POI TI VENGONO A DIRE CHE NON È VERO CHE SIAMO IN UNO STATO DI POLIZIA

Innanzitutto un articolo che esamina la drammatica situazione in cui, con il pretesto dell’emergenza sanitaria, siamo stati infilati.

Dalla pandemia allo Stato di Polizia

di Vitalba Azzollini

C’è sempre un momento in cui ci si chiede: come si è arrivati a questo punto? Il momento per molti è stato quando, durante un programma su una tv Mediaset, sono andate in onda le immagini di un elicottero della Guardia di Finanza, con un’inviata a bordo, all’inseguimento di un runner solitario su una spiaggia deserta. Ma anche la Tv di Stato, cosiddetto servizio pubblico, non è stata da meno, mostrando un drone che braccava un runner, anch’egli in solitudine totale, con un tutore delle forze dell’ordine alle calcagna e la Cavalcata delle valkirie in sottofondo. Ci si era lamentati del sistema di delazione implementato sul portale di Roma Capitale per eventuali violazioni delle regole in tema di Covid-19, ma evidentemente non c’è limite al peggio.
Qual è il punto cui si è arrivati? Uno Stato di polizia a ogni effetto. Come ci si è arrivati? I fattori sono diversi. Innanzitutto, si è arrivati facendo sì che la gente restasse nell’ignoranza. Il metodo è, per dirlo in modo forbito: «Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare». Tacere e adeguarsi, da sudditi. Tale metodo è stato realizzato, innanzitutto, inculcando nelle persone l’idea che, in nome della tutela della salute, tutto fosse possibile e lecito.
Pertanto, come più volte detto, in nome della salute sono stati conferiti poteri molto ampi – “pieni poteri”, almeno fino al d.l. 19/2020 – al presidente del Consiglio, che li ha esercitati con forti restrizioni a diritti e libertà, non sempre mostrando di rispettare principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione europea o di valutare costi e benefici di opzioni alternative al lockdown del Paese. Tutto ciò mentre il Parlamento – che (dovrebbe) rappresenta(re) i cittadini – si è come dissolto.
L’altra idea, conseguenza della prima, inculcata nella gente è che ogni scelta spettasse agli scienziati, in particolare a quelli del Comitato tecnico scientifico, e che la politica – in primis il presidente del Consiglio – dovesse fideisticamente adeguarsi, anziché assumersi la responsabilità di decidere contemperando tutti gli interessi coinvolti, oltre alla salute. Questo “fideismo”, da un lato, ha rafforzato l’ignoranza di cui si è detto, rappresentando la rinuncia a far capire alla gente le motivazioni di certe scelte, con l’alibi che la scienza non è da tutti e che la politica vi si deve solo conformare.
E l’ignoranza è amplificata dall’opacità dei pareri del Comitato, non pubblicati nella sezione Amministrazione Trasparente di siti istituzionali né resi accessibili per la sospensione del diritto alla trasparenza ex Foia.
Dall’altro lato, lo scudo del fideistico affidamento alla scienza ha comportato la deresponsabilizzazione politica più completa: se è la scienza che decide, comunque vada la politica può dire “non abbiamo assolutamente sbagliato niente“. Chissà se questo è lo scopo per cui i decisori governativi hanno istituito, oltre a quel Comitato, molti gruppi di esperti (15 a livello nazionale e 30 locale, circa 450 persone in tutto), ai quali hanno delegato valutazioni rilevanti, senza rendere trasparentemente noti criteri di scelta dei componenti, obiettivi prefissati e misurabili, disponibilità di mezzi e risorse e molto altro.
Ma lo Stato di polizia è anche il risultato del protagonismo di amministratori locali i quali, non osservando i limiti di legge ai loro poteri – in particolare, di sancire misure più restrittive di quelle nazionali solo per «specifiche  situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» – hanno continuato ad alzare l’asticella delle restrizioni a libertà e diritti: dal “tassametro sul carrello” del supermarket, alla puntuale fissazione degli importi della spesa, alla sanzione della “quarantena” anche a non infetti, al divieto consegne a domicilio ecc., fino ad arrivare alla ipotesi di chiusura dei confini regionali, in spregio alla norma costituzionale (art. 120, c. 1) in base a cui la regione non può ostacolare «la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni».
E le forze dell’ordine si sono adeguate allo stile da “sceriffo” degli amministratori locali, facendo perquisizioni nelle buste della spesa per verificare la necessità degli acquisti o, al contrario, irrogando multe senza nemmeno considerare la necessità dello spostamento. Allo Stato di polizia hanno pure contribuito quei Tar che, anziché stroncare iniziative “sceriffesche”, frutto di incursioni di presidenti di regione e sindaci in ambiti non di loro pertinenza, ne hanno spesso confermato le ordinanze in sede di azione giurisdizionale da parte di cittadini (talora con una sorta di copia-incolla di decisioni precedenti, anche a fronte di un quadro normativo mutato dopo il d.l. n. 19/2020).
Lo Stato di polizia è pure l’effetto di un Governo che ha drammaticamente abdicato non solo al ruolo di cui è investito per la gestione dell’emergenza sanitaria ma anche alla tutela dello Stato di diritto, rinunciando a impugnare ordinanze regionali (o ad annullare ordinanze sindacali) emesse – come detto – in violazione della legge. Eppure, il Governo era partito lancia in resta con l’impugnativa al TAR dell’ordinanza delle Marche che a fine febbraio aveva chiuso le scuole della regione. Parimenti apprezzabile era stato l’annullamento dell’ordinanza del sindaco di Messina, che prevedeva apposite autorizzazioni e altro per poter attraversare lo Stretto.
Lo Stato ha abdicato anche ai poteri di cui dispone per espressa previsione costituzionale. A questo riguardo, è utile un inciso, dedicato a chi dice che sarebbe servita la “clausola di supremazia” prevista dalla riforma costituzionale del 2016, bocciata con referendum, poiché tramite essa lo Stato sarebbe potuto «intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva», a «tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero …dell’interesse nazionale».
Ebbene, a fronte dell’emergenza sanitaria, lo Stato “comanda” anche a Costituzione vigente: ha legislazione esclusiva in tema di «profilassi internazionale» (art. 117, lett. q, Cost.), nonché di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni … su tutto il territorio nazionale», tra cui rientra la «predisposizione di sistemi di risposta a emergenze di origine infettiva» (art. 117, lett. m, Cost.), per non dire delle materie inerenti a «ordine pubblico e sicurezza» (art. 117, lett. h, Cost.).
Inoltre, il Governo (art. 120, c. 2, Cost.) potrebbe sostituirsi a Regioni e Comuni «nel caso di mancato rispetto di norme (…) oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali». Il Governo finora ha rinunciato anche a questo potere sostitutivo, nonostante ne ricorressero gli estremi.
Infine, lo Stato di polizia si è radicato pure mediante il terrorismo psicologico fatto sulla gente, come dimostrano le immagini televisive degli inseguimenti “polizieschi” da cui si sono prese le mosse: a volte è sembrato che tale terrorismo fosse anche volto a sviare l’attenzione della gente stessa dall’assenza di una strategia per affrontare la fase 1, prima, la fase 2, adesso. Se, anziché spiegare i motivi per cui le regole (distanziamento, dispositivi di protezione e altro) vanno rispettate, si ricorre a certi metodi che trattano i cittadini come sudditi o minus habens, allora lo stato di emergenza diventa stato di Polizia e travolge lo Stato di diritto. Una foto rende più chiaro il concetto:
lockdown I-D (qui)
E rendono più chiaro il concetto un paio di fatti di cronaca, in aggiunta a quelli già precedentemente denunciati.

Anziano multato per avere comprato un barattolo di vernice.

Va a fare la spesa con la moglie disabile: multa da 900 euro.

Fino a questo incredibile commento che ho trovato, a proposito dei deliranti controlli polizieschi ingiustificatamente perpetrati ai nostri danni

Michela Rocco

Ho sentito da persone amiche che sono state fermate dalle forze dell”ordine e benché non avessero motivi validi per spostarsi non sono stati multati ma lasciati andare tranquillamente. Francamente la cosa mi ha lasciata molto delusa. Prima per la leggerezza di questi amici, poi per queste forze dell’ordine che vengono definiti eroi e che poi svolgono così il loro compito. Spero che si tratti di fatti isolati e sporadici

E non ho avuto l’impressione che si trattasse di un commento ironico.

Proseguo con questa dettagliata cronaca di Dagospia.

CRONACA DI UNA PANDEMIA ANNUNCIATA – GLI ALLARMI INASCOLTATI DEI MEDICI CHE SEGNALAVANO STRANE POLMONITI DA INIZIO GENNAIO, LE CIRCOLARI DEL MINISTERO CHE SI CONTRADDICONO, LE DIVISIONI POLITICHE E #MILANONONSIFERMA: TUTTI GLI ERRORI CHE HANNO FATTO DELL’ITALIA IL FOCOLAIO D’EUROPA – IL 15 FEBBRAIO IL MINISTERO DEGLI ESTERI MANDA DUE TONNELLATE DI MATERIALE SANITARIO IN CINA COME REGALO. POCHI GIORNI DOPO, IN LOMBARDIA ERANO INTROVABILI…

Monica Guerzoni, Marco Imarisio, Simona Ravizza e Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”

Alle dieci del mattino di martedì 7 gennaio, Pietro Poidomani riapre il suo ambulatorio in via Trieste. Le vacanze di Natale sono appena finite, ma il numero di persone in fila è inusuale. Lui le conosce tutte. È l’unico medico di base a Cividate al Piano, cinquemila abitanti sulla riva destra del fiume Oglio, 25 chilometri da Bergamo. I primi 5 pazienti hanno lo stesso problema. Sono anziani che lui ha già vaccinato per l’influenza di stagione, però hanno ancora febbre e una strana tosse. Faticano a respirare. A ognuno prescrive una radiografia al torace e il responso è sempre uguale.
Complicazione da polmonite, con marcati addensamenti interstiziali. Quel giorno, su 50 visite, dodici sono per gli stessi sintomi. Il giorno dopo, ancora. E poi ancora.
Nelle settimane seguenti, il dottor Poidomani chiama alcuni suoi colleghi dei paesi vicini. «Anche voi…». Anche loro. A metà febbraio decidono di scrivere all’Azienda di tutela della salute della provincia di Bergamo. Non sarebbe il caso di dare un’occhiata a tutte le radiografie toraciche fatte dal 25 dicembre in poi?
Non otterranno mai risposta.«Già verificando i dati, avremmo potuto salvare qualche vita», racconta Poidomani. «Ma nessuno si è posto la domanda giusta. E così siamo arrivati al momento cruciale a mani nude, senza attrezzature, senza bombole ad ossigeno».
La grande paura era cominciata in ritardo. La prima convocazione della task force creata al ministero della Salute risale al 22 gennaio 2020, quando viene promulgata una circolare che prescrive il tampone in caso di polmoniti insolite. «Senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica». Cinque giorni dopo, nuova circolare, dalla quale questa frase sparisce. Controlli solo su chi arriva da Wuhan o ha avuto contatti recenti con la Cina. Ma la sera del 30 gennaio i tg aprono tutti con la stessa notizia.
«Virus, colpita l’Italia». «L’allarme dell’Oms». Sui quotidiani vengono anticipati i provvedimenti che il governo si appresta a prendere: dichiarazione dello stato d’emergenza e blocco dei voli con la Cina. Il decreto che cambia tutto arriva il giorno seguente, 31 gennaio. «Si ritiene necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario…». Mancano però le istruzioni per l’uso. C’è uno stato d’emergenza, ma non un piano d’emergenza. Come si devono comportare gli ospedali, le regioni? Il primo febbraio, un noto primario milanese scrive nella chat dei suoi medici. «Con quel provvedimento hanno costruito una bella casa. Peccato che si siano dimenticati di farci il tetto». Si rivelerà una profezia.
A due mesi dall’inizio di questa tragedia, che per noi è cominciata alle 00.45 del 21 febbraio, quando l’Ansa ha battuto la notizia del primo paziente positivo al coronavirus dopo il ricovero all’ospedale di Codogno, il famoso Mattia, che non veniva dalla Cina e quindi per giorni non fu sottoposto a tampone, è il caso di riavvolgere il nastro.
Per raccontare quella che, al netto di colpe e responsabilità individuali, è la storia di una sottovalutazione collettiva, istituzionale e anche mediatica. Il decreto del 31 gennaio contiene una falla logica. La scelta di bloccare i voli da e per la Cina non produce alcun risultato sulla tracciabilità del virus, perché chi doveva tornare dalle zone contagiate lo farà comunque attraverso altri scali, senza essere sottoposto a ulteriori controlli. Il primo passo è comunque meglio del niente, o quasi, che seguirà a livello decisionale, tra sottovalutazione e discutibili slanci di generosità.
Alle 14.50 del 15 febbraio decolla dalla base di pronto intervento Unhrd delle Nazioni unite di Brindisi un volo diretto a Pechino, organizzato dal ministero degli Esteri. A bordo ci sono anche due tonnellate di materiale sanitario, regalo della Farnesina alla Cina. Pochi giorni dopo, mascherine e tute di protezione per gli operatori sanitari si riveleranno introvabili nelle zone più colpite della Lombardia.
Il decreto sull’emergenza, che segue le indicazioni dell’Oms, diventa una sorta di ombrello sotto al quale si può riparare qualunque amministratore che decida di non agire. I medici di tre grandi ospedali lombardi, Niguarda di Milano, Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Sant’Anna di Como, scrivono alle Ats di riferimento chiedendo di verificare il numero di posti nelle terapie intensive della regione. La sera del 21 febbraio a Bergamo si tiene una riunione dei medici ospedalieri della provincia. All’ordine del giorno c’è un’altra lettera da mandare all’Ats, per fare presente che «date le attuali condizioni», non sono in grado di fare fronte all’epidemia, se mai arriverà. È già arrivata, purtroppo.
Il primo documento governativo che spiega come muoversi e cosa fare è del primo marzo, un mese dopo. Lo firma il direttore generale della Salute Andrea Urbani. Accoglie le richieste del Comitato tecnico-scientifico (Cts) secondo cui è «necessario che nel minor tempo possibile» sia attivato nelle strutture pubbliche e private un modello di cooperazione «coordinato a livello nazionale per un incremento delle disponibilità di posti letto del 50% nelle unità di terapia intensiva e del 100% in quelle di pneumologia e malattie infettive». Sei giorni dopo il commissario Angelo Borrelli firma l’accordo con la società Siare per la fornitura di ventilatori meccanici, fondamentali per le terapie intensive. Cosa è successo in questo mese di limbo, tra il primo e l’ultimo weekend di febbraio?
Nel governo convivono opinioni discordanti. Roberto Speranza è da subito per la linea dura. Il 2 febbraio, quando in Italia gli unici malati sono i due cittadini cinesi ricoverati allo Spallanzani, in tv da Fabio Fazio il virologo Roberto Burioni afferma che da noi il rischio «è pari a zero». Il ministro della Salute invece drammatizza: «Abbiamo fatto scelte molto prudenziali, il Paese deve essere pronto». Per Speranza, «chiudere tutto» sarà il mantra ripetuto in ogni Consiglio dei ministri, Conte invece non è convinto. A marzo, quando la curva dei contagi si impenna, resiste per giorni alle pressioni dei governatori del Nord. Salvini, che in questa crisi cambierà diverse volte rotta, chiede più coraggio.
Ma Conte non vuole cedere al «ricatto» del centrodestra. La linea di Palazzo Chigi è chiudere il Paese un passo alla volta, decreto dopo decreto. La strategia della gradualità si basa sulla convinzione che solo un sentimento profondo di paura diffusa potrà rendere tollerabile una forma così severa di reclusione sociale.
Nei momenti decisivi, mentre si invoca l’unità nazionale, le istituzioni avanzano in ordine sparso. Il 23 febbraio il governatore Fontana e Speranza firmano l’ordinanza che istituisce misure restrittive per la Lombardia. Lo stesso giorno alle 18.30 nell’Aula Biagi di Palazzo Lombardia 500 sindaci della Regione chiedono deroghe per mercati, centri commerciali e attività sportive. La Lombardia cede dopo 72 ore, con una deroga: i bar restano aperti anche dopo le 18 «se con il servizio al tavolo».
Il 27 febbraio il sindaco Giuseppe Sala lancia la campagna #Milanononsiferma, seguito a Bergamo da Giorgio Gori. Salvini in un video chiede di «riaprire tutto», invitando i turisti stranieri a visitare il Paese più bello del mondo, mentre il segretario del Pd Nicola Zingaretti fa un aperitivo pubblico sui Navigli, che forse gli costa il contagio. Il 28, gli esperti della Regione mostrano per la prima volta a Fontana le stime della curva epidemica che in quei giorni presenta un indice R0 di contagio superiore a 2: «Se la situazione dovesse allargarsi, il rischio è di default dell’intero sistema ospedaliero». Oggi sembra surreale, ma l’Emilia-Romagna chiede di tenere aperti cinema e teatri e il Veneto vuole una deroga sulle terme.
L’8 marzo è una domenica di sole, bar e ristoranti aperti, tanta gente in giro. Lunedì 9 marzo, dopo l’incontro con i capi delle opposizioni, Conte annuncia che l’Italia intera diventa zona rossa. Sono passati 38 giorni da quel 31 gennaio nel quale era stata dichiarata l’emergenza sanitaria. Il dottor Poidomani si è ammalato di Covid-19. Ricoverato il 2 marzo in terapia intensiva, ne è uscito il 13. Venerdì scorso, il doppio tampone ha dato esito negativo. Oggi tornerà al lavoro nel suo ambulatorio. (qui)

Nel frattempo, come segnala questo commento trovato in rete:

honhil ‘Niente fughe in avanti da parte delle regioni’, è l’ordine categorico che viene da palazzo Chigi. Di contra in una regione, la Sicilia, una delle due o tre dichiarate sicure, tuttavia il governo continua a stivare migranti. I cittadini italiani (rossi, gialli, neri, bianchi e di colore cirricaca) vengono controllati per cielo, per mare e per terra e sanzionati anche diverse volte al giorno se vengono trovati lì dove non dovevano essere. Invece, chi illegalmente mette piede nello Stivale, può fare tutto quello che gli passa per la testa e lo fa sia che gode già della protezione delle istituzioni sia che è ancora uccel di bosco. Domanda. Ma queste istituzioni che bacchettano i cittadini (la maggioranza dei quali in grossissime difficoltà economiche o perché già di suo o a causa del Coronavirus) che mettono il naso fuori da questo immenso campo di concentramento che è diventato il territorio italiano e lasciano liberi di fare ciò che passa loro per la testa gli extracomunitari, fino a quando ancora possono durare? Siculiana e Porto Empedocle, a un tiro di schioppo di distanza, insomma, volente o nolente, possono essere considerati, data la contiguità, il laboratorio (per tacere sulle tante, troppe, situazioni analoghe) che ha già acceso la miccia… che, per quando lunga possa essere, … arriverà prima o poi alla santabarbara: ed esplosione sarà. Eppure le istituzioni, a tutti i livelli, continuano a menare il can per l’aia. Per ottusa ideologia.

E non solo i clandestini partono e arrivano, ma addirittura

I clandestini partono dalla Libia con in tasca il numero degli avvocati da contattare.

E infine uno straordinario intervento di Alberto Bagnai, tanto intenso quanto spietato, un atto d’accusa senza sconti nei confronti del primo responsabile del disastro attuale, un’invettiva che assurge ai vertici dell’epica:

E meriterebbe di essere guardato anche solo per la faccia e la postura del signor Conte.
POST SCRIPTUM: della famigerata App parlerò domani, perché altrimenti questo diventa troppo lungo.

barbara

ANCORA UN PAIO DI COSE SULLA COMMISSIONE ORWELLIANA PER GLI PSICOREATI 5

Sarà un post un po’ lungo, perché voglio metterci tutte le ultime cose e poi, spero, chiudere per sempre questa vergognosa faccenda (poi vi metterò qualcosa di leggero, così potrete leggerlo a rate). Riparto da dove eravamo arrivati la volta scorsa, ossia da qui
liliana-segre-antisemitismo 1
liliana-segre-antisemitismo 2
200 insulti
(Qui) Quindi il numero reale degli insulti in tutto un anno è inferiore a quelli denunciati come quotidiani, solo una parte di questi sono sui social, e questi ultimi sono equamente distribuiti fra Liliana Segre e vari altri personaggi pubblici di religione ebraica. E quando la bolla gonfiata dall’immonda sinistra scoppia, gli insulti cominciano ad arrivare davvero. Comprensibilmente, lasciatemelo dire: perché gente che si accorge di essere stata sonoramente presa per il sedere per mezzo di Liliana Segre, semplificando capisce di essere stata presa per il sedere da Liliana Segre, e reagisce di conseguenza. E ora un po’ di riflessioni.

Il mondo capovolto della Commissione Segre: chi non avalla diventa “fascio”

di Max Del Papa9 Nov 2019

Ho scoperto, non senza stupore, di esser diventato “un fascio”. Non senza stupore, perché non ho mai votato o sostenuto formazioni fasciste o parafasciste, non ho mai frequentato fascisti o postfascisti (anzi…), non mi sono mai intrattenuto neanche per caso alle loro feste o raduni, dai fascisti sono stato minacciato costantemente nei quasi 30 anni di questo mestiere e fin dall’inizio. Inoltre, non difendo alcuna corrente riconducibile ad una sensibilità, a spanne, fascista: non sono irrazionalista, non nutro un concetto romantico della politica, del tradizionalismo non me ne importa nulla, non mi sento particolarmente conservatore, non dico “prima gli italiani”, non avverto particolari sensibilità nazionaliste, non sono neppure cattolico praticante.
Casomai, sono insofferente, e, come tale, critico certa arroganza ipocrita della sinistra di potere e non nascondo preoccupazioni quanto alla parte intollerante dell’islamismo: spero sia chiaro che sono due faccende completamente diverse. Eppure, una mattina mi son svegliato e il mondo s’era capovolto: chi aveva sempre difeso la causa ebraica era diventato fascista, chi aveva sempre sostenuto movimenti terroristici filopalestinesi o altrimenti propensi all’estinzione di Israele, si era trasformato in un gendarme della memoria.
Accade quando si personalizza un problema, a maggior ragione epocale. Una issue su cui vigilare sempre, l’antisemitismo, s’è annacquata in un referendum sulla figura di Liliana Segre: chi non è disposto ad avallarne ogni sospiro, uscita, faziosità, manipolazione subìta (e accettata?), trovata rischiosa, come tanto di Commissione incaricata di vigilare su pensieri, parole e idee dissidenti – perché di questo si tratta – si ritrova accusato di eresia, di blasfemia, di non rispettare il sacrificio della signora, e, per estensione, di connivenza con i responsabili dell’Olocausto. Intollerante, folle, ma così è: la lingua di legno batte sempre, i parvenu interessati della causa ebrea hanno cura di girare alla larga dalle implicazioni politiche, morali, etiche di una commissione dedita al controllo: la buttano nella cagnara del razzismo, dell’antisemitismo, dai loro discutibili pulpiti. Chi non è con loro, è nazi-trattino-fascista. Ma davvero? Ma ancora come negli anni Settanta? Eppure ci sono fior di commentatori ebrei o comunque dediti con ammirevole coraggio e coerenza, alla causa d’Israele, come Niram Ferretti, come Giulio Meotti (della cui amicizia mi onoro), per dirne solo due, che non nascondono le loro perplessità sulla strumentalizzazione, colossale, di cui è oggetto la Segre. Siamo già, inoltre, al figlio che parla della madre in terza persona e tuona: non vi meritate Liliana. Non suona un po’ grottesco? Personalmente, ad esempio, io animalista mi sono ritrovato attaccato per aver palesato fastidio vedendo la Segre predicare su un palco avvolta da una massiccia pelliccia; e ad accusarmi di fascisteria, questa volta, erano animalisti più agguerriti di me. L’ho fatto presente, e mi son sentito rispondere: sì, ma lei è una intoccabile, parla di altri che sfoggiano pellicce, lei lasciala stare. Non stiamo un po’ perdendo la trebisonda?
Tutti sanno, ma nessuno ammette, che il problema non è la signora in sé, ma la totemizzazione che se ne va facendo – e per motivi niente affatto trasparenti, con una coda di paglia lunga come l’equatore. E tutti, in privato, lo ammettono, tutti tradiscono umano fastidio per il feticcio, per questa continua iconografia della signora vestita di bianco che su tutto pontifica, sovente con soave banalità, a un passo dal professionismo della memoria. Solo che non si può dire, Liliana Segre è totem e tabù, si passa per cinici di fronte alla sua vicenda personale, per nazisti di complemento, per aguzzini, si esce dal consorzio umano, dalla cerchia dei buoni, ci si guadagna l’odio imperituro degli amorevoli. Prima ancora del suo insediamento, la Commissione Segre il suo risultato l’ha portato a casa. (qui)

Proseguo con questa lettera, che condivido totalmente.

Gli squali sinistroidi si son pappati pure Liliana Segre

Gentilissima senatrice Segre,
abbiamo seguito con enorme perplessità tutta la vicenda che ha riguardato la nuova commissione parlamentare che porta il Suo nome e i successivi sviluppi mediatici e politici.
Non Le elencheremo i motivi per i quali pensiamo che l’istituzione di una commissione parlamentare per “il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza” sia come minimo superflua, dato che le singole materie sono già disciplinate da Leggi dello Stato che sanzionano quelle fattispecie che, una volta tradotte in azioni e in atti concreti, sono già perseguibili penalmente. Il fatto che voglia in qualche modo colpire le semplici manifestazioni di pensiero (ad esempio “segnalando ai gestori dei siti internet i casi di intolleranza riscontrati chiedendo la rimozione dal web dei relativi contenuti”) contrasta con l’articolo 21 della Costituzione: “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Se poi aggiungiamo che la funzione dell’eventuale commissione sarebbe anche quella di contrastare chi “è portatore di idee nazionaliste, etnocentriste e chi diffonde stereotipi o pregiudizi” c’è il fondato sospetto che l’obiettivo non dichiarato sia quello di mettere il bavaglio a chi non è allineato al pensiero unico del mondialismo, della globalizzazione, del servilismo alla Unione Europea, del dissolvimento dei confini nazionali.
Ma la perplessità cui si accennava all’inizio non è tanto e solo legata all’evidente possibile pericolo di sottoporre a censura il pensiero non allineato. Ce ne sono altre e hanno tutte a che fare con il forte, fortissimo sospetto che il Suo nome e la Sua persona, senatrice Segre, sia stato utilizzato ad arte in questa occasione per scopi ben meno nobili rispetto a quelli ai quali Lei certamente si voleva richiamare.
Questa commissione è praticamente la stessa, per contenuti e finalità, di quella che fu istituita nel 2016 dall’onorevole Boldrini nella passata legislatura. Solo che ora porta il Suo nome, senatrice Segre. Chi già l’aveva a suo tempo proposta, appartiene ad un’area politica di estrema sinistra la quale per derivazione storica e radice ideologica non hai mai particolarmente brillato in tema di libertà personali e di pensiero. Quelle stesse libertà personali e di idee che, quando negate, portarono ad aberrazioni come lo stalinismo ed il nazismo. Quello stesso nazismo che perseguitò Lei e la Sua famiglia. L’estrema sinistra, senatrice Segre, è quella che trae le sue origini ideologiche dalla tradizione del regime comunista che nei gulag sovietici sterminò 600.000 ebrei. E tutto iniziò proprio con le limitazioni della libertà di coscienza e di pensiero.
L’area politica in questione, senatrice Segre, è quella che ha appoggiato in Europa e in Italia la diffusione dell’islam, quella che difende la causa palestinese, che candida esponenti musulmani alle elezioni politiche locali, che non si oppone ed anzi favorisce la costruzione di nuove moschee e non fa chiudere i centri di culto non autorizzati laddove e quando governa. Naturalmente Lei saprà che in Francia – la quale ben prima di noi ha sperimentato un multiculturalismo tanto fallimentare quanto pericoloso – gli ebrei stanno vivendo una stagione di odio razziale antisemita – che pensavamo ormai dimenticato – alimentato, quasi esclusivamente, da individui di religione musulmana. Al contrario di ciò che accade nel nostro Paese, le aggressioni di questo genere in Francia hanno spesso esisti tragici. La Francia è l’unico Paese occidentale dove gli ebrei vengono uccisi per il solo fatto di essere ebrei. L’elenco è molto lungo. Molti gli episodi di omicidi e torture a danno di persone spesso anziane ed indifese. In due decenni, più del 20% degli ebrei francesi ha lasciato il Paese. I bambini ebrei sono spesso costretti ad abbandonare la scuola. Secondo un sondaggio, il 40% degli ebrei che vive ancora in Francia vuole andarsene. Sebbene gli ebrei ora rappresentino meno dello 0,8% della popolazione francese, metà delle forze armate e della polizia dispiegate nelle strade del paese sono di guardia davanti alle scuole ebraiche e ai luoghi di culto (fonte: https://it.gatestoneinstitute.org/12196/francia-senza-ebrei). Certo, si potrà obiettare che la realtà è complessa e forse quindi non ci si debba meravigliare se una forza politica voglia darsi una parvenza di strenua oppositrice all’antisemitismo e contemporaneamente coccolare una religione che, nella forma più estremista, vorrebbe cancellare Lei ed il Suo popolo dalla faccia della terra. Però Le chiedo, Lei si fida davvero? È davvero convinta di voler andare a braccetto con chi appoggia coloro i quali vorrebbero sterminare il popolo ebraico?
Le hanno voluto dare a tutti i costi una scorta anche se Lei l’aveva rifiutata. Si è chiesta perché lo hanno fatto? Parrebbe del tutto evidente che sia stata una mossa per creare maggiore scalpore mediatico anche internazionale (con le ricadute di immagine per l’Italia che Le lascio intuire [infatti sulla stampa ebraica internazionale sono apparsi titoli quali “Orrore in Italia: sopravvissuta all’Olocausto minacciata di morte!” e simili]), nel tentativo di far credere che il nostro Paese sia popolato da pericolosi antisemiti che minacciosamente, attraverso quei social ai quali Lei stessa ha dichiarato di non essere iscritta, avrebbero potuto attentare alla Sua incolumità. Basterebbe consultare le statistiche per avere un’idea più chiara. Come documentato con dovizia di particolari dal sito https://www.osservatorioantisemitismo.it/ oggi in Italia l’antisemitismo è un fenomeno ampiamente circoscritto e limitato ad episodi che hanno a che fare con il web. Si tratta in generale di post offensivi su Facebook, di blog di matrice antiebraica e più raramente di insulti, atti di vandalismo e minacce senza conseguenze particolari (per fortuna). Gli unici episodi di aggressioni fisiche a danno di giovani ebrei sono del 2012 (ad opera di un gruppo di marocchini), del 2015 (accoltellamento da ignoti) e del 2016 (gruppo di giovani italiani) (da https://politicaesocieta2015.wordpress.com/2018/10/16/la-sgangherata-sinistra-italiana-e-lantisemitismo/). Le hanno dato una scorta che Lei non voleva, e non la voleva forse perché sa perfettamente che chiunque si avventuri nelle periferie delle nostre città dopo il tramonto rischierebbe molto di più. Ma la Sua scorta, senatrice Segre, non serve per proteggere Lei. Serve solo per dar modo alla sinistra di proteggere sé stessa dando modo ai suoi profeti, giornalisti, politici e scrittori con la bava alla bocca di attaccare gli avversari politici gettando loro addosso responsabilità che essi non hanno. Salvo poi apprendere – nel malcelato sconcerto generale fucsia arcobaleno – che i 200 insulti al giorno che un giornale – ovviamente di sinistra – aveva dichiarato essere indirizzati a lei erano in realtà 200 all’anno e non erano neppure rivolti a Lei se non in minima parte. Poi, chissà, col tempo scopriremo che magari non erano neppure messaggi antisemiti. Ma a loro non importa. Quello che importa è imporre a Lei una scorta per difenderla da un fascismo inesistente e perennemente vivo solo nelle menti progressiste ma che fa gioco alla propaganda di una fazione politica allo sbando che di argomenti veri non ne ha proprio più.
Sa cosa pensiamo senatrice Segre?
Che a tutto il mondo della sinistra che ora la coccola, non interessa alcunché degli ebrei perché in fin dei conti non glien’è mai interessato nulla ed anzi i rappresentanti a vari livelli del progressismo nostrano appoggiano da sempre la causa palestinese, bruciano per le strade le bandiere di Israele indossando la kefiah, sostengono l’ANPI che ci risulta non essere in ottimi rapporti con gli ebrei, affondano le loro radici culturali nella palude del comunismo il cui regime in Unione Sovietica ha massacrato mezzo milione di ebrei. Lei forse crede che i politici, pensatori, giornalisti e scrittori di sinistra siano altro rispetto a tutto ciò? Noi crediamo che essi siano sempre uguali. Al massimo si saranno cambiati d’abito e ripuliti un po’, ma l’ideologia è sempre quella. Non si fidi senatrice Segre.
Alla sinistra non interessa nulla neanche del razzismo. Se davvero essa fosse sensibile a questo tema si sarebbe indignata per l’odio scatenato sui social e nelle piazze contro Toni Iwobi, primo senatore nero della storia di questa Repubblica, leghista. Però nel nostro Paese il razzismo si condanna solo se proviene da destra, mai se proviene da sinistra. Le sembra di essere esattamente a Suo agio con questa allegra combriccola, senatrice Segre
Alla sinistra non interessa nulla neppure dei migranti. Questi vengono tirati in ballo a colpi di “restiamo umani” se il Ministro degli Interni si chiama Matteo Salvini; se invece si chiama Luciana Lamorgese ed è targata PD, i migranti si possono tranquillamente tenere 11 giorni al largo delle nostre coste nel silenzio assoluto dei mass media di regime perché ci sono le elezioni in Umbria e senza che qualcuno dei solerti deputati progressisti e comunisti salga sul ponte della nave a protestare. A loro dei migranti interessa nella misura in cui fanno gioco per demonizzare l’avversario politico e per arricchire le solite cooperative dell’accoglienza amiche degli amici. Poi quando da lì vengono sbattuti in mezzo ad una strada l’interesse improvvisamente cala.
A noi pare che a loro interessi usare Lei, senatrice Segre, unicamente come bandiera da sventolare contro inesistenti razzismi e fascismi per mascherare il loro totale fallimento politico ed elettorale.
La situazione che Le hanno creato attorno ricorda il grande attore Robert de Niro visto recitare in un recente orrendo spot pubblicitario per una orrenda automobile. Ci siamo chiesti come uno dei più grandi attori viventi si sia potuto prestare ad un simile obbrobrio. Ecco, è questa un po’ l’impressione che si ha, fatte le dovute proporzioni.
Ci piacerebbe vederla prendere le distanze da questi manipolatori. Lei è riuscita a sopravvivere ai campi di concentramento nazisti e vorremmo ora vederla sopravvivere ad un branco di squali feroci post-comunisti.
Essi hanno esaurito le armi convenzionali della politica: le idee.
Ora stanno passando alle armi anticonvenzionali, quelle più pericolose perché subdole ma ammantate di un’aura di santità.
Per assurdo, tutta questa vicenda che la vede vittima inconsapevole, alla fin fine non ha molto a che fare con l’odio attorno al quale la commissione che porta il Suo nome dovrebbe vigilare.
Il sentimento provato verso questa gente che vorrebbe usarla per i propri fini non è l’odio.
Anzi, non è neppure un sentimento.
È qualcosa di più fisico e corporale.
Si chiama voltastomaco.
Con affetto e stima. (qui)

Poi, in seguito alle “minacce e insulti” a Liliana Segre, si è tenuta a Milano una manifestazione di solidarietà, in merito alla quale ascoltiamo Filippo Jarach.

Lunedì sera ero impegnato in una seduta del Municipio Uno e non sono potuto andare alla manifestazione di solidarietà a Liliana Segre organizzata davanti al Memoriale della Shoah. Se in un primo momento mi sono sentito in colpa, poi ho pensato, per fortuna non c’ero, perché quello che è successo è di una gravità inaudita. Per ovvi motivi comprendo quello che la senatrice Segre rappresenta sia per la sua storia personale, sia per il valore di testimonianza per la nostra religione. Per questo quando ho visto il video nel quale veniva intonata “Bella Ciao” davanti al monumento che ricorda uno degli episodi più tragici dell’umanità, mi sono indignato. Se tu vuoi fare una manifestazione di solidarietà verso una persona che è stata minacciata e offesa, la devi fare senza simboli di partito, in modo che possa coinvolgere tutti, anche il centrodestra che da sempre è amico di Israele ed è vicino alla comunità ebraica (a tal proposito vorrei ricordare che a Milano il Memoriale alla Shoah venne inaugurato alla presenza di Silvio Berlusconi e Alan Rizzi). Ma se tu canti “Bella Ciao” non solo offendi quel Memoriale, ma trasformi quella che doveva essere una manifestazione di solidarietà in una manifestazione di una parte politica, la sinistra, contro gli “avversari”. In piazza l’altra sera c’erano anche esponenti di Forza Italia: posso solo pensare come si siano sentiti a disagio quando è stato intonato quel coro che con la Shoah non ha nulla a che spartire. Ecco, io a questo gioco non mi voglio prestare. E neanche all’ipocrisia che vi ruota attorno, perché molti di quelli che lunedì cantavano e inneggiavano alla Segre, sono gli stessi che abitualmente durante la sfilata del 25 aprile insultano la Brigata Ebraica sventolando le bandiere della Palestina e non hanno alcun rispetto per quello che il senatore Matteo Salvini in una recente intervista ha definito «l’unico Stato democratico in Medioriente», ovvero Israele. Lo dico sinceramente, anche a tanti esponenti della Comunità: sarebbe ora di smetterla di considerare alla stregua di pericolosi fascisti tutti quelli che si dichiarano di centrodestra. Serve un profondo esame di coscienza e un cambio di atteggiamento soprattutto da parte di noi ebrei. Il mondo è cambiato, è ora di rendersene conto. Chiudo dicendo che sono il primo a condannare qualsiasi tipo di minaccia e di insulto, ma non posso fare a meno di chiedermi una cosa: come mai nessuno ha sollevato il caso dell’imbrattamento al “Giardino dei Giusti”? Forse perché quelle scritte fatte con la vernice rossa erano chiaramente riconducibili agli ambienti dei centri sociali amici della sinistra? No, lo ripeto, da ebreo ed eletto nelle fila del centrodestra a Milano, credo che intonare “Bella Ciao” nella serata di lunedì abbia rappresentato una delle pagine più brutte non solo della storia della città, ma del Memoriale stesso. Perché quella di lunedì non è stata una manifestazione di solidarietà, ma una manifestazione politica fatta per cercare di infangare il centrodestra, usando la faccia della senatrice Segre, che assolutamente non merita questo trattamento.

Filippo Jarach (qui)

I sinistri naturalmente non hanno gradito e hanno sentito il dovere di esternarlo – e che altro aspettarsi, d’altra parte, da chi ha letteralmente costretto Ugo Volli a lasciare Informazione Corretta in cui svolgeva un preziosissimo lavoro? Sempre sull’organo ufficiale dell’UCEI troviamo questo strepitoso paragrafo:

“Ebrei schierati contro la commissione Segre”. Ancora titoli e articoli deliranti [la Commissione Segre a quanto pare è già al lavoro: se non sei d’accordo con me sei psicopatico, come nell’Unione Sovietica di Krusciov e Breznev, in cui i dissidenti finivano in manicomio] su alcuni giornali di destra [cioè falsi e inaffidabili per definizione], che tornano sulla commissione contro l’odio fatta istituire in Senato da Liliana Segre. Libero [ovvove ovvove!], riprendendo uno stralcio dell’intervista ad Alain Finkielkraut pubblicata ieri dal Corriere e in cui il pensatore francese esprime le proprie perplessità su questa iniziativa, titola: “Ebrei schierati contro la commissione Segre” [Ce ne sono molti, infatti: è una realtà, non una fantasia di Libero]. Questo invece Il Tempo, che ravvisa anche un calo dell’erogazione governativa all’Aned [“ravvisa”? Questo calo c’è stato o non c’è stato?]: “Accusano il leader leghista di voler perseguitare di nuovo i sopravvissuti ai lager. Ma gli stanziamenti ai reduci li ha aumentati Matteo. A differenza dei governi rossi”. [Manca un dettaglio di non trascurabile importanza: è vero o falso? Li ha aumentati o no? Perché, vedete miei cari, in mancanza di questo dato siete solo degli squallidi peracottari sinistroidi, volgari seminatori di zizzania, che un ebreo di qualche notorietà aveva condannato alla fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Mt. 13, 42]

E tuttavia, ecco che nel bel mezzo della tempesta improvvisamente si scorge uno squarcio di sereno, non ancora l’arcobaleno ad annunciare la fine della bufera ma uno spiraglio di cielo azzurro fra le nuvole nere sì, si vede. Viene avanzata l’idea di proporre la sua candidatura al Quirinale, e lei risponde : «C’è un presidente in carica e per motivi sia anagrafici che di competenza specifica tale candidatura va considerata improponibile» [qui, in un breve articolo che merita di essere letto integralmente]. Le viene offerta la cittadinanza onoraria di Napoli, città che onora i terroristi palestinesi sterminatori di ebrei, e Liliana Segre cortesemente e diplomaticamente rifiuta con queste parole: «La cittadinanza onoraria non è un fatto passeggero se si può prestare a strumentalizzazioni. È un riconoscimento profondo, un abbraccio ideale tra la città stessa (in questo caso pluridecorata) e chi la riceve. Mi verrebbe da mutuare una vecchia battuta, ci sono cittadinanze che si contano e cittadinanze che si pesano. Napoli è la prima tra le grandi città che ha dato il via all’insurrezione. La storia prima di tutto, una storia di resistenza» (qui)

Evidentemente ha cominciato a pesare con oculatezza, e con la bilancia giusta, ciò che le si sta muovendo intorno. Evidentemente ha cominciato ad aprire gli occhi, o qualcuno – sicuramente non suo figlio – l’ha aiutata a cominciare ad aprire gli occhi sulla strumentalizzazione che la sinistra sta perpetrando su di lei e sulla sua tragedia, e ha deciso di riprendere in mano la propria persona e ristabilire la propria dignità. Coraggio, Liliana, finalmente sembra che tu abbia imboccato la strada giusta. Vai, che, adesso sì, siamo tutti con te.

barbara

LA PAPESSA

No, non Giovanna: Asia. Argento, naturalmente. Che dimostra quanto avessero ragione i nostri antichi saggi a sostenere che la parola è d’argento e il silenzio è d’oro. Le sue parole – chiamiamole così – ve le faccio raccontare da questo pacato e misurato articolo.

Ora, stravolgiamo un attimo la consecutio giornalistica: per una volta facciamo una premessa e poi i fatti, perdonateci. Si può criticare quello che ha fatto Asia Argento o d’ora in poi qualsiasi cosa viene detto contro quello che dice o fa (attenzione, non contro di lei) viene considerato sessismo, violenza di genere e “Weinstein-style”? Ora i fatti, e capirete il perché di questa premessa: dopo aver cavalcato tra le prime la denuncia anti-Weinstein in quella che nel giro di poche settimane è divenuta “Molestopoli”, l’attrice provocatrice e figlia di Dario Argento ha partecipato e condotto durante il Torino Film Festival un rituale satanico-demoniaco di chiara dimensione blasfema. Era molto attesa la bella Asia dopo le polemiche per le violenze sulle donne, gli attacchi alla stampa e alla politica e la conseguenze “fuga” in America, per il grande ritorno in Italia. E invece… ha preso parte al misterioso (e misterico) Trabalho de Concentracao (una sorta di rito pagano) diretto dal regista Bertrand Bonello che di fatto metteva cd in sottofondo e osservava il dispiegarsi delle “scene” ben poco originali. Un misto di rituali pagani, provocazioni blasfeme e “luoghi comuni” contro la fede cristiana che a bizzeffe se ne ritrovano su YouTube. Lei, la regina della performance, è in mezzo ad altre “ancelle” con gli occhi chiusi e le mani sulle ginocchia: all’improvviso inizia ad intonare un canto per invocare una “particolare divinità”. «Lady Lesbian Jesus come, and rise the dead», che tradotto per i meno anglofoni risuona come “Signora Gesù Lesbica, vieni tra noi e resuscita i morti”.

DÀ ANCHE LA COMUNIONE PAGANA

Lo spettacolo, se così si può chiamare, dovrebbe essere un richiamo horror e uno sberleffo contro la religione: ma l’atmosfera è confusa, per come la racconta oggi il Fatto Quotidiano, «e dopo circa 20 minuti dall’inizio, lo spettacolo tocca il punto più alto: dopo la benedizione di incensi, liquidi e candele, gli adepti si mettono in fila per ricevere la comunione pagana, che permette di liberarsi dai mali». Eh sì, il rito prevedeva anche questo: una Asia “papessa” che si faceva segnare il segno della croce come gli antichi cavalieri celtici e poi distribuiva “ostie” blasfeme in cui la carne di Cristo veniva “tramutata” in un passe-partout per liberarsi da presunti mali. Asia Argento appare stanco dopo tutto quello sforzo emotivo, quella trance imposta e subita, quello spettacolo preparato “ad arte” per stupire: «Per la libertà di tutti gli spiriti, chiosa l’attrice esausta al microfono. «Donne, uomini, bimbi. Per portare pace qui». Ecco, ha stupito poco più di 80 persone, di cui la maggior parte con l’accredito stampa essendo all’interno di una manifestazione cinematografica. Insomma, noi non eravamo lì, ma forse basta questo per capire che la chiusura più degna a questa arte-flop l’avrebbe fornita il compianto ragioner Fantozzi. «Questo Trabalho de Concentracao è una….», beh, continuate voi con l’immaginazione.

Niccolò Magnani, 01 dicembre 2017, qui.

Se invece preferite qualcosa di più tosto, andate a leggere dagospia, con un significativo video e altrettanto significative immagini della nostra pulzella.
E poi scusate, ma bisogna proprio che lo dica: così penzolanti non le ho neanche io a sessantasei anni.
asia-argento-millenium
barbara