ALLARME DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA

“Le ong aiutano i trafficanti, ci sarà un esodo”. L’allarme della Guardia costiera libica

Lo dichiara all’AGI il portavoce della Guardia costiera libica, l’ammiraglio Ayoub Qassem

di BRAHIM MAARAD 06 luglio 2019

“Con un pieno ritorno delle attività delle ong nel Mediterraneo ci sarà un esodo di migranti verso l’Italia”. Lo dichiara all’AGI il portavoce della Guardia costiera libica, l’ammiraglio Ayoub Qassem. “Il governo italiano – continua – non deve permettere alle persone salvate da queste navi di poter sbarcare perché altrimenti si diffonderà di nuovo la cultura dell’emigrazione verso l’Europa, con evidenti ripercussioni sia sulla Libia che sull’Italia”.

L’ammiraglio dei guardacoste libici denuncia inoltre “la continua interferenza delle ong nelle operazioni di soccorso”. “Non possiamo continuare a fare gare di velocità con le imbarcazioni delle ong. Quando il centro di coordinamento di soccorso riceve la conferma del nostro intervento, non deve permettere ad altri di entrare in azione. Noi non vogliamo scontrarci con le ong”, continua Qassem.

“Le ong favoriscono i trafficanti di essere umani. E abbiamo il sospetto che ottengano ricompense dirette, oltre a quelle indirette, per ogni persona che fanno arrivare in Europa”, ha aggiunto Qassem. “Ogni intervento che fanno loro è per favorire l’immigrazione in Libia dall’Africa subshariana e per avere maggiore peso politico in Europa”, continua l’ufficiale libico. “A questo si aggiunge l’aspetto materiale: non solo aumentano le raccolta dei fondi a proprio favore ma non escludiamo che abbiano finanziamenti direttamente legati ai trafficanti di essere umani”, conclude l’ammiraglio. (qui)

Trafficanti di esseri umani: è ora che cominciamo tutti a chiamarli col loro nome, i membri di questa mafia criminale internazionale. A quanto pare, visto che siamo tutti, noi immondi europei bianchi, colpevoli di avere depredato l’Africa delle sue ricchezze, la cosa migliore per riparare i torti commessi dai nostri trisnonni è depredarla anche della sua forza lavoro.

Quanto ai salvataggi, non farà male ripetere una volta di più che
L. Tricarico
e infatti

Tornando alla nostra Carola superstar, che probabilmente contenderà a Greta superstar il Nobel per la pace, abbiamo avuto modo di verificare ancora una volta l’amore che Der Spiegel nutre per il nostro Paese.
spiegel
Volendo scendere nei dettagli, si prega di notare il titolo, che va oltre i limiti del grottesco, sul “drammatico viaggio di salvataggio”.
salvataggio
E la faccia di Carola, fotoshoppata nel tentativo di renderla più carina, o almeno meno cozza, col risultato di farne un travestito, senza la più microscopica traccia di femminilità nei lineamenti. Troppo spesso si dimentica che, come dicevano i nostri vecchi saggi, spesso il meglio è nemico del bene.

Comunque, indipendentemente dalle posizioni politiche o ideologiche di ognuno di noi, ritengo doveroso ricordare che questa gente sta scappando dalla fame.
fame
barbara

QUEL GRAN BRAV’UOMO, BENEFATTORE DELL’UMANITÀ

George Soros, lo speculatore (non) pentito: “Giusto l’attacco all’Italia del 1992. Noi solo messaggeri di cattive notizie”

Ventuno anni fa, con il suo fondo Quantum, contribuì a portare la lira, e la nostra economia, a un passo dal baratro. Ora, George Soros, finanziare americano di origini ungheresi con un patrimonio da 14 miliardi di dollari e una seconda vita da filantropo, è fresco vincitore del premio Terzani, ricevuto ieri a Udine per il suo saggio “La crisi globale e l’instabilità finanziaria europea”. Da lì, parlando con Repubblica e La Stampa, ripercorre la massiccia operazione speculativa che mise in ginocchio nel 1992 il Paese. E difende, non senza un certo cinismo, tutte le sue mosse.
“L’attacco speculativo contro la lira – esordisce Soros – fu una legittima operazione finanziaria”. “Mi ero basato sulle dichiarazioni della Bundesbank, che dicevano che la banca tedesca non avrebbe sostenuto la valuta italiana. Bastava saperle leggere”. Nessun segreto, insomma. Nessuna informazione riservata o soffiata nei salotti dell’alta finanza. Solo una lucida, ma spietata, comprensione della realtà, che Soros sintetizza con una formula particolarmente efficace: “Gli speculatori fanno il loro lavoro, non hanno colpe. Queste semmai competono ai legislatori che permettono che le speculazioni avvengano. Gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie”.
“In Italia la tregua non durerà”. Quindi una riflessione sul nostro Paese. La tregua dei mercati verso l’Italia, secondo Soros, “non durerà a lungo. Siamo in una situazione lontana dall’equilibrio”. “L’Italia – dice – “è in grave difficoltà anche se “non è senza speranza. Con dei cambiamenti alla struttura dell’euro potrà risolvere i suoi problemi”. E ancora. “La grave recessione deriva dalle regole di austerità imposte dall’Europa”. Ma ” l’Italia “non rischia di fare la fine di Cipro” afferma ancora Soros per il quale pesa la crisi politica interna. “C’è una tragedia dell’Europa e anche una tragedia dell’Italia: la crisi dell’euro sta lavorando per far tornare Berlusconi…” conclude il magnate.
L’operazione. L’azione di Soros nel 1992 – la vendita di lire allo scoperto comprando dollari – costrinse la Banca d’Italia a vendere 48 miliardi di dollari di riserve per sostenere il cambio, portando a una svalutazione della nostra moneta del 30% e l’estromissione della lira dal sistema monetario europeo.
Le conseguenze. Per rientrare nello Sme, il governo italiano fu obbligato a una delle più pesanti manovre finanziarie della sua storia – circa 93 mila miliardi di lire – al cui interno, tra le tante misure, fece per la prima volta la sua comparsa l’imposta sulla casa (Ici), oggi divenuta Imu. Soltanto cinque mesi prima il presidente del consiglio di allora Giuliano Amato, proprio a causa della difficile situazione economica in cui versava il nostro Paese anche prima dell’attacco speculativo di Soros, era stato obbligato a dare il via libera al prelievo forzoso del 6/1000 sui conti correnti nella notte tra il 9 e 10 luglio.

L’Huffington Post, 12/07/2013

E ora guardatelo, col suo smagliante, affascinante e soprattutto candido e disarmante sorriso, e ascoltatelo

Del signor Soros in questo blog si è parlato qui e qui. Per ricordare la sua “funny” esperienza durante l’occupazione tedesca e lo sterminio degli ebrei guardiamoci questo (per i sottotitoli, per qualcuno più facili da seguire del parlato, cliccare il rettangolino in basso)

E chi chiama antisemita chiunque critichi o detesti o disprezzi il signor Soros, dimostra di essere razzista fino alle budella, dato che per giudicare e valutare una persona, non guarda il carattere, il comportamento, le azioni, ma unicamente la razza. Io invece, non essendo razzista, per giudicare una persona guardo la persona, e la persona Soros è un farabutto, un criminale, un traditore del proprio popolo e tante altre cose ancora.

NOTA: un paio delle cose che formano questo post le ho rubate a Enrico Richetti.

barbara

AGOSTO

Che un po’ di storia non fa mai male.

L’11 agosto 1948, esattamente 27 anni dopo la mia amata nonna Soliska z.l., nasceva il patriota ceco Jan Palach, simbolo della lotta contro la repressione sovietica della Primavera di Praga. Quattro anni prima, l’11 agosto 1944, Firenze era stata ufficialmente liberata dall’occupazione tedesca, anche se poi la battaglia per rendere sicura la città, soprattutto dai franchi tiratori repubblichini sparsi da Alessandro Pavolini, era durata per tutto il mese di agosto.
Ma noi commemoriamo il giorno 11 perché allora, alle sei del mattino, era suonata la Martinella di Palazzo Vecchio. Il 3 agosto 1944 erano iniziati i combattimenti, con i tedeschi che avevano fatto saltare i cinque ponti sull’Arno risparmiando solo Ponte Vecchio. Le truppe tedesche si ritirano nella notte tra 10 e 11 agosto, ma fino al 13 è libero solo Oltrarno. Per tutta la seconda metà di agosto la battaglia continua strada per strada; il 27 agosto si cessa di sparare in centro, il 30 anche in periferia. La battaglia di Firenze è finita.
La notte del 27 luglio, l’esercito tedesco in ritirata decide di fare esplodere la Sinagoga, utilizzata sino ad allora come magazzino per i beni rubati ai fiorentini ebrei e come garage per le motociclette, minandola al suo interno. A mezzanotte, i militari tedeschi aiutati dai fascisti fanno esplodere le mine nel Tempio senza peraltro riuscire a distruggerlo. Tra il 1947 e il 1951, saranno spesi oltre 9 milioni di lire per il restauro.
A salvare i Sefarim ci aveva pensato a suo tempo il Rabbino capo, Nathan Cassuto zt.l. Chissà perché, quando penso ad un Rabbino capo ho in mente figure autorevoli il cui carisma, nel mio immaginario, viene sicuramente anche dall’avere una certa età, e invece il Rabbino Cassuto a pensarci si è trovato in piena guerra, a guida della Keillah fiorentina, a soli trentaquattro anni. Un ragazzo, diremmo oggi.
Nathan sarà catturato il 26 novembre 1943 a seguito della spiata dell’SS italiana Marco Ischio, il quale si era finto interprete nella sede dell’Azione Cattolica dove Rav Cassuto, il cardinale Elia Della Costa (in quale, tanto per dare un’idea di che uomo fosse, al passaggio di Hitler in visita nel maggio 1938 aveva fatto chiudere le persiane dell’Arcivescovado in faccia al Führer), e altri esponenti della Comunità ebraica e del clero locale cooperavano con la Delegazione Assistenza Emigrati Ebrei per decidere come e dove trovare rifugio agli ebrei braccati dai nazifascisti. Prendevano parte alle riunioni anche il cognato di Nathan, Saul Campagnano, oltre a Raffaele Cantoni, Matilde Cassin, Don Leto Casini e Joseph Ziegler, l’ebreo polacco che capendo poco l’italiano aveva bisogno di un interprete, e quell’interprete purtroppo in realtà era Marco Ischio.
Nathan Cassuto avrebbe potuto tentare la fuga dal treno che lo avrebbe condotto ad Auschwitz il 6 febbraio 1944, durante una sosta del convoglio a Prato, ma non volle abbandonare gli altri deportati. In realtà, egli avrebbe potuto raggiungere Eretz Israel già da tempo, ma aveva rinunciato per non lasciare sola la Comunità fiorentina in un periodo tanto drammatico. Del lavoro intrapreso dal Rabbino Cassuto nella Delasem, Matilde Cassin ricorda: Il Tempio di Firenze continuava a riempirsi di frotte di profughi, era una vera e propria marea umana di gente piena di paura e di disperazione. Nathan era sempre calmo e risoluto ed aveva una parola di conforto per ognuno. Lavorava giorno e notte…
Non sappiamo esattamente quando e dove il Rabbino Cassuto è morto, e per diversi anni dopo la fine della guerra alcune strazianti dichiarazioni rese da sopravvissuti lo hanno visto vivo e sulla strada di casa, ma l’ultima testimonianza certa lo vuole a Gross Rosen nel febbraio del 1945, evacuato nelle estenuanti ‘marce della morte’ con cui i soldati tedeschi spostavano a piedi e in condizioni disumane i prigionieri per non lasciarli liberi nelle mani dei soldati sovietici che stavano liberando la Polonia.
Quel che è certo, da diverse fonti, è che a Birkenau in ottobre Nathan aveva osservato il suo ultimo digiuno di Kippur, e che rav Cassuto ebbe sempre D-o con sé e insieme l’amore per il prossimo suo, aiutando i compagni con gentilezza e compostezza. Sereno e scherzoso lo doveva essere sin da bambino, se a tredici anni, il 30 maggio 1923, aveva scritto nel sonetto Vorrei…: “Vorrei mangiare come più mi piace / vorrei quando son grande esser dottore […] / vorrei arrivare fino all’anno duemila / starmene ognor tranquillo a casa mia / ed ogni seccator mandare a spasso.”
Insediatosi a Firenze il 4 febbraio del 1943, Nathan arriva quando la Keillah sta non solo facendo fronte ai propri problemi, ma anche aiutando altre Comunità come Split, sotto occupazione italiana dal 1941. Pochi giorni dopo l’armistizio reso noto l’8 settembre 1943, il Rabbino Cassuto riesce persino a far riprendere la Shechità, proibita dal regime fascista nel 1938. Ma è troppo tardi, ormai. Sabato 11 settembre i tedeschi completano l’occupazione di Firenze, e Nathan dopo aver messo al sicuro i propri familiari nel Convento della Calza inizia a darsi da fare freneticamente, senza trascurare i suoi doveri religiosi. Nel suo ultimo discorso, tenuto dal pulpito del Tempio per Rosh HaShanah il 30 settembre 1943, Nathan cerca soprattutto di mettere in guardia gli ebrei fiorentini dalle spaccature interne, che sono notevoli. Per Kippur, il 9 ottobre, il Rabbino decide di tenere il Tempio chiuso come misura precauzionale, e l’ultima volta che parla pubblicamente alla sua Keillah sarà nella Sukkà in giardino, il 20 ottobre, Shabbat di Sukkot: “Ora vi debbo dare una notizia terribile. A Roma, nonostante il sacrificio dell’oro, i nazisti hanno razziato i nostri fratelli e li hanno mandati in Germania. Siete sciolti da questo momento da ogni obbligo di frequentare il Tempio, ora andate; ci ritroveremo certamente, con l’auto di D-o, quando tutto sarà finito.”
I primi saranno arrestati il 6 e di nuovo il 26 novembre (data dell’irruzione in tre conventi fiorentini, tra cui quello del Carmine), dai soldati tedeschi coadiuvati dagli sgherri di Mario Carità, il reparto servizi speciali della 92a legione della Guardia Nazionale Repubblicana. Altri ebrei presenti a Firenze saranno arrestati nella primavera del 1944, con l’ignobile trappola della convocazione per la distribuzione delle tessere annonarie, e di nuovo con il rastrellamento alla casa di riposo ebraica in maggio. Saranno deportati in 343 fiorentini e circa 500 includendo i rifugiati confluiti in città. Solo una ventina di loro farà ritorno, tra cui 14 fiorentini. Le più piccole deportate, Elena e Fiorella Calò, furono assassinate a pochi mesi di vita. Della liberazione di Firenze, e della ripresa della vita religiosa, ricorda Gaio Sciloni: “Il 25 agosto del 1944, riaprimmo il Tempio in Via delle Oche con Fernando Belgrado, ma c’era un problema: mancavano i Sefarim […] che erano stati tutti nascosti nella Villa dei Sarfatti, a Fiesole, sopra Firenze, e in altri posti vari, cantine, pozzi, nel timore che i tedeschi potessero razziarli. Naturalmente non si poteva andare avanti fin lì, ma senza Sefer Torah era impossibile riaprire il Tempio. Allora dissi al Rabbino Belgrado: ‘So che c’è un Sefer Torah alla Biblioteca Nazionale, se è kasher o no non lo so, bisogna andare a vedere’. Così andai alla Biblioteca Nazionale, il cui bibliotecario era il mio vecchio professore di matematica al Liceo Michelangelo di Firenze […] il quale mi dette questo Sefer Torah, che io portai in braccio, in mezzo al fischiare delle pallottole, sino in Via delle Oche. E quando Fernando Belgrado mi vide saltellare su e giù con il Sefer, cominciò a gridare: ‘Cosa fai? Balli con un Sefer Torah in mezzo alla strada!’.
Il Tempio maggiore resterà inagibile fino al Rosh HaShana 5707 (25 settembre 1946). Loretta Bemporad, una bambina sopravvissuta, racconta che sua madre Frida Chludnewitz sarà ringraziata con il Mi Sheberach per aver offerto la stoffa per la Yeriath HaEchal. A ricordare invece i soldati della Brigata ebraica che hanno liberato Firenze sono in diversi ragazzini, tra cui Rirì Lattes Fiano e Lionella Viterbo. Si distinguono nella ricostruzione della vita comunitaria sopratutto Ariel Avissar di Gerusalemme, il quale per un anno si occuperà della scuola elementare insegnando ebraico ma anche la hora, ed Elihau Lubiski del Kibbutz Degania, dal dicembre 1944 direttore della Casa del Pioniere (Bet Helauz). I soldati portano alla Keillah fiorentina viveri e giochi per i bambini, e il sionismo. Lo stesso Emanuele Pacifici z.l. fu salvato da Eliahu Lubinski, il quale lo raccolse nel convento delle Suore della Congregazione di Santa Marta a Settimiano, “e fece in modo ch’io fossi affidato alla Comunità di Firenze e poi riportato a Roma. Mi feci riconoscere dopo aver recitato due versi dello Scemà a voce alta, nel dubbio che potesse essere un soldato tedesco travestito…” Emanuele era sì un ragazzino, ma non certo ingenuo! Quel momento, dell’abbraccio con il soldato dopo aver iniziato a dire lo Shemà, resterà per sempre nei suoi ricordi: finalmente non solo ebrei braccati, umiliati, costretti a nascondersi come topi e assassinati, ma anche combattenti per la Libertà.”
A Firenze Ariel ed Elihau affittano il teatro in Via del Sole e il Modernissimo in Via Cavour per organizzare una recita dei bambini della Keillah e cercare di dare loro l’infanzia che le leggi razziste prima e la persecuzione fisica poi avevano negato. A Villa Bencistà, verso Fiesole, la Brigata ebraica apre un centro di recupero per ragazzi reduci dai lager, e se la Bricha li prepara all’aliah, i ragazzi della comunità di Firenze come Rirì e Nedo Fiano hanno il compito di allietarli con rappresentazioni e recite. Ma non tutti restano. Il 22 maggio 1945 partono da Taranto la sorella di Nathan, Hulda, con i suoi due figli e i tre bambini sopravvissuti dei quattro di Nathan e Anna Di Gioacchino z.l.: Susanna, David e Daniel. La moglie di Cassuto, a sua volta deportata e sopravvissuta a Birkenau, li raggiungerà in novembre. Mancheranno Nathan e la loro bambina più piccola, Eva z.l., che aveva solo quaranta giorni quando Anna era stata arrestata il 29 novembre 1943. Anna Di Gioacchino ritroverà i tre figli in Eretz Israel, sarà assunta come tecnico di laboratorio presso l’Istituto di Patologia all’Ospedale Hadassah a Har HaZofim, cadrà assassinata nel convoglio medico attaccato da bande arabe il 14 aprile 1948. Neppure lei, come Nathan, è riuscita ad arrivare fino all’anno duemila. Che il suo ricordo sia di benedizione.

Sara Valentina Di Palma

(13 agosto 2015)

Perché ricordare è un dovere a cui nessuno ha il diritto di sottrarsi.

barbara

LA GERMANIA SAPEVA

E loro che cosa avevano sentito esattamente?
Che gassavano gli ebrei, e anche gli stranieri. Davvero, si sapeva che li gassavano.

Veniva usato proprio questo termine?
Gassare. Sì.

Quando veniste a sapere dai sacerdoti che li gassavano, eravate in casa vostra?
Sì, in casa nostra. Ho già detto che era un punto di ritrovo di cui i nazisti erano al corrente. Sapevano che mio padre continuava a incontrarsi con gruppi di oppositori.

Lo sentì dire personalmente da quei sacerdoti?
Sì. In casa nostra si parlava solo di politica, a pranzo o durante la giornata. Non ricordo che si conversasse di altri argomenti. Crebbi in quel clima. I sacerdoti sapevano che da noi non sarebbero mai stati considerati dei traditori per quello che riferivano.

Ma loro da dove ricavavano le informazioni. Ve lo dicevano?
No, non ce lo dicevano. Le notizie sulle atrocità venivano fuori nel corso della conversazione.

Ne sentì parlare anche durante la guerra, diciamo nel 1942 o nel 1943?
Sì, e con parecchi particolari. Ma quando la cosa iniziò, dopo la Notte dei cristalli, tutti sapevano che sarebbe successo qualcosa di orribile. Forse dire «tutti» è eccessivo, ma certo lo sapevano tutti coloro che noi frequentavamo abitualmente.
La notizia arrivò anche all’università. Frequentavo le lezioni di anatomia del professor August Hirt, che in seguito si trasferì a Strasburgo. Era un uomo repellente. Ci raccontò che andava nei campi di concentramento a prendere i crani degli ebrei per misurarli. Misurare crani era il suo hobby. Quando ne trovava uno che gli interessava, l’ebreo veniva ucciso.

E lo diceva apertamente durante le lezioni?
Lo diceva apertamente durante le lezioni. E tra gli studenti c’erano quelli che lo applaudivano. Pensavano che fosse una cosa eccezionale.

Quando ve ne parlò?
Be’, dunque, io iniziai l’università nel 1940, quindi doveva essere negli anni tra il 1940 e il 1942. Hirt aveva bisogno dei crani e misurarli era il suo hobby. Quindi andava nei campi di concentramento a cercarli, anche tra i vivi. Non diceva che ammazzavano le persone, ma era ovvio che fosse così, in quanto solo i crani dei morti si possono misurare con precisione.

Gli studenti ne parlavano?
Le ragazze poco. Waltrud e io, però, ne parlavamo sia tra noi sia con i nostri amici e con le persone che condividevano le nostre idee politiche.

Ma lei ci credeva?
Sì.
(Testimonianza di Hiltrud Kühnel, pp. 204-205)

Quando lavorava a Saarbrücken nel 1942-1943, aveva idea di che cosa sarebbe successo agli ebrei?
Devo raccontarle un fatto. Durante la guerra i miei genitori furono sfollati a Hameln e io, in un modo o nell’altro, venni a saperlo. Dato che avevo la moto, decisi di andare a trovarli e portai anche una persona con me. Al ritorno passammo per la Turingia e ci fermammo in una città, non ricordo quale, non ci feci caso. Uno strano odore aleggiava nell’aria. «Che cos’è quest’odore?» chiedemmo. «Laggiù c’è un campo di concentramento, bruciano i cadaveri e fanno il sapone con gli ebrei» ci fu risposto.
Nei campi c’erano gli ebrei, ma non solo. C’erano pure i comunisti. Anche nella nostra città sparirono delle persone, alcune delle quali erano malate. Era tutto organizzato dal partito. Era il partito che le faceva sparire.

Intende riferirsi agli handicappati?
Sì, come pure agli epilettici e così via. Quel genere di malati. Sparirono tutti. Era risaputo. Oggi nessuno vuole ammetterlo, ma si sapeva.

Che cosa si sapeva?
Che li mandavano nei campi di concentramento.

Gli ebrei, gli handicappati o entrambi?
Tutti quanti. Gli ebrei venivano arrestati esattamente come gli altri. Sparivano. Vivevo in un centro in cui tutti si conoscevano. C’erano due famiglie di ebrei. All’improvviso scomparvero. Erano svanite nel nulla? Giocavo in una squadra di calcio di cui faceva parte un ebreo. Di mestiere faceva il panettiere. Si era trasferito da una cittadina che si trovava non lontano dalla nostra. Fu denunciato e poi arrestato perché era ebreo. E dove lo mandarono? La gente sapeva anche quello.

Tutti sapevano ma in seguito negarono e dichiararono che non ne sapevano nulla. Si parlava del fatto che gli ebrei venivano sterminati?
Lo si sapeva.

Lo si sentiva dire o lo si vedeva?
Diciamo che non si trattava solo degli ebrei. Anche altri venivano arrestati.

Va bene, ma gli ebrei non venivano solo arrestati, venivano sterminati.
Da noi ci fu un solo caso: un baldo giovane che era stato arruolato nelle Ss e assegnato a un campo di concentramento. Ma non ce la fece e venne fucilato, benché appartenesse alle Ss. E anche questo era risaputo nella nostra città.

Ma si parlava di dove andavano a finire gli ebrei? Molti dicono che nessuno ne parlava.
Mentono.

Lei ha detto che tutti sapevano.
Sì, tutti.

Ma come? Quindi se ne parlava?
Sì, certo. La gente veniva arrestata e mandata nei campi di concentramento. Gli handicappati, i malati…

Ha detto che si sapeva che gli ebrei, cioè le loro ossa, venivano utilizzati per fare il sapone?
Lo si sentiva dire dai soldati che li gassavano.

Dicevano che li gassavano? Dicevano anche questo?
Gassati. Li uccidevano e utilizzavano le ossa per fare il sapone, come se quella gente non valesse niente di più.
(Testimonianza di Ernst Walters, pp. 224-225)

Sebbene questi sopravvissuti siano diversi per età e sesso e siano stati deportati da località diverse e in tempi diversi in ghetti e campi di concentramento diversi, una cosa che quasi tutti hanno in comune è il fatto che la loro deportazione è avvenuta alla luce del sole. […]
Ma che cosa vuol dire esattamente «alla luce del sole»? In questo contesto significa che la loro deportazione è stata effettuata in modo che altre persone potessero assistervi e che la notizia di quanto stava accadendo si è diffusa attraverso il passaparola nel circondario. […]
Lungi dall’essere avvolte nel silenzio, le deportazioni di solito avevano luogo in pieno giorno e sotto gli occhi di un buon numero di comuni cittadini, dal momento che gli ebrei venivano trasferiti a bordo di camion scoperti o erano costretti ad attraversare a piedi le strade principali della città per raggiungere le stazioni ferroviarie dove venivano radunati e spediti alla loro destinazione finale.
(p. 319)

Forse qualcuno di quei tedeschi, di quelle decine di milioni di tedeschi che dopo la guerra hanno accoratamente giurato di non avere mai sospettato l’orribile fine dei propri concittadini ebrei, forse qualcuno dice la verità. Qualcuno. Forse. (E neanche in Italia, del resto, qualcuno poteva far finta di credere che dopo questo gli ebrei fossero destinati a vivere)

Eric A. Johnson – Karl-Heinz Reuband, La Germania sapeva, Mondadori

barbara