MANDARE UN BIMBO A UCCIDERE. LA NUOVA STRATEGIA DELL’ORRORE

GIUSEPPE-LA-ROSA1
Il Giornale
, 09 giugno 2013

I talebani si vantano pubblicamente che a scagliare l’ordigno sia stato un ragazzino. Ma non è vero che non amino i loro fogli: pensano che sia giusto farne degli assassini

Ci tocca anche di venire a sapere dai comunicati, nel dolore, che i talebani sono molto fieri che sia stato un bambino di undici anni a scagliare l’ordigno che ha ucciso il nostro Giuseppe La Rosa. L’orrore per l’uso dei bambini si unisce alla consapevolezza che La Rosa era là proprio per aiutare quel ragazzino. E noi che facciamo dei bambini una religione rabbrividiamo di fronte a tanto orrore. E’ una degna aspirazione, per gli islamisti estremi, siano sunniti o sciiti, spingere un bambino a uccidere e a morire in nome di Allah. Attenzione: non c’è solo crudeltà qui: c’è del metodo, e quanto. Il bambino, cioè, è amato, e veramente, dalla mamma e dalla società (generalizzo, si capisce) anche (non diciamo soltanto) nella misura in cui infligge danno all’avversario, perché l’avversario è il male stesso. No, il bambino che va a sparare o salta per aria con una cintura esplosiva non è disarmato, o negletto. L’amore che gli dedica la società islamista estrema ci deve insegnare quanto può essere profondo il pericolo, e la diversità. E ha anche un doppio uso.
Domani si dirà anche, infatti, come si è detto, che l’invasione occidentale è causa della morte dei bambini afghani, o palestinesi, e anche la morte dei 1500 bambini siriani uccisi nella guerra sarà attribuita da chi li ha mandati a farsi fare a pezzi o li ha fatti a pezzi, a qualche complotto del nemico, sionista, americano, quel che sia. Giuseppe La Rosa era un amico dei bambini afghani, chiunque non sia un idiota lo capirebbe, ma non vogliamo spingerci a spiegare ai talebani, per carità, la differenza fra un oppressore e una mano tesa per un futuro migliore, lontano dall’idea di impossessarsi delle cose loro. Ma abbandoniamo la razionalità talebana. I bambini usati in guerra oggi sono circa 300mila, molti in zone islamiche, ma certo non solo. Abbiamo negli occhi un madornale precedente: durante la guerra fra l’Iran e l’Iraq,dal 1980 all’88, ai bambini iraniani veniva consegnata una chiave di plastica che, gli si spiegava, avrebbe aperto loro le porte del paradiso, e così muniti venivano spediti a marciare sui campi minati per ripulire la strada ai militari. Che seguivano, pestando le loro spoglie. I bambini iraniani durante la guerra morirono in 90mila, e prima si assiepavano a mucchi per ottenere l’onore di far parte della schiera dei martiri di Allah.
I talebani, nonostante le promesse del Mullah Omar di non toccare i piccoli, hanno campi di addestramento per ragazzini sul confine pakistano afghano. Si ricorda un’epidemia di attacchi di bambini suicidi nel 2011, nel maggio un bambino ha ucciso  4 persone, due nello stesso periodo hanno fatto fuori 15 poveretti. Naturalmente i piccoli assassini muoiono quasi sempre. Lo stesso è accaduto durante l’Intifada, 29 attacchi suicidi sono stati compiuti da ragazzini sotto i 18 anni fra il 2001 e il 2003, oltre a 22 attacchi armati e con ordigni esplosivi. In Iraq nel 2009 furono distrutte autentiche cellule di bambini reclutati e istruiti da Al Qaeda. La storia continua. A mettere le bombe, a imparare a far fuoco contro il nemico si impara prestissimo: il training è multiplo, religioso, politico, familiare, ha l’appoggio delle autorità, della tv, delle moschee (naturalmente non di tutti).
Una madre palestinese di “shahid” saltati per aria ha detto in modo alquanto tipico: “Il mi o messaggio a tutte le mamme è di sacrificare la propria creatura per la Palestina. Se fossi giovane e potessi partorire di nuovo, rifarei gli stessi figli (martiri)”. Un bambino è un bambino: quelli che non vogliono combattere e morire, vengono obbligati con la paura e con la forza a seguire gli ordini, o prendono pochi soldi, si fanno fotografare in pose eroiche e come i grandi, si fanno promettere un paio di vergini in paradiso. Poi vanno a ucciderci e a morire. Ho visto frugare a un checkpoint un bambino imbottito di esplosivo, ho visto una bambina di cinque anni con una borsa piena di TNT.
Mi hanno fatto tenerezza, ero contenta che fossero salvi. La nostra aspirazione alla ragione al bene, sono lontanissimi dall’essere condivisi.
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Propongo integralmente questo commento di Fiamma Nirenstein, che condivido in toto, tranne che per la seconda parte del titolo: no, questa strategia, purtroppo, questo mostruoso uso dei bambini, questo criminale indottrinamento fin dalla primissima infanzia per far loro amare la morte più della vita, sono ben lontani dall’essere nuovi. Per fare solo qualche esempio, ho ripescato nei miei archivi questo pezzo di 11 anni fa:

Pagati  5 Shekel  (1.24 euro=2400 lire ) dalla banda criminale di Arafat, per ogni bomba  da lanciare sugli israeliani, oltre  40 bambini palestinesi sono rimasti mutilati, con arti amputati, invalidi per tutta la vita per l’esplosione “intempestiva” delle bombe.
La denuncia è del giornale  giordano Arai del 20/06/2002.

Va poi ricordato il fondamentale saggio I piccoli martiri assassini di Allah, di Carlo Panella (qui la mia intervista), di ineccepibile documentazione. E concludo con due video, che meglio di ogni altra cosa aiutano a comprendere il clima che gira da quelle parti: due ragazzine il cui più grande desiderio è di porre fine alla propria vita con il “martirio”

e due bambini dell’asilo, orfani di una terrorista, oscenamente sfruttati da un essere che se non è il male assoluto, sicuramente ci va molto ma molto vicino.

barbara

IL DRAGO COME REALTÀ

Ossia che cosa rappresenta il drago, quale realtà, quale vissuto è stato trasfuso in questa immagine fiabesca. E nella strega, nella fata, nell’orco, nell’eroe… E quali reazioni biochimiche vengono innescate dai racconti che contengono tali figure. (E, a proposito, ci siamo mai chiesti come mai Cenerentola possa essere riconosciuta unicamente dalle dimensioni del piede?) Con qualche incursione nella storia, nella psicologia, nella medicina. E con un accenno, che non fa mai male, al cosiddetto complesso di Edipo, delirante invenzione di un medico psicopatico col cervello spappolato dalla cocaina, cui le pazienti tentavano di raccontare gli atroci abusi sessuali subiti in famiglia e lui si immaginava che tali racconti nascondessero il desiderio inconscio di farsi scopare dal paparino.
E con un messaggio personale di Silvana De Mari agli Orchi.

Ho un messaggio personale per gli Orchi.
Ho un messaggio personale per gli Orchi e per tutte le nutrite cerchie che sempre li circondano e li sostengono.
Ho un messaggio personale per tutti quei feroci individui che osano minacciare la nostra libertà di pensiero.
Non vi illudete.
Noi siamo gli Uomini Liberi.
Quando il buio ci circonderà noi avremo con noi i nostri eroi. Noi ci racconteremo le storie di Ulisse, Re Artù, Orlando, le storie di Gandalf, Aragorn, e non avremo paura.
O forse ne avremo, perché noi non siamo grandi eroi, siamo tizi qualsiasi come Frodo e Sam, ma andremo avanti lo stesso.
Come loro pieni di paura metteremo un passo dopo l’altro o non ci fermeremo.
Noi amiamo la vita.
«Viva la muerte!» urlavano i falangisti.
«Noi amiamo la morte » hanno scritto gli attentatori di Madrid, e hanno avuto ragione: la vita di coloro che vivono senza libertà è talmente ignobile e miserabile, che è per loro inevitabile amare la morte.
Noi che amiamo la vita abbiamo paura, e proprio perché abbiamo paura, perché amiamo la vita combatteremo quelli che non hanno paura perché amano la morte.
Non vi illudete. Noi siamo il Popolo degli Uomini Liberi.
Anche se ha tremato di paura, il Cavaliere Solitario non si arrende mai.
Orchi, avete perso.

E speriamo che abbia ragione.

Silvana De Mari, Il drago come realtà, Salani

barbara