IL PARADOSSO DELLA TIGRE E DELLA MUCCA E DELLE SCORIE NUCLEARI

Che poi tanto paradossale, a guardare bene, non è.

Le mucche uccidono più delle scorie nucleari

Riproponiamo questo articolo originariamente pubblicato su Today.it, e dedicato alla differenza tra rischio e pericolo, nell’ambito della gestione dei rifiuti nucleari

Se incontrassimo una tigre, la nostra vita sarebbe a rischio? Dipende. La tigre è pericolosa per l’uomo. Molto. Supponiamo di trovarci di fronte a una tigre affamata nella giungla: avremmo pochissime probabilità di sopravvivere. Ma una tigre in gabbia è altrettanto pericolosa? Sì, rimane pericolosa, ma il rischio che ci faccia del male è praticamente zero. Potremmo avvicinarci fino a pochi centimetri e per quanto la tigre sia pericolosa non rappresenterebbe per noi un rischio concreto.
Ecco spiegata la differenza – dal punto di vista della gestione della sicurezza – fra i concetti di pericolo (la potenzialità di causare un danno) e rischio (la probabilità che il danno venga effettivamente causato).

Tigri e mucche uccidono di più

Le scorie radioattive sono pericolose? Molto. Se toccassimo del cesio-137, uno degli isotopi radioattivi risultante dalla fissione dell’uranio, è probabile che nel giro di qualche giorno moriremmo da malattia acuta da radiazione, come i pompieri di Černobyl’. Ma le scorie radioattive sono anche rischiose? Dipende. Le scorie trattate, vetrificate, stoccate in contenitori appositi (i “cask”) che sono a prova di bomba e disastro aereo, non rappresentano un rischio per l’essere umano.
Nella foto (il deposito delle scorie nucleari svizzere)

si vede infatti un uomo in mezzo a tonnellate di pericolosissimi materiali radioattivi e non è esposto praticamente a nessun rischio. Come una persona che sia circondata da centinaia di tigri affamate, ma chiuse in gabbia. La tigre oggi non rappresenta più un rischio reale per l’uomo. Purtroppo nel mondo ci sono più tigri in cattività che libere in natura e ogni anno meno di 50 persone vengono uccise globalmente dalle tigri selvatiche, mentre quelle in gabbia ne uccidono una ogni molti anni, perché magari la porta era stata chiusa male o qualcuno ci è finito dentro per errore (perché ricordiamo che per quanto sia basso il rischio zero non esiste [questo magari farebbe bene a ricordarlo anche il governo, che vuole tenerci incatenati fino a quando il covid non sarà diventato a rischio zero]). Al contrario le poco pericolose mucche, che tutti facciamo accarezzare ai bambini quando andiamo in un agriturismo, causano 20 morti all’anno nei soli Stati Uniti. Allo stesso modo mentre le scorie radioattive non causano nessuna vittima, proprio perché il rischio viene abbattuto con rigorosissime misure di sicurezza, le polveri sottili e gli ossidi di azoto causati dai combustibili fossili provocano 80.000 morti premature all’anno solo in Italia e tutti noi che viviamo in Pianura Padana perdiamo in media oltre un anno di vita a causa dello smog.

Respiriamo smog e nessuno se ne preoccupa

Cosa rappresenta quindi un maggior rischio per la nostra salute: il poco pericoloso smog o le molto pericolose scorie radioattive? La Sogin ha individuato 67 aree potenziali dove far sorgere il deposito unico italiano per i rifiuti radioattivi (che non sono solo quelli risultanti dalle centrali elettronucleari ormai chiuse da 30 anni ma anche quelli derivanti da attività industriali, mediche e diagnostiche ecc.). Sebbene il deposito rappresenti una opportunità per l’economia locale e per l’occupazione dell’area che verrà scelta, gli amministratori e gran parte dei cittadini delle 67 zone si sono tutti opposti. Eppure quegli amministratori e quei cittadini che hanno irrazionalmente paura del sicurissimo deposito delle scorie fanno spallucce e accettano supinamente di morire prematuramente per lo smog. D’altra parte se dicessero alle persone di fare una passeggiata in mezzo ai cask delle scorie nucleari non so quanti sarebbero tranquilli nel farlo, mentre invece d’inverno a tutti piace stare di fronte a un caminetto, nonostante si respiri benzo(a)pirene e anidride solforosa: un comportamento molto più rischioso.
La paura anche irrazionale delle scorie è così grande e radicata che per far stare tutti tranquilli per generazioni e generazioni la scienza ha trovato il modo per risolvere definitivamente il problema: quello dei depositi geologici profondi. I geologi possono individuare delle aree che garantiscono con buona certezza centinaia di migliaia di anni di stabilità geologica così da ‘tombare’ in modo sicuro le scorie fino al punto che se anche dopo centinaia di migliaia di anni qualcosa cambiasse le scorie ormai decadute sarebbero innocue. Per usare le parole del Centro comune di ricerca dell’Unione europea (JRC) nel suo report sull’energia nucleare: “C’è un ampio consenso nella comunità scientifica che lo smaltimento geologico profondo è la soluzione a lungo termine più sicura per il combustibile nucleare esaurito e le scorie radioattive di alto livello. I depositi geologici profondi si basano su una combinazione multi-barriera che comprende sia barriere ingegneristiche che naturali […]. Gli impianti di smaltimento sono progettati per essere sicuri in modo passivo dopo la chiusura. I depositi geologici sono progettati in modo tale che il potenziale rilascio radioattivo che si potrebbe verificare in un futuro remoto sia ben al di sotto dei limiti massimi di dose consentita fissato dalla normativa di riferimento, limiti che, a loro volta, sono di ordini di grandezza inferiori ai livelli di radioattività di fondo naturale, così da assicurare che nessun danno sarà mai causato agli esseri umani dal deposito geologico”.

Le scorie sono l’ultimo dei problemi

Chi è contrario al nucleare mette spesso al primo punto le scorie radioattive come motivazione per il suo rifiuto. In realtà le scorie radioattive sono forse l’ultimo dei problemi del nucleare. Come abbiamo visto sono pericolose ma non rischiose ma soprattutto sono poche, pochissime. La grande bellezza del nucleare è l’enorme densità energetica del suo combustibile: da poco uranio si ricava moltissima energia. Poco uranio che rilascia pochissime scorie che per quanto siano terribilmente pericolose sono trattabili così da portare il rischio quasi a zero.
Seppellire i cask di scorie nei depositi geologici sarebbe come portare le tigri in gabbia all’interno di una giungla impenetrabile, per rimanere all’esempio iniziale. Viceversa altre attività umane, dal bruciare i combustibili fossili al produrre enormi quantità di pale e turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e batterie, rilasciano tantissimi rifiuti e scarti che sebbene siano meno pericolosi e non radioattivi sono in quantità tali da mettere molto più a rischio la nostra salute e quella dell’ambiente naturale. E di diversi ordini di grandezza. L’ammontare delle scorie radioattive di alto livello – comprese di involucro – prodotte dalla Francia, che di centrali nucleari ne ha una ventina con 58 reattori, in oltre 50 anni di attività potrebbe essere contenuta in un cubo di 16 metri di lato. Quanto una piccola palazzina di 4 piani. Da 40 anni la Francia è fra i grandi paesi industrializzati quello con le emissioni di CO2 procapite più basse grazie al nucleare, che ha avuto come scarto solo quel cubotto lì.
Se la differenza fra rischio e pericolo venisse insegnata a scuola sin dalle elementari forse oggi potremmo affrontare con più serenità la sfida per contenere i cambiamenti climatici di origine antropica, evitando di rifiutare per ignoranza e irrazionalità una soluzione efficace ed efficiente, pulita e sicura, come quella dell’energia nucleare.
Marco Riccardo Ferrari, qui.

Naturalmente, come già più volte ho ripetuto, rifiuto categoricamente quel vero e proprio delirio di onnipotenza che porta a credere che i nostri comportamenti possano addirittura determinare il clima; possiamo tuttavia influire, e di fatto influiamo, sull’inquinamento, e sicuramente lo aumentiamo grandemente distruggendo prati e campi per metterci sopra pannelli solari e costruendo le mostruose pale eoliche, e magari aspettandoci di poterci scaldare e gestire tutta la quotidianità con quei giocattoli che potrebbero al massimo far funzionare la casa di Barbie. Ma purtroppo, come diceva quel tale, è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. A partire da quelli sugli atomi.

barbara

PARLIAMO DI NUCLEARE

E precisamente di Chernobyl, 35 anni dopo.

DARWINITE… ATOMICA! COSA SUCCESSE DAVVERO NEL DISASTRO DI CHERNOBYL (SPIEGATO BENE)

(“Darwinite“: patologia mentale che porta uno o più individui ad agire in senso completamente contrario alla teoria dell’evoluzione)

In occasione della trasmissione in chiaro della serie TV “Chernobyl” su La7, ne approfittiamo per fare luce sull’unico disastro nucleare civile che ha causato vittime.
Prima di tutto occorre precisare che la centrale nucleare di Chernobyl non era interamente una struttura civile: era una centrale pensata per produrre energia elettrica a fini civili e plutonio a fini militari.
La necessità di recuperare il plutonio richiedeva cicli del combustibile molto più rapidi (di pochi giorni, invece che di diversi mesi, altrimenti si accumula una quantità eccessiva di Plutonio 240 che è troppo instabile per le tecnologie belliche) e quindi la necessità di intervenire sul nocciolo del reattore molto più spesso. Gli interventi di sostituzione del combustibile venivano effettuati dall’alto tramite una gru.
Il fatto di dover avere la gru praticamente sempre montata aveva portato alla scelta di lasciare scoperto il tetto dell’edificio di contenimento del reattore (difetto di progettazione #1).
In secondo luogo, le persone deputate a dirigere la centrale non erano esperti di energia nucleare: sia il direttore Brjuchanov, sia il capo-ingegnere Fomin non erano fisici o ingegneri nucleari e avevano lavorato precedentemente solo in centrali a carbone (incompetenza #2). Il capo-ingegnere dei reattori 3 e 4, Djatlov, aveva invece una limitata esperienza di reattori nucleari, ma relativa alla tipologia utilizzata per la propulsione navale.
In terzo luogo, occorre capire quali fossero le caratteristiche dei reattori RBMK utilizzati a Chernobyl. Si tratta di reattori di tipo BWR (Boiling Water Reactor), moderati a grafite: in questi reattori la fissione del combustibile scalda l’acqua, che va in ebollizione e si trasforma in vapore ad alta pressione che va alle turbine (nei reattori PWR invece l’acqua viene mantenuta allo stato liquido tramite la pressione, e non va direttamente alle turbine, ma passa da uno scambiatore di calore, ed è il vapore del circuito secondario che va alle turbine).
Le barre di combustibile sono inserite direttamente all’interno della grafite, e a diretto contatto con l’acqua di raffreddamento.
Un reattore con queste specifiche ha una caratteristica particolare: la formazione di sacche di vapore aumenta il tasso di reazioni. Infatti, mentre l’effetto di rallentamento dei neutroni (che favorisce le reazioni di fissione) viene comunque garantito dalla grafite, l’ebollizione dell’acqua fa sì che questa diminuisca il suo effetto di assorbimento di neutroni (l’acqua è un moderatore, ma anche un assorbitore debole), col risultato di un aumento della potenza.
Questa caratteristica viene detta “coefficiente di vuoto positivo“.
In molti, anche con qualche nozione su come funziona un reattore nucleare, attribuiscono la causa dell’incidente al coefficiente di vuoto positivo, ma è abbastanza riduttivo: senza una micidiale sequenza di errori umani, questa caratteristica tecnica non avrebbe causato disastri di per sé stessa.
Ora che sappiamo quali erano le caratteristiche della centrale e del reattore, andiamo a vedere cosa è successo.In occasione di uno spegnimento programmato del reattore per operazioni di manutenzione, il direttore decide di eseguire un “test di sicurezza” – in realtà un test di efficienza.
Decide cioè di vedere se, in caso di spegnimento di emergenza, le turbine, girando per inerzia, possono continuare a produrre energia in grado di alimentare il sistema di raffreddamento per un minuto, ovvero il tempo che serve a far avviare i generatori diesel di backup. Il test era già stato eseguito su un altro reattore, ma aveva dato esito negativo, per via dell’intervento di diverse misure di sicurezza automatiche.
Pertanto il direttore della centrale, per essere sicuro che il suo test riuscisse, fa disabilitare le procedure di sicurezza automatiche, tra cui: spegnimento automatico del reattore, raffreddamento di emergenza del nocciolo, riduzione di emergenza della potenza, etc. (incompetenza #3, #4 e #5).
Nota: questo è stato reso non più possibile nei reattori progettati successivamente, in cui la maggior parte dei fail-safe sono completamente passivi.
Il test doveva essere effettuato nel pomeriggio del 25 aprile 1986, ma un guasto ad un’altra centrale elettrica nella zona costringe a rimandare lo spegnimento del reattore (il governo aveva chiesto alla centrale di rimanere accesa più a lungo per fornire energia elettrica che compensasse quella della centrale che aveva subito il guasto).
Il direttore decide quindi di effettuare lo stesso il test, ma all’una di notte (incompetenza #6), col personale notturno che avrebbe dovuto limitarsi alla manutenzione ordinaria di un reattore spento e invece di colpo si trova ad eseguire un test su un reattore acceso, senza essere stato adeguatamente preparato.
Cosa mai poteva andare storto?
La fase iniziale del test prevede di ridurre la potenza del reattore di circa il 75%, ma l’operatore che doveva inserire le barre di controllo commette un errore (incompetenza #7) e le infila troppo in profondità, facendo scendere la potenza a meno dell’1%.
Nonostante l’instabilità del reattore a potenze troppo basse fosse una cosa nota, e nonostante i manuali operativi prescrivessero di non far mai scendere la potenza sotto il 20%, si opta per continuare il test (incompetenza #8).
Vengono quindi attivate delle pompe di raffreddamento extra, per aumentare la pressione dell’acqua, ma viene commesso un nuovo errore (incompetenza #9) e viene immessa nel sistema una quantità d’acqua superiore del 19% a quella consentita dai limiti di sicurezza, causando un’ulteriore diminuzione di potenza per via dell’assorbimento di neutroni.
A questo punto la potenza è troppo bassa per effettuare il test, e quindi occorre farla risalire.
Come?
Beh, ma è ovvio: rimuovendo le barre di controllo. TUTTE, le barre di controllo. Su 211 barre di controllo ne vengono rimosse 205, andando contro ai manuali operativi del reattore, che prescrivono un minimo di 30 sempre inserite (qui non è nemmeno più incompetenza, è proprio assalto al premio Darwin #10).
La potenza risale così a 200 MW termici, e finalmente l’esperimento può cominciare: all’1:23:04 di notte si interrompe il flusso di vapore verso le turbine, staccando quindi l’alimentazione al sistema di raffreddamento.
Solo che – e non dovrebbe essere una sorpresa per degli esperti  – alle basse potenze la reale reattività del sistema viene mascherata dalla presenza di Xeno 135, un potente veleno neutronico. C’era pure un motivo se i manuali operativi parlavano di “rischio di instabilità alle basse potenze” e raccomandavano di tenere il reattore a 600 MW termici di potenza minima: infatti a potenze elevate lo Xeno 135 si consuma rapidamente, motivo per cui la formazione di questo elemento non rappresenta un problema durante il normale funzionamento del reattore, ma alle basse potenze si accumula e ostacola i processi di fissione.
Quando la potenza torna su, l’aumento del numero di neutroni liberi abbassa rapidamente la concentrazione di Xeno 135, e a quel punto viene fuori la reale reattività del nocciolo: la temperatura inizia a salire rapidamente; aumentando la temperatura si formano sacche di vapore, che causano un ulteriore aumento del tasso di fissioni, e quindi fanno salire ulteriormente la potenza, in un circolo vizioso (ricordate il coefficiente di vuoto positivo? Difetto di progettazione #11).
Naturalmente non è un problema, i neutroni in eccesso vengono assorbiti dalle barre di control… ah no, sono state rimosse tutte.
Beh almeno la temperatura possiamo tenerla sotto contr… ah no, abbiamo appena staccato l’alimentazione al sistema di raffreddamento.
All’1:23:40 l’aumento incontrollato di potenza induce finalmente qualcuno a premere il bottone di arresto di emergenza, che però causa un ulteriore problema: gli estensori delle barre di controllo, ovvero le “punte” (lunghe circa 1 metro) sono fatte in grafite. Che, abbiamo visto prima, rallenta i neutroni.
Durante l’inserimento, dunque, la grafite degli estensori inizialmente rimpiazza un pari volume di acqua, causando un rapido aumento del tasso di fissioni (e quindi della potenza) dovuto al maggior effetto moderatore, prima della diminuzione (difetto di progettazione #12).
Solo che con la situazione già fuori controllo l’aumento di potenza dovuto agli estensori in grafite è sufficiente a deformare le canaline per via della dilatazione termica, bloccando l’inserimento del carbonato di boro, e quindi impedendo al sistema di stabilizzarsi.
Quando la potenza raggiunge i 33 GW termici, dieci volte in più del massimo previsto, il combustibile comincia a fondersi e il vapore a dissociarsi, producendo idrogeno gassoso.
La pressione causa la rottura delle tubature e l’allagamento dei sotterranei.
Quando l’acqua liquida entra in contatto col combustibile fuso (detto “corium”) l’esplosione di vapore che segue è così violenta da far saltare la piastra superiore del reattore (1000 tonnellate), scoperchiandolo.
A questo punto, a contatto con l’ossigeno atmosferico, anche la grafite prende fuoco, e visto che l’edificio di contenimento non ha il tetto i fumi dell’incendio danno origine alla nube radioattiva di cui sicuramente avrete sentito parlare.
La gravità della fuga di radiazioni venne inoltre rilevata con estremo ritardo perché gli operatori della centrale erano quasi tutti equipaggiati con dei rilevatori di radiazioni il cui fondo-scala era a 3,6 röntgen/ora, un valore non preoccupante.
Quando a Djatlov venne in mente che forse il valore effettivo poteva essere più alto, e mandò qualcuno a controllare con un rilevatore col fondo scala a 360.000 röntgen/ora, la radioattività aveva già superato i 20.000 in alcune zone (incompetenza #13).
A questo punto dovrebbe essere evidente che definire Chernobyl “un incidente” è come mettersi al volante bendati, chiamare “imprevisto” il successivo schianto e a quel punto proporre di mettere fuorilegge le automobili.
Ciò nonostante, da allora non sono più stati progettati reattori con coefficiente di vuoto positivo, sono stati introdotti sistemi di sicurezza totalmente passivi, che non possono venire disinseriti manualmente, è stato introdotto lo SCRAM automatico, sono state brevettate nuove leghe di combustibile con temperature di fusione più alte, è aumentato drammaticamente il livello di controllo internazionale su ogni singolo impianto ed è stata resa obbligatoria la certificazione di tutti gli operatori di una centrale nucleare presso la IAEA.
Il che rende la posizione di chi è contrario al nucleare “perché Chernobyl” più o meno equivalente a quella di chi è contrario all’aviazione per via dell’incidente dello zeppelin Hindenburg nel 1937.
Nessun reattore costruito dopo Chernobyl è mai andato incontro ad incidenti (Fukushima era più vecchio di 20 anni).
Ad oggi nel mondo esistono ancora una decina di reattori RBMK attivi, che saranno smantellati nei prossimi decenni, ma è stato corretto il difetto di progettazione agli estensori delle barre di controllo e sono stati adottati tutti i moderni accorgimenti di sicurezza di cui sopra.
Ad oggi, l’incidente di Chernobyl resta un caso unico nella storia, eppure la sovraesposizione mediatica, accompagnata dal terrorismo psicologico ambientalista, lo hanno trasformato in uno spauracchio agitato da ogni bravo antinuclearista.
Tuttavia, nonostante la catena allucinante di errori progettuali, gestionali, strutturali, tecnici e umani, il reale bilancio della catastrofe di Chernobyl resta di poche centinaia di vittime tra passate, presenti e future, secondo gli studi dell’UNSCEAR e della Chernobyl Tissue Bank, molto inferiore rispetto a quello di eventi quali il disastro di Morbi, il disastro del Vajont o il crollo della diga di Banqiao, e certamente minuscolo rispetto al numero di morti causati ogni anno dall’inquinamento (9 milioni).
Il report del Chernobyl Forum del 2003 sull’incidente di Chernobyl parla di 4000 potenziali vittime nell’arco di 80 anni dall’incidente. Questo risultato è stato tuttavia ottenuto con un modello che oggi viene considerato obsoleto, e pertanto non viene considerato un dato affidabile.
Luca Romano, 26 giugno 2020, qui.

Sì, direi proprio “spiegato bene”, almeno quanto basta da risultare chiaro anche ai profani. E chissà che qualche “no-nuke” invasato non si decida ad aprire gli occhi.
Poi se ti resta ancora un minuto vai a vedere anche questo.
(Continua domani con Fukushima)

barbara