Partiamo dal prima. Prima c’era una signora, immigrata clandestina, diventata ministro per non si sa quali meriti, sostenitrice della poligamia (aiuta a socializzare, sic), promotrice di quella cosa delirante, che non esiste quasi in nessuna parte del mondo, che sarebbe lo ius soli, antipatica a molti, un po’ per le ragioni suddette, un po’ per episodi come quello dell’arrivo a Milano con tre auto di scorta, contromano e con sirene e paletta, un po’ per quell’espressione da oca giuliva che si porta sempre addosso.
Prima. Poi arriva un essere approssimativamente umano,
con un alto ruolo istituzionale, che dichiara pubblicamente che la signora in questione gli sembra un orango. (Qualcuno ha detto che qualunque cosa uno insegni, finisce sempre per insegnare se stesso – il che spiegherebbe perché certi insegnanti abbiano così poco da insegnare. Ma forse questa proprietà proiettiva si potrebbe applicare anche in altri campi, cosicché si potrebbe dire che qualunque cosa uno guardi, finisce sempre per vedere se stesso). Ecco, con qualunque insulto un po’ meno pesante, un po’ meno volgare, un po’ meno disumano, uno potrebbe anche smarcarsi, trovare che la cosa non lo riguarda e proseguire per la sua strada. Ma quando si toccano i vertici toccati dal signor Calderoli, credo che nessuno abbia il diritto – anzi, neppure la possibilità – di sentirsi e dichiararsi estraneo. Ed è qui che arriva l’effetto Calderoli: tutte le sacrosante critiche che alla signora avremmo, legittimamente, da rivolgere, chi avrà più il coraggio di farle, sapendo che qualunque critica potrebbe essere considerata come un attenuare, uno sminuire, un relativizzare, un giustificare l’oscena uscita di quell’individuo? Un saggio proverbio veneto dice che quando la merda monta in scranno, o puzza o fa danno. Poi ogni tanto capita qualche individuo particolarmente dotato che riesce a fare entrambe le cose in una botta sola.
barbara