QUALCHE POSTILLA AL POST PRECEDENTE

Postilla in merito al contenuto del post

Domenica sera a teatro. Decine (molte molte decine) di persone con la mascherina: non la banale chirurgica, bensì la più “sicura” ffp2. Per inciso c’erano anche un sacco di persone che dopo avere messo lo smartphone in modalità silenziosa, continuavano ad attivarlo per leggere l’ultimo messaggio su FB o sulla posta e rispondere, fregandosene del fastidio provocato da quello schermo luminoso nel buio della sala. In particolare ne avevo due nella fila davanti e la signora di fianco a me, quella ha praticamente continuato quasi ininterrottamente per tutte le due ore dello spettacolo (mentre suo marito ha passato più o meno metà del tempo a guardarsi le mani). Gli uni e gli altri da ricovero coatto.

Postilla in merito a tutto ciò che ci è stato imposto con covid e altro

con l’argomentazione che “ce lo chiede l’Europa”:

E poi direi che ci sta bene anche questo

Postilla in merito al contenuto di alcuni commenti

Sabato sera all’inaugurazione di una mostra fotografica. Mostra molto bella, che partendo dall’isolamento in parte imposto e in parte autoimposto quando è esploso il covid con la motivazione della difesa dal contagio, spazia poi ad altre forme di isolamento nella società. Ad un certo punto uno degli autori, invitato a dire qualcosa sull’insieme delle opere, nell’illustrare una foto dice: “Qui vediamo un uomo, o meglio, diciamo una persona, non vogliamo essere sessisti”. Ora, quella persona che era nella foto, per il messaggio che la foto voleva dare, poteva essere chiunque, uomo o donna, giovane o vecchio, adulto o bambino, quindi se avesse detto “diciamo una persona perché può essere chiunque” avrebbe detto una cosa vera, giusta, sacrosanta. Ma se mi dici che preferisci dire persona perché non vuoi essere sessista, sei una testa di cazzo, perché quella persona – senza volto perché in tutte le foto in cui compare è sempre ripresa di spalle – aveva la corporatura di un uomo, era inconfondibilmente un uomo, e oltretutto era anche presente all’inaugurazione ed è stato indicato come il soggetto ripreso, e oltre alla corporatura, aveva anche la faccia da uomo, con la barba rasata ma visibile, e con moglie al seguito, se, dicevo, quest’uomo lo chiami persona per non essere sessista, sei una mastodontica testa di cazzo al soldo della lobby di merda del politically correct.

Postilla in merito alla postilla del post

con l’omaggio a Tatiana Totmianina scesa in pista da incidentata col ginocchio ancora non guarito e dolorante. Ecco, ne ho trovata un’altra:

Non è fenomenale?

barbara

DISTANZIAMENTO SOCIALE

È stato col covid che abbiamo sentito inaugurare questa orrida espressione. Che a me, poi, “distanziamento sociale” fa pensare cose tipo “non dare confidenza alle classi inferiori”, cosa per me impossibile dato che provengo dal sottoproletariato urbano, cioè proprio l’ultima, per cui di inferiori da tenere a distanza non ne ho. Comunque. Qualcuno a un certo momento ha stabilito che la distanza di sicurezza per non infettare e non infettarsi è di un metro, ma anche uno e mezzo, ma anche due, dipende, e ha deciso che quella (quelle) era (erano) le distanze a cui stare dalle altre persone (perché è la distanza a cui arrivano le goccioline quando si starnutisce, ci è stato spiegato. Ma voi avete mai visto persone starnutire dritto in faccia alla gente? Mah). E poi improvvisamente questa cosa che doveva essere una (presunta) distanza di sicurezza è stata ribattezzata distanziamento sociale, e non so voi, ma io ho sentito immediatamente puzza di manipolazione. Perché “sociale” ha a che fare con la società, con le persone, con i rapporti umani, non con le malattie, non con i contagi, non con la salute. E infatti la vita sociale l’hanno letteralmente annientata. A partire dalla nascita: una ragazza mi ha raccontato che aveva smesso di portare la bambina al nido: “Le educatrici senza faccia, gli altri bambini non li può abbracciare, non li può toccare, loro non possono toccare lei, non può toccare i loro giocattoli e loro non possono toccare i suoi, cioè ognuno sta nel proprio angolo a giocare da solo: che razza di socialità può sviluppare? Che razza di visione può avere dei rapporti con gli altri?” E fino alla morte: vedi le RSA, vedi i vecchi a cui non è stato mai più permesso di abbracciare, o anche solo di vedere figli e nipoti. Per il loro bene, dice. Ma qualcuno si è preoccupato di chiederlo a loro, che cosa desiderano per sé? E mi piace riportare questa testimonianza trovata su FB:

Di solito non condivido esperienze lavorative personali ma quella di oggi mi ha emozionato e mi andava di raccontarla:
Giornata di vaccinazione particolare oggi. Tra i tanti anziani perplessi e alcuni arrabbiati perché avrebbero ricevuto la prima dose Astra zeneca, mi ha emozionato un amorevole nonnino, uno di quelli ruspanti, col viso bruciato dal sole dei campi, di quelli che ancora provano un timore reverenziale nei confronti di medici, preti e autorità. Il simpatico nonnino completate le pratiche burocratiche presso la mia postazione, prima di allontanarsi per  ricevere la sua seconda dose, non senza imbarazzo, mi si è avvicinato e mi ha chiesto: “Ma adesso sono a posto”? E io,”sì ha finito è a posto può andare dall’infermiere per la puntura”. Lui a quel punto si è avvicinato ancora un po’, non contento della mia risposta e sempre più imbarazzato mi ha chiesto: “allora sono a posto? li posso riabbracciare i miei nipoti?”

Ma quelli bloccati nelle RSA, impossibilitati a spostarsi, si è preferito separarli d’autorità dai loro affetti, e per qualcuno il tempo del riabbracciarsi non è mai arrivato, condannati a morire soli come cani.

Contemporaneamente è andato sviluppandosi l’uso delle app, utilissime fino a quando usarle è una scelta, castranti quando vengono imposte come unica opzione, e resta il fatto indiscutibile che annullano i contatti umani. La scorsa estate ho dovuto rifare il passaporto perché il vecchio era scaduto e avevo in programma il viaggio in Israele. Per il precedente dieci anni fa, a Brunico, il lunedì sono andata alla polizia, dove mi hanno detto che l’ufficio passaporti era aperto il martedì e il giovedì, il giorno successivo sono tornata e mi hanno detto che cosa serviva, il giovedì sono andata a portare tutto e farmi prendere le impronte e due settimane dopo sono andata a ritirarlo. Adesso qui le informazioni si ricevono solo dal sito, per andare a portare le cose che servono bisogna prendere appuntamento e l’appuntamento si può prendere solo online, cioè il contatto tra le persone è stato ridotto al minimo possibile. Tra l’altro per prenderlo occorre avere lo spid, e per avere lo spid occorre avere lo smartphone, che io rifiuto, e quindi per poter avere l’appuntamento ho dovuto fare i salti mortali. E mi sa che il prossimo, fra altri dieci anni, non potrò averlo neanche coi salti mortali tripli avvitati carpiati scaravoltati.

E poi è arrivato il momento di partire per Israele. È stato un viaggio un po’ zingaresco, decidendo di tappa in tappa come proseguire e cercando di volta in volta dove dormire; per Tel Aviv però, dove saremmo arrivati di sera tardi, bisognava prenotare qualcosa prima. Avendo esigenze diverse, io e cdv abbiamo scelto alloggi diversi; io ho preso un monolocale in Ben Yehuda, prenotato e pagato online; poi per entrare il giorno dell’arrivo mi è stato fornito un codice con il quale aprire lo sportellino della scatoletta in cui si trovava la chiave del portone e un altro codice per recuperare la chiave dell’alloggio. Nell’edificio niente reception, niente personale, niente di niente, quindi il tutto senza vedere una sola persona. Con una persona dell’amministrazione ho dovuto parlare per telefono per la faccenda della carta di credito clonata e quindi bloccata, per cui non potevano ottenere il pagamento col numero che avevo fornito, ma senza questo intoppo i contatti sarebbero stati a zero. Ho visto anche un McDonald’s (non li frequento, ma per mettere qualcosa sotto i denti a un prezzo decente quando sono in viaggio può andare bene) in cui non c’era il banco a cui fare l’ordinazione, e magari chiedere qualche eventuale spiegazione, ma degli aggeggi tipo bancomat in cui si digitava il numero delle cose che si volevano e, immagino, qualcosa con cui identificarsi, e da lì l’ordinazione arrivava direttamente alla cucina. Me ne sono andata senza mangiare: mi rifiuto di trasformare anche i pasti in operazioni asettiche in cui non ci sia una sola faccia umana da guardare. E ieri, in un blog che frequento, l’amico WC (no, non nel senso che sia un cesso: sono le sue iniziali) ha scritto “Senza smartphone in pratica in Danimarca non puoi fare nulla. È tutto gestito da app online…” Cioè si sta sempre più andando verso l’obbligatorietà, verso la spersonalizzazione, verso la disumanizzazione. Intendiamoci, io non sono pregiudizialmente contro il progresso, ma mi rifiuto di vivere in un mondo artificialmente – e programmaticamente – privato degli umani.

C’è da dire che questo processo sembra essere allegramente sostenuto da una fetta consistente della popolazione. Penso per esempio alle persone che dopo avere convintamente accettato reclusione, coprifuoco, chiusura di ogni sorta di locali e attività e cancellazione della faccia, tuttora, col covid che, tranne che per gli ottantenni cardiopatici diabetici ipertesi ipercolesterolemici, raramente è qualcosa di più di un raffreddore, girano ancora privi di faccia. Forse sono davvero convinti di farlo per proteggersi – anche se in realtà stanno semplicemente distruggendo la propria fabbrica di anticorpi – ma la verità è che stanno cancellando il mondo intorno a sé, sono stati offerti loro gli strumenti per poterlo fare, e ci si sono avidamente buttati sopra. E penso, sempre a questo proposito, a quelli che girano costantemente con gli auricolari infilati nelle orecchie, isolati dal mondo, isolati dalla società, isolati dalla vita reale, autentici zombie oltre che bersaglio prediletto di ogni sorta di predatori, aspiranti scippatori, stupratori, o dispensatori di violenza gratuita che siano.

Restando sostanzialmente in tema, un’altra causa di autentico distanziamento sociale è la “musica” – rigorosamente fra virgolette – a palla che esplode nelle orecchie ormai nella maggior parte dei locali, bar, ristoranti, negozi, supermercati. Per quanto mi riguarda la trovo una cosa di una violenza inaudita, che rende praticamente impossibile dialogare, chiacchierare, discutere, intollerabile l’impossibilità di scegliere, di scegliere se ascoltarla o non ascoltarla, di scegliere, in caso, il tipo di musica, di scegliere il volume. Le persone per sentirsi sono costrette a gridare, obbligando le altre a gridare di più in un infinito crescendo. Quanto a me, se posso scegliere mi rifiuto categoricamente di entrare in questo genere di locali, che diventano purtroppo sempre più numerosi; se proprio sono costretta a entrarci, non riesco a fare altro che rannicchiarmi in un angolo con le mani sulle orecchie, incapace di mangiare, incapace di bere, incapace di fare qualunque cosa, con una sofferenza che mi devasta. Se è a volume basso la sopporto (se proprio devo) però mi dà ugualmente fastidio: mi disturba il fatto che mi venga imposta. Il punto è, mi fa notare l’amica Moon, che la maggior parte delle persone apprezza la musica, che il locale che la mette paga la Siae, e di sicuro non lo farebbe se i clienti non la gradissero. Cioè, per un bel po’ di gente, questa roba rappresenta un incentivo. Cioè un sacco di gente gradisce che le cose le vengano imposte. Gradisce che le vengano imposte cose che le impediscono di pensare, di comunicare, di dialogare. Secondo qualcuno il rumore è vita; no: il pensiero è vita, e il pensiero si sviluppa unicamente nel silenzio. La comunicazione è vita, e con un rumore di fondo la comunicazione è disturbata, falsata, quando non resa impossibile.

Ecco: da una parte sembrerebbe proprio, visti certi provvedimenti assurdi e controproducenti presi con la scusa del covid, e vista l’imposizione sempre più stretta di sistemi che fanno sbrigare ogni sorta di pratiche senza alcun contatto umano (anche telefonando alle carte di credito o alle compagnie telefoniche si parla in linea di massima con un robot), che si voglia cancellare dall’alto i contatti umani, ossia imporre un “distanziamento sociale” sempre più diffuso e capillare, dall’altra sempre più persone, al di là della comodità di sbrigare certe pratiche da casa con qualche clic, anche nella loro vita quotidiana abbracciano entusiasticamente questo distanziamento: escono con gli amici e passano il tempo a smanettare sullo smartphone, entrano in locali in cui si viene assordati da un frastuono che viene chiamato musica, vanno per strada con le orecchie tappate dagli auricolari, sorde e cieche alla VITA che le circonda. In poche parole, ci stiamo avviando a un mondo popolato da zombie. Che a me fa paura.

Anche se stavolta non c’entra col tema, voglio rendere omaggio a Tatiana Totmianina, 41 anni, due figli, incidentata pochissimi giorni fa (hanno dovuto portarla fuori di peso – e i segni sono ancora ben visibili) e tuttavia di nuovo in pista, rispettando gli impegni presi e il pubblico che l’aspettava. Godiamoci questo delizioso “Tenerezza”.

(L’ho già detto ma lo ridico: per un uomo con questa faccia posso fare qualunque follia. Perché col cavolo che mi distanzio, io)

barbara