UN PO’ DI COSE SU QASSEM SOLEIMANI E DINTORNI

Uno, due, tre quattro: les jeux sont faitsrien ne va plus.
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E dopo le figure, che così si capisce meglio, passiamo alla scrittura.

Un primo pezzo dedicato ai catastrofisti.

Teheran potrebbe pagare a caro prezzo la sua vendetta: dopo Soleimani, nessuno è più intoccabile

A leggere le prime pagine dei giornali italiani il giorno dopo l’uccisione di Qassem Soleimani, la sentenza quasi unanime che ne esce è praticamente uno sola: “Trump è un pazzo che ha portato il mondo sull’orlo della terza guerra mondiale”. Conclusione che fa alquanto sorridere, perché per quanto Trump sia un presidente sui generis, si dimentica che a morire è stato un terrorista, responsabile della morte non solo di centinaia di americani, ma anche di centinaia di occidentali e musulmani, fatti saltare in aria finanziando il peggior terrorismo internazionale (compresi gruppi di estrema destra, gruppi paramilitari latinoamericani dediti al narcotraffico e la stessa al Qaeda).

Detto questo, in attesa di capire quale sarà la vendetta iraniana, la sola conclusione che possiamo trarne è che buona parte dell’Occidente si è bevuta la efficace propaganda iraniana, che è riuscita a dipingere in questi anni Qassem Soleimani come un Che Guevara del XXI secolo, dedito unicamente alla lotta all’Isis e alla liberazione dei popoli oppressi… Una propaganda bevuta non soltanto grazie all’ottimo lavoro dei PR iraniani, ma anche con la complicità di tanti media occidentali, che hanno chiuso gli occhi davanti alla realtà del regime iraniano e alla sua natura terrorista e fondamentalista.

Una propaganda che ha potuto far breccia anche grazie alla folle strategia della precedente amministrazione Usa, quella di Barack Obama. Come noto, Obama puntava a ritirarsi dal Medio Oriente lasciando dietro di sé una specie di “equilibrio del terrore”, nel quale era riservata una parte centrale non solo alla Fratellanza Musulmana, ma soprattutto all’Iran. Per questo, davanti ad un Iran al collasso economico, nel 2011 Obama decise di ritirarsi dall’Iraq – nonostante il “surge” del generale Petraeus stava funzionando ottimamente, recuperando il sostegno degli stessi sunniti – di legittimare il programma nucleare di Teheran e di abbandonare al loro destino gli alleati tradizionali degli Stati Uniti nella regione. Avuta la benedizione americana, l’intero Occidente si adattò, trattando l’Iran come se fosse un El Dorado, coprendo le statue romane per non offendere la sensibilità dei clerici khomeinisti, salvo poi rendersi conto che fare affari con Teheran significava mettersi in casa i Pasdaran…

La stessa morte di Qassem Soleimani ci dice molto di quella che era la percezione dello stesso generale: ucciso davanti all’aeroporto di Baghdad, con un convoglio di scorta praticamente al limite del ridicolo. Segno evidente che – a dispetto delle sanzioni Onu – in Iraq (e non solo) Soleimani si sentiva a casa, pensava di poter entrare ed uscire come voleva, passando per gli aeroporti internazionali, dove persino un pivello dell’intelligence avrebbe potuto individuarlo. Pensava di essere ormai intoccabile. Quella stessa intoccabilità che gli permise di farla franca a Damasco quando venne ucciso Mughniyeh e di alzare il telefono per parlare con Petraeus, dicendogli di essere lui a comandare in Iraq…

Trump ha sovvertito tutto questo, mettendo fine ad uno status quo che durava da decenni. Potrebbe esserci un prezzo da pagare per questo? Ovvio. L’Iran potrebbe infliggere sofferenza ai suoi nemici occidentali? Ovvio, ma sono anche quaranta anni che lo fa, promuovendo terrorismo in ogni dove e passandola sostanzialmente quasi da impunito. Il punto centrale di tutta questa storia però è che ormai l’equazione è cambiata e oltre ai rischi di una “vendetta” iraniana, c’è anche un presidente americano che ha fatto dopo anni qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato, arrivando dove nessuno avrebbe pensato sarebbe potuto arrivare. Dunque, il problema del “giorno dopo” non si pone solamente per la Casa Bianca, ma anche e soprattutto per Teheran.

Colpendo un drone americano in acque internazionali, lanciando un missile contro una raffineria saudita dal suo territorio e attaccando l’ambasciata Usa a Baghdad, l’Iran ha superato la “linea rossa” e Soleimani – il mastermind di questa strategia offensiva – è stato fatto saltare in aria. Se tanto ci dà tanto, qualcuno a Teheran dovrà iniziare a pensare anche cosa potrebbe comportare per l’Iran affrontare le conseguenze di una vendetta che vada oltre le “linee rosse” delineate da Donald Trump. Perché da questo momento in poi, nessuno è più intoccabile…

Dorian Gray, 6 Gen 2020 (qui)

E uno a quelli che sanno sempre tutto, dalla politica internazionale a come fare gol in rovesciata da 800 metri di distanza.

Trump aveva bisogno dell’ok del Congresso per colpire Soleimani? Falso.

Non essere d’accordo con l’attacco ordinato dal Presidente Trump è legittimo, farlo opponendo a questa scelta ragioni che sono false è scorretto oltre che ridicolo.

Uno dei grandi mantra di queste ore è “Trump ha violato la Costituzione ordinando l’attacco senza autorizzazione del Congresso“. Ma è davvero così? Assolutamente no, vediamo perché.

Qual è la prerogativa del Congresso degli Stati Uniti rispetto ai “War Powers”? Il Congresso deve approvare interventi militari che prevedano l’impegno di forze militari per più di 60 giorni (War Powers Act del 1973). Anche in tal caso, il Presidente e il Governo potrebbero comunque rilasciare una “Dichiarazione di Guerra” che secondo il WPA andrebbe anch’essa approvata dal Congresso, ma de facto più Corti di Giustizia negli Stati Uniti hanno sentenziato che se il testo della dichiarazione del Presidente fornisce adeguate motivazioni è costituzionalmente valida la sua dichiarazione senza passare da un voto formale del Congresso sulla Dichiarazione di guerra stessa.

Una situazione di questo tipo avvenne con la guerra in Iraq voluta nel 2003 da George W. Bush. Il Congresso approvò la “October Resolution“, autorizzando un generico utilizzo delle forze armate in Iraq, ma non votò una vera e propria dichiarazione di guerra all’Iraq. Su questa base, un gruppo di civili ed ex-militari provò a fermare Bush portandolo in Tribunale. Con la sentenza Doe vs Bush, la giurisprudenza chiarì la non necessarietà costituzionale di una vera e propria dichiarazione di guerra votata dal Congresso.

È più volte successa la stessa cosa anche con Presidenti democratici: Bill Clinton utilizzò le truppe in Kosovo per 78 giorni senza alcuna autorizzazione del Congresso, Barack Obama fece lo stesso in Libano, limitandosi ad una lettera formale al Congresso dove indicava la necessità dell’azione militare per prevenire un disastro umanitario.

In ogni caso, in questi giorni non c’è stata nessuna azione o dichiarazione di guerra. Ma una risposta militare ad un attacco all’Ambasciata USA di Baghdad. I due colpi effettuati tramite droni negli scorsi giorni a Baghdad, non rientrano quindi in nessuna prerogativa del Congresso. Questo tipo di attacchi, di cui si parla giornalisticamente come “strikes” sono giuridicamente definiti “Military Operations” (War Powers Resolution and the Joint Resolution del 2001) e sono nell’esclusiva disposizione personale del Commander in Chief, ossia del Presidente. Come fu per Barack Obama con la cattura di Osama Bin Laden o di George W. Bush per quella di Saddam Hussein, solo per citare due casi altrettanto famosi. Una delle prerogative costituzionali del Commander in Chief è la difesa della nazione e delle sue forze armate, che può essere esercitata non solo senza l’approvazione del Congresso, ma addirittura senza la notifica. Nel solo 2015, Barack Obama ordinò circa 2800 strikes sganciando 26.171 bombe contro ISIS tra Iraq e Siria, senza una sola autorizzazione del Congresso.

L’anti-Trumpismo di molti media si caratterizza, ancora una volta, per la grande ignoranza rispetto alle tematiche di cui si occupa.

LSEPPILLI, 6 GENNAIO 2020 (qui)

Per passare a due chiacchiere in casa nostra.

Se i politici italiani si rifugiano nell’ipocrisia del pacifismo ecumenico o nell’antiamericanismo

Il contegno dei due principali referenti della crisi innescata dall’attacco americano allo stratega del terrore iraniano Soleimani, Conte e Di Maio, è stato imbarazzante. Quest’ultimo, mentre il mondo si interrogava sulle conseguenze, stava in aeroporto come un turista annoiato qualsiasi; poi ha elargito alcune perle delle sue, sul tenore “vi insegno io come si fa la diplomazia, noi andiamo d’accordo con tutti ma l’America ci fa schifo”. Non di meglio il premier per caso, il Giuseppi che non si pavoneggia più con le strette di mano con Trump, adesso anche lui ostenta un felpato disprezzo per l’America che non si lascia impunemente attaccare nelle sue ambasciate, che ha voltato pagina dopo i languori di Obama (copyright Riccardo Ruggieri) e mantiene quel che promette. Conte, anche lui, palesa una incomprensibile spocchia, pontifica sul valore della pace ossia, tra le righe, accusa gli Usa di irresponsabilità, e infine… si appella all’Europa! Proprio così, ne approfitta per l’ennesima lisciatina alla burocrazia bruxellese, unica, secondo questo ambizioso apprendista, a poter risolvere una crisi globale.

Davvero? Come in Libia, dove di fatto la Ue si è completamente arresa, si è disciolta? Come per il problema della sicurezza interna, per cui, ironicamente, proprio i suoi due maggiori centri di potere, Bruxelles e Strasburgo, sono stati nella notte dell’ultimo dell’anno teatro delle solite escandescenze di migranti, con fuochi, aggressioni, devastazioni, molestie, stupri? Come per il controllo della tratta umana che i cinici e i complici chiamano umanitarismo? “Vi insegniamo noi come si fa la politica internazionale”: l’arroganza naif di Giuseppi & Gigino ha del commovente o dell’irritante, a scelta. Basta non stupirsi se Mike Pompeo non scomoda neanche il tempo di una telefonata rituale: chi chiama, due scappati dal presepe?

Siamo seri: l’Italia conta niente sulla scena globale et pour cause; solo qui i leccaculo di regime possono perdere tempo con i giri di giostra a cavalli, con le convulsioni di uno che lascia la setta a 5 Stelle però vuole restarci però tuona e fulmina però si guarda intorno per vedere se gli danno retta. È il solito cabaret al pesto, mortificante, desolante. Il nostro ministro degli esteri, che nessuno si fila, dovrebbe essere in prima linea per garantire una presenza e invece si incontra col parigrado intellettuale Zingaretti per trescare sulla gestione di un potere tarlato e grottesco. Tra una dichiarazione demenziale e l’altra, quell’altro, il latitante della politica, il Di Battista che subito annuncia un viaggio di sostegno in Iran: sostegno a chi, al popolo decimato dal regime o al regime teocratico?

Questo generale Soleimani viene oggi pianto e rimpianto dalle ali estreme o dai loro eredi, da Fratojanni a Giorgia Meloni e questo deprime ma non sconcerta: come ha scritto precisamente Niram Ferretti sul suo profilo Facebook, da destra e da sinistra finisce sempre per affiorare il pregiudizio antiamericano, la simpatia per chiunque avversi l’America, fosse anche un tiranno, uno stratega del terrore, un generale sanguinario, con motivazioni pelose, strumentali. Fra i tifosi del defunto, ironicamente, anche molte sardine per Liliana, incuranti della voglia di sterminio degli ebrei di Soleimani. Ma pur di riscoprirsi antimperialisti! Non se ne esce, la politica italiana ha la testa girata all’indietro e fatica, anche nei leader giovani, a liberarsi dell’ideologia, dei luoghi comuni e spesso assurdi che l’ideologia contiene. E allora si rifugia nell’ipocrisia del pacifismo ecumenico. È l’eterna Italia che in guerra sta con tutti per non mettersi contro nessuno, che, come ricordava Montanelli, “non ha mai finito una guerra dalla stessa parte in cui l’aveva cominciata”, non può e non sa e non vuole liberarsi da se stessa, dei propri sofismi sciocchi, del proprio opportunismo da furbi, della sua astuzia da coglioni.

In gioco, questioni mastodontiche, non ultimo il mai sopito obiettivo di egemonizzare larga parte del Medio Oriente partendo dal fondamentalismo degli ayatollah, progetto noto come “mezzaluna sciita”. Ma la capetta del metoo, la disagiata Rose McGowan, chiede scusa agli ayatollah a nome del suo movimento e la Repubblica la celebra, sorda al grottesco. Come stupirsi se il dopo Soleimani non contempla quei due salami di Giuseppi & Gigino, se un segretario di Stato americano non si copre di ridicolo telefonando a un ministro degli esteri italiano che non conosce il mappamondo né la fatica di lavorare e prende ordini da un comico in disarmo?

 Max Del Papa7 Gen 2020 (qui)

Adoro quest’uomo, ogni giorno di più. Aggiungo un paio di cose trovate in rete.

Di Claudia Piperno:

Bilancio Trump, politica estera.
1) Ha trovato la “linea rossa” in Siria che Obama ha cercato per 8 anni, piccolo bombardamento e “Assad, statte buono”.
2) Ha smorzato il ciccione coreano, solo con una guerra a chi ha i coglioni più grossi, e senza colpo ferire.
3) Ha impedito al nazismo iraniano di avere l’atomica troppo velocemente, ritirandosi dal catastrofico accordo europico-obamico.
4) Ha favorito il riavvicinamento Emirates-Arabia-Egitto con Israele.
5) Ha soppresso il foraggio Usa e ONU ai mafiosi palestinesi di Hamas
6) Ha ristabilito una verità storica mistificata, e cioè che Gerusalemme è ebrea e capitale di Israele.
7) Ha polverizzato Al Baghdadi e la sua orrida barba bicolore.
8) Dopo l’attacco a una ambasciata USA, invece di far sparare sugli assalitori, ha preferito polverizzare l’ideatore, il Goebbels iraniano.
9) Ha dato un bel ceffone a Macron, che lo prende per il culo come e quando può, ritirandosi dal Kurdistan siriano e lasciandolo solo a gestirsi i ricattucci di Merdogan e tre milioni di migranti alle porte.
10) Ha limitato gli accessi in USA di gente che viene da paesi pericolosi e sta facendo passare una legge che VIETA i finanziamenti esteri (leggi muzz) alle Università americane, che generano solo antisemitismo primario.

C’è ancora chi crede che sia pazzo?

No, mica tutti credono che sia pazzo: molti credono anche che sia terrorista.

Gerardo Verolino

Dopo le parole durissime rilasciate dall’assessore alla pace, Francesca Menna, verso il governo di Washington, si acuiscono i rapporti tra Palazzo San Giacomo e la Casa Bianca. Il sindaco di Napoli e capo della rivoluzione napoletana, temendo un raid da parte dell’amministrazione Trump, e per prepararsi ad un possibile conflitto con gli Stati Uniti, ha predisposto un gabinetto di guerra nella sede comunale. A lui, già capo della flotta marina, va anche il coordinamento delle forze di terra: allertati tutti gli uomini sul campo, dai vigili urbani ai conducenti degli autobus fino ai riservisti, cioè gli spazzini e i dipendenti della Napoli servizi. Ad affiancarlo sarà la signora Eleonora De Majo, nominata aiutante di campo e ministro della guerra. A lei il compito di preparare la strategia contro l’orribile nemico, il Grande Satana imperialista-sionista e predisporre l’utilizzo dei mezzi militari: autobus e camion spazzatrici dell’azienda dei rifiuti, in primis. Possibile anche l’ausilio, ai fini di guerriglia, di bande di baby-gang volontarie, specializzate nella vandalizzazione di autobus e pensiline. Nel caso di invasione di truppe americane verranno approntate trappole lungo il passaggio del nemico : dalla caduta di alberi a quella dei cornicioni. “Se vogliono entrare a Napoli sappiano che qui troveranno il loro Vietnam” ammonisce il capo della rivoluzione. In serata è prevista una riunione straordinaria al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per discutere della crisi in corso tra Napoli e Washingotn, a cui parteciperanno anche l’assessore alla Pace del Comune di Napoli e il Segretario di Stato americano, Pompeo.

E standing ovation anche per Verolino.
E concludo con due parole mie. In Trump ho sempre avuto fiducia. Quando non sapevo niente di lui ho puntato su di lui come unica speranza di salvezza dalla catastrofe rappresentata dalla gang clinton-obamiama, esattamente come – e per lo stesso motivo – pur non conoscendolo abbiamo tutti fatto il tifo per Boris Johnson; ma da quando ho cominciato a vederlo all’opera, la mia fiducia in lui non ha fatto che crescere. Quando, appena eletto, ha manifestato l’intenzione di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, ho detto come tutti “aspettiamo i fatti”. I fatti sono arrivati. Ha ufficialmente riconosciuto Gerusalemme come capitale, altro fatto. Ha proclamato, con una inversione di rotta a 180° rispetto al suo predecessore, la sua indefettibile vicinanza a Israele. Ho continuando a fidarmi di lui (il voto si dà quando il compito, terminato, viene consegnato, non in corso d’opera) quando qualcuno ha avuto l’impressione che fosse passato a sostenere i palestinesi: io sono sempre stata sicura che sapesse quello che faceva e avesse ben chiaro l’obiettivo e il modo migliore per raggiungerlo: non mi ha deluso. Non ho pensato neanche per un momento che fosse impazzito o che si fosse reso responsabile di un criminale voltafaccia quando ha annunciato il riposizionamento in Iraq. Adesso sento parecchi dire ah, finalmente Trump ha fatto una cosa boltoniana, finalmente è tornato quello di prima, finalmente è tornato a mostrare le palle… Balle: Trump ha fatto una cosa trumpiana al 100%, come ha sempre continuato a farle in tutto questo tempo, anche se non tutte le cose che ha fatto sono quelle che avrebbero fatto i cinquanta milioni di commissari tecnici di casa nostra. Imprevedibile, dicono: e da quando in qua l’imprevedibilità, in guerra come a tennis come a scacchi come a poker, è un difetto? È esattamente con quella che ha sempre spiazzato gli avversari e vinto tutte le partite, e non ha mai sbagliato un colpo. Adesso ha ricordato al mondo che, a differenza che con Obama, con lui le linee rosse esistono, e il mondo sicuramente ne terrà conto.

Nel frattempo, mentre da noi le prefiche si strappano i capelli e si graffiano la faccia e fanno salire al cielo i loro alti lai, in Iraq (ma anche in Siria, ho letto), al cielo salgono le grida di incontenibile gioia per la liberazione dall’assassino, con festeggiamenti che dilagano sulle strade.

E a chi rimarca l’incredibile numero di partecipanti al funerale, rivolgo un caldo invito a riflettere su questo:
funerali
E per concludere, un consiglio: se per caso pensate che Soleimani fosse un terrorista, evitate con molta ma molta cura di andarlo a dire in Canada.

barbara

I LIBRI NON SI BRUCIANO

Mai. Per nessun motivo. Non potrei mai bruciare neppure il Mein Kampf, addirittura neppure il Corano. E tuttavia non posso non provare un’immensa ammirazione per questa ragazza e per tutti quelli come lei, che bruciano lo strumento della loro oppressione,
corani bruciati
sapendo che stanno rischiando, e spesso rimettendoci, la vita, perché “quelli” sparano ad altezza d’uomo;
cecchino
sapendo, anche, che da quelle parti una bella pallottola subito è un privilegio che non a tutti è concesso. Alle mie parole aggiungo queste altre, con diverse annotazioni importanti che vale la pena di leggere (e con alcune osservazioni mie inserite nei passi in cui non concordo).

La repressione iraniana che nessuno racconta

di Michael Sfaradi

“Abbasso Rouhani”, “Abbasso Khamenei”, “Abbasso il dittatore”, “Non avremo pace finché non riavremo i nostri diritti e la nostra libertà”. Questo è quello che gli iraniani gridano nelle piazze di oltre 95 città in 21 province di tutta la nazione. E chi come noi, e penso di parlare a nome di tutti coloro che pubblicano su questo sito, crede nella libertà in ogni sua forma, non può esimersi dal raccontare tutto ciò che riesce a filtrare la pesante censura degli Ayatollah. Chi davvero crede nei principi fondamentali della democrazia deve in queste ore sentirsi al fianco dei giovani che nelle piazze iraniane rischiano la vita nella speranza di ottenere ciò che da noi, erroneamente, viene dato per scontato.

Quello che fa rabbia in tutto questo è che i media occidentali continuano inesorabilmente a ignorare o a minimizzare quello che sta succedendo in Iran, continuano a raccontare che la rivolta è dovuta solamente all’aumento del prezzo della benzina ignorando volutamente, e a questo punto è lecito anche pensare che a qualcuno faccia comodo, tutto il malessere di una nazione intera. Perché l’Iran di oggi è una grande bomba a orologeria che può saltare da un momento all’altro, e gli iraniani dettero prova di saper fare le rivoluzioni quando costrinsero lo Scià Mohammad Reza Pahlavi a scappare da Teheran con la coda in mezzo alle gambe [va detto però che la ferocia di Reza Pahlavi non era neppure lontanamente paragonabile a quella degli ayatollah: per questo con lui ci sono riusciti]. Allora seppero fare la rivoluzione ma furono incapaci a gestirla, solo per questo si ritrovarono nel giro di pochi anni, e con molto sangue versato, sotto un tallone d’acciaio della peggiore dittatura possibile, quella religiosa [sicuro che il motivo risieda “solo” per incapacità propria e non, invece, per le armi in possesso ai religiosi e la spietata determinazione a usarle senza risparmio?].

“Preti vendicativi, Napoleon cascò, sapete voi perché? Perché non vi scannò. Già due volte cadeste senza cavarne frutto, v’avverto, un terzo fulmine v’annienterà del tutto”. Questo scriveva Pasquino, la statua parlante, durante il tragico periodo della Roma papalina: altri tempi ma sempre di dittatura religiosa si trattava [però, sinceramente, non so se il paragone ci stia proprio tutto…]. Basta togliere la parola preti e mettere Ayatollah e quel verso antico diventa magicamente contemporaneo. Negli ultimi anni ci sono state altre rivolte della gente esausta, rivolte soffocate nel sangue dai Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, gli invasati poliziotti del regime, la speranza è che un terzo fulmine si abbatta su Teheran, ma non sulla meravigliosa città, ma sulle teste di coloro che, come nei tempi bui della storia, tengono schiava la gente per bene in nome di un Dio che non ha dato mai a nessuno il mandato per uccidere o reprimere.

Internet in Iran è sempre stato sotto stretta censura, da giorni però è completamente staccato e questo dato è una delle tante cartine tornasole di una situazione tesa e difficile: non erano mai arrivati a tanto. Tutto questo mentre i leader della dissidenza, rivolgendosi in particolare ai giovani che hanno diritto a vivere la loro vita nella libertà vera e non come il regime decide per loro, stanno esortando il popolo a non cedere. Hanno ribadito che fino a quando il regime corrotto, medievale [forse dovremmo smetterla di usare un periodo ricchissimo di fermenti culturali e artistici come emblema del peggiore oscurantismo e della più bieca ferocia] e non più accettabile nel mondo moderno rimarrà al potere, la povertà, i prezzi elevati, la disoccupazione, la corruzione, la repressione e tutte le discriminazioni che giornalmente vengono imposte al popolo indifeso non cesseranno. Hanno inoltre ricordato la questione mai chiusa del più crudele esempio delle violazioni dei diritti umani, consumato davanti agli occhi di un occidente impotente allora come lo è oggi, quando durante il massacro del 1988 circa 30.000 prigionieri politici furono fucilati senza alcun processo.

Persone torturate e uccise proprio da coloro che poi diventarono i leader dell’attuale regime che, con una faccia tosta da guinness dei primati, continuano a difendere a spada tratta il crimine commesso. Ad oggi nei loro confronti non è stata mai aperta nessuna inchiesta e anche il tribunale dell’Aja, sempre pronto a perseguire i facili bersagli, non ha mai preso posizione su quello che accadde allora e che accade ancora oggi, anche nel momento in cui vi scrivo, nell’ex regno del Pavone. Ma per onore del giusto non possiamo denunciare il regime iraniano senza mettere davanti alle proprie responsabilità chi in questi anni è stato complice dello stesso, come ad esempio l’amministrazione Obama a cominciare dal Presidente e dalla sua segretaria di Stato Hillary Clinton che, aprendo il tavolo di trattativa sul nucleare, tolsero di fatto le sanzioni e spalancarono le porte agli affaristi da tutto il mondo che, fregandosene della situazione, hanno rinforzato un regime che da quasi quaranta anni fa vivere un popolo intero nell’oppressione.

Impossibile dimenticare le fotografie del Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif sul balcone dell’Hotel a Ginevra che, ridendo come al varietà, faceva vedere ai giornalisti appostati i fogli dell’accordo come fosse stata carta igienica in procinto di essere usata. Non possiamo ignorare che l’Europa, sia come Unione Europea che come singoli Stati, con le due ultime lady Pesc Catherine Margaret Ashton, baronessa Ashton di Uphollandin e Federica Mogherini che, come delle brave Dhimmi sottomesse, sono sempre state più impegnate a trovare il velo da mettersi in testa in tinta con le scarpe e la borsetta che non a capire che le donne iraniane avrebbero fatto di tutto per bruciarli quei veli. Ma alle due Lady Pesc in nome e nell’interesse di qualcuno o di qualcosa che con l’Europa libera e democratica dei Padri Fondatori non ha nulla a che vedere, hanno sempre portato avanti una politica ambigua nella ricerca di tutti i modi possibili per aggirare le sanzioni americane anche prima dell’avvento alla Casa Bianca del premio Nobel per la pace, l’inventore delle primavere, pardon, degli autunni arabi che nel caso dell’Iran, che nazione araba non è, si sono trasformati in Inverni sciiti.

Anche la “grande stampa” ha le sue responsabilità ed ha sporcato sia l’etica dell’informazione che il dovere nei confronti dei lettori, ogni volta che ha evitato di affrontare l’argomento Iran o, quando lo ha fatto, lo ha minimizzato. Per non parlare poi della politica internazionale che non ha mai risposto alle richieste di aiuto che arrivano dai giovani iraniani o del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che non si è mai azzardato a riunirsi per discutere un argomento come i diritti umani in Iran neanche fosse un dogma divino da accettare per come è scritto, un dogma che non doveva mai essere discusso. Neppure quando le fotografie di centinaia di impiccati che penzolavano dalle gru facevano il giro del mondo, come se nelle commissioni anziché i più importanti politici internazionali ci fossero state le tre scimmiette che non vedono, non parlano e neanche sentono.

In conclusione, visto che al ridicolo non c’è mai fine, secondo alcune fonti l’Italia e l’Iran stanno lavorando a un incontro tra i rispettivi Ministri degli Esteri, Luigi Di Maio e Mohammad Javad Zarif. Sembrerebbe che il governo italiano, come se non avesse altri problemi interni urgenti e gravi da affrontare, invece di condannare e prendere iniziative contro la repressione in atto voglia invece diventare negoziatore tra Iran e Stati Uniti. Se questo risultasse vero rimarrebbe come una macchia sulla coscienza della nazione intera, una macchia difficile da dimenticare e impossibile da perdonare. (qui)

Può essere forse di qualche conforto ricordare che le donne iraniane sono state, come ho mostrato qui, quelle che contro l’oppressione khomeninista hanno lottato fino all’ultimo:

forse, chissà, saranno di nuovo loro a riportare la luce dopo la lunga tenebra.

barbara

EUROPA: LA RAPIDA ESPANSIONE DELLA DHIMMITUDINE

di Judith Bergman

  • Uno degli aspetti più preoccupanti di questa dhimmitudine che si sta espandendo rapidamente è l’applicazione de facto delle leggi islamiche sulla blasfemia. Le autorità locali europee utilizzano i “discorsi di incitamento all’odio” per impedire qualsiasi giudizio critico nei confronti dell’Islam, anche se l’Islam rappresenta una idea, non una nazionalità né un’appartenenza etnica. Lo scopo convenzionale della maggior parte delle leggi contro i discorsi di odio è quello di proteggere le persone dall’odio e non dalle idee.
  • Il Foreign Office britannico, che sembra ignorare la disperata lotta delle donne iraniane per la libertà e che è rimasto vergognosamente in silenzio durante le recenti proteste popolari contro il regime iraniano, ha distribuito sorprendentemente alle sue dipendenti il velo islamico invitandole a indossarlo. E questo mentre almeno 29 donne iraniane sono state arrestate per aver contestato l’uso dell’hijab, e probabilmente sono state sottoposte a stupri e ad altre torture, come avviene nelle carceri iraniane. Ciononostante, le parlamentari britanniche e lo staff del Foreign Office hanno celebrato iniquamente il velo come una sorta di strumento contorto di “empowerment femminile”.
  • Le misure contro il jihad sono state ostacolate dai leader occidentali ovunque subito dopo l’11 settembre. Il presidente George W. Bush ha dichiarato che “l’Islam è pace”. Il presidente Obama ha rimosso ogni riferimento all’Islam nei manuali di addestramento dell’FBI che i musulmani consideravano offensivi. L’attuale leadership di New York City ha ammonito i newyorkesi, subito dopo l’attacco a Manhattan dell’ottobre 2017, a non collegare l’attentato terroristico all’Islam. La premier britannica Theresa May ha affermato che l’Islam è una “religione di pace”.

Sebbene l’Europa non faccia parte del mondo musulmano, molte autorità europee sembrano tuttavia sentirsi obbligate a sottomettersi all’Islam in modi più o meno sottili. Questa sottomissione volontaria sembra essere senza precedenti: storicamente parlando, dhimmi è un termine arabo che designa un non musulmano conquistato, il quale accetta di vivere come un cittadino “tollerato” di seconda classe, sotto il dominio islamico, sottomettendosi a un insieme di leggi speciali e umilianti e di richieste degradanti da parte dei suoi padroni islamici.
In Europa, la sottomissione alle richieste dell’Islam, nel nome della “diversità” e dei “diritti umani”, avviene volontariamente. Ovviamente, questa sottomissione all’Islam è molto paradossale, poiché i concetti occidentali di “diversità” e di “diritti umani” non esistono nei testi fondanti dell’Islam. Al contrario, questi testi stigmatizzano nei termini più forti e suprematisti coloro che rifiutano di sottomettersi al concetto islamico della divinità, Allah, come infedeli che devono convertirsi, pagare la jiziya – la tassa sulla “protezione” – o morire.
Uno degli aspetti più preoccupanti di questa dhimmitudine che si sta espandendo rapidamente è l’applicazione de facto delle leggi islamiche sulla blasfemia. Le autorità locali europee utilizzano i “discorsi di incitamento all’odio” per impedire qualsiasi giudizio critico nei confronti dell’Islam, anche se l’Islam rappresenta una idea, non una nazionalità né un’appartenenza etnica. Lo scopo convenzionale della maggior parte delle leggi contro i discorsi di odio è quello di proteggere le persone dall’odio e non dalle idee. Sembrerebbe quindi che le autorità europee non abbiano alcun obbligo giuridico di perseguire le persone per le critiche mosse all’Islam, soprattutto perché la legge islamica della Sharia non è parte integrante della normativa europea. Ma lo fanno fin troppo volentieri.
L’esempio più recente di questo tipo di dhimmitudine arriva dalla Svezia, dove un pensionato è stato condannato per aver definito l’Islam su Facebook una ideologia “fascista”. La disposizione di legge in base alla quale l’uomo è stato accusato, (Brottsbalken [Codice Penale] capitolo 16, § 8,1 ), parla esplicitamente di “incitamento” (testualmente in svedese: “hets mot folkgrupp”) contro gruppi di persone per la loro “razza, colore della pelle, nazionalità, origine etnica, fede o preferenza sessuale”. Tuttavia, la disposizione legislativa non criminalizza le critiche alla religione, all’ideologia o alle idee, perché le democrazie occidentali, quando erano vere democrazie, non criminalizzavano il libero scambio delle idee.
La dhimmitudine in Europa si manifesta anche in molti altri modi. In occasione della giornata mondiale dell’hijab, un evento annuale che si svolge a febbraio, istituita nel 2013 da Nazma Khan – la quale è originaria del Bangladesh e immigrata negli Stati Uniti – “per combattere ogni forma di discriminazione contro le donne musulmane attraverso la sensibilizzazione e l’istruzione”, molte parlamentari britanniche hanno deciso di indossare l’hijab. Tra queste c’erano Anne McLaughlin, la laburista Dawn Butler – ex ministra ombra per le Donne e le Pari opportunità – e Naseem Shah. Inoltre, il Foreign Office britannico, che sembra ignorare la disperata lotta delle donne iraniane per la libertà e che è rimasto relativamente in silenzio durante le recenti proteste popolari contro il regime iraniano, [1] ha distribuito sorprendentemente alle sue dipendenti il velo islamico invitandole a indossarlo. Secondo l’Evening Standard, una e-mail interna inviata allo staff diceva:
“Ti piacerebbe provare a indossare un hijab o capire perché le donne musulmane indossano il velo? Partecipa al nostro evento. Velo gratis per tutte quelle che decidono di indossarlo per tutto il giorno o parte della giornata. Le donne musulmane, insieme alle credenti di molte altre religioni, scelgono di portare l’hijab. Molte vi trovano liberazione, rispetto e sicurezza. #StrongInHijab. Join us for #WorldHijabDay”.
E questo mentre almeno 29 donne iraniane sono state arrestate per aver contestato l’uso dell’hijab, e probabilmente sono state sottoposte a stupri e ad altre torture, come avviene nelle carceri iraniane. Ciononostante, le parlamentari britanniche e lo staff del Foreign Office hanno celebrato iniquamente il velo come una sorta di strumento contorto di “empowerment femminile”.
L’episodio sopra citato non sorprende affatto: la Gran Bretagna è piena di alcuni degli esempi più sconcertanti di dhimmitudine. Gli stupri di massa di minori perpetrati in molte città inglesi da parte di bande musulmane vanno avanti da anni e le autorità ne sono a conoscenza, ma non mettono fine a questi crimini per paura di apparire “razzisti” o “islamofobi”.
La dhimmitudine emerge chiaramente anche negli sforzi compiuti dalle autorità britanniche per scusare o spiegare le consuetudini praticate dalle comunità musulmane britanniche. Il comandante della polizia Ivan Balchatchet, responsabile della lotta contro i crimini d’onore, le mutilazioni genitali femminili (MGF) e i matrimoni forzati, ha scritto di recente una lettera in cui afferma che il motivo per il quale non è stata ancora inflitta alcuna condanna nei confronti di coloro che praticano le MGF (che sono state dichiarate illegali nel 1985), nonostante si stimi che in Inghilterra e nel Galles 137 mila donne e ragazze hanno subito tali mutilazioni, è che il reato ha “numerose sfumature”. Balchatchet si è in seguito scusato per questa dichiarazione:
“Mi scuso per questa lettera (…) Le MGF sono l’orribile abuso di bambine. È inaccettabile che non ci siano stati casi perseguiti con successo. Occorre collaborazione, è qualcosa che deve cambiare”.
Allo stesso modo, secondo dati recenti, centinaia di casi di violenze “d’onore” e di matrimoni forzati che avvengono a Londra restano impuniti. Le cifre mostrano che tra il 2015 e il 2017, la polizia ha registrato 759 crimini “d’onore” e 256 matrimoni forzati solo nella capitale britannica – ma soltanto 138 persone sono finite sotto processo. Diana Nammi, direttrice esecutiva della Iranian & Kurdish Women’s Rights Organisation, che offre rifugio alle vittime, ha dichiarato:
“Ciò che rende il fenomeno così allarmante è che le cifre ottenute grazie alla trasparenza nella pubblica amministrazione mostrano che, allo stesso tempo, dal momento che i matrimoni forzati sono penalmente punibili dal 2014, molte più persone in pericolo chiedono aiuto”.
La dhimmitudine peraltro non porta “solo” a perpetrare diffusamente stupri su minori, mutilazioni genitali femminili e delitti “d’onore” davanti agli occhi deliberatamente ciechi delle autorità nazionali, ma anche a ostacolare gli sforzi antiterrorismo. In una recente intervista alla televisione di stato svedese Svt, Peder Hyllengren, un ricercatore dello Swedish Defense College, ha dichiarato:
“Diversamente da altri paesi europei, si rischia di essere considerati razzisti. Qui, tale questione è controversa quanto l’importanza che assume la lotta contro il nazismo e l’estremismo di destra. Ma in Svezia ci è voluto molto tempo prima di ammettere che parlare di jihadismo è come parlare di nazismo”.
Hyllengren è troppo severo con la Svezia: le misure contro il jihad sono state ostacolate dai leader occidentali ovunque subito dopo l’11 settembre, quando il presidente George W. Bush dichiarò che “l’Islam è pace”. Il presidente Obama ha rimosso ogni riferimento all’Islam nei manuali di addestramento dell’FBI che i musulmani consideravano offensivi. La premier britannica Theresa May ha affermato che l’Islam è una “religione di pace”. L’attuale leadership di New York City ha ammonito i newyorkesi, subito dopo l’attacco a Manhattan dell’ottobre 2017, a non collegare l’attentato terroristico all’Islam.
Più recentemente, Max Hill, un avvocato della Corona incaricato dal Parlamento britannico di guidare una commissione indipendente per la revisione delle leggi anti-terrorismo, ha affermato che è fondamentalmente “sbagliato” usare l’espressione “terrorismo islamista” per descrivere gli attacchi compiuti in Gran Bretagna e altrove. Secondo quanto riferito dall’Evening Standard, Max Hill ha detto che la parola terrorismo non dovrebbe essere collegata a “nessuna delle religioni del mondo”, piuttosto dovrebbe essere usata l’espressione “terrorismo ispirato dal Daesh”. L’anno scorso, Max Hill aveva opinato che alcuni jihadisti di ritorno dalla Siria e dell’Iraq avrebbero dovuto sottrarsi a qualsiasi azione giudiziaria perché “ingenui”.
In Germania, la dhimmitudine ora è un fenomeno talmente profondo che di recente il ministro della Famiglia ha affermato che le aggressioni sessuali da parte dei migranti musulmani potrebbero essere evitate invitando nel paese le madri e le sorelle degli immigrati islamici già arrivati in Germania. Questa è stata la risposta del ministro tedesco a una interrogazione presentata al Bundestag in merito a quali “concrete misure educative e di prevenzione del pericolo” il suo ministero stava pianificando per “proteggere e informare a lungo termine le donne e le ragazze degli attacchi fisici e sessuali potenzialmente fatali aumentati in misura sproporzionata e perpetrati dal 2015” da parte dei migranti. Ecco la patetica risposta del ministro:
“…Da un lato ciò riguarda gli alloggi in cui vivono i giovani rifugiati non accompagnati. E ovviamente (…) sì (…) anche la cultura maschilista dalla quale essi spesso provengono. (…) Nei loro paesi di provenienza, tale cultura non è tenuta nascosta e si tenta di parlarne, e ovviamente di influenzarli, è abbastanza ovvio. (…) Abbiamo qui la relazione di un esperto, il professor Pfeiffer, il quale fornisce dei punti di partenza molto precisi (…) noi dobbiamo lavorare con i giovani e sappiamo che i ricongiungimenti familiari sono importanti (…) lui [il professore] dice che la stessa cosa vale per i giovani uomini autoctoni e per quelli provenienti da altri paesi, sono più facili da gestire se hanno vicino a loro le madri e le sorelle”.
L’Europa è piena di altri esempi recenti di dhimmitudine, offerti da innumerevoli attori statali e commerciali. C’è stata la rimozione di un crocifisso da parte in un giudice tedesco che presiedeva un processo a carico di un afgano accusato di aver minacciato un altro musulmano che voleva convertirsi al Cristianesimo; il brand di abbigliamento H&M ha ritirato dei calzini dal mercato la cui stampa ricorderebbe la parola “Allah” scritta in arabo capovolta, dopo alcune lamentele da parte di musulmani; un tribunale francese ha fatto cadere le accuse di istigazione all’odio a carico di un sospetto omicida musulmano, che aveva confessato di aver ucciso la sua vicina di casa ebrea, una donna di 66 anni da lui torturata prima di essere defenestrata al grido di “Allahu Akbar”. Secondo quanto riferito, due anni prima dell’omicidio, l’uomo aveva chiamato “sporca ebrea” la figlia della vittima.
E la lista è lunga. Sheikh Yusuf Qaradawi, il leader spirituale dei Fratelli Musulmani, che ha affermato che l’Europa sarà conquistata non con la spada, ma con la dawa*, probabilmente non potrebbe essere più felice. L’Europa si genuflette per esaudire il suo desiderio.

[1] Il segretario agli Esteri Boris Johnson si è limitato a dire:
“…ci dovrebbe essere un dibattito significativo sulle questioni legittime e importanti, che i manifestanti stanno sollevando e speriamo che le autorità iraniane lo permettano. (…) Le persone dovrebbero essere in grado di avere la libertà di espressione e di manifestare pacificamente nel rispetto della legge. (…) Noi (…) chiediamo a tutti gli interessati di astenersi dalla violenza e di osservare gli obblighi internazionali sui diritti umani”.

(Gatestone Institute, 7 aprile 2018 – trad. Angelita La Spada)

* Seguirà prossimamente post esplicativo

Ne ho scelto uno, che denuncia una situazione che si va facendo via via più insostenibile – come del resto ho ripetutamente documentato con testimonianze e video – mostrando alcuni esempi, ma se ne potrebbero fare mille altri. Poi, con governi e sinistre che condannano all’ostracismo, quando non peggio, non solo chi grida al lupo ma anche chi si permette educatamente di dire scusate, mi è semblato di vedele un lupo, o che provvede a informare che il lupo si nutre abitualmente di carne, meravigliamoci che la gente si butta a destra. (I sistemi proposti dalle destre per risolvere o almeno arginare il problema non vi piacciono? Benissimo: alzate le chiappe e trovate voi qualcosa di meglio, invece di scaldare i cuscini delle vostre poltrone coi vostri nobili deretani e blaterare a vanvera)

barbara

AGGIORNAMENTO
Il settimanale francese Le Point è stato a Molenbeek, Bruxelles, a incontrare i fondatori di un partito islamico il cui nome è l’acronimo di Integrità, Solidarietà, Libertà, Autenticità, Moralità. Detto così sembrerebbe il programma di molti partiti italiani. Ma questo – che alle ultime municipali ha preso il 4 per cento – propone la sharia (legge di Allah) in una indefinita forma occidentale che prevede bus separati per uomini e donne (in rimedio alle molestie), la proibizione del consumo degli alcolici, il velo per le donne ammesso in tutti i luoghi pubblici, la reintroduzione della pena di morte. Il resto verrà, secondo i proclami, ma tanto basta per porre la democrazia di fronte al suo eterno dilemma: fino a quale punto la tolleranza può accettare partiti che negano le basi della tolleranza? Fino a quale punto può estendere la libertà di opinione, con la prospettiva che evolva in azione liberticida? Il partito islamico spaventa perché è un nemico che viene da fuori, mentre riteniamo di avere gli anticorpi per combattere i nemici interni, individuati solamente negli eredi delle tradizioni totalitarie del Novecento. Ed è un errore gravissimo. Anche i nostri partiti, quasi tutti, si ripromettono apertamente di indebolire i capisaldi della democrazia occidentale, dalla presunzione di innocenza alla libertà di mandato (cioè la libertà dei parlamentari di dissentire dal capo), e lo fanno in un tripudio di elettori interessati a sistemare le cose nei modi più bruschi. Ecco, se il nemico esterno vincerà, sarà perché avrà già vinto il nemico interno.
Mattia Feltri, La Stampa

UN MINUTO DI SILENZIO

Quello che è stato chiesto al Comitato Olimpico per ricordare, nel quarantesimo anniversario, la strage degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco, e il comitato ha detto no. È stata allora organizzata una raccolta di firme per presentare una petizione. Io ho firmato – e fatto firmare gli amici della mia mailing list – e oggi mi è arrivata una risposta:

Hey Barbara,
We are almost at our goal of attaining 80,011 by the end of June! Please send the petition link out again to all your colleagues to help us surpass our goal.

Come sempre, quando c’è da impegnarsi per una buona causa, io rispondo: obbedisco! Vi propongo quindi innanzitutto il testo della petizione:

Tell the International Olympic Committee: 40 Years is Enough!

At the 1972 Munich Olympic Games, eleven members of the Israeli team were murdered. For forty years their families have asked the International Olympic Committee to observe a minute of silence, in their memory. Please help us by signing our petition.
I am the wife of Andrei Spitzer. My husband was killed at those Olympic Games in 1972.
I am asking for one minute of silence for the memory of the eleven Israeli athletes, coaches and referees murdered at the 1972 summer Olympics in Munich. Just one minute — at the 2012 London Summer Olympics and at every Olympic Game, to promote peace.
These men were sons; fathers; uncles; brothers; friends; teammates; athletes. They came to Munich in 1972 to play as athletes in the Olympics; they came in peace and went home in coffins, killed in the Olympic Village and during hostage negotiations.
The families of the Munich 11 have worked for four decades to obtain recognition of the Munich massacre from the International Olympic Committee. We have requested a minute of silence during the opening ceremonies of the Olympics starting with the ’76 Montreal Games. Repeatedly, these requests have been turned down. The 11 murdered athletes were members of the Olympic family; we feel they should be remembered within the framework of the Olympic Games.
We are asking again to be heard in time for the 2012 London Summer Olympics. In 2010 JCC Rockland, New York contacted me and offered their help and made it their mission for their 2012 JCC Maccabi Games to honor the Munich 11 through multiple events as well as spearheading this petition.
Silence is a fitting tribute for athletes who lost their lives on the Olympic stage. Silence contains no statements, assumptions or beliefs and requires no understanding of language to interpret.
I have no political or religious agenda. Just the hope that my husband and the other men who went to the Olympics in peace, friendship and sportsmanship are given what they deserve. One minute of silence will clearly say to the world that what happened in 1972 can never happen again. Please do not let history repeat itself.
For my husband Andrei and the others killed, we must remember the doctrine of the Olympic Spirit, “to build a peaceful and better world which requires mutual understanding with a spirit of friendship, solidarity and fair play,”  is more powerful than politics.

40 years is long enough to wait.

Go to www.munich11.org to learn more about how the JCC Rockland, in New York took up our fight to remedy injustice with the support & gratitude of the families of the Munich 11 and to learn the history of a day we should never forget.

Thank you,  Ankie Spitzer and JCC Rockland.

E poi il link al quale chi ancora non l’avesse fatto può andare a firmare:

http://www.change.org/oneminute?utm_source=supporter_message&utm_medium=email

Anche se, devo dire, qualunque cosa decida il comitato Olimpico, non so se avranno il coraggio di farlo in questa Inghilterra qui:

barbara