Ho conosciuto virtualmente Simone Somekh alcuni anni fa. Era un ragazzino di liceo, ma il genio si vedeva già tutto. Aveva un blog molto bello, e molto variegato, con riflessioni, racconti, foto delle sue variopinte creazioni culinarie (ed è stato lì che ho scoperto il suo unico ma gigantesco difetto: non gli piace l’aglio!), e scriveva articoli per varie testate: scriveva di musica, di moda, di attualità e tanto altro ancora. Poi quattro anni fa ho avuto il piacere di incontrarlo anche di persona, a Gerusalemme: all’epoca viveva a Tel Aviv dove studiava, scriveva articoli, lavorava in una radio. È stato un incontro molto bello, con un ragazzo intelligente, aperto, profondo, e dolcissimo. Adesso, a ventun anni, vive a New York, lavora, scrive articoli soprattutto in inglese, e ha pubblicato il suo primo romanzo; non l’ho ancora letto, ma sapendo come scrive sono sicura che varrà la pena di leggerlo. È una storia – credo in parte autobiografica – di crescita, di ribellione all’ambiente dell’ortodossia ebraica in cui è nato e cresciuto, di ricerca dei propri valori e delle proprie regole. Credo siano emblematiche queste parole che il protagonista rivolge alla madre:
Vi siete preoccupati così tanto di far combaciare tutti i pezzi che avete perso di vista quelli più importanti. Volevate una comunità e vi siete lasciati scappare la famiglia. Volevate Dio e vi siete dimenticati degli uomini. A volte penso che abbiate guardato alla realtà attraverso un grandangolo: pur di allargare gli orizzonti, avete permesso che la vista degli oggetti in primo piano venisse deformata.
E questo è lui, Simone, che ve lo racconta:
Adesso corro a prendermelo su Amazon, e guai a voi se non mi imitate.
Simone Somekh, Grandangolo, Giuntina
barbara