E REGALIAMOCI ANCHE IL TERZO EROE

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“So cosa devo fare.”

Il 28 settembre 1943, un addetto nazista di alto livello in servizio a Copenaghen, in Danimarca, scrisse queste parole nel suo diario mentre prendeva la decisione più audace di tutta la sua vita. Georg Ferdinand Duckwitz aveva servito il Terzo Reich nella Danimarca occupata per circa quattro anni, nonostante la sua personale avversione per il programma nazista. E gli era appena arrivata la notizia che due giorni dopo tutti gli ebrei danesi sarebbero stati rastrellati dalla Gestapo e mandati nei campi di concentramento. È stato allora che si è buttato nell’azione.
Duckwitz si è precipitato nell’ufficio del politico e leader della resistenza danese Hans Hedtoft e ha consegnato il suo messaggio cruciale. La resistenza ha quindi dato vita a una delle più straordinarie opere di salvataggio dell’Olocausto, con 7.220 dei circa 7.800 ebrei danesi trasferiti immediatamente in Svezia con il favore della notte. Quando il 1 ottobre i nazisti attraversarono l’intero paese per raccogliere tutti gli ebrei, non ne trovarono che poche centinaia in tutto lo stato, e già all’una di notte la loro campagna fallita fu dichiarata conclusa. (Qui, traduzione mia)

John Kuroski

Di più: qui

E di questa storia davvero non sapevo niente (e alla faccia di chi pensa che l’individuo da solo non è nulla).

barbara

ANIMALISTA, BIO E… STERMINATORE DI EBREI

Proseguendo il discorso

2014/02/05 GIULIO MEOTTI

Salutista, paladino degli animali, guru del biologico, autore di fiabe Ecco Himmler, l’assassino più politicamente corretto della storia

“Sei un ebreo?”, chiede Heinrich Himmler a un prigioniero durante una visita nel fronte orientale del 1941. “Sì”. “Entrambi i genitori sono ebrei?”. “Sì”, continua il ragazzo. “Hai antenati che non fossero ebrei?”. “No”. “Allora non posso aiutarti”. Il giovane viene fucilato sotto gli occhi del gerarca nazista. Questo era Heinrich Himmler.
Di Hitler si dice che fosse “magnetico”. Di Göring che fosse un valoroso pilota. Di Goebbels che fosse un demagogo straordinario. Di Heydrich che fosse un provetto schermidore, un eccellente pilota e un ottimo musicista. Nessuno è mai riuscito a trovare niente di speciale in Himmler, non un solo momento di carisma e umanità in tutta la sua esistenza. Fra i grandi capi nazisti è il più efferato e il più anonimo. L’uomo che vanta un curriculum di delitti senza precedenti non mostra segni caratteristici. Basso, flaccido, calvo, grassoccio, occhi acquosi, mento sfuggente, stretta di mano molle, Himmler era uno come tanti, monotono e pedante. Solo che il suo ufficio era il comando delle SS e della polizia nazista, il suo compito realizzare il più spaventoso massacro della storia.
I suoi lineamenti sono talmente banali che nel maggio del 1945 non viene identificato dai sovietici che lo fanno prigioniero e dagli inglesi che lo prendono in custodia. Non si è nemmeno camuffato: a Himmler è bastato togliersi i pince-nez. Senza quelli, non è più lui. Come in una gag, Himmler era i suoi occhiali. Dietro non c’è nulla. Fino a oggi.
“Vado ad Auschwitz. Baci, il tuo Heini”, scrive Himmler alla moglie Margaret. E ancora: “Nei prossimi giorni sarò a Lublino, Zamosch, Auschwitz, Lemberg e poi nella nuova sede. Sono curioso di vedere se e come funzionerà il telefono. Saluti e baci! Il tuo Pappi”. Pochi giorni dopo parte per un sopralluogo di due giorni ad Auschwitz per vedere con i suoi occhi che cosa accade a un trasporto di ebrei sottoposti all’azione del pesticida Zyklon B. I cadaveri gonfi che si colorano di blu, i forni crematori. Himmler dà il via libera alla distruzione su vasta scala del popolo ebraico.
Queste sono soltanto due delle straordinarie lettere ritrovate in Israele e pubblicate in questi giorni dal quotidiano tedesco Die Welt. Documenti, corrispondenza e fotografie dell’architetto dell’Olocausto. Leggendo queste lettere, vedendo queste immagini, i giornali hanno sottolineato la “normalità” del boia del Terzo Reich, il capo delle SS, del programma eutanasia e dell’annientamento del popolo ebraico.
Le lettere ci rivelano un Himmler attento alle spese personali, che vive senza lussi, a differenza di quasi tutti gli altri gerarchi, specie Göring. Dalle lettere ne esce un Himmler “sobrio esecutore di una visione del mondo”, come dice lo storico Michael Wildt. Ai suoi occhi l’omicidio di massa era un passo necessario per compiere la missione del Terzo Reich. “Sarò in un centro di esecuzioni per testare nuovi e interessanti metodi di fucilazione”, scrive il gerarca alla moglie. Come commenta lo Spiegel, “Himmler non aveva nulla di banale, era intelligente, possedeva una energia radiante, e una fantasia capace di attuare l’ideologia del nazionalsocialismo in azione”. Le lettere confermano che Himmler non era un mostro, non aveva nulla di demoniaco, né di sadico, non traeva piacere nella sofferenza altrui (si sentì spesso male di fronte alle carneficine). Aveva una missione, invece, e una ideologia ben precisa. Pagana, salutista, eugenetica, ecologista, darwiniana, ultra moderna e iper illuministica.
Queste ultime scoperte ci parlano di un uomo che concepiva se stesso, nelle parole di Joachim Fest, “non come un assassino, ma come un patrono della scienza”. E fu proprio quella moglie, l’infermiera Margaret, appassionata di omeopatia e mesmerismo, a introdurlo alla scienza del biologico. Una fotografia li ritrae a raccogliere erbe mediche sul lago di Tegernsee, dove la moglie e la figlia Gudrun lo aspettavano. Era il giugno 1941. Questo materiale incredibile si trova a Tel Aviv, in un caveau di proprietà della regista Vanessa Lapa, che ha realizzato un documentario su Himmler la cui proiezione in anteprima è in programma alla prossima Berlinale.
Emerge l’Himmler pioniere dell’alimentazione biologica e della battaglia contro il “Gm Food”, il cibo geneticamente modificato, da combattere a favore di una “agricoltura in accordo con le leggi della vita”. “L’artificiale è ovunque”, scriveva Himmler. “Ovunque c’è cibo adulterato, pieno di ingredienti che lo rendono longevo e più bello”.
Himmler era un avido lettore di Max Bircher-Benner e Ragnar Berg, i due principali sostenitori del cibo biologico, il primo addirittura inventore del famoso Muesli. Himmler si distinse come uno zelota della lotta agli additivi, ai conservanti, ai coloranti, e vietò l’uso dello zucchero bianco raffinato e del miele artificiale. Grande sostenitore dei rimedi naturali, il capo delle SS fu anche un acerrimo nemico della vivisezione e promosse campagne per la tutela dell’ambiente e di specie sotto minaccia di estinzione, come la balena. Secondo Himmler, si doveva bandire la vivisezione con l’obiettivo di “risvegliare e rafforzare lo spirito di compassione in quanto uno dei più alti valori morali del popolo tedesco”. Un Himmler orgoglioso di definire questo popolo “l’unico al mondo ad avere un’attitudine decente verso gli animali”.
Il più zelante assassino di bambini della storia scrisse persino un libro di fiabe, in cui i topi scovati nelle case dei tedeschi non vengono uccisi, ma portati in tribunale per essere processati, “trattati con umanità”. Su volontà di Himmler furono approvate direttive per il trasporto degli animali, furono ospitate a Berlino conferenze internazionali sulla protezione degli animali e promulgata una regolamentazione della macellazione dei pesci e di altri animali a sangue freddo. Una volta Himmler chiese al suo medico, noto cacciatore: “Come puoi, tu, dottor Kersten, gioire sparando, da un riparo, a delle creature indifese, che vagano per la foresta, incapaci di proteggere se stesse e prive di ogni sospetto? E’ un vero delitto. La natura è tremendamente bella e ogni animale ha il diritto di vivere”. Intanto gli ascari di Himmler inseguivano e abbattevano gli ebrei nelle foreste della Polonia e dell’Ucraina.
Un saggio di due ricercatori americani, Arnold Arluke della Northeastern University di Boston e Boria Sax della Pace University di New York, è arrivato addirittura alla conclusione che “l’Olocausto è stato causato dalla paura della contaminazione genetica del popolo tedesco che i nazisti consideravano unico anche per il suo rapporto privilegiato e simpatetico con gli animali”. Himmler decise anche di bandire la macellazione rituale ebraica che non permette di anestetizzare la bestia. Stigmatizzava la tradizione kasher perché si poneva “contro la raffinata sensibilità della società tedesca” e addirittura come “una sofferenza inutile”.
Salutista, Himmler aveva in odio il tabacco, che definiva “una masturbazione polmonare”. Il Reichsführer che incitava i suoi soldati a non avere pietà di una colonna di donne e bambini da fucilare, bandì il fumo non soltanto fra le sue SS, ma anche in molti luoghi di lavoro, negli uffici governativi, negli ospedali e sui treni e autobus delle città. Nessuno fumava mai in presenza del sovrano dei campi di concentramento.
Himmler raccomandava colazioni a base di porri crudi e acqua minerale, e dedicò parte della sua attività al “problema delle patate lesse”, finanziando persino delle ricerche sul tema. Emerge anche una passione per i bagni nel fieno d’avena. Himmler aveva messo a punto anche uno speciale menu da sottoporre al popolo tedesco: il caffè del mattino era sostituito da latte e poltiglia di cereali; a tavola, al posto di vino o birra, si doveva bere acqua minerale; i pasti erano da calcolare minuziosamente sui computi delle vitamine e delle calorie prescritte dagli eugenisti a lui vicini. Himmler amava i cerbiatti e definiva la caccia “un delitto a sangue freddo contro esseri innocenti”. E’ la stessa persona che sponsorizza nei campi di sterminio i medici criminali e gli esperimenti sulle cavie umane.
Il capo delle SS era prima di tutto un allevatore di polli. Un destino che condivise con altri genieri della “soluzione finale”: Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, aveva un negozio di macelleria; Willi Mentz, guardiano a Treblinka, aveva fatto il mungitore di vacche; Kurt Franz, ultimo comandante di Treblinka, era stato macellaio come Karl Frenzel, “fuochista” prima a Hadamar poi a Sobibor.
A Waldtrudering gli Himmler si stabiliscono con il cane, i polli, i conigli e un maiale. “Le galline depongono male”, scrive Margaret a Himmler. “Appena due uova al giorno”. La famiglia Himmler, alla fine della guerra, sognava di aprire una grande industria di allevamento di uova biologiche. Lo stratega dello sterminio stravedeva per i tramonti, ma soprattutto per i fiori. E giunse così a ordinare la produzione di erbe medicinali e miele organico nel campo di concentramento di Dachau, dove il dottor Fahrenkamp diresse una sorta di paradiso verde in mezzo al lager.
L’Istituto tedesco per la nutrizione e il cibo organizzò una rete di coltivazioni all’interno dei campi di concentramento in Polonia e Cecoslovacchia. A Dachau la piantagione era diretta dal botanista austriaco Emmerich Zederbauer, che coordinava un gruppo di medici, farmacisti e tecnici di laboratorio. Ad Auschwitz, invece, Himmler aveva ordinato di coltivare una speciale pianta dell’est, la kok-saghyz, che riteneva avesse speciali poteri curativi. Nella rete di venti campi di concentramento, Himmler organizzò la più grande coltivazione europea di erbe medicinali.
Himmler paragonava spesso il suo lavoro di selezionatore di gruppi etnici, disabili ed ebrei, a quello di un botanico: “L’affrontammo come un vivaista che tenta di riprodurre una vecchia varietà che è stata adulterata e svilita. Partimmo dai criteri di selezione delle piante e quindi procedemmo, con molta determinazione, a eliminare gli uomini che ritenevamo di non poter utilizzare”.
Una speciale squadra agli ordini di Himmler lanciò una guerra contro la impatiens parviflora, un fiore boschivo giudicato “alieno” nelle campagne tedesche. Il capo delle SS sognava poi di “creare una immensa zona naturale di flora e fauna in Polonia”. Aveva persino proibito di usare fiori artificiali ai funerali e fu fiero di fare della Germania il primo paese europeo con delle riserve naturali. Le lettere di Himmler alla moglie sono piene di riferimenti ai fiori, una sua ossessione. In una missiva, Himmler racconta di averle spedito 150 tulipani dall’Olanda: “Di un colore, di due colori, non ne trovi così in Germania”. I suoi ordini di annientamento di villaggi e popolazioni, il Reichsführer li firmava rigorosamente con dei lapis naturali. Di legno, mica di plastica.

© – FOGLIO QUOTIDIANO

Anche Hitler era quasi completamente astemio, rigorosamente vegetariano, odiava il fumo ed era animalista convinto. E anche Beria. Quanto a me, posso dire con orgoglio che apprezzo e gusto un buon bicchiere di vino e occasionalmente, anche se non spesso, anche un buon grappino, ho smesso di fumare per necessità ma in casa mia chiunque può fumare quanto vuole, sono voracemente carnivora e mai mai mai mai mai ho acquistato – né mai acquisterò – un prodotto con l’etichetta “bio”.
Poi, in ambito un po’ diverso ma non molto lontano, va letto questo, completato da questo.
Marius 1
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barbara

SI PUÒ FARE

Rosh Hashanah 1943: la fuga degli ebrei danesi

Mentre scorrevano gli ultimi minuti di Rosh Hashanah, il tredicenne Leo Goldberger era nascosto, insieme ai suoi genitori e tre fratelli, nella fitta boscaglia lungo la spiaggia di Dragor, un piccolo villaggio di pescatori a sud di Copenaghen. L’anno era il 1943 e i Goldberger, come migliaia di altri ebrei danesi, stavano disperatamente cercando di sfuggire a un imminente rastrellamento nazista.
“Finalmente, dopo quella che sembrava un’attesa atrocemente lunga, abbiamo visto al largo il nostro segnale,” ricordò Goldberger in seguito. La sua famiglia “entrò dritta nell’oceano e guadò attraverso tre o quattro piedi di acqua gelida, fino a quando fummo trasportati a bordo di una barca da pesca” e si coprirono “con tele puzzolenti.” Tremante di freddo e di paura, ma grata, la famiglia Goldberger si trovò presto sana e salva nella vicina Svezia.
Per anni i leader alleati avevano insistito che nulla poteva essere fatto per salvare gli ebrei dai nazisti, se non vincere la guerra. Ma in una notte straordinaria, fra un mese saranno settant’anni, il popolo danese ha distrutto quel mito e cambiato la storia.
Quando i nazisti occuparono la Danimarca durante l’Olocausto nel 1940, i danesi opposero poca resistenza. Di conseguenza, le autorità tedesche permisero al governo danese di continuare a funzionare con una maggiore autonomia rispetto ad altri paesi occupati. Rinviarono anche la messa in atto di provvedimenti contro gli 8.000 cittadini ebrei della Danimarca.
Nella tarda estate del 1943, fra crescenti tensioni tra il regime di occupazione e il governo danese, i nazisti proclamarono la legge marziale e decisero che era giunto il momento di deportare gli ebrei danesi nei campi di sterminio. Ma Georg Duckwitz, un diplomatico tedesco in Danimarca, trasmise le informazioni agli amici danesi. Duckwitz fu in seguito onorato da Yad Vashem come giusto tra le nazioni. Come la voce dei piani tedeschi si diffuse, la popolazione danese rispose con un’azione spontanea a livello nazionale per aiutare gli ebrei.
La notevole risposta dei danesi ha dato origine alla leggenda che lo stesso re Christian X cavalcò per le strade di Copenaghen indossando una stella gialla di David, e che parimenti gli abitanti della città indossarono la stella in solidarietà con gli ebrei. La storia potrebbe aver avuto origine da una vignetta politica apparsa su un giornale svedese nel 1942, che mostra il re Christian che indica una stella di David e dichiara che se i nazisti la impongono agli ebrei di Danimarca, “allora dobbiamo tutti indossare le stelle.” Il romanzo Exodus di Leon Uris e il film basato sul libro, hanno contribuito a diffondere la leggenda. Ma successive indagini storiche hanno concluso che l’episodio è un mito.
Il giorno di Rosh Hashanah – che nel 1943 cadde il 30 settembre e il 1 ottobre – e i giorni che seguirono, numerose famiglie danesi cristiane nascosero gli ebrei nelle loro case o fattorie e poi, a tarda notte, li portarono di nascosto alla riva del mare. Da lì i pescatori li portarono attraverso lo stretto di Kattegat alla vicina Svezia.
L’operazione, durata tre settimane, ebbe il forte sostegno dei capi della Chiesa danese, che usarono i loro pulpiti per sollecitare l’aiuto agli ebrei, così come le università danesi, che rimasero chiuse per dar modo agli studenti di assistere i traghettatori. Più di 7.000 ebrei danesi raggiunsero la Svezia e rimasero lì al sicuro fino alla fine della guerra.
Esther Finkler, una giovane sposina, era nascosta, insieme a suo marito e alle loro madri, in una serra. “Di notte, vedevamo i proiettori [tedeschi] spazzare avanti e indietro per tutto il quartiere” mentre i nazisti davano la caccia agli ebrei, ricordò Esther in seguito. Una sera, un membro del gruppo clandestino danese arrivò e guidò i quattro “attraverso strade piene di truppe d’assalto naziste” ad un punto vicino alla riva. Lì si nascosero in un rifugio sotterraneo e poi nella soffitta di un panificio, fino a quando finalmente furono portati a una spiaggia, dove salirono a bordo di un piccolo peschereccio insieme ad altri profughi ebrei. “Eravamo in nove, sdraiati sul ponte o sul pavimento,” ricorda Esther. “Il capitano ci ha coperti con reti da pesca. Quando tutti siamo stati nascosti per bene, i pescatori hanno messo in moto la barca, e come il motore ha iniziato a correre, altrettanto hanno fatto le mie lacrime represse.”
Poi, improvvisamente, guai. “Il capitano, con nostro sconcerto, ha cominciato a cantare e fischiettare allegramente. Presto lo abbiamo sentito gridare in tedesco verso una motovedetta nazista che passava: ‘Wollen sie einen bier haben?’ (Volete una birra?) – un abile espediente per evitare sospetti dei tedeschi. Dopo tre ore di tensione in mare, abbiamo sentito gridare: ‘Alzatevi! Alzatevi! E benvenuti in Svezia!’ Era difficile da credere, ma ora eravamo in salvo. Abbiamo pianto e gli svedesi piangevano con noi mentre ci scortavano a terra. “L’incubo era finito, ha ricordato Esther.
Le implicazioni dell’operazione di salvataggio danese ebbero una forte risonanza negli Stati Uniti. L’amministrazione Roosevelt aveva a lungo insistito che salvare gli ebrei dai nazisti non era possibile. I sostenitori dei rifugiati noti come gruppo Bergson cominciarono a citare la fuga degli ebrei di Danimarca come prova del fatto che, se gli alleati fossero stati sufficientemente interessati, di modi per salvare molti ebrei europei se ne sarebbero potuti trovare.
Il gruppo Bergson sponsorizzò una serie di annunci pubblicitari a tutta pagina di giornale sull’impresa danese-svedese, intitolati “Si può fare!” Il 31 ottobre migliaia di newyorkesi affluirono a Carnegie Hall per la manifestazione “Saluto alla Svezia e Danimarca” del gruppo Bergson.
Fra gli oratori vi erano membri del Congresso, diplomatici danesi e svedesi e uno dei più grandi nomi di Hollywood – Orson Welles, regista di “Citizen Kane” e “La guerra dei mondi”. In un’altra riuscita manifestazione del gruppo Bergson, uno dei relatori fu Leon Henderson, un ex consigliere economico del Presidente Roosevelt (Henderson aveva guidato la gestione dell’Ufficio Prezzi della Casa Bianca).
Nel linguaggio schietto che riassumeva la tragedia – e la speranza – Henderson dichiarò: “I governi alleati sono stati colpevoli di vigliaccheria morale. Il problema di salvare il popolo ebraico d’Europa è stato evitato, sommerso, minimizzato, taciuto, contrastato con tutte le forme disponibili della forza politica… Svezia e Danimarca hanno dimostrato la tragedia dell’indecisione alleata… I danesi e gli svedesi ci hanno indicato la strada… Se questa ha da essere una guerra di civiltà, ebbene, questo è sicuramente il momento di essere civili.”

Dott. Rafael Medoff, 29 agosto 2013, qui, traduzione mia.
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Aggiungo un’annotazione. In tutta questa vicenda, durata ben tre settimane, quanti danesi sono stati, direttamente o indirettamente, coinvolti? Gli organizzatori; coloro che li hanno tenuti nascosti, spesso più famiglie per ogni singola persona o famiglia, lungo le tappe degli spostamenti; coloro che li accompagnavano; coloro che li hanno portati fino alla costa; coloro che hanno messo a disposizione auto o camion per portarli; i pescatori che li hanno trasportati attraverso il mare fino alla Svezia; docenti e studenti delle università; coloro che li vedevano passare; coloro che li sentivano al piano di sotto o di sopra di chi li ospitava; amici e parenti con cui i diretti interessati si confidavano… Possiamo dire che almeno mezza Danimarca lo sapeva? Secondo me lo possiamo dire. Milioni di persone sapevano che si stavano portando in salvo gli ebrei sottraendoli ai nazisti. Sarebbe bastato che uno di loro, UNO SOLO avesse parlato per condannare quegli ebrei al gas e ai forni. UNO SOLO. E sicuramente fra coloro che lo sapevano non tutti erano nababbi, sicuramente, con le durezze della guerra, c’era fra loro qualcuno a cui la riconoscente ricompensa dei tedeschi, se avesse parlato, avrebbe permesso di tirare il fiato, e di farlo tirare ai propri figli. E tuttavia non uno fra quei milioni di danesi ha parlato. NON UNO. Questo, per me, è il vero, immenso miracolo di umanità del popolo danese.
Aggiungo un’altra annotazione. Posto questo articolo adesso perché adesso è stato pubblicato. Ma mi va molto bene che IN QUESTO MOMENTO si ricordi che un salvataggio di civili innocenti da un nemico spietato e sanguinario è stato possibile, nonostante il mondo intero lo ritenesse impossibile. Ed è stato possibile perché QUALCUNO HA VOLUTO RENDERLO POSSIBILE. Il segreto del successo, a volte, è tutto qui.

barbara

IRAN, RESISTENZA CONTINUA

(come si può…)

Qualche giorno fa vi ho parlato di Shahim Najafi, della sua canzone, della condanna a morte che si è beccato dal solerte Imam Safi Golpayeganium, convinto che Najafi stesse prendendo per il didietro il decimo imam sciita. Adesso un gruppo di iraniani residenti in Danimarca si sono radunati davanti all’ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran a Copenhagen e …

(Ah, se fosse vero che le risate hanno il potere di seppellire i malvagi!)
(Adesso comunque gli ayatollacci avranno motivo di pensare che è proprio vero che c’è del marcio in Danimarca…)

barbara