ARRIVA BIDEN E TERMINANO LE DIVISIONI

Sei trumpista? Allora non puoi lavorare! La Disney caccia Gina Carano da The Mandalorian

[io avrei detto trumpiano, ma non ha importanza]

La serie “The Mandalorian” perde la sua protagonista. L’ennesima intolleranza della Sinistra americana che doveva “unire il paese”.

Gina Carano, a vederla, sembra una di quelle persone che non ha problemi a dire le cose come stanno. E, in più, oltre ad avere le spalle larghe per andare avanti, ci mette tutta la sua sicurezza nel saper trovare un “Piano B” per fregare suoi avversari.
L’attrice, texana, esperta di arti marzialigià campionessa MMA (la Mixed Martial Art) e protagonista di film come Knock out – Resa dei conti e soprattutto per la sua partecipazione nella Serie TV The Mandalorian della saga di Star Wars in cui recita la parte dell’ex-soldatessa e mercenaria Carasynthia “Cara” Dune, è stata licenziata dalla produzione – Lucasfim e DisneyPlus – per un post sui social considerato “ripugnante e inaccettabile”.
La Carano ha infatti paragonato l’attuale clima politico che si respira negli Stati Uniti con quello della Germania nazista… e voi direte “e che c’è di nuovo? Sai quanti hanno paragonato l’America di Trump al nazismo”… ebbene No, perché stavolta a beccarsi il paragone con i seguaci del signor Adolf Hitler non sono stati quei “beoti” dei Repubblicani, bensì i Democratici, ed esattamente riferito al loro “modo di fare”, simile se non identico – secondo la Carano – a quello del Partito Nazional-Socialista che salì al potere in Germania negli anni Trenta:

“Gli ebrei venivano picchiati per le strade, non dai soldati nazisti ma dai loro stessi vicini… anche dai bambini”.
“La maggior parte delle persone oggi non si rende conto che, per arrivare al punto in cui i soldati nazisti hanno potuto facilmente deportare migliaia di ebrei, è che prima il Governo ha fatto in modo che i loro vicini li odiassero semplicemente perché erano ebrei“.
“In che modo questo è diverso dall’odiare qualcuno per le sue opinioni politiche?”

Il commento della Carano mette in effetti in evidenza quello che è il clima di tensione verso chi è Repubblicano, indossa il cappellino rosso di Trump e manifesta il suo essere pro-family e pro-life.
Per fare un esempio, qualche giorno prima, l’attrice Sophia Bush della serie Chicago P.D. ha definito tutti i 74 milioni di americani che hanno votato per Trump come dei “terroristi“. Ma la sua opinione è passata del tutto inosservata. Eh, lei può!
Su Twitter è diventato subito di tendenza l’hashtag #FireGinaCarano e la produzione si è subito messa in moto per licenziare l’attrice con un comunicato, non vedendo assolutamente l’ora di piegarsi alla paura delle possibili “rappresaglie” dai potenti mezzi di comunicazione, dagli sponsor ed in generale dell’ opinione pubblica liberal:

“Gina Carano non è attualmente impiegata alla Lucasfilm e non ci sono piani per lei in futuro.”

L’attrice era da qualche tempo nel mirino delle sentinelle politicamente corrette per il supporto verso l’ex presidente Donald Trump, per le considerazioni sui possibili brogli alle ultime elezioni presidenziali, per l’inutilità dell’obbligo di indossare le mascherine all’aperto (famoso un suo post su Instagram dove si vede una persona con diverse mascherine sul viso ed il commento “Nel frattempo in California”) e per l’accusa di “transfobia“.
Ma la nostra Gina non si è persa d’animo e ha subito fatto sapere, nel giro di 24 ore, ai suoi fans ed ai suoi detrattori, dell’esistenza un progetto cinematografico, sicuramente in cantiere da qualche tempo, con il sito di news conservatore “The Daily Wire” di cui fanno parte i commentatori politici Ben Shapiro (co-fondatore della testata) e Michael Knowles.

In un post su Instagram ha voluto ringraziare chi le è stata al suo fianco:

Vorrei ringraziarvi tutti dal più profondo del cuore per l’amore che ho ricevuto nelle ultime 24 ore. Non sarei qui senza il vostro sostegno. Grazie a @realdailywire @officialbenshapiro per aver aiutato a realizzare uno dei miei sogni: sviluppare e produrre il mio film. Ho gridato e la mia preghiera è stata esaudita. Sto inviando un messaggio diretto di speranza a tutti coloro che vivono nella paura di essere cancellati dalla mafia totalitaria. Ho appena iniziato a usare la mia voce che ora è più libera che mai, e spero che ispiri altri a fare lo stesso. Non possono cancellarci se non glielo permettiamo. Restate uniti. Io sono con voi.

La stessa Carano sarà sviluppatrice, produttrice e protagonista del film che sarà in esclusiva per i membri del Daily Wire, il quale offre uno sconto del 25% per quelli nuovi con un codice promozionale “GINA”.
Per ora dobbiamo attendere, in quanto i dettagli sono tenuti riservati. Daily Wire sta cercando da tempo di rafforzare il settore per l’intrattenimento, proponendosi come alternativa alla liberal Hollywood, come ha spiegato Ben Shapiro:

“Non potremmo essere più entusiasti di lavorare con Gina Carano, un incredibile talento scaricato da Disney e Lucasfilm per aver offeso la Sinistra autoritaria di Hollywood. Ecco perché esiste il Daily Wire, per fornire un’alternativa non solo ai consumatori, ma ai creatori che rifiutano di piegarsi alla mafia”.

“Siamo ansiosi di portare il talento di Gina agli americani che la amano, e siamo altrettanto ansiosi di mostrare ad Hollywood che se vogliono continuare a cancellare quelli che la pensano diversamente, ci stanno solo aiutando a costruire lo X-Wing per distruggere la loro Morte Nera

in riferimento ovviamente all’arma di distruzione di massa dell’Impero Galattico nella saga di Star Wars.

Anche il Senatore del Texas, Ted Cruz, ha preso le sue difese, da buon repubblicano texano, con una dichiarazione molto efficace:

“La texana Gina Carano ha rotto le barriere nell’universo di Star Wars: non una principessa, non una vittima, non una Jedi emotivamente torturata. Ha interpretato una donna che spaccava i culi e che le ragazze ammiravano. E’ stata determinante nel rendere Star Wars di nuovo divertente. Naturalmente la Disney l’ha cancellata…”

Diritto di esistere, non di boicottare

Come detto, molti si sono schierati dalla parte dell’attrice e l’hastag #CancelDisneyPlus è subito diventato tra i top su Twitter nel giro di mezza giornata. Ma, come scrive il corrispondente del Daily Wire, Ian Haworthin un suo articolo intitolato “Invece di boicottare Disney, i conservatori dovrebbero rivendicare il loro diritto a esistere“:

“E’ importante – nel breve termine – per i conservatori impegnarsi in questo spazio e competere con i media di Sinistra. È fantastico, per esempio, vedere The Daily Wire che si impegna nell’industria dell’intrattenimento e fornisce al pubblico la possibilità di esplorare argomenti controversi, ritenuti “offensivi” dalla Sinistra”.

“Mentre queste piattaforme alternative dovrebbero essere parte di una più ampia spinta a favore delle pari opportunità e di esistere nello spazio dell’intrattenimento. Parte di questo, è vero, comporta la competizione con la Sinistra sotto forma di media “conservatori”. La necessaria controparte che dobbiamo abbracciare, però, è quella di chiedere anche un posto al tavolo dei media “mainstream” se vogliamo vincere la battaglia nel lungo termine per il nostro diritto a coesistere ideologicamente”.

“Accettare semplicemente la premessa della Sinistra che i conservatori non meritano di essere coinvolti nei “loro” media e costruire le nostre alternative isolate non farà che favorire la segregazione politica a cui stiamo assistendo. Dobbiamo competere per espandere la gamma delle scelte dei contenuti per il pubblico e riportare il pensiero conservatore nel “mainstream”, non per accettare l’opinione della Sinistra ma occupare gli spazi che ci appartengono“.

“L’obbiettivo è quello di unire il paese sui principi fondamentali americani e può essere raggiunto solo lavorando e combattendo per il nostro diritto ad un posto nel tavolo“.

Fa l’esempio del social conservatore Parler, alternativa conservatrice a Twitter, cancellato senza pietà ed in tempi record dagli store Apple e Google:

“Come abbiamo visto il mese scorso, tali risposte “fai da te” sono sia inefficaci – come dimostrato da Parler – che ideologicamente sciocche“.

Per Ian Haworth si rischia l’auto-segregazione in questo modo, con il rischio di ottenere come risultato due società separate.

Il solito doppio standard: “Due Pesi e Due Misure”

Una donna, per giunta conservatrice e che dice quello che pensa non può trovare spazio nella narrazione ideologica progressista e del “pensiero unico”. A parti invertite si sarebbe parlato di “sessismo“.
E’ il caso Pedro Pascal, l’attore cileno divenuto famoso per le parti in Game of Thrones della HBO e in Narcos di Netflix, co-protagonista nella stessa serie The Mandalorian in cui ha lavorato Gina Carano.
Tempo fa, sempre su Twitterparagonava l’Amministrazione Trump – anche lui – alla Germania nazista, mettendo a confronto le foto dei prigionieri nei campi di concentramento nel 1944 con quelle dei figli dei migranti clandestini rinchiusi nelle recinzioni dei centri al confine, usando l’hashtag #ThisIsAmerica – Eh, lui può!
Ignorava però che proprio quelle strutture esistevano anche all’epoca dall’amministrazione Obama-Biden! Il fatto che poi abbia osannato sua sorella transgender Lux per il suo coming out lo ha fatto entrare definitivamente nell’Olimpo di “quelli che contano”. A breve sarà protagonista dell’adattamento cinematografico del video game The Last Of Us.
Ma mentre associare la Germania nazista con l’Amministrazione Trump è considerato “giusto” – anche se è una stupidaggine pazzesca – guai però a fare lo stesso verso un’amministrazione democratica! Le donne con idee conservatrici, come i maschi bianchi e neri conservatori, semplicemente non contano.
Ma come dice Gina “non possono cancellarci se non glielo permettiamo!”
Marco Loriga, qui.

Ecco quindi il risultato di decenni di intenso – e quattro anni di intensissimo – lavoro dei progressisti: una società nettamente spaccata in due, spaccatura che arriva al punto di avere – dato che non tutti sono disposti a sottomettersi al regime del terrore – agenzie di informazione “progressiste” e agenzie di informazione conservatrici, social “progressisti” e social conservatori, case di produzione “progressiste” e case di produzione conservatrici, perché i primi non riconoscono il diritto alla libertà di opinione, parola e stampa.
Nel frattempo nell’organo ufficiale di quel branco di dementi, oltre che analfabeti funzionali, dell’UCEI possiamo leggere perle di questo genere:

Demenza digitale. L’attrice Gina Carano, tra i protagonisti della serie The Mandalorlan, è stata licenziata da LucasFilm per un post sui social, definito ripugnante dalla casa di produzione, in cui ha paragonato chi vota in Usa per il partito repubblicano agli ebrei perseguitati dal nazisti.

E per leggere le frasi “Gli ebrei venivano picchiati per le strade, non dai soldati nazisti ma dai loro stessi vicini… anche dai bambini”.
“La maggior parte delle persone oggi non si rende conto che, per arrivare al punto in cui i soldati nazisti hanno potuto facilmente deportare migliaia di ebrei, è che prima il Governo ha fatto in modo che i loro vicini li odiassero semplicemente perché erano ebreiseguite dall’osservazione che i democratici stanno usando la stessa tecnica di far sì che la gente arrivi a odiare chiunque la pensi diversamente, e vederci un paragone fra i repubblicani e gli ebrei, bisogna essere tanto analfabeti, tanto ritardati e tanto tanto pieni di bachi ideologici nel cervello. E di conseguenza non vedere quello che è sotto gli occhi di tutti: prima l’istigazione all’odio, poi la cancellazione pura e semplice

Quanto all’ultimo soggetto dell’immagine, non vorrà per caso fare concorrenza

alla signora Lewinsky? A proposito della quale io mi sono sempre chiesta: ma voi vi sareste fidati?

barbara

REPUBBLICANI NAZISTI?

Così vengono dipinti da chi detiene le chiavi della sedicente informazione, arrivando addirittura a togliere l’audio a un Presidente in carica. E cortina fumogena sui crimini della controparte.

Caccia ai sostenitori di Trump a Washington: decine di aggressioni, ma oscurate dai media mainstream

Le agenzie di stampa e i giornali parlano di “disordini”, restando sul generico, tra manifestanti pro-Trump e anti-Trump. Quello che è realmente accaduto nella serata e nella tarda notte tra sabato e domenica a Washington è provato dai numerosissimi video pubblicati in rete e reperibili con il minimo sforzo da chiunque (più avanti i link a quelli più significativi, da Twitter).
Sabato si è tenuta a Washington la Million MAGA March, una manifestazione a sostegno del presidente Trump. Il momento è delicato: il presidente contesta il risultato delle elezioni e i suoi sostenitori sono arrivati nella capitale al grido “Stop the Steal” per appoggiare la sua battaglia legale. Ma tutto si è svolto in modo totalmente pacifico. Nessuno ha infranto vetrine e saccheggiato negozi, nessuno ha dato fuoco ad auto o edifici, nessuno ha preso di mira gli agenti o i passanti. Slogan, canti, bandiere, inno americano. È proprio il caso di ricordarlo: nel 2017, il giorno dell’inaugurazione della presidenza Trump, le proteste a Washington si conclusero con un bilancio di 217 arresti e 100 mila dollari di danni. Ed era solo l’inizio della “Resistenza”, alimentata e organizzata dai Democratici, che oggi vorrebbero “curare” il Paese e lanciano appelli all’unità, a superare le divisioni.
È accaduto invece che al termine della manifestazione di sabato scorso, quando i partecipanti cominciavano a defluire, è partita una vera e propria caccia ai supporter di Trump da parte dei militanti di Antifa e Black Lives Matter.
Vigliaccamente, hanno aspettato che calasse il buio, che la manifestazione finisse e che famiglie e singoli fossero isolati per aggredirli, come mostrano molti video. Famiglie con bambini al seguito, coppiedonne, persone anziane (123), inseguiti, minacciati, spintonati, in qualche caso picchiati, presi di mira con lanci di liquidi e oggetti, uova, petardidi tutto. In questo, va riconosciuto, senza fare discriminazioni: circondate e aggredite anche famiglie di colore e miste con bambini piccoli, colpevoli di aver partecipato alla marcia a sostegno di Trump. “Black Lives Matter”, sempre che siano schierate dalla parte “giusta”.
È accaduto anche che un gruppo di Proud Boys, un’organizzazione di destra che sostiene Trump, abbia reagito, nella notte, quando già da diverse ore proseguivano le aggressioni, avendo la meglio su alcuni militanti di Antifa.
Da mesi, le rivolte di Antifa e BLM, che hanno messo a ferro e fuoco decine di città Usa, governate dai Democratici, ci vengono dipinte dai media come “prevalentemente pacifiche”. Così le definiva, con sprezzo del ridicolo, uno sfortunato inviato della Cnn mentre si vedevano alle sue spalle auto e negozi in fiamme. Ci sono voluti un paio di mesi prima che dai Democratici e dal candidato alla presidenza Biden arrivasse una condanna delle violenze, ma generica, da qualunque parte provengano, e solo dopo che New York Times e Washington Post avevano cominciato ad avvertire che il caos avrebbe potuto fargli perdere voti.
Per ora, nel momento in cui stiamo scrivendo, dal “presidente-eletto” che vuole “curare” l’America, unire il Paese, superare le divisioni, non è arrivata alcuna condanna, non genericamente della violenza, ma di queste violenze, delle violenze commesse sabato notte, nella capitale Washington, dai militanti della sinistra radicale ai danni dei sostenitori di Trump.
Federico Punzi, 15 Nov 2020, qui.

Ma tutto questo è storia vecchia, anzi antica.

L’egemonia Dem sui media. Non solo Trump: non c’è candidato o presidente Repubblicano che non sia stato demonizzato

Molti non ricordano (o fingono di non ricordare), ma noi sì: i media Usa (e non solo) hanno riservato il “trattamento-Trump” a tutti i candidati o presidenti Repubblicani, da Goldwater a Romney, passando per i Bush e McCain (oggi lodato da morto), massacrandoli con campagne di delegittimazione e fake news. Ma con Trump hanno fatto un passo in più: hanno vinto loro le elezioni…

Nelle elezioni presidenziali americane del 2020, due episodi, in particolare, hanno reso chiaro a tutti che il rapporto fra media e politica è cambiato in modo definitivo. Il primo episodio è stato durante la conferenza stampa in cui Trump, ancora presidente in carica, annunciava di non concedere la sconfitta e motivava la sua decisione con il sospetto di brogli elettorali a favore della parte avversa. La maggior parte delle televisioni nazionali presenti alla Casa Bianca, invece di trasmettere la diretta, l’hanno interrotta. Hanno staccato il microfono al presidente perché, a detta loro, stava affermando il falso. I media sono dunque andati oltre al loro compito di informatori e si sono erti al ruolo di giudici. Il secondo episodio, forse ancor più clamoroso, è stato l’annuncio del vincitore delle presidenziali, Joe Biden, quando lo spoglio delle schede è tuttora in corso e i ricorsi legali annunciati da Trump sono appena agli inizi. I media, in pratica, hanno annunciato il “loro” presidente, provocando una valanga di congratulazioni da tutto il mondo, indirizzati ad un capo di Stato che non è ancora tale.
La giustificazione di un atteggiamento così partigiano e poco professionale, che si è potuto vedere in diretta anche nel corso dei dibattiti televisivi (basti contare quante decine di volte il presidente in carica è stato interrotto dai moderatori), viene giustificato dai diretti interessati con argomentazioni che vanno dal romantico “dobbiamo resistere a un presidente nemico della libertà di stampa”, ad un deontologico “non possiamo permettere che vengano trasmesse informazioni false”. Affermazione, per altro, falsa: quando mai i media hanno deliberatamente censurato personaggi pubblici, anche quando mentivano clamorosamente, incluse le dichiarazioni di terroristi come Osama bin Laden, o Abu Bakhr al Baghdadi, o dittatori come la Guida Suprema Khamenei e Saddam Hussein? Ed è bene che sia così, perché, in ogni caso, il ruolo del giornalista è quello dell’informatore, non del giudice. In ogni caso, comunque, i media direttamente interessati alla demolizione di Trump hanno sempre portato la giustificazione che si tratti di un caso “straordinario”, di un presidente talmente fuori dalle righe da essere considerato una minaccia per la democrazia. Da qui, la loro tendenza a difendere la democrazia a costo di censurare un presidente democraticamente eletto. Trump è considerato diverso dai suoi predecessori, un caso unico che richiede misure speciali. Ma quali predecessori, non hanno richiesto misure altrettanto speciali da parte degli stessi media americani e dei loro predecessori?
Il grande problema ignorato, un “elefante nella stanza” come direbbero gli americani, non è questo o quel presidente, ma l’egemonia che i Democratici hanno conquistato nel mondo accademico e di conseguenza in quello mediatico. Questa egemonia risale almeno agli anni di Kennedy (1960-63) e da allora spara fango su ogni singolo presidente o candidato presidente repubblicano. I media hanno delegittimato Barry Goldwater, che avrebbe dovuto correre contro Kennedy e poi ha fatto invece campagna contro Johnson, a causa dell’omicidio del presidente a Dallas. Goldwater, laico e liberale, è tuttora ricordato come “razzista” e “guerrafondaio”, a causa della feroce campagna mediatica contro di lui. Non vinse le elezioni e si risparmiò quattro anni di gogna mediatica.
Questa invece toccò a Richard Nixon che divenne addirittura sinonimo della corruzione del potere. Nixon venne letteralmente linciato per una guerra (Vietnam) che non aveva iniziato, ma che, anzi, provò a portare a termine nel migliore dei modi con gli accordi di Parigi nel 1973. L’odio dei media nei suoi confronti era tale, che gli è stata anche tolta la Luna. Fateci caso: quando l’anno scorso è stato celebrato il 50° anniversario dell’allunaggio, è sempre stato nominato Kennedy (che lanciò il programma), ma mai Nixon (che lo portò a termine con successo nel suo primo anno di presidenza). I media fecero perdere la Casa Bianca a Nixon, nonostante la sua rielezione con due clamorosi scoop: i Pentagon Papers, cioè la diffusione di segreti militari sui bombardamenti in Cambogia e poi definitivamente con lo scandalo Watergate, lo spionaggio politico ai danni dei Democratici che portò all’impeachment.
Dopo Nixon, i media non riuscirono a detronizzare Reagan. Ma ci provarono in tutti i modi con la delegittimazione personale (“è solo un attore”, “è malato”, “è un fanatico religioso”), politica (“vuole la guerra nucleare”, “distruggerà il mondo”, “la sua è voodoo economics“, “è nemico dei poveri”) e giudiziaria (lo scandalo Iran-Contras). Nonostante i media, fu il presidente finora più amato dagli americani in tempi recenti, ma chiunque lo studi attraverso gli archivi dei quotidiani, lo crederebbe un mostro. Bush (padre), che pure era un moderato centrista, venne accusato di essere un falco imperialista, petroliere in conflitto di interessi, esponente del complesso militar-industriale.
Suo figlio, George W… non c’è neanche bisogno di parlarne. Nell’era di Internet ogni giorno, ogni ora, era un attacco continuo al presidente, calunniato, paragonato a una scimmia, accusato di essere un alcolizzato. Sono stati realizzati documentari, film, libri, contro la sua persona e la sua amministrazione. I suoi uomini, Cheney, Rumsfeld, Rove, paragonati a criminali nazisti. La corrente politica che lo sosteneva, almeno dal 2002, quella dei Neocon, è stata descritta come una cupola mafiosa-esoterica. Sulla sua amministrazione, i media hanno creato un’immagine da film horror, fatta di trame oscure, iniziazioni macabre, obiettivi deliranti. “Bush lies, people dies” (Bush mente, la gente muore) era il mantra ripetuto dopo ogni morto nella guerra in Iraq, dando per scontato avesse mentito deliberatamente sulle armi chimiche di Saddam per poterla lanciare. L’uragano Katrina che devastò New Orleans nel 2005? Colpa di Bush, non tanto per la gestione dei soccorsi (che comunque spettava a Kathleen B. Blanco governatrice, democratica, della Louisiana), quanto perché Bush non aveva aderito al protocollo di Kyoto sulla lotta al riscaldamento globale [La sinistra alleanza tra ecologisti ideologici e terzomondisti usa lo Tsunami]. Dando per scontato che, se non si impongono carbon tax ed energia rinnovabile, negli oceani si formeranno urgani sempre più potenti… Quando Bush se ne andò dopo un contestatissimo secondo mandato, l’odio dei media non si spense.
Anzi, iniziarono preventivamente a creare campagne di contro-informazione e vera disinformazione anche per i due candidati successivi: contro McCain e soprattutto contro la sua vice Sarah Palin, poi erano pronti già pronti a creare (anche con un film hollywoodiano rimasto nel cassetto) una mitologia negativa contro i mormoni e la destra religiosa, al momento della candidatura di Mitt Romney. Infine, hanno avuto modo di sfogarsi con Trump. Pensateci bene quando dite: “Trump è comunque indifendibile”. Chiunque viene massacrato, basta che non sia dalla parte “giusta”. Certo con Trump, i media hanno fatto un passo in più: hanno vinto loro le elezioni, un po’ come un arbitro che segna il gol della vittoria.
Stefano Magni, 16 Nov 2020, qui.

Come un arbitro che segna il gol della vittoria e oscura l’unica televisione che osa contestarlo.

barbara

IL RE È NUDO

Per non parlare delle regine.

Matteo Salvini organizza un convegno sull’antisemitismo, ma la signora Segre, fabbricatrice di una “commissione contro l’odio” (qualunque cosa una simile pagliacciata voglia significare) con particolare attenzione all’antisemitismo, non ha tempo per intervenire. Lo trova però per commentare che «la lotta all’antisemitismo non deve e non può essere disgiunta dalla ripulsa del razzismo e del pregiudizio». Cioè, tradotto in italiano purgato dall’ipocrisia, “non vengo perché Salvini è brutto sporco e cattivo, e qualunque cosa fatta da lui diventa brutta sporca e cattiva”.

Sempre in merito allo stesso convegno la signora* Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e anch’essa latitante, non ha saputo esprimere altro che critiche a Salvini, critiche alle quali risponde da par suo Niram Ferretti.

Negli Stati Uniti i repubblicani propongono una risoluzione a sostegno degli iraniani che protestano contro i sistematici abusi del regime e le sistematiche violazioni dei diritti umani, ma i democratici, con in testa la signora Nancy Pelosi, qui immortalata con annessa latteria,
USA-Nancy-Pelosi
la bloccano.

Ma denunciare la nudità delle regine non solo è politicamente scorretto a livelli inaccettabili ma anche, come direbbe la nota giornalista Rula Jebreal, razzista e sessista.

*Con la signora in questione ho avuto un vivace scambio, un paio d’anni fa, a proposito di questo articolo. Se qualcuno fosse interessato, lo può leggere qui: NOEMI DI SEGNI.

barbara

QUEL MOSTRUOSO SUPREMATISTA BIANCO AMERICANO

incitato all’odio dall’orrido Trump… non era un destrorso trumpista, bensì un dem, dichiaratamente di sinistra. E delle 32 (TRENTADUE) stragi perpetrate sotto il regno di obamasantosubito ne vogliamo parlare? Come mai nessuno lo ha mai chiamato a risponderne? Come mai nessuno lo ha mai qualificato come mostro? Sarà mica perché il suo colore è più bello di quello di Trump perché, alla faccia del povero Martin Luther King il colore conta, eccome se conta?

barbara