potuto opporsi e la Nato, sollecitata in particolare da Gran Bretagna, Polonia e repubbliche baltiche ha pensato di poter chiudere il cerchio attorno ad essa “attivando” sia Georgia sia Ucraina. La Russia è intervenuta militarmente in Georgia e questo ha dato un segnale forte agli Usa e alla Nato, che non hanno voluto intervenire. Durante la crisi siriana del 2011 la Russia si è schierata con il governo di Bashar Assad e successivamente con la guerra all’Isis è intervenuta militarmente dando un contributo sostanziale alla sua neutralizzazione. Bashar Assad è ancora lì. Le operazioni russe in Siria ancorchè concordate e coordinate sul campo con la coalizione a guida americana, hanno disturbato i piani di chi voleva approfittare dell’Isis e delle bande collegate per destabilizzare l’intero medioriente. Un altro segnale del mutato umore russo è stata l’annessione della Crimea subito dopo il colpo di stato contro Yanukovic sostenuto dagli Stati Uniti e in particolare dall’inviata del Dipartimento di Stato Victoria Nuland e dall’allora vice presidente Biden. Dal 2014 in poi l’Ucraina con il sostegno degli Stati Uniti e della Nato ha assunto una linea ancora più ostile nei confronti della Russia e iniziato ad integrare nelle forze armate e nella polizia i gruppi neonazisti che si erano “distinti” negli scontri di Maidan. Gli stessi che ora organizzano la “resistenza ucraina” e coordinano i circa 16000 mercenari sparsi per il paese. Per tutto questo mi sento di dire che la Nato non ha trascurato l’Ucraina, anzi l’ha spinta con forza in un’avventura pericolosa per entrambi e soprattutto per noi europei.
In una recente apparizione in TV Lei ha detto di aver avuto modo di conoscere in prima persona i generali russi e ha definito quella russa “una guerra limitata per scopi limitati”. Quali sono gli obiettivi che i russi si sono posti sul territorio secondo lei? In Kosovo avevo alle dipendenze anche il contingente russo di cui una parte garantiva sicurezza dell’aeroporto militare/civile di Pristina e un’altra schierata nel settore montano al confine con la Serbia. I rapporti con i generali russi erano quasi giornalieri e sempre molto corretti soprattutto nei miei confronti (in quanto italiano). Parlavamo di sicurezza collettiva e di futuro del Kosovo, una cosa alla quale nessuno nella Nato aveva pensato prima di andare in guerra. Parlavamo anche di operazioni militari e di dottrina. Vent’anni fa. La guerra limitata è una categoria prevista anche da Clausewitz e i russi sono sempre stati clausewitziani. All’inizio dell’invasione ho cominciato a vedere i segni non di una operazione speciale come l’ha definita Putin, ma di una serie di operazioni ad obiettivi limitati, unite dallo scopo strategico di impedire all’Ucraina di diventare il fulcro della minaccia militare alla Russia , ma tatticamente indipendenti. Le operazioni riguardavano la messa in sicurezza di territori del Donbass, la fascia costiera del mare d’Azov e del Mar Nero fino a Odessa e, se necessario, fino al confine con la Moldavia neutrale. L’avanzata su Kiev doveva essere l’operazione principalmente politica di pressione per i negoziati e l’eventuale instaurazione di un governo favorevole alla linea russa. Questa operazione non vincolata né al tempo né agli obiettivi: dipende dagli eventi. Se quelli diplomatici, politici e operativi evolvono in maniera soddisfacente l’operazione può essere interrotta. In caso contrario, dalla marcia d’afflusso le forze possono passare allo schieramento attorno alla città, e se ancora gli eventi sono negativi possono passare alla “preparazione” di fuoco poi al fuoco aereo e poi se e quando la città è allo stremo potrà iniziare la presa vera e propria della città. Questo tipo di operazioni con la tecnica del carciofo ha spiazzato tutti gli analisti della domenica che si aspettavano e forse cinicamente si auguravano di vedere la tempesta di fuoco alla quale ci hanno abituato gli americani in tutte le loro guerre. Ovviamente questa incredulità ha alimentato le speculazioni sull’effettiva potenza dell’apparato russo e sulla eroica resistenza ucraina che avrebbe arrestato l’invasione. L’apparato che vediamo in televisione dice però una cosa diversa: l’operazione è ancora intenzionalmente alla prima fase, in attesa di eventi. In questa situazione i vantaggi vengono soltanto dall’efficacia e credibilità della pressione. Gli svantaggi riguardano sia le provocazioni esterne (da parte della Nato) sia il rafforzamento della resistenza interna che non muterebbe il risultato dell’operazione ma farebbe molti più danni.
Ritiene che le armi che l’Italia invierà e i mercenari che stanno influendo potranno incidere sulle sorti del conflitto? E se comunque possono essere causa di ulteriori rischi… Credo proprio di no. Lo renderanno più sanguinoso e anche di livello operativo più elevato. In caso di squilibrio di forze tattiche , si tende a passare a quello strategico e allora potranno essere impiegate armi di livello strategico come bombardieri, missili e perfino armi nucleari tattiche: tutte cose che porterebbero ad uno scontro diretto fra Nato e Russia.
Ritiene che il pericolo che i jihadisti-mercenari possano affluire dalla Siria in Ucraina in gran numero? E che complicanze si creerebbero nel conflitto? I Jihadisti mercenari saranno pochi e potranno influire sul livello di barbarie, alzandolo. Di mercenari ce ne sono tanti e sono anche ben pagati. Quelli per l’Ucraina con i soldi nostri e quelli per la Russia con i soldi russi. L’afflusso di mercenari ha però un lato interessante: smonta completamente la tesi dei volontari combattenti per la patria. Inoltre, le compagnie di mercenari o contractors non si accontentano mai della semplice paga per i soldati ma pretendono sempre grandi cose dagli stati che li assoldano. Vogliono anche potere, assetti nazionali importanti come miniere, industrie, infrastrutture sensibili. Non sono mai soddisfatti e sono caduti dei regni per mercenari insoddisfatti.
Sui negoziati in Bielorussia. La Francia e Germania sembrano orientate ad un approccio di maggior mediazione mentre il nostro paese, assente nel vertice franco-tedesco-cinese, sembra preferire una visione più oltranzista. Giudica le richieste della Russia una base di partenza valida per l’Europa e cosa si rischia prolungando l’attesa di un vero confronto? Le richieste russe, come in qualsiasi negoziato sono la base di una discussione. Se non è soddisfacente, ciascuna parte deve finirla di dire cosa vuole e cominciare a pensare cosa può cedere. In genere il più forte è quello più disponibile a cedere perché ritiene di “concedere” e quindi mantiene il prestigio intatto. La parte più debole deve solo ridimensionare il livello di ambizione. In questo caso ogni minima riduzione dell’ambizione ucraina porterebbe una grande concessione: la salvezza del paese. Il nostro paese ha decretato unilateralmente, come se parlasse per tutti, la fine dei negoziati, fra l’altro con un atteggiamento bullistico. L’atteggiamento degli altri è molto meno arrogante. E questo li rende in sintonia. Ma anche nel bullismo non siamo fra i migliori. La Gran Bretagna e la Polonia ci battono.
Il governo polacco ha dichiarato di voler fornire i propri Mig alle forze ucraine, ma facendoli partire dalle basi tedesche. Gli Stati Uniti hanno poi frenato l’iniziativa polacca. Quanto è reale l’opzione di una No fly zone in Ucraina e quanto è probabile un futuro coinvolgimento militare della NATO? La dichiarazione di No fly zone dei cieli dell’Ucraina sarebbe un modo per accelerare il disastro. Chi la sta chiedendo a gran voce vuole il disastro e dimostra la propria incapacità di controllare il proprio spazio aereo. Vuole un pretesto per trascinare in guerra tutta l’Europa. Non dobbiamo cedere a questa tentazione perversa, soprattutto nei momenti come questi quando un attacco aereo finisce per colpire un padiglione di ospedale e l’emozione soffoca la razionalità.
La narrativa occidentale cerca oggi di minimizzare (o censurare del tutto) la presenza di neo-nazisti nei battaglioni incorporati alle forze ucraine, nonostante decine di reportage (dalla Bbc al Time al Guardian) in passato avessero fatto luce sulla vicenda con toni giustamente inorriditi. Ritiene credibile Putin quando parla di denazificare l’Ucraina come uno degli obiettivi? La denazificazione a cui si riferisce Putin non riguarda l’Ucraina, ma il suo apparato governativo in cui tali elementi si trovano anche in posizione di vertice. I reportage hanno tutti ragione e comunque non rendono l’esatto conto della presenza e dell’influenza di questi gruppi. Sono state proprio le forze di polizia e dell’intelligence ucraina ad opporsi all’inserimento di tali elementi nei loro ranghi. Hanno dovuto subire ma oggi la caccia al russo (o filorusso) potrà mutare in caccia al nazi e visti i numeri e la frenesia degli interessati non mi stupirei se domani l’Ucraina cadesse dalla padella della guerra contro la Russia nella brace di una guerra civile .
Cosa dovrebbe fare il governo italiano in questo contesto e più in generale l’Europa? Negoziare, finirla con il pensiero unico e la propaganda, aiutare l’Ucraina a ritrovare la ragione e la Russia ad uscire dal tunnel della sindrome da accerchiamento non con le chiacchiere ma con atti concreti. E quando la crisi sarà superata, sperando di essere ancora vivi, Italia ed Europa dovranno impegnarsi seriamente a conquistare quella autonomia, dignità e indipendenza strategica che garantisca la sicurezza europea a prescindere dagli interessi altrui. La Redazione de l’AntiDiplomatico, qui.
Vorrei poi farvi sentire Nicolay Lilin, russo moldavo (per via delle deportazioni operate da Stalin, esattamente come i russi ucraini e tutti gli altri “sapientemente” mischiati da Stalin, per gli scopi che ricorda Lilin ma anche per impedire, mettendo insieme popolazioni estranee le une alle altre, quando non anche apertamente ostili, che si coalizzassero gruppi di protesta troppo forti) e cittadino italiano, che forse sa e capisce qualcosina di più dei nostri strateghi da salotto.
Poi ci sarebbe la signorina Timoshenko, ve la ricordate? Quella con la treccia probabilmente posticcia che le incorona la testa.
Timoshenko: “Lanciare l’atomica sugli 8 milioni di russi in Ucraina”
Sale la tensione in Ucraina. Pubblicata un’intercettazione dell’ex premier: “Pronta a sparare a Putin con un mitra”
Adesso Iulia Timoshenko vuole passare al nucleare. “Cosa fare con questi otto milioni di Russi che sono rimasti in territorio ucraino? Bisogna tirargli una bomba atomica”. La dichiarazione, violentissima, è solo uno dei passaggi più duri di una lunga chiacchierata con il deputato del partito delle Regioni Nestor Shufrich. Telefonata che, dopo essere stata intercettata, è stata pubblicata in rete sollevando non poche polemiche nei confronti dell’ex premier che, però, si è difesa accusando i servizi speciali russi, il Fsb, di “aver manipolato la conversazione”. Nell’intercettazione incriminata la Timoshenko, che con la caduta di Viktor Yanukovich è stata liberata dopo una lunga detenzione, si dice “pronta a prendere in mano un mitra e sparare in fronte a questo mascalzone”. Il “mascalzone” è il presidente russo Vladimir Putin. “La situazione sta andando oltre ogni limite – continua l’ex premier ucraina – bisogna prendere le armi in mano e andare a far fuori questi dannati kazap (vecchio termine ucraino molto spregiativo per definire i russi, ndr) insieme con il loro capo”. E ancora: “Userò tutte le mie relazioni, farò sollevare tutto il mondo perchè di questa Russia non resti neppure un campo bruciato”. Sul suo account Twitter, la Timoshenko ha confermato che “la conversazione ha avuto luogo”, ma ha precisato che il passaggio sugli 8 milioni di russi in Ucraina da bombardare con l’atomica è “un montaggio”.
Ecco la trascrizione del discorso tra Nestor Shufrich, segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell’ucraina, e l’ex primo ministro dell’Ucraina Iulia Timoshenko:
18 Marzo 2014 h 23.17 (ora ucraina)
Shufrich Sono scioccato. Non mi aspettavo che in Crimea succedesse questo. Ho parlato con gente di cui non faccio nome ma che conosciamo tutti e due… loro praticamente piangono… cosa fare? Timoshenko Anche io… prenderei io stessa l’Avtomat (un fucile d’assalto,ndr) e sparerei in fronte a questo stronzo… S. Io ieri ho detto che se scoppia la guerra sono ufficiale della riserva ed anche mio figlio. Prendiamo le armi e andiamo a difendere il Paese. T. Ascolta, hanno oltrepassato ogni limite…bisogna ammazzarli tutti, insieme alla loro guida. S. Te lo dico io… T. Mi dispiace che ora non posso esser lì e non posso fare niente, perchè se fossi stata lì la Crimea non gliel’avrei data. S. Anche io la penso così. Se fossi qua sarebbe tutto diverso. Non hanno avuto possibilità questa volta. T. Bisogna sparare! Chiamo tutte le conoscenze che ho nel mondo appena posso… così della Russia non resterà neanche un campo. S. Aspetta che ti dico io… stamattina parlavo con gli altri partiti e con Vìtia (diminutivo di Victor, ndr) e lui ha detto: “Cosa fare con questi otto milioni di Russi che sono rimasti in territorio ucraino?” T. Bisogna tirargli una bomba atomica. S. Si certo che io con te non posso discutere perché ci sono delle operazioni che la legge non permette. Sergio Rame, 25 marzo 2014, qui.
Con la NATO l’atomica con cui far fuori otto milioni di russi l’avrebbe avuta.
Ho poi letto che il comico ucraino ha detto di essere pronto a incontrare Putin, “ma nessun compromesso”: a quanto pare nessuno gli ha ancora spiegato che la vita non è un palcoscenico dove puoi anche cantare o suonare in playback, e che la guerra non è un videogioco. Nessuno, soprattutto, gli ha ancora spiegato che cosa significa, e che cosa implica, fare politica. In effetti, c’è comico e comico
PS: non è curioso che oggi qualunque critica ai giochi sporchi di NATO e CIA, compresi quelli da sempre universalmente riconosciuti come infami e criminali, sia additata dai menestrelli del pensiero unico come antioccidentalismo?
Ho trovato in giro diversi commenti che, senza nominarmi esplicitamente, parlano di me: con stupore, con delusione, con incredulità, incapaci di capire come una persona solitamente così lucida possa avere preso una simile deriva. Ebbene: la cosa è assolutamente reciproca. Anch’io non riesco a capacitarmi che persone fino a ieri così lucide si siano lasciate prendere dal pensiero unico del nemico comune, che abbiano sostituito gli orwelliani due minuti di odio con ventiquattr’ore di odio ininterrotto, pronti a bersi la più becera propaganda distribuita a piene mani, si siano accodati al terrorismo mediatico che imperversa ovunque e che ha affiancato quello sanitario (calano fortemente i ricoveri ordinari, calano fortemente le intensive, calano i morti MA i contagi sono aumentati dell’ 0,7%, guai abbassare la guardia!), e soprattutto stiano facendo di tutto per estendere il conflitto a livello globale, e pazienza se poi diventerà nucleare e farà qualche miliardo di morti e ridurrà il pianeta all’età della pietra. Non riesco a capacitarmene e sono sgomenta. Atterrita. Pietrificata.
Vogliamo parlare del terrorismo mediatico? Uno dei temi grossi del momento è Chernobyl: il bombardamento dei russi su Chernobyl, l’incendio della centrale nucleare di Chernobyl, il rischio di olocausto nucleare da Chernobyl: TUTTE le notizie in questione sono clamorosamente false, documentatamente false, e anche se fossero vere il rischio sarebbe comunque pari a zero (e magari se non avete fretta leggete anche questo). Ma voi continuate a diffondere terrorismo.
Quanto alla campagna di odio abbiamo la notizia che campeggia ovunque: BOMBE SUI BAMBINI! con tutto il corollario di indignazione, raccapriccio, odio, maledizioni, anatemi, grida di vendetta. Ma il fatto, puro e semplice, è che in quell’ospedale non c’erano né bambini né puerpere: c’erano i miliziani nazisti del battaglione Azov, che ne avevano cacciato dieci giorni prima i legittimi occupanti per installarvi il proprio covo (identici ancora una volta ai palestinesi), cosa che, in base alle Convenzioni di Ginevra e dell’Aja ha automaticamente reso l’edificio legittimo obiettivo militare, essendo stato trasformato in edificio militare (chi volesse saperne di più sul battaglione Azov può documentarsi qui). Dite che avete visto le immagini di quella povera donna incinta, col bellissimo viso ferito,
evacuata con mezzi di fortuna?
Sì, l’ho vista anch’io:
Tra l’altro, non è curioso che prima scende le scale e attraversa a piedi, da sola, lo spiazzo antistante l’ospedale, con tutte le sue cose tra le braccia, e poi (o era prima?) la devono trasportare con quella specie di barella improvvisata? E comunque già in precedenza la Russia aveva informato l’Onu che l’ospedale era stato trasformato in base militare
– non che alle menzogne e alle vigliacche partigianerie dell’Onu non siamo più che abituati.
Poi ci sarebbe quella bazzecolina dei laboratori di armi biologiche che l’America ha impiantato in Ucraina, che la Russia ha denunciato,
ma ci hanno assicurato che non era vero niente, era la solita disinformazione da parte della Russia E se lo ha detto la Russia è chiaro che deve per forza essere una menzogna, no?
E io vi chiedo, anime belle: chi ha portato la guerra a casa di chi?
Ho visto poi, su più profili FB, un video sull’Holodomor, lo sterminio perpetrato novant’anni fa da Stalin, per mezzo di una carestia fabbricata a tavolino, sul ceto contadino in generale e su quello dell’Ucraina in particolare (tema di cui questo blog si è più di una volta occupato), affinché non si dimentichi chi sono i russi, che cosa sono capaci di fare, e quali sono i loro sentimenti nei confronti degli ucraini. Quindi nessuno si stupirà se per spiegare che razza di feccia immonda sono gli italiani e di come dobbiamo guardarcene vi ricorderò di quando, ottant’anni fa, requisivano agli ebrei (notoriamente tutti ricchissimi) vecchi zoccoli di legno, stracci usati, uncinetti termometri schiaccianoci calze rammendate pettini bicchieri portasapone lampadine rotte mestoli scolapasta pantofole gomitoli di lana… Spero che a nessuno al mondo venga mai in mente di fidarsi di questa gentaglia e di credere a quello che dice. Adesso, per inciso, tramite l’invio di armi all’Ucraina abbiamo di fatto dichiarato guerra alla Russia, che non aveva portato la guerra a noi, ed è la seconda volta che lo facciamo. Spero che stavolta ci costi un po’ meno di 77.000 morti e dispersi (ma secondo altre fonti oltre 90.000 ) e 40.000 feriti e congelati, lo spero davvero, però ce lo meriteremmo – o almeno lo meriterebbe chi lo ha deciso, chi lo ha fatto e chi ha caldamente approvato. Il problema è che noi – non solo nel senso di noi italiani – non siamo molto bravi a vedere la realtà che ci sta davanti, e preferiamo crogiolarci in qualche sogno di pace universale, siamo tutti fratelli, il mondo non ha confini – tranne quando vengono violati dal nemico che ci è stato ordinato di odiare –, se qualcuno ti odia tu dagli amore e anche lui ti amerà.
“L’Occidente viveva in un paradiso. Non ha avuto realismo nei rapporti con la Russia”
Intervista-podcast per la newsletter con Efraim Inbar, uno dei maggiori strateghi in Israele. “Tutti sapevano che avvicinare l’Ucraina alla Nato avrebbe innescato una reazione dell’orso russo”
La terribile guerra in Ucraina ha due settimane. Ma in questo breve lasso di tempo lo spazio del dibattito si è già fortemente ristretto. Nessun punto di vista è stato stigmatizzato così rapidamente come la teoria secondo cui l’espansione sempre più a est della Nato ha svolto un ruolo significativo nell’infiammare le tensioni tra la Russia e le potenze occidentali e nel far precipitare la guerra. Chi lo dice è “pagato dal Cremlino” o è il “sicofante di Putin”. La Federazione Russa ha spiegato cosa vuole dall’Ucraina: no all’ingresso nella Nato, indipendenza del Donbass e riconoscimento della Crimea nella Russia (il presidente ucraino Zelensky ha aperto al compromesso). Donbass e Crimea erano da anni già di fatto indipendenti, il primo come repubbliche non riconosciute e la seconda come parte della Russia dopo un referendum. Perché Vladimir Putin insisteva tanto per tenere l’Ucraina fuori dalla Nato? “I tanti esperti russi nei ‘think tank’ pensavano davvero che Putin avrebbe piazzato un esercito al confine con l’Ucraina perché si stancava di rievocare la battaglia di Borodino con i soldatini di latta?”, si domanda Henryk Broder su Die Welt. Già nel 1997 Joe Biden, allora senatore del Delaware, diceva che “l’unica cosa che potrebbe provocare una risposta russa ‘vigorosa e ostile’ sarebbe se la Nato si espandesse oltre gli stati baltici”. Sempre nel 1997 Jack F. Matlock Jr., ambasciatore degli Stati Uniti in Unione Sovietica dal 1987 al 1991, avvertì che l’espansione della Nato “incoraggia una catena di eventi che potrebbe produrre la più grave minaccia alla sicurezza dal crollo dell’Unione Sovietica”. Anche nei giorni scorsi, Matlock è tornato a spiegare perché l’apertura della Nato all’Ucraina è stato un errore strategico. Il segretario alla Difesa di Bill Clinton, William Perry, nelle sue memorie scrive che per lui l’allargamento della Nato è la causa della “rottura dei rapporti con la Russia” e che era così contrario che “forte della mia convinzione, ho pensato di dimettermi”. Stephen Cohen, uno dei più famosi studiosi americani di Russia, avvertiva nel 2014 che “se spostiamo le forze della Nato verso i confini della Russia questo militarizzerà la situazione e la Russia non si tirerà indietro, è esistenziale per loro”. Il direttore della CIA di Biden, William J. Burns, ha messo in guardia sull’effetto provocatorio dell’espansione della NATO dal 1995. Fu allora che Burns, ufficiale dell’ambasciata americana a Mosca, riferì a Washington che “l’ostilità nei confronti dell’espansione della Nato è quasi universalmente avvertita in tutto lo spettro politico”. Nel 1997, 50 diplomatici americani scrissero una lettera in cui spiegavano che “l’espansione della Nato sarebbe un errore di proporzioni storiche”. Cosa sapevano tutti questi dirigenti americani? Che in gioco nella mentalità russa c’è il “divario di Volgograd”, la fascia di terra fra il Mar Caspio e il Mar Nero. Durante la Seconda guerra mondiale, i nazisti la conquistarono, arrivando al Caspio e fermati soltanto a Stalingrado (al costo di 1.1 milioni di vite russe). Un anno fa, nell’aprile 2021, Caspian Report ha pubblicato un dossier dal titolo “Russia e Ucraina preparano una nuova guerra”, in cui si spiegava l’importanza della regione per tutti. Ora si aprono due scenari. Se la Russia assumerà il controllo totale dell’Ucraina, creerà una nuova minaccia alla sicurezza dell’Occidente e assisteremo alla nascita di un nuovo ordine mondiale, con la creazione di una nuova cortina di ferro che andrà dai confini orientali della Finlandia ai confini sudorientali della Romania. Se l’Ucraina si unisse alla Nato, i Russi dovrebbero difendere 1.500 chilometri di pianura. In questo scenario, la Nato si troverebbe a 200 chilometri da Volgograd (ex Stalingrado). Questo è il motivo per cui, nella “logica” della Russia, Mosca deve assicurare la neutralità dell’Ucraina, anche a costo di questa guerra spaventosa. Anche il generale Marco Bertolini, ex comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, ha spiegato che l’Ucraina nella Nato avrebbe “privato la Russia dell’accesso al Mar Nero”. Chiunque, fino al 20 febbraio, credeva che non sarebbe successo niente facendo dell’Ucraina il grande terreno di scontro fra due super potenze atomiche e che ora pensa che tutto “tornerà alla normalità” vive in un pericoloso paradiso per stolti. C’è una parte del discorso di Putin che avrebbe dovuto allarmarci: “Non ho più spazio per arretrare”. E un impero, perché è così che si sente ancora la Russia, quando non arretra, attacca…
Ne parlo per la newsletter con Efraim Inbar, uno dei maggiori strateghi in Israele, presidente del Jerusalem Institute for Strategic Studies e prima del Begin-Sadat Center, consigliere dell’ex premier Benjamin Netanyahu.
Lei ha scritto un articolo a ottobre sul Jerusalem Post in cui invitava al realismo nei rapporti con la Russia… Ho proposto la realpolitik, sì. Nei media, che sono tutti di sinistra, dicono che dobbiamo essere più idealisti sull’Ucraina, ma questo non riflette la popolazione israeliana. Abbiamo un interesse diretto nel rapporto con l’orso russo. Gli ucraini non dovevano parlare di entrare nella Nato. Per i Russi sarebbe stato come per noi la Giordania che diventa un satellite dell’Iran.
Ok, ma le risponderebbero che la Nato non minaccia i propri vicini, a differenza della Russia… Non importa, i Russi hanno paura della Nato. ‘Non è razionale’, dice l’Occidente, ma i Russi non ragionano così. Il governo israeliano per questo ora cerca di navigare fra considerazioni morali e strategiche. L’Occidente ha una posizione non realistica.
Molti ufficiali americani in passato hanno detto che sarebbe stato un errore strategico espandersi sempre più a est… Sono d’accordo con loro. Ne ho scritto. Fu un errore strategico incorporare i paesi baltici. E ora abbiamo una crisi. E se l’Occidente non è disposto a combattere, perderà. Se uno viene con un fucile e l’altro con le parole, chi ha un fucile ha un vantaggio.
Lei sta dicendo, ‘se non sei disposto a vincere la guerra, devi fare un compromesso’… La finlandizzazione dell’Ucraina era il compromesso. Consentire che l’Ucraina fosse una democrazia, ma nell’orbita di sicurezza russa. Realismo.
Cosa pensa del fatto che si dice che Putin sia irrazionale, folle e senza sostegno popolare…. Nessuno sa quello cosa pensi l’opinione pubblica russa. C’è una opposizione, ma è in galera. Putin è stato molto popolare, la sua idea ‘Make Russia great again’ ha un appeal nella popolazione.
La debacle americana in Afghanistan ha giocato un ruolo nella percezione della debolezza e della naiveté? Certo. Ma da prima. Putin ha preso un pezzo di Georgia. E non è successo niente. Putin ha preso la Crimea. E non è successo niente. Putin ha stabilito due repubbliche in un pezzo di Ucraina. E non è successo niente. E ora l’Occidente si sveglia.
Cosa potrebbe succedere se ci fosse una disintegrazione russa? C’è un grande shock economico al momento… Le sanzioni non funzionano. Cuba è sotto sanzioni e non è successo niente. L’Iran è sotto sanzioni e non è successo niente. La Corea del Nord è sotto sanzioni e non è successo niente. Non sono sicuro che la pressione economica avrà risultati tangibili. L’Occidente dovrebbe togliere la Russia alla Cina, la loro alleanza è il vero pericolo. Avremmo dovuto fare un accordo come Kissinger negli anni ’70.
L’Occidente non prende sul serio la storia come fanno i Russi o Israele…Perché? L’Occidente è consumato dal presente. Vive bene. Non vuole sacrifici. E questo ha portato a una amnesia. E ora paga. Forse ci sarà un risveglio da quello che pensavate fosse il paradiso. Giulio Meotti
Ciò che il Generale Marco Bertolini, già capo del Comando Cperativo interforze (COI) e presidente dell’Anpdi, che alla Verità e al Messaggero dice: 1. Le armi all’Ucraina sono “un atto di ostilità che rischia di coinvolgerci” nella guerra, mai visto prima: “Bastavano le sanzioni, anche inasprite”. 2. Putin non è un pazzo né il nuovo Hitler: “Voleva interrompere il percorso che avrebbe dovuto portare l’Ucraina nella Nato” per non perdere “l’agibilità nel Mar Nero”. 3. Il governo italiano non conta nulla e Di Maio che dà dell’ “animale” a Putin “ci taglia fuori da ogni trattativa”, diversamente dalla Francia di Macron. 4. Guai a seguire Zelensky sulla no fly zone, che “significherebbe avere aerei Nato sull’Ucraina e l’incidente inevitabile”. 5. I negoziati non sono un bluff, ma una “dimostrazione di buona volontà delle due parti”. 6. La sconfitta di Putin esiste solo nei nostri sogni e nella propaganda occidentale: la Russia s’è già presa l’Est, collegando Crimea e Donbass; “le grandi città al momento sono state risparmiate e non è partita la caccia a Zelensky” per “precisa volontà” di Mosca, che finora ha limitato al minimo “i bombardamenti dall’alto” per non moltiplicare le stragi e non provocare un “intervento della Nato”. 7. Putin non ha bombardato la centrale di Zaporizhzhia: “Non ho visto missili, ma bengala per illuminare gli obiettivi” degli scontri con gli ucraini lì vicino: le radiazioni avrebbero colpito pure il Donbass e la Russia, che le centrali vuole controllarle, non farle esplodere. 8. Putin non vuole conquistare l’Europa, né rifare l’Urss né “governare l’intera Ucraina”, ma “trattare una ricomposizione”: un regime fantoccio sull’intero Paese scatenerebbe anni di guerriglia antirussa. 9. “La Russia vuol essere europea e noi non facciamo che schiacciarla verso Asia e Cina”. 10. Un successo ucraino è, purtroppo, fuori discussione. I possibili esiti sono due: una vittoria russa dopo “una lunga guerra”; o un negoziato che i soli mediatori credibili – Israele, Francia, Cina e Turchia – possono favorire se aiutano le due parti a trattare con reciproche concessioni anziché “istigarle a proseguire” nella guerra. Molti di noi avevano sollevato le stesse osservazioni giungendo alle medesime conclusioni. Dire queste cose con pacatezza e realismo non significa prendere le parti di nessuno ma capire il perché del precipitare degli eventi. Significa conoscere per deliberare e scongiurare altre inutili vittime.
POST SCRIPTUM, che ieri mi sono dimenticata di aggiungerlo: Hava Nagila suonata col cazzo – in realtà col playback, ma ai fini del discorso la cosa non cambia – è la dimostrazione di quanto questo pseudo ebreo sia disposto a prostituire il proprio ebraismo, esattamente come il nostro saltimbanco buffone ebreo di casa nostra, che mi rifiuto di nominare. Dedicato a chi si fida di lui “perché è ebreo”. E per concludere, al posto dei soliti pattinatori russi, oggi vi regalo questa spettacolare intervista di una giornalista americana mandata, un anno e mezzo fa, a “demolire” Putin.
Perché gli Stati Uniti dovevano per forza diventare una superpotenza mondiale? Perché la Cina occupa il Tibet e niente al mondo può indurla a lasciarlo andare? E perché sta invadendo i mercati dell’intero pianeta? Perché Putin è ossessionato dalla Crimea almeno quanto la Cina dal Tibet? Perché la Germania ha una “vocazione” guerrafondaia? Perché l’Europa non potrà mai essere veramente unita? Perché il Medio Oriente è una polveriera? Perché l’Europa del nord (vale anche per l’America) è decisamente più ricca di quella del sud? Forse perché i nordici sono laboriosi e i terroni fannulloni? O non ci sarà qualche altro motivo? Il motivo naturalmente c’è, e risiede nella geografia – come spiega, molto meglio di quello italiano, il titolo originale: Prisoners of Geography. Fiumi navigabili – ossia vie aperte al commercio – pianure, montagne, deserti, accesso al mare, confini naturali o artificiali, presenza o assenza di ricchezze nel sottosuolo… Sono tutti fattori che condizionano le scelte delle popolazioni, e l’economia, e la politica, e i comportamenti, e la mentalità che su tutto questo si sviluppa.
Senza la pretesa di proporre verità assolute, il libro aiuta però a capire le cause profonde alla base di molte scelte politiche e sociali. Senza voler giustificare i crimini, beninteso, ma comprendendo le ragioni che inducono uno stato a compierli e un altro no. E voglio proporre una breve citazione, che espone una verità che molti si rifiutano di vedere:
Un giorno ho portato un ambasciatore cinese a Londra a pranzo in un lussuoso ristorante francese nella speranza che mi ripetesse la citatissima risposta del primo ministro Chou En-lai alla domanda di Richard Nixon: «Qual è l’impatto della rivoluzione francese?» «È troppo presto per dirlo.» Purtroppo non sono stato accontentato, ma mi sono sorbito una lezioncina su come la piena imposizione di «quelli che voi chiamate diritti umani» porterebbe alla violenza di massa; e poi mi sono sentito domandare: «Perché pensate che i vostri valori funzionerebbero in una cultura che non conoscete?».
Ecco, questo è l’errore che si continua a commettere: valutare culture che non si conoscono con i criteri della propria. Immaginare che se gli regaliamo libertà e democrazia ci saranno infinitamente riconoscenti, ci adoreranno e diventeranno come noi. Sulle conseguenze di questo tragico errore continuiamo a battere il naso, e ancora non si riesce a mettere in testa a chi di dovere che il problema non è che non offriamo abbastanza: il problema è che continuiamo a offrire cose che al destinatario non interessano perché ad esse non attribuisce alcun valore. E quando si è nati sotto geografie diverse, è inevitabile che sia così. Prima si arriverà a capirlo, e meglio sarà per tutti.
Tim Marshall, Le 10 mappe che spiegano il mondo, Garzanti
barbara
Dopo un lungo silenzio ricompaiono i pacifisti, stavolta sotto forma di marciatori della pace. L’improvviso attivarsi di tante associazioni sul tema della pace, dopo un lungo silenzio, indicherebbe uno stato di pace generale, solo interrotto negli ultimi giorni. Vediamo.
Da molti mesi, in Siria si combatte una sanguinosa guerra civile, ove non si distingue fra donne, uomini, bambini, giovani, vecchi, civili e militari: una macelleria da quasi duecentomila morti e milioni di profughi. Ostinazione di una potenza protettrice di un regime molto discutibile, ignavia di altri, incapacità dell’Europa a svolgere un’unitaria politica estera, ogni nazione europea fa i conti in casa propria, non comprendendo che in tal modo mina il proprio futuro. A fronte di tanto disastro non ricordo, sarà un limite informativo personale e chiedo venia, attivazioni particolari dei pacifisti nostrani.
Da alcuni mesi, nella stessa area siriana ed irachena, milizie sunnite hanno dato vita ad un “califfato”, con conseguente persecuzione di cristiani, dei vari riti, e mussulmani sciiti. Dai racconti dei profughi la vita dei non sunniti non sarebbe particolarmente tutelata: processi ed esecuzioni sommarie non occasionali. Anche in questo frangente l’azione dei pacifisti locali non avrebbe manifestato particolare rilevanza, sempre sulla base dei personali limiti informativi. Il fatto ha spiazzato le diplomazie, tanto che due nemici giurati si son trovati sullo stesso versante della barricata, assolutamente carente l’iniziativa europea, causata dal particolarismo nazionale.
Fallite le primavere arabe, l’islamismo massimalista ha, letteralmente, sconvolto l’area centro africana, dal Sudan alla Nigeria. Morti, stupri, rapimenti di ragazze, violenze d’ogni genere si verificano continuamente: le grandi potenze stentano, riluttanti, ad impegnarsi, Europa compresa, per le solite ragioni. Sebbene tali fatti fossero riportati dai quotidiani, l’universo pacifista, ancora col limite informativo di cui sopra, non si sarebbe distinto.
L’insieme dei pacifisti e dei marciatori della pace si è improvvisamente destato allorché Israele ha deciso di porre fine al bombardamento di missili e mortai provenienti dalla striscia di Gaza, stato a tutti gli effetti, avendo un territorio ed un potere originario, governato da Hamas e nel cui statuto si prevede la fine della presenza dell’entità sionista, con ciò non riconoscendo l’esistenza in diritto dello stato israeliano.
Singolare l’affermazione dei comunicati pacifisti, rivolta allo stato israeliano, circa il sostegno alla prospettiva dei due stati, israeliano e palestinese, allorché Israele riconosce lo stato palestinese ed invece, i palestinesi non riconoscono il diritto d’Israele ad esistere. Giova ricordare che la striscia di Gaza esiste come stato per iniziativa, senza contropartita, d’Israele.
I comunicati pacifisti sottolineano i prezzi e le sofferenze dei cittadini di Gaza, sofferenze e morti causate, gli inviati ONU hanno testimoniato, dalla strategia di Hamas di nascondere armi nei luoghi sensibili, case private, ospedali e scuole, trasformando i palestinesi in scudi umani. Di questo e delle sofferenze patite da bambini e donne israeliane, costretti, da anni, a correre spesso nei rifugi per evitare le bombe di Hamas, non troviamo traccia nei documenti dei pacifisti, tenuta presente la limitatezza informativa personale.
Non possiamo tacere il silenzio di certi ambienti sull’annessione della Crimea e connessa guerra civile in Ucraina, siamo al centro dell’Europa a due passi da noi; non pensiamo ad un filosovietismo di ritorno, ma, se ricordiamo la collaborazione combattente di molti ucraini a fianco dei nazifascisti, per onestà intellettuale, del pari si comportarono i palestinesi.
Per quanto sopra e salva prova contraria, ma il caso della flotilla la dice lunga, considerato lo stato di guerra dell’area da oltre sessant’anni, solo Egitto e Giordania hanno riconosciuto Israele firmando la pace, i comunicati dei pacifisti e dei marciatori della pace evidenzierebbero un profilo di parzialità difficilmente superabile. L’antisionismo è un ottimo veicolo per l’antisemitismo, su questo, storicamente, l’Italia non avrebbe tutte le carte in regola: ricordiamo, esempio minimo, come un anno addietro, il 25 Aprile, l’ANPI non ha voluto la bandiera della Brigata Ebraica, cinquemila giovani ebrei volontari che, nel ’44/’45, combatterono, molti morirono, in Italia per liberarci dai nazifascisti.
p. s. Avrei letto circa l’adesione di scuole alle marce della pace: la scuola ha il dovere di rispettare la coscienza morale e civile dell’utenza, trattandosi prevalentemente di minori, delle famiglie.
Grazie per l’attenzione,
il già Dirigente Scolastico in Cesena luigi migliori
Certo che è dura la vita del pacifista di professione: