METTIAMOCELO BENE IN TESTA: SONO ANTISIONISTI, NON ANTISEMITI!

Bombardiamo, bombardiamo Tel Aviv”

Rabbini aggrediti, monumenti alla Shoah profanati, parole di morte contro gli ebrei in Europa

di Giulio Meotti

ROMA – Domenica, mentre dal Canada arrivava il video di un ebreo picchiato da manifestanti filopalestinesi, un rabbino veniva aggredito a Londra. La sinagoga ortodossa di Chigwell, fuori dalla capitale, ha fatto sapere che il rabbino Rafi Goodwin è stato colpito alla testa e agli occhi mentre gli urlavano slogan antisemiti. Intanto un convoglio di auto con bandiere palestinesi e megafoni appariva nelle aree ebraiche del nord di Londra, la strada che attraversa Hampstead e Golders Green. Nel video gli abitanti si sentono ansimare di paura mentre per strada gridano “F**k gli ebrei, violentate le loro figlie”. In risposta al convoglio, il premier Boris Johnson ha detto: “Non c’è posto per l’antisemitismo nella nostra società”. E mentre la sinagoga Adat Yeshua a Norwich veniva profanata e un ufficiale della sicurezza ebraica di Londra suggeriva che gli ebrei non dovessero andare da soli alla sinagoga, la polizia doveva impedire ai manifestanti di raggiungere l’ambasciata israeliana, punto di arrivo di una marcia iniziata a Hyde Park e che gli organizzatori dicono abbia visto la partecipazione di 100 mila persone. C’era anche un enorme manichino raffigurante Israele come un ebreo degno di Der Stürmer, completo di naso adunco, lineamenti sinistri e corna. Si è marciato al grido di “Khaybar, khaybar ya yahud, jaish Muhammad saya’ud”.
La traduzione è “Khaybar, Khaybar, o ebrei, l’armata di Maometto ritornerà”. Khaybar è il nome dell’oasi abitata da ebrei che Maometto conquistò nel 628. Il luogo ha assunto un significato leggendario nella prospettiva islamista di una sottomissione finale e violenta degli ebrei.
Lo stesso grido usato da Hamas nella sua guerra contro Israele oggi risuona da Bruxelles a Vienna. Ad Amsterdam il motto della manifestazione, condannata dal premier Mark Rutte, è stato “dal mare al fiume, la Palestina sarà liberata”, evoluzione del vecchio “gettare gli ebrei in mare” che equivale alla distruzione di Israele.
A Stoccolma cori per “schiacciare il sionismo”. A Parigi, dove le autorità hanno vietato le manifestazioni per non veder ripetere le scene del 2014 con gli assalti alle sinagoghe (la peggior ondata di antisemitismo dalla Seconda guerra mondiale), manifestanti hanno marciato sopra le bandiere israeliane, come si fa in Iran.
Un reporter del quotidiano berlinese B.Z. ha seguìto la manifestazione nella capitale tedesca. “Ho sentito una canzone terribile ma purtroppo molto popolare nel mondo arabo: ‘Udrub Udrub Tal Abib’ (bombardiamo, bombardiamo Tel Aviv)”. Uno striscione chiedeva una “Palestina libera dal fiume Giordano al Mediterraneo”, senza Israele.
“Molti immigrati musulmani e un milieu di sinistra condividono la convinzione che gli israeliani in qualche modo meritino gli attacchi missilistici”, ha scritto sulla Welt Jacques Schuster, capo degli editorialisti del celebre quotidiano tedesco. “A una folla urlante è permesso di salire sulle barricate di fronte alle sinagoghe, esplodere di odio per gli ebrei, bruciare le stelle di David e tutto questo senza conseguenze”. Bandiere algerine, palestinesi e turche e duecento manifestanti davanti alla sinagoga di Gelsenkirchen al grido di “ebrei di merda”. Una bandiera israeliana issata sul municipio della città di Solingen è stata data alle fiamme, riferisce la Bild, con Tim Kurzbach, socialdemocratico e sindaco di Solingen, che parla di “atto vergognoso”. La città di Hagen alla fine ha rimosso la bandiera israeliana per non offendere parte della popolazione. A Berlino, una bandiera israeliana rubata dall’ufficio della Cdu della cancelliera Angela Merkel. Manifestanti hanno dato alle fiamme il memoriale della Grande sinagoga di Düsseldorf, distrutta dai nazisti nel 1938 durante la “Notte dei cristalli”. Un’altra bandiera israeliana bruciata a Münster fuori da una sinagoga.
L’ex premier francese e socialista Manuel Valls domenica ha detto che c’è una parte della sinistra filo Hamas, mentre a Milano abbiamo sentito in piazza Duomo “Allahu Akbar”. “Questo incontro tra islamismo radicale ed estrema sinistra è potenzialmente esplosivo”, ha detto ieri in televisione Bernard-Henri Lévy. Nessun cittadino di colore è inseguito per le strade di Londra e picchiato. Gli ebrei sì. Ma sono invisibili alla doppia morale dell’antirazzismo che, in nome della Palestina, flirta con l’antisemitismo. Surreale, si rifiutano di condividere una piattaforma con le femministe che pensano che il sesso biologico sia reale, ma marciano assieme a chi invoca l’uccisione degli ebrei.
Il Foglio, 18 maggio 2021)

Capito? Antisionisti, solo antisionisti, nient’altro che antisionisti, e non azzardatevi a insinuare che siano antisemiti.
Ora un’analisi della situazione e un interessante suggerimento.

Issacharoff: “Sul fuoco da Gaza ci vuole tolleranza zero o scoppierà un nuovo conflitto”

di Sharon Nizza

TEL AVIV — Israele è nel pieno di una “Fauda” su tutti i fronti. Ne parliamo con Avi Issacharoff, coautore della serie israeliana di successo, giornalista di punta sulle questioni palestinesi prima per Haaretz e oggi per Walla!

– Issacharoff, come siamo arrivati a questa situazione?
«Hamas ha iniziato questo conflitto lanciando sei razzi su Gerusalemme per stabilire una nuova equazione che va inquadrata nell’ambito degli interessi interni palestinesi. Nel momento in cui Abu Mazen ha annullato le elezioni, precludendo ad Hamas la possibilità di rilegittimarsi in Cisgiordania, Hamas ha intrapreso un’operazione ambiziosa per presentarsi come il vero padrone di casa in Cisgiordania, a Gerusalemme e persino tra gli arabi israeliani. Gli è riuscito solo in parte, ma ha dimostrando che ha il potenziale per farlo e questa è la sua vittoria strategica».

– Che cosa si aspetta succeda?
«Credo che si andrà verso una tregua a stretto giro. A Israele non rimangono molte opzioni: la maggior parte degli obiettivi operativi sono stati raggiunti, ha inferto alcuni duri colpi a Hamas, ma la vittoria rimane sul livello tattico e nel frattempo pagano il prezzo i civili».

– Netanyahu dice che durerà a lungo.
«Senza farne cospirazioni, in un certo senso c’è una coalizione informale tra Netanyahu e Hamas: si salvano a vicenda. I missili di Hamas hanno congelato i negoziati politici israeliani, mentre Netanyahu negli ultimi 12 anni ha lasciato che Hamas si rafforzasse militarmente, permettendo che producesse missili non stop, facendo entrare i milioni dal Qatar, concedendo agevolazioni umanitarie ed economiche che sperava avrebbero comprato la quiete. Allo stesso tempo indebolendo Abu Mazen, che non è detto potrà o avrà l’interesse di mantenere l’ordine ancora per molto in Cisgiordania. Se l’operazione a Gaza si dovesse prolungare, c’è il rischio di una nuova intifada».

– Le immagini di interi palazzi distrutti, compresi sedi di media, e il coinvolgimento di vittime civili, giustificano il colpo che Israele vuole infliggere a Hamas?
«Nella mia valutazione, tutto è dettato dal modus operandi di Hamas: se lanci razzi da una zona abitata, vuoi che Israele reagisca colpendo innocenti e fare sì che tutti condannino gli israeliani. Ma Israele ha il dovere di agire contro le rampe di lancio, i tunnel e i terroristi. Immaginiamo che un’organizzazione da un territorio limitrofo lanci razzi su Roma, qualcuno si porrebbe domande su come reagire? Stiamo parlando di un’organizzazione terroristica che sfrutta la propria popolazione nella maniera più cinica possibile: perché Hamas se ne sta sottoterra mentre i civili non sanno dove andare? Pochi giorni fa il ministero degli Interni di Hamas a Gaza ha mandato un sms a tutti i cittadini avvertendo di non pubblicare video di lanci di razzi. Gli interessa che non venga svelato dove sono i lanciarazzi, perché sanno bene che sparano da quartieri densamente popolati».

– Che cosa deve succedere perché le cose cambino?
«Israele deve cambiare la sua politica: significa contemplare anche mosse offensive nei momenti di apparente tranquillità, appena parte un solo razzo. Zero tolleranza verso l’arricchimento dell’arsenale di Hamas. O ci ritroveremo in un nuovo scontro a breve».
(la Repubblica, 17 maggio 2021)

Ripesco un vecchissimo articolo, inviatomi all’epoca dall’amico Toni (dove sei, grande Toni?)

Ma cosa dovrebbe fare Israele per difendersi?                     

Da un articolo di Evelyn Gordon su Jerusalem Post, 20 febbraio 2001                                                              

Esiste una qualunque misura che Israele potrebbe adottare per difendere la propria popolazione dagli attacchi palestinesi e che sia considerata legittima da governi e osservatori occidentali?   
Nel corso degli ultimi mesi, di fonte alla vera e propria guerra di attrito che i palestinesi hanno scatenato in risposta a offerte negoziali senza precedenti, Israele ha tentato tutta una serie di tattiche diverse che sono state invariabilmente condannate, anche in Europa e negli Stati Uniti.         
All’inizio il governo israeliano adottò la tattica più semplice di tutte: disse semplicemente ai suoi soldati di rispondere al fuoco quando erano presi di mira. Ma, dal momento che i miliziani palestinesi adottarono sistematicamente la pratica di sparare dal bel mezzo di folle di civili più o meno aggressive, questa       tattica si tradusse in un alto numero di vittime tra la popolazione, e non solo tra i miliziani armati. Ne seguì una condanna universale della “ferocia” d’Israele, con una sorta di invito implicito ai soldati israeliani a lasciarsi bersagliare senza reagire.        
Israele decise poi di colpire le proprietà anziché le persone. In risposta ai più gravi attacchi palestinesi, venne dato l’ordine di distruggere edifici appartenenti alle organizzazioni responsabili, dopo averne avvertito gli occupanti e aver dato loro il tempo per mettersi al sicuro. Per garantire la minore quantità possibile di danni collaterali si fece ricorso a sistemi d’arma sofisticati, come gli elicotteri da combattimento. Risultato: condanna universale di Israele, questa volta per aver fatto uso di armi tecnologiche, benché fosse evidente che il loro utilizzo mirava proprio a evitare vittime civili.                         
Israele ha anche tentato la leva della pressione economica, una tattica cui spesso le nazioni fanno ricorso in caso di conflitti a bassa intensità come strumento alternativo allo scontro violento. Sembrava ovvio che Israele avesse il diritto di sospendere il trasferimento all’Autorità Palestinese dei fondi coi quali essa  si procura le armi da guerra che poi vengono usate contro militari e civili israeliani, o finanzia le campagne di istigazione all’odio che poi scatenano attentati e violenze contro Israele. Impedire alla popolazione del campo avverso d’attraversare il confine e congelare i beni patrimoniali del nemico sono  comportamenti assolutamente normali in caso di conflitto. Ma evidentemente non è così nel caso di Israele, criticato da tutti anche per queste misure di semplice prevenzione.                  
Infine, il governo israeliano ha optato per la tattica più difficile, quella di cercare di arrestare e, quando non è possibile, uccidere con precisione soltanto gli individui che si rendono responsabili di attacchi e violenze. Una tattica che non comporta danni né vittime tra la popolazione inerme perché le Forze di Difesa israeliane possono scegliere il momento e il luogo per colpire, quando non ci sono civili innocenti nei paraggi. Questo in genere significa sorprendere i terroristi mentre non sono concretamente impegnati in attività violente. In teoria, non ci sarebbe nulla di sbagliato: cogliere il nemico di sorpresa è una delle regole più ovvie della tattica militare. Nessuno si aspetta da un esercito in guerra che, in ogni singola occasione, prima di sparare aspetti che sia il nemico ad aprire il fuoco. Ma anche qui, sembra che le regole normali non valgano per Israele. E così una tattica che punta, a costo di maggiori rischi per i soldati israeliani, a colpire in modo mirato i responsabili evitando il più possibile vittime civili è stata condannata come una forma di brutale assassinio.
A questo punto sarebbe legittimo domandare a politici e osservatori occidentali secondo loro quale tattica sarebbe mai concessa a Israele, a parte quella di lasciare che i suoi cittadini, militari e non, vengano bersagliati senza muovere un dito per difenderli. Non c’è governo israeliano che non userebbe molto volentieri tattiche di difesa gradite all’occidente, se solo queste tattiche esistessero. Ma se, come pare, non esiste strumento di difesa che Israele possa adottare senza incorrere nella condanna universale, allora il governo israeliano – qualunque governo israeliano – non potrà fare altro che ignorare l’opinione pubblica internazionale e comportarsi come ritiene necessario. Giacché nessun governo israeliano, come nessun altro governo del mondo, può stare con le mani in mano mentre ogni giorno i suoi cittadini vengono aggrediti e minacciati di linciaggio.

E chiudo tornando a casa nostra.  

Gerardo Verolino

Per la rubrica “Scene da un manicomio”

l’altro giorno, ad Aosta, un centinaio di attivisti Lgbt ha organizzato un flash mob a sostegno del ddl Zan contro l’omofobia ma anche a difesa dl Hamas che, a Gaza, perseguita i gay considerando l’omosessualità un crimine. In pratica, hanno manifestato per gli omosessuali e, nello stesso momento, per i loro carnefici.

Infermieri!

Hanno il cervello liquefatto, e non se ne accorgono.
Vi lascio con due immagini: chi, in casa nostra, fa il tifo per il terrorismo

e da dove parte tutto questo

Pienamente prevedibile, del resto, e previsto, già dal momento in cui una certa signora ha pubblicamente dichiarato: “Biden sarà presidente, qualunque sia il conteggio finale” e il citato signore, in uno dei suoi molti momenti di scarsa lucidità e conseguente scarso autocontrollo si è lasciato andare ad annunciare che “abbiamo messo in piedi la più straordinaria macchina di brogli elettorali della storia”.

barbara

QUAL È IL COMPITO DI UN MINISTRO?

Uno – uno di noi profani – si immagina che sia quello di far funzionare bene lo stato nell’ambito delle sue competenze:  il ministro dell’istruzione cerca di far funzionare bene la scuola e, se possibile, migliorarla, meglio se è qualcuno che abbia una qualche idea di che cosa sia la scuola (non come quello che per un incarico annuale accettava il mio corso di laurea ma pretendeva come condizione imprescindibile un esame che in quel corso di laurea non esiste). Il ministro dell’agricoltura dovrebbe favorire lo sviluppo delle risorse agricole e forestali, e sarebbe bello se avesse qualche competenza in materia, come un laureato in agraria o in scienze forestali. O magari anche un perito agrario: sempre meglio di una sindacalista con la terza media. E il ministro della difesa? Su questo l’ex ministro – e sottolineo ministro – Elisabetta Trenta, che non si capacita di non essere stata premiata per l’impegno profuso nell’adempimento del dovere, ha le idee ben chiare: “Sono stata una delle persone che ha lottato più di tutti contro Salvini“ (e al diavolo la grammatica). Il compito istituzionale del ministro della difesa è di lottare contro un ministro dello stato, democraticamente eletto dal popolo italiano – quello che la signora Trenta è profumatamente pagata (coi soldi del suddetto popolo) per servire e, nell’ambito delle sue funzioni e competenze, difendere (da intrusi clandestini, per dirne una) – in libere elezioni. E non mi si venga a dire la solita cazzata di Hitler democraticamente eletto in libere elezioni: se quelle erano elezioni libere, io sono Biancaneve con tutti i sette nani. Senza contare che il partito era in calo e alle ultime elezioni non aveva affatto la maggioranza, quindi piantiamola con questo mantra idiota allo scopo di hitlerizzare chiunque, democraticamente eletto, sia antipatico al coglione di turno. Salvini, democraticamente eletto in libere elezioni, era un collega di governo della signora Trenta e lei ha usato tutto il potere di cui disponeva per lottare contro di lui. Con quali armi? I cosiddetti migranti, usati – e non solo in senso metaforico – come carne da cannone nella sua battaglia personale. Ora si dice sorpresa e arrabbiata per non essere stata ricompensata per i suoi meriti sul campo con una riconferma al ministero. Ma non dovrebbe esserlo, cara signora: come lei ha usato come carne da cannone i cosiddetti migranti, i suoi burattinai hanno usato come carne da cannone lei: lei ha scaricato i suoi migranti una volta raggiunto lo scopo di schiaffeggiare Salvini facendoli entrare, e i suoi burattinai hanno scaricato lei, utile idiota, una volta raggiunto lo scopo di buttare giù Salvini. Nei circoli in cui si gioca sporco è così che funziona. Un’altra volta si scelga meglio i circoli. E magari anche il gioco.

Certo che vedere la signora Trenta con questa faccia da rigurgito acido non ha prezzo.
Elisabetta-Trenta
barbara

ODE A BIBI

Più un ebreo è odiato perché difende il suo Paese, più potete essere sicuri che è un grande. Bibi non lo possono soffrire, lo odiano, glielo dicono, glielo provano, lo hanno umiliato a Parigi non trovandogli posto sull’autobus, lo ha umiliato Obama a Washing-tont, lo umiliano i reali d’Inghilterra, un giorno vengo e l’altro annullo. Lo umilia la stampa interna e estera, i suoi avversari politici, gli insozzano la moglie… Ma ecco che lui, sempre calmo, sempre sorridente, sempre sereno, sempre paziente, mai aggressivo, mai volgare, mai sornione, dice quello che fa e fa quello che dice. E oggi, lui è il solo che in Israele possa incarnare il “padre protettore della Patria”, un mensh, uno che alla fine l’ha messa in culo a: Mogherini, Macron, Obama, Kerry, Clinton, Carter, Merkel, Putin, Khameini, Rouhani, Assad, Soros, e pure Repubblica, le Monde, Liberation, New York Times e tanti, ma tanti altri. Ma il livore a lui, paura non gli fa.
Non vi dispiaccia
Claudia Piperno

E ode anche a un altro tizio, che fa quello che dice e dice quello che fa, non meno odiato e bistrattato e calunniato e attaccato su tutti i fronti e con tutti i pretesti.
come se dice
barbara

SALVATI DA ISRAELE 3

E uno

Siria, Israele vs Iran: sono stati gli israeliani a bombardare la base T4*

Di Lucia Resta lunedì 16 aprile 2018

Lo scorso 9 aprile una base governativa siriana a Homs, la T4, nota anche com Tiyas, è stata attaccata da un raid aereo, ma il pentagono aveva smentito che si trattasse di un attacco americano. Oggi è arrivata la conferma che gli Usa, in questo caso, non c’entrano nulla, perché gli autori di quel bombardamento sono gli israeliani e lo avevano programmato dopo che a febbraio avevano neutralizzato un drone dell’Iran che era entrato dalla Siria.

Siria: bombardato aeroporto militare, accuse agli USA che negano tutto

L’agenzia siriana Sana parla di almeno 14 morti e accusa gli USA, che però rispediscono al mittente qualunque addebito: l’episodio a poche ore dal sospetto attacco chimico nella periferia orientale di Damasco

La notizia è stata diffusa dal New York Times che ha intervistato un alto ufficiale dell’esercito di Tel Aviv, del quale non rivela le generalità, ma che ha spiegato al giornalista Thomas L. Friedman, in un articolo intitolato “La vera prossima guerra in Siria: Iran vs Israele”:
“È la prima volta che colpiamo obiettivi iraniani operativi, sia persone che impianti. È stata aperta una nuova fase”
Quanto detto dalla fonte del New York Times, tuttavia, non è stato confermato dal governo israeliano, ma il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha detto che non permetteranno il consolidamento iraniano in Siria e non permetteranno neanche alla Russia di porre dei limiti alla loro attività per contrastare la presenza iraniana nel territorio siriano. Inoltre Lieberman ha accusato l’Iran di finanziare i “gruppi terroristici Hamas ed Hezbollah”.
Il portavoce del ministero degli esteri iraniano Bahram Qassemi ha replicato:
“Israele prima o poi la pagherà. Non può fare un’azione del genere e pensare di restare impunito, è un’aggressione illegale”
C’è da dire che Mosca, subito dopo l’attacco alla base T4, che è usata anche dagli aerei russi ed è una posizione strategica, aveva accusato proprio l’esercito israeliano, conoscendo la preoccupazione di Tel Aviv di arginare la presenza militare dell’Iran in Siria.
La convinzione degli israeliani è che le azioni militari di Teheran in Siria non siano realmente rivolte contro le forze dei ribelli, ma mirino a sfidare Israele.

* T4, dall’indirizzo berlinese Tiergarten 4 del relativo quartier generale, è la sigla delle azioni di “eutanasia”, vale a dire di sterminio, delle persone affette da handicap ad opera dei nazisti: non è grandioso che Israele abbia bombardato e distrutto un sito denominato T4?

E due

Un ‘misterioso’ bombardamento che fa sperare bene
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli, 01 maggio 2018

Cari amici,
l’altra notte una cosa importante è successa in Siria. “Qualcuno” cioè ha bombardato una serie di basi militari siriane, a quanto pare uccidendo una trentina di soldati, per lo più iraniani, fra cui a quanto pare anche un generale e provocando un’esplosione così potente da essere stata registrata dai sismometri come un piccolo terremoto di grado 2,4. Quel che è esploso con tanta forza, a quanto pare, non sono i missili o le bombe attaccanti, ma un deposito colpito, che conteneva un carico d’armi appena scaricato da un aereo iraniano. Ma forse oltre alle armi è saltata per aria una fabbrica sotterranea di missili balistici avanzati. Sembra che questa fabbrica fosse scavata dentro una montagna, il che fa pensare che l’attaccante disponga di armi molto avanzate e capaci di penetrare protezioni molto potenti. (https://www.jpost.com/Middle-East/Iranians-killed-in-alleged-Israeli-strike-on-military-site-in-Syria-553099)
Dico “sembra”,”forse”,”pare” perché tutti questi dati non sono confermati. Non si sa neanche ufficialmente chi sia quel “qualcuno” che ha colpito; all’inizio i giornali siriani parlavano di missili americani, poi hanno accusato Israele, che come sempre non ha confermato né smentito. Solo un ex capo dei servizi segreti ha detto: Ci sono due ipotesi, potrebbero essere stati gli americani, oppure qualcuno che non voglio nominare. In quest’ultimo caso, la tensione fra Israele e Iran è destinata ad aumentare”. (https://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Former-intel-chief-Iranian-dead-in-Syria-blast-spells-looming-payback-553095)
Abbastanza chiaro, no? In sostanza quel che risulta è che c’è stato un altro stop israeliano al possesso militare della Siria che l’Iran sta cercando di stabilire come “autostrada” verso il mediterraneo e base d’attacco contro lo stato ebraico. Questo possesso si realizza con numerosi basi (ne trovate qui una mappa e alcune fotografie aeree: https://www.haaretz.com/middle-east-news/syria/israeli-satellite-images-reveal-iran-builds-military-base-near-syria-1.5863736, altre qui: https://www.timesofisrael.com/satellite-image-said-to-show-new-iran-base-near-syria/); spesso queste basi, per maggiore protezione, sono condivise con truppe russe (https://infos-israel.news/le-plus-grand-danger-actuel-pour-israel-en-plus-de-19-bases-en-syrie-liran-utilise-une-autre-base-russe-pour-transferer-ses-combattants/). Alcuni di questi impianti militari sono stati attaccati nel recente passato (soprattutto quello chiamato T4, deposito a quanto pare di armi chimiche e centro di controllo dei droni d’attacco iraniani). Il bombardamento dell’altra sera prosegue in questa linea.
Ma ci sono alcune differenze importanti. In primo luogo il tempo. L’attacco è successivo ad alcune minacciose comunicazioni russe. Vari esponenti del regime di Putin avevano diffidato Israele dal continuare a violare la sovranità siriana, avevano dichiarato che la Russia era decisa a consegnare ad Assad complessi di armi antiaeree avanzate, aggiungendo che se Israele avesse provato a distruggerle, le conseguenze sarebbero state “molto gravi”. Nei giorni scorsi inoltre a Mosca si è svolto un vertice dei ministri degli esteri russo, turco e iraniano per consolidare la spartizione delle zone di influenza sulla Siria. Israele ha ignorato gli ammonimenti e la suddivisione e ha continuato a mantenere la sua “linea rossa”: nessuna colonizzazione militare iraniana della Siria è accettabile. E’ da notare che l’attacco è avvenuto immediatamente dopo la visita del nuovo segretario di stato americano Pompeo e a quanto pare anche dopo una telefonata fra Netanyahu e Trump (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/245203).
La seconda differenza è ancora più significativa. La base T4 è nel centro della Siria, fra Homs e Damasco, a est del Libano. Le basi colpite l’altro ieri sono parecchio più a nord, una subito a sud di Homa, una addirittura vicino all’aeroporto di Aleppo. Questo vuol dire che sono a Nord del territorio libanese, dove la Siria arriva direttamente al mare. E’ la zona di origine degli alawiti (la setta sciita cui appartengono gli Assad, il loro ridotto). Una delle basi colpite è inoltre distante meno di cento chilometri, che per aerei da combattimento vogliono dire 5 minuti di volo) dal porto di Tartus, la principale base russa in Siria, difesa dall’ultima generazione degli armamenti antiaerei, gli SS4, e anche abbastanza vicino al confine turco per essere rilevabile dai radar di Erdogan. Chi ha colpito la Base di Homa o veniva dalla Giordania, come all’inizio hanno detto i siriani, e allora ha attraversato senza problemi l’intero spazio aereo della Siria, o più probabilmente ha colpito dal mare, sorvolando le difese russe. Il che significa che o i russi non hanno avuto modo di fermare l’attacco che è passato sopra di loro, il che evidenzierebbe una gravissima debolezza delle loro difese, o hanno deciso di non farlo, magari avvertiti da Israele secondo gli accordi stabiliti fra Putin e Netanyahu, contraddicendo dunque le loro affermazioni contro Israele.
Ancora: l’oggetto e il modo. Se davvero è stata colpita una fabbrica di missili situata in uno scavo sotto una montagna, questo giustifica l’allarme israeliano, ma insieme mostra una capacità di azione che non è affatto scontata e che minaccia gli impianti dell’armamento nucleare iraniano, protetti allo stesso modo. Il messaggio di Israele è fortemente dissuasivo e dice in sostanza: attenzione, noi siamo capaci di superare le vostre difese antiaeree e anche di distruggere gli impianti che ritenete più protetti. Le minacce di rappresaglia proferite dall’Iran dopo l’ultimo bombardamento alla base T4, abbastanza gravi da suscitare l’allarme dell’esercito americano (https://edition.cnn.com/2018/04/26/politics/us-surveillance-iran-syria/index.html) sarebbero dunque state ridicolizzate. Ciò ha provocato una notevole confusione nell’apparato militare iraniano, che prima ha ammesso e poi negato le perdite subite (https://www.timesofisrael.com/iran-denies-it-was-targeted-in-syria-strikes-claims-no-troops-killed), una negazione che è anche, nell’ottica mediorientale, un modo per sottrarsi all’obbligo di una rappresaglia impossibile.
Certamente questo è un momento di grande tensione in Medio Oriente. Ma è vero che la guerra si avvicina? Certamente la capacità di dissuasione israeliana è quel che impedisce un’aggressione iraniana. Ed episodi come quello dell’altra sera la rafforzano molto, allontanando quindi la possibilità di un conflitto

E tre

Lorenzo Vita – Mer, 09/05/2018 – 09:51

[…] Ma quello che conta è quanto avvenuto nelle ore immediatamente successive all’annuncio americano. Aerei da guerra israeliani hanno penetrato lo spazio aereo siriano bombardando una base a sud di Damasco, ritenuta un deposito di missili iraniani. Le fonti parlano di nove morti, tutti siriani, e non ci sarebbero conferme di uccisioni tra le fila delle Guardie rivoluzionarie. Fonti mediche siriane parlano invece di almeno due civili rimasti coinvolti nei raid. […]

E infine

quanto avvenuto nella notte fra il 9 e il 10 maggio: cinquanta basi iraniane in Siria distrutte, le capacità offensive dell’Iran pesantemente ridimensionate, oltre alla lezione impartita all’Iran, la stessa preannunciata da Netanyahu quasi tre mesi fa: “Non mettete alla prova la determinazione di Israele”; hanno voluto metterla alla prova, e si sono fatti male.

Naturalmente Israele ha fatto il PROPRIO interesse – e ci mancherebbe! – ma ricordiamo sempre che, come profeticamente diceva Ugo La Malfa, “la libertà dell’occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”. In passato ci hanno salvato le porte di Ratisbona, che hanno resistito, le porte di Vienna, che non hanno ceduto (a differenza di quelle di Costantinopoli che non avevano retto l’urto) e hanno per un lungo periodo fermato l’avanzata dell’orda islamica. Adesso siamo nelle mani di Gerusalemme: se cede Israele, saremo travolti tutti.

E ora, dopo tanta serietà, godiamoci questa gustosissima serie di barzellette.

Nuovo fallito attacco israeliano in Siria

Alessandro Lattanzio, 10/5/2018

Il 10 maggio, il Comando Generale dell’Esercito e delle Forze Armate dichiarava che l’Esercito Arabo Siriano aveva respinto l’ennesima aggressione israeliana, distruggendo il 70% dei 60 missili israeliani lanciati su 35 obiettivi nel territorio siriano, presso Damasco e Homs. 28 cacciabombardieri F-15 ed F-16 israeliani avevano partecipato all’attacco lanciando 60 missili, oltre ai 10 missili superficie-superficie sparati dal territorio israeliano contro la Siria meridionale. I missili israeliani colpivano un obiettivo presso Duma e un altro a Jamaraya, a sud di Damasco. “Respingendo l’attacco israeliano, la difesa aerea siriana abbatteva più della metà dei missili israeliani“, dichiarava il Ministero della Difesa russo. Il Comando dell’EAS confermava tre martiri e due feriti causati dall’aggressione israeliana, che colpiva una stazione radar e un deposito di munizioni. “Tali sfacciati attacchi portano solo ad altre vittorie nella lotta al terrorismo nei territori della Siria e al consolidamento della determinazione a continuare la difesa della Patria e a garantire la sicurezza dei cittadini“. L’esercito libanese dichiarava che 4 aerei da guerra israeliani avevano violato lo spazio aereo libanese nello stesso momento.

Il 9 maggio sera, il 137.mo Reggimento della 7.ma Divisione meccanizzata dell’Esercito arabo siriano sparava almeno 20 razzi dalla Siria meridionale contro posizioni dell’esercito israeliano sulle alture del Golan, distruggendo:
Il comando della 9900° brigata di confine
Il comando della 810° brigata di confine
Una base dello spionaggio elettronico
Il comando di una base per la guerra elettronica
Una struttura per telecomunicazioni
L’eliporto di Um Fahim
L’avamposto sul monte Hermon
Il comando dell’unità di montagna
Il radar dell’Iron Dome di Safad
Il sistema antimissile Iron Dome israeliano intercettava solo 4 dei 20 razzi lanciati sulle alture del Golan. L’attacco avveniva in risposta al bombardamento dell’esercito israeliano delle postazioni dell’Esercito Arabo Siriano e delle Forze di Difesa Nazionale a Tal Ahmar e Tal Qub, presso Qan Arnabah, nel governatorato di al-Qunaytra.
Tale attacco avveniva in un momento di notevoli successi politico-militari delle forze dell’Asse della Resistenza: l’Esercito Arabo Siriano (EAS) e Liwa al-Quds avanzavano tra i governatorati di Homs e Dayr al-Zur, liberando al-Tamah, 60 km a sud-ovest di Dayr al-Zur, scacciando lo SIIL da oltre 1500 kmq di territorio ad ovest di Dayr al-Zur. Inoltre, EAS ed NDF respingevano l’attacco dei terroristi su Madinat al-Baath, tra Hamidiya e Samadaniya, nonostante la simultanea aggressione israeliana. Infine, i servizi segreti iracheni arrestavano numerosi capi dello SIIL, tra cui Sadam Umar Husayn al-Jamal, mentre presso Irbil, sempre in Iraq, il PKK si scontrava con l’esercito turco a Sidiqan, eliminando molti soldati turchi.
Non va dimenticato il successo elettorale in Libano delle forze antimperialiste. Risultati definitivi delle elezioni parlamentari libanesi:
Hezbollah e Amal: 30 seggi
Alleati della Resistenza: 10
SSNP: 3
Marada: 3
FPM di Michel Aoun: 28 seggi

Forze filo-imperialiste
Futuro: 20
Forze libanesi: 14
PSP: 9
Azam: 4
Falange: 3
Indipendenti: 4

barbara

ABBIAMO GIÀ DATO

Cercate di capirci, abbiamo già dato

Cari Amici,
è chiaro che di nuovo – come in tante altre situazioni di pericolo per Israele – c’è una larga differenza fra quel che pensano e che sentono gli amici di Israele e in particolare gli ebrei (salvo pochissimi traditori, personaggi cioè che il popolo ebraico detesta e disprezza) e il modo in cui i media stanno orientando l’opinione pubblica. Ignorando i traditori e gli antisemiti più o meno consapevoli e dichiarati che sono venuti allo scoperto in questa circostanza, vorrei cercare di spiegare a chi onestamente non capisce le azioni di Israele che cosa sta succedendo a Gaza.
Lo faccio in maniera estremamente sommaria, accennando solo a due punti. Il primo è questo. Hamas, un’organizzazione considerata terrorista da moltissimi paesi (non solo gli Usa da ben prima di Trump e quasi tutti i paesi occidentali, ma anche molti stati arabi), ha lanciato un mese e mezzo di mobilitazione, chiamata “marcia del ritorno”, con lo scopo esplicito di abbattere i confini di Israele e di impadronirsi del suo territorio.
Spesso ha dichiarato di voler sterminare tutti i “sionisti” o i “coloni”- parole in codice per dire ebrei. Che il senso delle manifestazioni fosse questo, lo hanno dichiarato in maniera chiarissima il suo capo politico Yihya Sinwar: http://www.jpost.com/Breaking-News/Hamas-chief-We-will-remove-the-borders-and-implement-the-right-of-return-549053  ed altri dirigenti (https://twitter.com/twitter/statuses/982520058411978752) .
Ora, non c’è Stato senza controllo del territorio. Non si tratta solo dei confini, che vengono difesi da tutti (pensate allo sdegno recente per l’”irruzione” della Gendarmeria francese a Bardonecchia), ma anche di porzioni di territorio che vengono chiuse. Negli ultimi anni, ogni volta che ci sono state iniziative politiche internazionali sono state difese da “zone rosse”, difese militarmente dagli stati organizzatori. Nessuno del resto lascia la propria casa aperta a chi pensa di prendersela per sé. Le città nascono stabilendo i propri inviolabili confini, come Plutarco e Livio raccontano di Roma. Perché proprio Israele non dovrebbe difendere i suoi confini?
Anche se la “marcia del ritorno” fosse stata una manifestazione pacifica (ma non lo era, ve ne sono infinite prove fotografiche e testuali, a partire dal nome), Israele aveva diritto di impedire lo sconfinamento, con gli ostacoli e le barriere che ci sono sempre e che sempre Hamas cerca di violare con tunnel, missili e incursioni varie; e se queste erano minacciate, per esempio tagliando la rete di protezione come hanno ripetutamente cercato di fare i terroristi durante gli scontri, anche con le armi.
E’ un fatto comunissimo: avvicinatevi a una qualunque zona militare, anche a una caserma dei carabinieri nella pacifica Italia, e trovate dei cartelli che vi avvertono della possibilità di una difesa armata. Cercate di superare un confine vero (ormai l’Italia non ne ha più, ma cercate di entrare in Russia dall’Ucraina o in Turchia dalla Grecia o dall’Armenia) e vi spareranno a vista.
Israele si è difeso in maniera molto selettiva, individuando i caporioni (guarda caso, tutti giovani maschi appartenenti a organizzazioni terroristiche).
Perché non avrebbe dovuto farlo? Quali erano le alternative? Mezzi di controllo delle sommosse come gas lacrimogeni sono stati largamente usati, ma sono inutili contro organizzazioni militari attrezzate come quelle che hanno attaccato il confine, preparando anche una copertura fumogena, come nelle guerre vere e proprie: un vero e proprio stupro ecologico, contro cui aspetto ancora di sentire una protesta ambientalista.
Ecco, questo è il primo punto: negando a Israele il diritto di difendersi, lo si discrimina rispetto a tutti gli altri stati e lo si mette in pericolo, incoraggiando i suoi nemici, che continuano a pianificare la sua distruzione (https://www.aljazeera.com/news/2018/04/khamenei-big-mistake-negotiate-israel-180405125637407.html )
L’Europa ancora una volta si allinea o fa finta di non sentire, vedendo solo le indubbie durezze di una guerra di difesa. Il che fa sì che gli ebrei si indignino dell’indignazione europea. Ma c’è una seconda ragione, più specifica. Se ogni stato ha il diritto e il dovere di difendere i propri confini per tutelare i propri cittadini, uno stato ebraico non può non sentire questo dovere con intensità molto maggiore. La memoria storica degli ebrei ha impressa a lettere di fuoco l’esperienza di quel che accade quando una folla ostile sfonda le difese ed entra nelle loro case. Dai visigoti cristiani agli almoravidi musulmani in Spagna, dalle stragi compiute da Maometto in persona contro gli ebrei dell’Arabia a quelle dei crociati, dai processi dell’Inquisizione ai pogrom in Polonia e in Russia, dalla Shoah alla caccia agli ebrei nei paesi arabi nel secolo scorso, il popolo ebraico si è trovato sempre vittima di lutti e distruzioni infinite, disarmato, senza avere modo di difendersi mai perché privo di uno stato, dovendo solo confidare nella pietà o nell’interesse di chi poteva fermare gli assassini e quasi sempre non lo faceva.
La fondazione dello stato di Israele ha prima di tutto il senso di prendere il destino nelle proprie mani, di potersi difendere. Esattamente questo significa per noi “mai più Auschwitz”. Non possiamo credere, oggi come nel Medioevo, a una protezione internazionale. L’esperienza ha mostrato che in ogni momento di debolezza di Israele le potenze del mondo (e in primo luogo l’Europa) non l’hanno voluto difendere. E hanno mostrato anche che i “poveri palestinesi” sono ben decisi ad ammazzare più ebrei che possono, appena ne hanno la possibilità.
Rinunciare a difendere i confini vorrebbe dire tornare ad Auschwitz.
Auschwitz è ciò che l’Europa, che a suo tempo collaborò volonterosamente coi nazisti, la Chiesa, che non fece quasi nulla per impedire la strage, la sinistra (che cercò per decenni di occultarne il senso antisemita) vorrebbero oggi di nuovo dagli ebrei.
L’odio anti-israeliano gratuito dell’Europa, della Chiesa, della sinistra in generale, esibisce una coazione a ripetere che non può che far dubitare della natura umana – o della cultura occidentale. Non faccio fatica a immaginare con quanta commozione ci commisererebbero fra cinquant’anni, se seguissimo i loro buoni consigli umanisti: con giornate della memoria, musei e commoventi rievocazioni della nostra cultura. E’ un vero peccato dover deludere queste così nobili aspettative. Noi ebrei non abbiamo la minima intenzione di farci commemorare un’altra volta, non siamo disposti a farci sterminare di nuovo dai palestinisti, dagli iraniani o da chiunque altro. Ci difendiamo. Anche a costo di non mostrare la moralità delle vittime che così volentieri ci viene riconosciuta, magari dagli eredi dei carnefici o dei loro aiutanti.
Se qualcuno, armato di mitra o di coltello, magari sbandierando una svastica, cerca di entrare a casa nostra per tagliarci la gola, ci difendiamo.
E continueremo a farlo, alla faccia degli appelli del Papa, del Segretario delle Nazioni unite o degli editorialisti dei quotidiani di provincia che continuano a farci la lezione. Se disgraziatamente dovesse servire, lo faremo fino all’ultimo uomo (a parte i traditori infettati dall’ideologia di sinistra, che per fortuna sono pochissimi). Ci spiace di non darvi soddisfazione, di non poter fare i bravi ragazzi, come piacerebbe a voi. Cercate di capirci, abbiamo già dato.
Ugo Volli, su Informazione Corretta

Naturalmente sappiamo benissimo che “cercate di capirci” è un modo di dire, per dare una chiusa elegante e “rotonda” al pezzo. Sappiamo benissimo che “quelli” non ci pensano neanche di striscio a cercare di capire, non ci pensano neanche di striscio a cercare informazioni diverse dalle veline della propaganda filo terrorista. Ce ne faremo una ragione. E continueremo a difenderci, perché dopotutto, come diceva Golda Meir, “preferisco le vostre critiche alle vostre condoglianze”.
lining up
E ciò che non hanno potuto fare loro ieri, oggi, fortunatamente, lo possono fare, e lo fanno, i loro nipoti.

barbara

BASTA STARE CHIUSO IN CASA!

Basta computer! Basta videogiochi! Dai, vieni, che ti porto a prendere una boccata d’aria.
gaza aria
E dal momento che siamo fuori, approfittiamone per dare un’occhiata intorno.

E dopo avere guardato, facciamo qualche riflessione.

Confine

Tutto quello che ci divide è un lungo cancello guardato giorno e notte dai nostri soldati. Da una parte noi, i nostri campi coltivati, strade che disegnano arzigogoli di terra chiara in mezzo agli aranceti, agli avocadi, ai filari nuovi di ceci; dall’altro lato Gaza. Se non avessero scelto Hamas, ora di oggi gli abitanti di Gaza potrebbero probabilmente entrare ed uscire dalla striscia quotidianamente, lavorerebbero probabilmente nelle terre e nelle fabbriche della zona tutto intorno, in territorio israeliano, come un tempo.
E invece.
Hamas chiama a raccolta manifestanti, infiltra le file dei ragazzini scalmanati ma in maggioranza disarmati con militanti pronti a tutto piuttosto che a cantare “we shall overcome”, li arma di fionde e armi vere, pianifica i punti in cui far salire al cielo fumo nero di pneumatici dati a fuoco, incita al passaggio del confine, all’invasione di Israele. Se potessimo fermarci un attimo a ragionare su questa immane bestialità ci accorgeremmo di quanto è goffa: Hamas ci vuole invadere. Si immagina di poter avanzare attraverso le nostre campagne proprio nella stagione in cui sono così verdi, combattendo vittorioso e arrivando fino a Gerusalemme. È una fantasia talmente surreale, talmente fuori da ogni possibile scenario militare, che sembra provenire da un universo parallelo. Eppure, a vedere la stampa straniera Hamas sta vincendo come sempre la battaglia dei media, tutta pensata e impacchettata per regalarla all’Occidente, con una bella carta regalo istoriata con il nome del giornalista palestinese colpito dai nostri sembra mentre (forse, o forse no [forse molto probabilmente sì, ndb]) faceva volare un drone a cavallo del confine infuocato. Poi possiamo discutere del perché permettiamo che Hamas usi i nostri soldati e le loro armi per i suoi scopi, ma sia ben chiaro: tutti i morti di questi ultimi fine settimana, nessuno escluso, sono palestinesi ammazzati da Hamas. Poco importa se per mezzo di fuoco israeliano. È Hamas a volere i morti, perché con i morti palestinesi, specie se civili, figuriamoci quando membri della “Press”, si riempiono le prime pagine dei giornali. E purtroppo, noi glieli diamo.
Daniela Fubini, Pagine ebraiche 9 aprile 2018

Aggiungerei qualche considerazione su quei conti che non tornano, che proprio, con tutta la buona volontà, non si riesce a far tornare.

Dario Calimani è abitualmente severo con Israele, molto più severo di quanto io consideri ragionevole. E nutre una manifesta e dichiarata antipatia, condita a sfiducia, per Benyamin Netanyahu, antipatia e sfiducia per me assolutamente incomprensibili. Proprio per questo, proprio perché Calimani non può essere sospettato di faziosità cieca a favore di Israele, ritengo utile pubblicare questo suo articolo.

Gaza

Certamente, la situazione ai confini con Gaza poteva essere affrontata in modo diverso, magari con proiettili di gomma o diffondendo nell’aria una buona dose di spray al peperoncino. Certamente, anche la presenza di richiedenti asilo di origine africana poteva essere affrontata in modo diverso, con più sensibilità, con meno brutale indifferenza, con più consapevolezza della propria storia. Benjamin Netanyahu e il suo governo non si distinguono per misura e saggia lungimiranza. E, tuttavia, quando cerchi di far tornare i conti, mettendo in campo mente, coscienza ed emozioni, ti accorgi che non riesci a trovare la tua collocazione. C’è, in tutto ciò che sta accadendo e nella reazione del mondo, un senso di incommensurabilità. I racconti e i giudizi su quei racconti, da parte della stampa e della politica, sembrano non aver molta relazione con gli eventi reali, e sollevano interrogativi, più di quante non siano le risposte che pretenderebbero di offrire. Non è la prima volta che accade. E non sarà purtroppo l’ultima.
Nessuno, tanto per capirsi, mette in discussione l’azione provocatoria della massa che da Gaza si è riversata bellicosa al confine di Israele. Nessuno fa caso alle grida di battaglia, alla minaccia di distruggere Israele, alle armi che la gente si passa di mano in mano, ad Hamas che spinge i civili palestinesi allo scontro – meglio se donne e ragazzini. E nessuno fa caso al fatto che il grido di guerra non sia ‘morte a Israele’, bensì ‘morte agli ebrei’. Evidentemente, non fa alcuna differenza, o la differenza non la si vuole cogliere. Ma ‘morte agli ebrei’ non è un grido di battaglia politico, è una minaccia antisemita che può risuonare in tutto il Medio Oriente, dove, per fortuna, di ebrei ne sono rimasti assai pochi. Per quei pochi, allora, il pericolo è serio, vista la grande capacità di diffusione che le idee hanno nel mondo arabo. La storia lo ha dimostrato.
Ma quando si gioca con il fuoco si dovrebbe mettere nel conto che si rischia di ustionarsi. Peccato che Hamas non abbia alcun timore di ustionarsi, perché gioca sulla pelle altrui, e sulla vita e sul destino di un popolo che ha tenuto nella miseria per tenere sempre accesa la miccia.
Di tutto ciò, che è, indubbiamente, almeno una parte della verità, non si accorgono le varie Mogherini, che da tempo immemorabile ormai guardano la realtà del Medio Oriente con il capo avvolto nella kefiah. E non se ne accorge Papa Bergoglio, che continua a parlare di ‘Terra Santa’, trovando ostico pronunciare la parola ‘Israele’, perché così facendo riconoscerebbe l’esistenza di uno stato, e questo metterebbe in crisi la sua teologia, in particolare una mal applicata teologia della liberazione.
I conti non tornano, dunque, e c’è una incomprensibile incommensurabilità fra l’attenzione che attira la tensione al confine di Gaza e l’assuefazione con cui si guarda, ad esempio, alla Siria e alle sue centinaia di migliaia di morti. Centinaia di morti ogni giorno, nell’indifferenza dei politici alla Mogherini, che si limitano a ‘stigmatizzare’ per poi tornare a occuparsi, con cura monomaniacale, di Israele .
Per i diciassette morti di Gaza un telegiornale italiano ha parlato di ‘strage’. Ora, in senso metaforico anche un solo morto è una strage del senso di umanità. Ma se strage è quella di Gaza, che termine ci si dovrà inventare per la Siria? E se la concentrazione su Israele pesa un chilo, quanto dovrebbe pesare quella sulla Siria, o sul disastro umanitario in Venezuela?
Netanyahu non mi piace. La sua politica, temo, produrrà solo infelicità, per Israele e per chi le sta intorno e addosso. Ma se una massa di disperati grida ‘morte agli ebrei’, quello non è un grido politico, e non esprime la teologia della liberazione. E chi ne appoggia la ‘lotta di liberazione’, senza capacità e volontà di fare i debiti distinguo, non sta sostenendo una rivendicazione politica. Sta solo ribadendo, e rafforzando, un animus antisemita.
Con questo spirito, anziché spingere le parti a convergere verso una politica di pacificazione, ci si limita a parteggiare e ad approfondire il divario.
Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia, Pagine ebraiche ‍‍03/04/2018

E per concludere, prima di rientrare (siamo sempre – ricordate? – lì fuori a prendere una boccata d’aria fresca), voglio mostrarvi questo splendido monumento:
monumento Gaza
è una
mano che impugna la placca del militare israeliano Oron Shaul,
oron-shaul.jpg
ucciso da Hamas nella guerra del 2014, il cui corpo non è mai stato restituito dai terroristi palestinesi. E non dite che non hanno senso artistico.

barbara

UN PAIO DI OPINIONI RACCATTATE QUA E LÀ

Inizio dalla più autorevole, quella dell’eroico rabbino – che rabbino in realtà non è ma lui giustamente si spaccia per tale, avendone tutte le doti di probità, onestà, sincerità, giustizia, intelligenza, saggezza, cultura, nonché suprema autorevolezza – che primo e forse unico ha osato dire, e testimoniarlo in un pregevole libro che potrete trovare in tutti i migliori siti nazisti, che la storia degli omicidi rituali per spillare il sangue con cui impastare le azzime di Pesach non è leggenda antisemita bensì realissima realtà. Tesi che, a ben guardare, fa capolino anche da questa lucida analisi di quanto avvenuto al confine fra Israele e Gaza.
Toaff su Gaza
E poiché gli antichi saggi, che erano molto saggi (lo dice la parola stessa) sostenevano che
Ἐν οἴνῳ ἀλήθεια, In vino veritas, (e, come disse un altro grande saggio, in grappa figuriamocis) le parole dell’esimio “rabbino” Ariel Toaff, devono sicuramente essere un purissimo distillato di verità.

Passo a Dore Gold:
Dore Gold
Traduco per i non anglofoni:
Alcuni dati basilari dimenticati: gli eventi di Gaza riguardano un’organizzazione illegale, Hamas, definita gruppo terroristico anche dagli stati arabi, che sta perseguendo una finalità illegale, ossia cancellare per mezzo della forza un confine internazionale, usando mezzi illegali quali il mescolare agenti armati con i civili.

E questo è veramente un dato basilare da tenere sempre presente.

Proseguo con questo breve testo, da standing ovation:

Tutti lodino i 100 tiratori israeliani schierati sul terrapieno di Gaza

Tutti lodino i 100 tiratori israeliani schierati sul terrapieno al confine con Gaza. Non solo il primo ministro Netanyahu, non solo il ministro della difesa Lieberman, non solo gli ebrei, non solo gli ebrei israeliani, non solo l’esercito israeliano (in cui militano, ricordarselo, molti drusi, beduini, arabi cristiani…), non solo i filo-semiti: anche gli anti-semiti. Anche un anti-semita la notte vuole dormire in pace, una volta chiusa la porta del proprio appartamento. E i 100 tiratori israeliani non hanno difeso solo se stessi e il loro Stato, hanno difeso un’idea universale. Il terrapieno di Gaza è un archetipo del confine. “Abbattere le frontiere vuol dire consegnare il mondo al caos” avvisa Jean Clair. Se le torme ululanti di palestinesi avessero superato quel terrapieno nessuno avrebbe più potuto dormire tranquillo, da nessuna parte. Tutti lodino i 100 tiratori israeliani schierati sul terrapieno di Gaza contro la violenza del numero.
Camillo Langone, Il Foglio

Non può mancare il solito strepitoso Giulio Meotti.

Immaginate se venerdì scorso Hamas avesse portato quelle 30.000 persone, miliziani armati, famiglie e bambini a marciare verso il confine siriano. Assad avrebbe ordinato a un battaglione di alawiti di sparare sulla folla. Ci sarebbero stati 200 morti. Poi, per dissuaderli dal farlo di nuovo, avrebbe loro lanciato due barrel bombs. Altri 80 morti. Infine, se i palestinesi avessero resistito, avrebbe loro lanciato due taniche di gas sarin. Decine di morti per asfissia e centinaia di (veri) feriti. I superstiti sarebbero stati evacuati con un autobus. Immaginate se Hamas avesse portato quei 30.000 al confine iraniano. Gli ayatollah avrebbero opposto loro i Basiji, le milizie sciite. A sparare sulla folla, a fare arresti di massa, a torturare in carcere a Evin, a fare desaparecidos. Pensiamo a quello che hanno fatto gli iraniani dopo che le loro donne hanno cercato di togliersi il velo per strada o i loro poveri hanno marciato per il pane. Lo hanno fatto ai propri cittadini. Immaginate se Hamas avesse portato quei 30.000 contro i turchi di Erdogan. Chiedetelo ai curdi per sapere cosa sarebbe successo ai palestinesi. E se Hamas avesse portato quei 30.000 contro il confine egiziano, Al Sisi avrebbe usato guanti bianchi? Non si rivolgono mai verso occidente, contro il blocco egiziano. Sanno che ci sarebbe un massacro. Sentiamo mai marce palestinesi in Giordania, dove costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione? No? Perché si ricordano di cosa fece loro Re Hussein nel 1972: 3.400 palestinesi uccisi a sangue freddo. La verità è che Israele, in un Medio Oriente fondato sull’abominio, il sopruso e la violenza di stato, costituisce quanto di più vicino ci sia ad Amnesty International, con regole di ingaggio che molti paesi occidentali si sognano e che adempie a quei principi democratici e civili che sono un vanto dell’Occidente. Lo sanno i palestinesi e per questo forzano la sua mano a fini politici e lo sa la comunità internazionale che gioca con il diritto a esistere di Israele.
Giulio Meotti

E chi è su FB si vada a guardare anche questo pregevole sbufalamento di alcune messinscene gazane.

Aggiungo questa analisi, che mi sembra plausibile e ragionevole. E infine una robusta bacchettata che arriva dritta in casa nostra.
Emily Landau
E traduco anche questo per i non anglofoni:
Sul serio, Mogherini? Non una parola su Hamas? Sulla violenta provocazione intenzionale? Su Hamas intenzionato a distruggere Israele? Sull’uso dei bambini? Sul fatto che la maggior parte dei morti erano terroristi? È per questo che lei non ha alcuna credibilità. Lei è priva di morale.

E per concludere due parole mie. Sappiamo che il mondo è costantemente in agguato – come un gatto che fa la posta al passero, non per mangiarlo, perché di fame non ne ha affatto, ma solo per divertirsi a torturarlo a morte – in attesa di un pretesto per scatenarsi come una muta di cani rabbiosi su Israele. A volte, se è da troppo tempo che di pretesti non ne trova e sta rischiando la crisi di astinenza, accade che si scateni anche senza pretesto (se il cannocchiale funziona e se avete due minuti leggete anche i commenti: ne vale la pena). E quindi non deve stupire questo ennesimo latrare scatenatosi non appena le orde palestinesi indottrinate addestrate e comandate da Hamas si sono lanciate contro il confine israeliano allo scopo preciso di scatenare la prevedibile e legittima reazione di difesa israeliana in modo da avere un po’ di cadaveri da esibire al mondo. Non deve stupire, dicevo, e non stupisce infatti. Ma la prevedibilità di quanto sta accadendo non è certo sufficiente a smorzare la rabbia. E il dolore.

barbara

E A PROPOSITO DI LEGITTIMA DIFESA

(post assolutamente fuori tempo massimo, ma altre urgenze premevano in questi ultimi tempi)

In taxi dalla stazione all’albergo; la radio sintonizzata su uno di quel programmi in cui c’è della gente che blatera (il nome inglese mi rifiuto di dirlo e di scriverlo). In studio Salvini, di cui fino a quel momento conoscevo unicamente il nome e le contumelie che da ogni parte gli vengono scaraventate addosso; tema: l’episodio del pensionato che ha ucciso il ladro che gli era entrato in casa. Salvini non mi è sembrato rifulgere di sapienza, devo dire (rispondere “mio figlio ha detto che Valentino Rossi ha torto” – o il contrario, non mi ricordo, anche perché non ho la minima idea di che cosa abbia fatto V. R. – non è il massimo come argomentazione), ma in confronto al conduttore appariva di una brillantezza che ti ci potevi specchiare. Cioè, ditemi voi, cosa dovrei pensare di uno che per una mezza dozzina di volte ripete: “Ma la famiglia del ragazzo ha detto che la vita vale di più dei soldi”? Cioè, stiamo cercando di stabilire se il pensionato si sia comportato in maniera lecita o no, e tu mi porti come argomento le dichiarazioni dei parenti del ladro?! Ma per piacere! E quando Salvini dice: “Per il morto una prece, ma non credo di dovergli niente di più” quello salta su indignato: “Ah! Neanche una prece è disposto a concedere al morto!!” e direi che il Cottolengo dovrebbe essere il posto adatto a questo signore. E vabbè. Ciò su cui vorrei soffermarmi però è la questione: valgono più i soldi o una vita umana? A me, sinceramente, posta così pare una grandissima cazzata. Perché se io entro in gioielleria, tiro fuori la pistola e dico dammi tutti i soldi e tutti i gioielli o ti ammazzo, e il gioielliere che ha una pistola mi fa fuori, sui due piatti della bilancia non ci sono la mia vita e i suoi gioielli: quei gioielli e quei soldi sono ciò che serve a mantenere in vita la famiglia del gioielliere, quindi ciò che realmente sta su quei due piatti sono la vita di una persona criminale e le vite di una famiglia per bene. E allora, se proprio si viene messi in condizione di dover scegliere, possiamo davvero avere dubbi su che cosa valga di più?
Poi, oltretutto, succede addirittura che la vittima venga incriminata perfino quando non usa le armi.
E poi magari leggiti qualche utile considerazione qui.

barbara

TEL NOF

Sarà perché in aeronautica militare ci sono nata. Sarà perché ho avuto il battesimo dell’aria a sei mesi, su un aereo militare. Sarà perché gli aerei li ho pilotati e ci ho fatto acrobazie, sempre in aeronautica militare. Sarà quello che si vuole, sta di fatto che l’aeronautica militare ce l’ho sotto la pelle, e poche cose mi emozionano come il rombo di un caccia.
Grande è stata dunque l’emozione regalatami dalla visita alla base di addestramento della IAF (Israeli Air Force) di Tel Nof, soprattutto sapendo quanto sia fondamentale l’arma aeronautica per la difesa di questo piccolo, meraviglioso Paese, costantemente minacciato di annientamento da nemici tanto più grandi e potenti; vedere questi splendidi animali da combattimento nonché autentici gioielli tecnologici

An Israeli air force F15-E fighter jet takes off for a mission over the Gaza Strip, from the Tel Nof air base in central Israel November 19, 2012. Israel bombed dozens of targets in Gaza on Monday and said that while it was prepared to step up its offensive by sending in troops, it preferred a diplomatic solution that would end Palestinian rocket fire from the enclave. REUTERS/Baz Ratner (ISRAEL - Tags: CIVIL UNREST POLITICS MILITARY)

(illustrati dalla voce calda dell’ufficiale addetto alla nostra accoglienza, colonnello Kaufmann – che poi io non ho mai capito come facciano i soldati israeliani a essere tutti così belli, ma questa è un’altra storia) è stata davvero una festa per gli occhi e per lo spirito. Dopo le spiegazioni, le domande, e dopo le domande serie, la domanda mia: il grande sogno della mia vita è sempre stato di volare su un caccia, F15 o F16: devo rinunciare al mio sogno? Naturalmente se avesse detto di sì, avrei risposto: “Ma io non lo farò”; lui però ha risposto: “Ma no, è semplicissimo: basta che si arruoli, e potrà volare su tutti i caccia che vuole”.
La giornata è idealmente proseguita con l’intervento (tra gli altri), al ricevimento presso il kibbutz Maalè Ha’Hamisha, del giornalista televisivo Alon Ben David che ha esaustivamente illustrato la situazione attuale, i pericoli rappresentati da Hamas ma soprattutto dall’Iran, in particolare dopo il famigerato accordo voluto da Obama. E poi i discorsi sono finiti ed è iniziata la musica, e abbiamo riso e cantato e saltato e ballato fino allo sfinimento (anch’io, per un’ora di fila, senza stancarmi mai, con un fiato che non sospettavo di avere; anzi, con un fiato che non avevo mai avuto neanche quando avevo quindici anni e non avevo ancora incominciato a fumare): centinaia di persone di trenta Paesi diversi, gioiosamente unite in un unico, immenso, festoso inno alla gioia, all’amore, alla vita. Perché sta scritto: “E tu sceglierai la vita”, e noi l’abbiamo scelta. E sempre la sceglieremo, qualunque inferno i nostri nemici promettano di prepararci.
Am Israel chai.

barbara