SEMPRE PIÙ SULLE ORME DI HITLER

Eutanasia per malati mentali, stop del Canada a un passo dal baratro

Un coro trasversale di preoccupazioni induce il governo canadese a posticipare di un anno l’entrata in vigore dell’eutanasia per i pazienti psichiatrici. Ma Trudeau e compagni sono determinati ad attuare la misura. Intanto crescono i casi di chi ricorre alla Maid per povertà e le cure vengono tagliate. Ma per le élite è progresso.

Stavolta la logica mortifera del piano inclinato ha subìto uno stop, sebbene per ora solo temporaneo. Siamo in Canada. Qui, il 17 marzo di quest’anno, sarebbe dovuta entrare in vigore l’estensione, per i malati mentali, dell’eutanasia e del suicidio assistito. Una misura che era stata decisa a seguito dell’ampliamento, approvato nel marzo 2021, della normativa sulla ingannevolmente detta Medical assistance in dying («Assistenza medica nel morire», Maid nell’acronimo inglese [vedi come cambiano i tempi: una volta la Morte era un’orrenda vecchia con la falce, adesso è diventata una graziosa cameriera, magari in grembiulino bianco e crestina]), con cui è stato esteso l’accesso a eutanasia e suicidio assistito anche alle persone «la cui morte non è considerata ragionevolmente prevedibile». Dunque, non solo malati cosiddetti «terminali» (su cui pure permane una certa arbitrarietà). L’ultimo tassello di questo ampliamento riguardava appunto i pazienti con malattie psichiatriche.
Ma a seguito del coro di preoccupazioni che si è levato da più fronti della società, il governo guidato da Justin Trudeau ha deciso di ritardare di un anno l’entrata in vigore della Maid (posticipata quindi al 17 marzo 2024) per i pazienti che soffrono solo di una malattia mentale. Una decisione, insomma, presa obtorto collo. La determinazione dell’esecutivo a procedere lungo il baratro dell’eutanasia, del resto, trova conferma nelle parole del ministro della Giustizia, David Lametti, il quale, rispondendo a una domanda della Cbc Radio sulla possibilità che il governo cambi nel frattempo idea, ha detto in modo netto: «No, non torneremo indietro».
Le parole d’ordine dell’esecutivo sono sempre le stesse che sentiamo ripetere in tutto l’Occidente – dalla «libertà di scelta» alle presunte «tutele» a favore dei pazienti vulnerabili – ma gira e rigira si lavora sulla stesura e lo sviluppo di meri protocolli per dare la morte, il cui varo è previsto per il prossimo autunno. Per l’esattezza, si tratta di un curriculum in sette moduli per la «formazione» dei medici, informa lo stesso Dipartimento di Giustizia canadese, «incluso un modulo sulla Maid e i disturbi mentali». In parole semplici, la morte è sempre più ridotta a un “servizio”, una procedura da offrire quanto prima possibile (come anche da noi); e la missione del medico (curare) viene sempre più sfigurata e capovolta, nel suo esatto contrario (non curare e, infine, uccidere).
La nota positiva è che la gravità del piano inclinato sta portando alcuni ad aprire gli occhi. L’attivista pro vita Alex Schadenberg, fondatore di Euthanasia Prevention Coalition, fa il caso del Toronto Star, il quotidiano più diffuso del Canada, che è stato tra i più attivi promotori dell’eutanasia. Il 7 febbraio, il Toronto Star ha pubblicato un articolo, a firma dell’editorialista Andrew Phillips, in cui esorta il governo a «cambiare rotta», abbandonando del tutto il progetto di ammettere all’eutanasia anche i malati mentali. Sintetizzando le preoccupazioni emerse negli ultimi mesi, Phillips scrive che «le persone, dalla destra pro-vita alla sinistra per la giustizia sociale, hanno sollevato una serie di domande. Abbiamo sentito parlare di sempre più casi in cui i malati hanno scelto la Maid a causa della povertà, della mancanza di una casa e di altre “sofferenze sociali”». L’assunto – peraltro fallace sul piano morale – dell’eutanasia per pochi e gravi casi si sta in sostanza rivelando per quel che è: una bugia, per creare consenso.
Solo nel 2021 sono state 10.064 le persone uccise per eutanasia o suicidio assistito, un nuovo triste record per il Canada, i cui numeri di pazienti soppressi attraverso la Maid sono in crescita costante. Basti ricordare che il primo anno intero in cui la Maid (approvata nel giugno 2016) è stata in vigore, il 2017, le morti “assistite” erano state 2.838. Di recente è emerso il caso di una collaboratrice della lobby pro-eutanasia Dying With Dignity, la dottoressa Ellen Wiebe, che in un seminario nel 2020 si era vantata di aver aiutato a morire più di 400 persone e includeva tra le ragioni per praticare l’eutanasia anche i «bisogni insoddisfatti» di coloro che la richiedono: bisogni (rari, precisava lei) riguardanti «la solitudine e la povertà».
Di casi inquietanti ce ne sono diversi. Ricordiamo, tra tutti, quello della novantenne Nancy Russell che ha chiesto e ottenuto l’eutanasia in tempo di Covid perché non reggeva all’idea di dover affrontare un altro lockdown. E, ancora, il caso della disabile di appena 31 anni, conosciuta come Denise, che aveva ottenuto l’approvazione con riserva per il suicidio assistito perché non riusciva, a causa della sua povertà estrema, a trovare un alloggio adeguato ai suoi bisogni. Solo in seguito all’aiuto finanziario ottenuto da un migliaio di donatori venuti a conoscenza della sua vicenda attraverso i media, la giovane ha messo in pausa la sua richiesta di morte. Segno che la scelta dell’eutanasia (quando essa non è direttamente imposta dallo Stato) è figlia di una disperazione da cui si può uscire con il necessario sostegno medico, materiale e spirituale. Esattamente ciò che le élite che tengono le fila delle nostre società post-cristiane non intendono offrire.
Il declino morale del Canada è stato ben testimoniato dalla professoressa Leonie Herx, esperta di cure palliative, che ha raccontato quanto sia difficile svolgere bene il proprio lavoro da quando è entrata in vigore la legge sull’eutanasia, perché la Maid è divenuta per alcuni pazienti «una soluzione predefinita». Afferma la Herx: «In passato, quando le persone dicevano “non posso andare avanti così”, avremmo coinvolto la squadra di cure palliative per esaminare tutte le sfaccettature della sofferenza di quella persona». Adesso, denuncia la dottoressa, una simile affermazione è «troppo spesso capita e interpretata come una richiesta di eutanasia». La Herx ricorda come la Maid sia stata ampliata a seguito di una valutazione sui costi da parte dell’Ufficio parlamentare per il bilancio: nel budget per il 2021, infatti, si stimava di risparmiare 62 milioni di dollari addizionali (netti) estendendo la platea delle persone che possono richiedere l’eutanasia. Dunque: prima si curava, ora si uccide, per risparmiare e offrire – si dice – “dignità” e “libertà”.
Molti dei risparmi, è superfluo dirlo, sono stati fatti a danno delle cure palliative, ossia proprio di ciò che dovrebbe alleviare le sofferenze del paziente, secondo un approccio originario che mira a dare sollievo non solo al corpo ma anche allo spirito. «I medici – spiega ancora la Herx, da 16 anni impegnata in questo campo – sono bravi negli aspetti fisici delle cure palliative, ma abbiamo anche imparato che per alleviare la sofferenza devi davvero scavare in profondità e capire chi è quella persona; quello che hanno vissuto nella loro vita; […] quali ferite del passato non sono state curate […]». In breve: aiutare la persona nella sua interezza. Il resto è menzogna, spacciata per progresso.
Ermes Dovico, qui.

Che poi, se l’argomento è quello della scelta libera e consapevole, quale libertà e consapevolezza di scelta può avere un malato mentale? Tenendo presente che prima o poi si arriva anche a questo.

barbara

TITOLO DI MERDA

Per usare un eufemismo.

Shanti sconfitta dalla depressione: eutanasia a 23 anni dopo essere sopr…
Una depressione talmente grave a cui neanche le cure psichiatriche, i farmaci e l’amore della famiglia sono rius…

NO! Shanti non è stata sconfitta dalla depressione: Shanti è stata sconfitta da un branco di “medici” che infangano la propria professione. Shanti è stata sconfitta da uno stato criminale. Shanti è stata sconfitta dalla politica “progressista”, talmente inclusiva da includere anche la pena di morte per gli innocenti.
Per primo lascio parlare Giulio Meotti.

I terroristi islamici che uccidono e la cultura che “cura” la vita con la morte

Una ragazza sopravvissuta agli attentati di Bruxelles ottiene l’eutanasia. “Era traumatizzata”. Cosa diranno gli storici di questo periodo di follia? Che non era decadenza, ma apocalisse di civiltà?

Il suo nome era Shanti De Corte. Aveva 23 anni. Questa ragazza belga è stata soppressa, circondata dalla sua famiglia, dopo aver ottenuto legalmente l’eutanasia. Sei anni prima, Shanti era all’aeroporto internazionale di Bruxelles. Doveva volare a Roma come premio dopo la laurea. Si trovava nella sala partenze, quando i terroristi islamici si sono fatti saltare in aria. Shanti era a pochi metri da loro. Fu portata via ancora in vita dall’aeroporto quella mattina, ma da quell’incubo non ne sarebbe mai davvero uscita. Prendeva undici antidepressivi al giorno e frequentava un progetto di Myriam Vermandel, anche lei vittima degli attentati di Bruxelles e che offre cure mediche e terapeutiche alle vittime degli attentati. Shanti non ha retto e così ha presentato una richiesta di eutanasia per “sofferenze psichiatriche”. Due psichiatri hanno accolto la sua richiesta. Ora presso la procura di Anversa è stata aperta un’indagine sull’eutanasia di Shanti De Corte. Ma sarà archiviata, come tutte le altre inchieste.
Ha ragione Marion Marechal, la nipote di Marine Le Pen che in Francia prova a costruire un’alternativa conservatrice, quando commenta: “Lo shock traumatico di un attacco islamico porta una ragazza belga all’eutanasia che il nostro governo vorrebbe. Una doppia tragedia crudelmente sintomatica del nostro tempo”.
Ma poiché viviamo in una società che trasforma automaticamente ogni desiderio in diritto, ora si chiede allo Stato anche di pagare l’ultima iniezione, in nome della “giustizia sociale” e della “compassione”. Esiste, in un certo senso, un nuovo diritto fondamentale a pretendere dallo stato la medicalizzazione della propria morte. Gli oppositori dell’eutanasia non sono numerosi, il che non significa che siano marginali. Ma la maggior parte di loro avanza argomentazioni che non riescono mai a farsi sentire. Perché è sorda l’epoca rispetto a chi cerca di dare consistenza al bene e al male.
Shanti non era il caso di Christian de Duve, il Nobel per la medicina belga che a 95 anni ha scelto l’eutanasia. Nel caso di Shanti siamo su un altro piano ancora. Come nello scritto di Michel Houellebecq su Le Figaro: “Devo essere molto esplicito, quando un paese – una società, una civiltà – arriva a legalizzare l’eutanasia, perde, secondo me, ogni diritto al rispetto. Allora diventa non solo legittimo, ma desiderabile, distruggerlo, in modo che qualcos’altro – un altro paese, un’altra società, un’altra civiltà – abbia la possibilità di nascere”.
Gli islamisti che hanno cercato di uccidere Shanti De Corte sarebbero d’accordo.
Il giorno prima c’era stata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (istituzione che non è mai stata certo un baluardo dei valori giudaico-cristiani) che ha condannato il Belgio sulle “salvaguardie” della legge sull’eutanasia, dopo che una donna perfettamente sana l’ha ottenuta solo perché “depressa”, come racconta il Times (il figlio, accademico, ha fatto causa allo stato).
Adesso l’eutanasia di una ragazza di 23 anni per “trauma psicologico” ci mostra fino a che punto possa estendersi l’idea di una “vita senza dignità”, una vita che alla fine appartiene allo Stato o, più esattamente, alla medicina che la abbrevia per motivi “umanitari” e alla “società civile” che decide con diabolici mezzi persuasivi cosa sia giusto o sbagliato. Quale paradosso! Lo spirito pubblico occidentale che si vanta di aver messo fuori legge la pena di morte la glorifica quando non è più comminata per punire, ma per “alleviare” e “curare”, riacquistando così tutti i crismi di nobiltà.
Siamo caduti nell’orrore e siamo passati dal banale slogan “non avrete il mio odio” di alcuni sopravvissuti agli attentati islamici al ben più terrificante “avrete la mia vita”? Chanti non si è suicidata, come è successo ad altre vittime del terrorismo. Uno stato, i suoi medici, le sue “commissioni bioetiche” e i suoi burocrati le hanno dato la morte legale non sapendole offrire alternativa morale e umana. Siamo l’Europa intrappolata tra la barbarie islamista e la cultura della morte, che conta solo sull’arrivo degli stranieri per salvarla? I chiodi che trattengono tutto il nostro “progresso” cadono all’istante quando scopriamo il drappo funebre appoggiato sulle nostre vecchie spalle? Non siamo forse finiti nella barbarie umanitaria, dove l’uomo è cancellato proprio in nome degli ideali che pretendevamo di elevare, “dignità” e “umanità”? Siamo forse usciti da un quadro di Hieronymus Bosch? E cosa diranno gli storici onesti di questo periodo di follia in cui non sappiamo più perché si deve nascere, ma che trova sempre molte ragioni per morire? Chi ne uscirà sano di mente sarà fortunato, ma saranno i nostri figli che dovranno vedere il sequel. I ragazzini olandesi ne sanno già qualcosa e ne sapranno di più in futuro.
Se continua così non sarà più la decadenza, ma l’apocalisse di civiltà.
Giulio Meotti

E ora due parole io. Undici antidepressivi al giorno. Undici antidepressivi al giorno non sono una terapia. Undici antidepressivi al giorno sono un attentato alla salute fisica e mentale. Undici antidepressivi al giorno sono violenza privata. Undici antidepressivi al giorno sono circonvenzione di incapace. Undici antidepressivi al giorno sono un crimine contro l’umanità. Shanti, anziché essere aiutata a superare il trauma, è stata assassinata dal boia di stato. Come Noa Pothoven, con una famiglia che non si è accorta prima delle ripetute molestie da bambina e degli stupri da adolescente e poi della profonda depressione e del suo desiderio di morire, e i cui psicologi hanno pesantemente aggravato la situazione, al punto da ricordare i centri “di cura” come un inferno, e alla fine hanno “riconosciuto” che la sua depressione, a 17 anni, non aveva alcuna possibilità di guarire, e le hanno concesso l’assistenza mentre si lasciava morire di fame e di sete (e se senza assistenza avesse sofferto troppo per la fame e la sete e avesse deciso di provare invece a vivere? E magari alla fine ci fosse riuscita?). Per non parlare di quella che di morire non aveva alcuna intenzione, assassinata dalla dottoressa che l’aveva in cura mentre marito e figlia la tenevano ferma perché stava tentando di ribellarsi all’iniezione letale. E a questa infame crudeltà aggiungono l’ipocrisia di chiamare eutanasia, buona morte, l’assassinio di innocenti.
E ritorniamo per un momento ancora a Shanti, torniamo per un momento a guardarla, anzi, a riguardare il suo sorriso:

i terroristi islamici lo avevano offuscato, uno stato criminale e degli psichiatri criminali lo hanno spento per sempre. Pagherà mai qualcuno per questi crimini?

barbara

LE ULTIME FRONTIERE DEL DELIRIO PROGRESSISTA

Eccone due che, mi sembra, si sposano magnificamente. Uno che riguarda le scelte di nascita

Nel paradiso del gender è legale abortire una bambina solo perché femmina

In Canada il Parlamento affossa una legge che avrebbe vietato l’aborto delle quote rosa. L’Occidente politicamente corretto è davvero migliore dell’India dove sono scomparse 22 milioni di bambine?

Il Parlamento canadese, che ha approvato una legge che vieta la discriminazione sulla base dell’identità di genere, a maggioranza schiacciante ha votato contro un’altra che avrebbe reso un crimine “per un medico eseguire un aborto sapendo che l’aborto è ricercato esclusivamente sulla base del sesso del bambino”. Il disegno di legge, C-233, è stato definito “inaccettabile” da Maryam Monsef, ministro per l’Uguaglianza di genere (sig!), “perché nel 2021 i conservatori continuano a presentare proposte di legge contro la libertà di scelta”. Ma ricapitoliamo.
Secondo le Nazioni Unite, 140 milioni di donne sono “scomparse” in tutto il mondo, il risultato della preferenza per i figli, inclusa la selezione del sesso basata sul genere. Dieci anni fa, le agenzie delle Nazioni Unite hanno pubblicato un documento che condannava l’eliminazione delle bambine.
Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione ha dichiarato lo scorso anno che la selezione del sesso ha avuto conseguenze terribili per le società. “Al fenomeno sono già stati collegati casi di aumento della violenza sessuale e della tratta di esseri umani”. 
Ciò nonostante, in una delle incongruenze raccapriccianti della politica moderna, il Canada ha votato in modo schiacciante contro un disegno di legge che avrebbe vietato gli aborti selettivi in base al sesso. Il problema, ovviamente, è mettere in discussione qualsiasi aspetto dell’aborto. “Il dibattito è finito”, ha dichiarato il ministro Monsef. “Le donne e le donne soltanto hanno il controllo del proprio corpo. Questo non è un posto in cui i politici possono intervenire”. Forse il dibattito è finito in Canada, ma questa è una brutta notizia per le bambine indiane.
Il 4 marzo 2010, The Economist ha pubblicato una delle sue copertine più memorabili: una pagina completamente nera e un paio di minuscole scarpe rosa. Il titolo era “Gendercide: cosa è successo a 100 milioni di bambine?”. Buona domanda. La risposta è che sono stati abortite o uccise, principalmente in Cina e India, ma anche in altri paesi. Nel 1990 era stato Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia e docente ad Harvard che ha dedicato la sua vita alla causa dei meno abbienti e dei paesi emergenti, a lanciare l’allarme sulla New York Review of Books: “Almeno 60 milioni di bambine sono state cancellate in seguito a infanticidi o aborti selettivi di femmine. E’ una rivoluzione tecnologica di tipo reazionario. Il sessismo dell’aborto selettivo”. 

Secondo un articolo di The Lancet di qualche settimana fa, il divario tra i sessi in India continua ad aumentare. Sono scomparse 22 milioni di ragazze indiane a causa dell’aborto selettivo del sesso. Due estati fa, dallo stato indiano di Uttarakhand, nel nord, erano arrivati i dati delle nascite. In tre mesi, in un’area che comprende 132 villaggi, sono nati 216 bambini, tutti rigorosamente maschi.
Studi dimostrano che le coppie indiane che vivono in Canada hanno esportato la preferenza del maschio nella loro nuova casa, abortendo le bambine. Se in Occidente diciamo che gli aborti in base al sesso sono leciti, cosa c’è di sbagliato negli aborti in ​​base al sesso in India? Ma questo “genocidio di genere” è finito nel punto cieco del progressismo occidentale. Pochi ne parlano. Forse perché parla anche un po’ di noi.
Giulio Meotti

E uno che riguarda le scelte di morte.

Farsi uccidere per donare organi, l’eutanasia corre veloce

Candidati all’eutanasia e donatori di organi: la cosiddetta “eutanasia del buon samaritano” è già praticata in Belgio, Paesi Bassi e Canada, ma un articolo scientifico spiega come si allargheranno le possibilità di questa pratica per aumentare la disponibilità di organi da espiantare: anzitutto prevedendo l’inizio del processo eutanasico in casa per agevolare i potenziali donatori; poi puntando su malati mentali e depressi: corpi sani e giovani, ottimi per il trapianto, poco utili in una persona insana.

– CANADA, PRIMO STATO EUGENETICO, di Luca Volontè

Viene praticata ormai da anni, soprattutto in Belgio, Paesi Bassi e Canada. Potremmo definirla l’eutanasia del buon samaritano. Si tratta di questo: il paziente chiede un trattamento eutanasico e poi fa sapere che donerà i propri organi.

L’eutanasia in alcuni paesi corre così veloce che ormai non si discetta più se la «dolce morte» sia eticamente accettabile o meno, non si discute nemmeno più se l’eutanasia a cui segue il trapianto non diventi un’eutanasia a scopo trapianto, con relative spintarelle al futuro de cuius affinché si decida a tirare le cuoia per il bene dell’umanità. No, ormai il focus della discussione si è spostato ben oltre: questi buoni samaritani è bene che muoiano a casa o in ospedale? Gli organi prelevati a caldo sono di migliore qualità seguendo il primo o il secondo protocollo?

Su tale tema la rivista scientifica Jama Surgey ha pubblicato un articolo nel febbraio scorso dal titolo: «La donazione di organi post eutanasia iniziata a casa è praticabile». Gli autori, Johan Sonneveld e Johannes Mulder, descrivono così il protocollo dell’eutanasia a domicilio in vista di un successivo trapianto: «Il paziente viene sedato solo a casa, il che segna l’inizio dell’eutanasia in termini legali, ma ha lo scopo medico solo di rimuovere la coscienza mentre le funzioni vitali sono mantenute e protette. L’induzione del coma e l’inizio della fase agonica avvengono successivamente nel reparto di terapia intensiva dopo gli addii a casa e il trasporto». Quanta cura nell’uccidere le persone: che il tutto avvenga nel rispetto della legalità, degli affetti e degli scopi clinici volti a preservare preziosi organi da espiantare.

Poi l’articolo vira verso il pietismo, uno degli ingredienti di base dell’ideologia eutanasica: «Suggerire che l’eutanasia debba avvenire in ospedale non tiene conto dei desideri più profondi di questi donatori: esseri umani malati, stanchi dell’ospedale che hanno deciso di porre fine al loro dolore nel comfort e nell’intimità della propria casa». Lo sottolineiamo ancora: il pomo della discordia non è più «Eutanasia sì» versus «Eutanasia no», ma è dove è meglio compiere l’assassinio.

Gli autori poi così proseguono: «Sostenere la necessità di una degenza ospedaliera allontanerà molti potenziali donatori». Siamo nel pieno di una strategia di marketing: occorre tranquillizzare i fornitori. Ma anche i candidati al trapianto: «Non c’è conflitto di interessi […]. Non è necessario contrapporre gli interessi dei pazienti trapiantati agli interessi dei donatori di eutanasia e viceversa». Ciò a voler dire che il processo eutanasico iniziato a casa non danneggia gli organi. Che il trapiantato stia tranquillo: i nostri organi con procedura domiciliare sono di ottima qualità. È un altro caso di reificazione della persona. Se i nascituri vengono chiamati «prodotto del concepimento» queste persone potranno essere indicate con il nome di «prodotto dell’eutanasia». Il paziente viene visto come un magazzino vivente di preziosi organi. Come accade con i feti abortiti presso le cliniche di Planned Parenthood: prima uccisi e poi depredati dei loro organi a scopo di vendita. I medici poi diventano vampiri d’organi, cacciatori di teste, cuore e polmoni.

Infine la chiusura dell’abstract offre la cifra di quanto la cultura di morte abbia raggiunto gradi così elevati che, in alcune menti, ormai è riuscita a capovolgere l’ordine oggettivo dei valori. Gli autori infatti caldeggiano la procedura at home e quindi spronano tutti a seguirla con queste parole: «Possiamo fare di meglio. I nostri pazienti meritano di meglio». I pazienti non meritano di vivere, bensì di essere uccisi e svuotati a dovere. Il meglio, il famigerato best interest è farsi uccidere per donare organi. E così, ammantata dalla pudica e spessa veste della filantropia che copre ogni sozzura, si incentiva l’eutanasia.

I candidati più appetibili per l’eutanasia del buon samaritano sono poi i malati mentali e i depressi: organi sani in menti fragili. Non si può chiedere di meglio. Corpi sani e giovani, non intaccati da tumori o dalla senescenza, particolarmente adatti al trapianto. Facile prevedere un incentivo all’uccisione di queste persone: quegli organi – così si argomenterà – servono poco in una persona insana di mente o depressa. Meglio darli a chi potrà farne miglior uso. Insomma il solito utilitarismo venduto, in questo caso, come se fosse beneficienza. (qui)

Anche le leggi naziste relative agli handicappati erano state studiate per il maggior bene comune.
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico.

barbara

BISOGNA AMMAZZARLA, SE NO POTREBBE RISCHIARE DI MORIRE

Il giudice britannico autorizza l’eutanasia della bambina ebrea contro la volontà dei suoi genitori

Venerdì scorso, il giudice dell’Alta Corte britannica Alistair MacDonald ha stabilito che a una bambina ebrea di due anni gravemente malata può essere sospeso il trattamento che la mantiene in vita e che questo atto di omicidio compassionevole sarebbe nel suo “migliore interesse”.
I suoi genitori, residenti di Manchester, che si sono opposti all’eutanasia della loro bambina perché la loro fede ebraica lo vieta, hanno chiesto prima di portarla fuori dal Regno Unito, in un ospedale israeliano, dove i loro desideri sarebbero stati ascoltati, ma il giudice ha detto ai loro avvocati che nel prendere una decisione doveva tenere conto delle “ostilità attuali in Israele e Gaza”.
In altre parole, a questa bambina dovrebbe essere fatta morire in Inghilterra perché mandandola in Israele rischierebbe la vita.
Qualcuno conosce un pianeta migliore in cui potrei trasferirmi?
Michal Pruski ha scritto il 25 maggio sul Journal of Medical Ethics (Il paternalismo medico-legale è ancora in vigore nelle decisioni di miglior interesse pediatrico del Regno Unito? ): “Desidero sostenere che il fatto che richiediamo ai tribunali di prendere decisioni di interesse nei casi in cui c’è un accordo familiare e la famiglia non è malevola nei confronti del bambino, questa situazione rappresenta un residuo di paternalismo medico che viene imposto dai tribunali”.
È un inglese educato per “Giù le mani dai bambini della gente”.
Mathieu Culverhouse, l’avvocato che rappresenta i genitori di Alta, ha dichiarato alla BBC dopo l’udienza iniziale in tribunale che “la famiglia di Alta è devastata dalla prospettiva che il suo trattamento salvavita venga sospeso. Tutto ciò che vogliono è che le venga data la migliore possibilità di vita possibile”.
Beh, peccato. La giustizia britannica ne sa di più. Infatti il giudice MacDonald ha affermato che era nel “migliore interesse di Alta che il trattamento che attualmente sostiene la sua preziosa vita venga sospeso”.
Ha anche affermato che portare la bambina in Israele le causerebbe disagio “senza alcun beneficio medico in circostanze in cui tutte le parti in causa concordano che le opzioni al momento disponibili per Alta non forniscono alcuna prospettiva di recupero”.
Quanto ai diritti dei suoi genitori, il giudice ha dichiarato: “Non posso essere d’accordo con la loro valutazione e sono tenuto ad agire di conseguenza”.
La democrazia regna.
David Israel, 2 giugno 2021 (qui, traduzione mia).

Dopo l’orrore della donna che non voleva saperne dell’eutanasia assassinata dalla dottoressa con l’aiuto di marito e figlia della vittima, ci mancava la bambina assassinata dai medici per decisione del giudice perché se la portassero in Israele potrebbe rischiare di morire. Arriveremo al gas per gli handicappati e quelli della razza sbagliata?

barbara

PER UN MOMENTO PARLIAMO D’ALTRO

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«Per tre volte ha detto “no” ma le ho dato l’eutanasia lo stesso. E lo rifarei»

Caterina Giojelli 18 giugno 2020

«Non voleva più morire, non potevo abbandonarla». Parla per la prima volta Marinou Arends, il medico olandese che ha drogato e ucciso un’anziana demente contro il suo volere

Il medico olandese Marinou Arends racconta a Nieuwsuur cosa è successo il 22 aprile 2016, quando ha drogato e fatto l’iniezione letale a un’anziana demente contro il suo volere

Si chiama Marinou Arends, è questo il nome della “dottoressa A.” o “Catharina A.”, pseudonimo usato in questi anni dai giornali per proteggere l’anonimato del medico che nel 2016 diede l’eutanasia a una anziana affetta da demenza senile e contro il suo volere. Assolta dal tribunale dell’Aia lo scorso settembre, decisione confermata ad aprile dalla Corte Suprema olandese a cui il giudice aveva rinviato il caso «nell’interesse della legge», oggi la dottoressa, geriatra in pensione, ha deciso di rivelare la sua identità. E spiegare perché «lo rifarei ancora».

L’intervista, la prima rilasciata dal medico a Nieuwsuur, viene registrata montando immagini delle stanze della casa di cura Florence a L’Aia dove l’anziana trascorse le ultime sette settimane di vita, riprese di letti e poltroncine vuote, bozzetti del processo al medico, prime pagine dei giornali e dei dossier sul caso dell’”eutanasia del caffè”, “eutanasia a una demente”. Tutto vortica intorno al racconto del medico e della sua ferrea volontà, fin dal primo giorno di ricovero, di “aiutare” la povera anziana.

«HO SUBITO PENSATO: DEVO AIUTARLA A MORIRE»

La donna ha 74 anni, oltre 50 trascorsi accanto al marito, quando viene portata dai parenti alla Florence; caso vuole ci sia una stanza libera proprio nel reparto della Arends e che la Arends scopra subito che anni prima l’anziana aveva firmato un testamento biologico specificando che avrebbe voluto ricevere l’eutanasia se fosse stata rinchiusa in una casa di riposo. «Il mio primo pensiero è stato “devi fare qualcosa”, “devi prendere sul serio una richiesta di eutanasia». Il medico assicura di averlo già fatto con altri pazienti, avere preso in considerazione ogni domanda di morte assistita. Tanto che a quell’anziano affetto da demenza e che nemmeno ci pensava più – «in realtà qui non ho molti problemi, il caffè è buono, mi piace la vista, mi siedo qui con il mio giornale. Voglio vivere ancora per un po’» -, non l’aveva certo somministrata.

«SI LAMENTAVA SEMPRE DURANTE IL THE»

Ma il caso della settantaquattrenne, quello era diverso: «Quando bevevamo il the, si lamentava sempre della sua condizione terribile, del fatto di non poter più fare nulla, e di essere sempre così stanca. Era sempre triste, triste, ribelle, irrequieta». Della sua “infelicità” l’anziana parla con tutti, Arends è sempre più convinta che darle l’eutanasia sia la soluzione migliore per alleviare le sue sofferenza e il marito, che ha una procura per prendere decisioni su sua moglie, è d’accordo. Ma c’è un problema: nel testamento biologico la donna ha specificato che l’eutanasia avrebbe dovuto esserle erogata solo «su mia richiesta, quando riterrò che sia giunto il momento», e quando «sarò nel pieno delle mie facoltà» per richiederla.

«E SE TI AIUTASSI A MORIRE?», «NO!»

Per Arends il fatto che la donna soffra ora di demenza avanzata non è un’obiezione, «la legge afferma che come medico puoi e hai perfino il dovere di interpretare un testamento»: secondo il medico quella carta basta, non è stata scritta da un addetto ai lavori ma da una persona capace di sfruttare al meglio le proprie capacità e chiarire i propri desideri. Per tre volte Arends chiede alla donna «che ne pensi se ti aiutassi a morire?» e per tre volte l’anziana risponde sconcertata di no, aggiungendo «penso ci stiamo spingendo troppo lontano, morta, no». Ed è questo, paradossalmente, a rinsaldare la volontà della Arends, «un medico deve prendere in considerazione anche il modo in cui vengono pronunciate le risposte», afferma candidamente, «tutte le volte sembrava titubante». In pratica, siccome quelle risposte non erano coerenti alle volontà scritte anni prima, la donna dimostrava di non essere in sé, per il medico era mentalmente incompetente e «io non potevo abbandonarla», privarla dell’occasione di smettere di soffrire.

UN CAFFÈ DROGATO «DI NASCOSTO»

L’eutanasia viene apparecchiata la mattina del 22 aprile 2016. Sono presenti anche il marito dell’anziana, sua figlia e suo genero. Arends decide di non chiedere alla donna ancora una volta se vuole morire, «domanda qualcosa a una persona incapace e otterrai solo una risposta dettata dall’emozione del momento. Sapevo che le sarebbe preso il panico. Avevo visto che tipo di sofferenza le avevo procurato rivolgendole quelle domande settimane prima. Un sacco di paura, frustrazione, rabbia». Per evitarle tutto questo il medico versa della droga nel caffè dell’anziana, senza spiegarle che di lì a poco sarebbe stata uccisa, «l’ho fatto col permesso del marito e della figlia, entrambi hanno dato pieno consenso». Inoltre «non potevamo pensare che fosse cosciente e capace di dire addio. Non era più in grado di capire che sarebbe morta».

L’ANZIANA SI SVEGLIA E INIZIA A DIMENARSI

Il medico non si sofferma su cosa è accaduto dopo, quando l’anziana pare ormai addormentata e le viene praticata la prima delle tre iniezioni necessarie per ucciderla. Perché è qui che avviene l’orrore: l’anziana si sveglia, capisce cosa sta succedendo, inizia a dimenarsi cercando di tirarsi indietro. Ma Arends, imperterrita, con l’aiuto della figlia e del marito dell’anziana che la immobilizzano nel letto, porta a termine la procedura. La donna muore in pochi minuti. In seguito ai fatti la Commissione di controllo dell’eutanasia avrebbe «rimproverato» al medico di essersi «spinta troppo in là», drogando la donna di nascosto e non informandola che sarebbe stata uccisa, nonostante le sue volontà non fossero «chiare», avesse «cercato di reagire» e nel suo testamento biologico avesse scritto che voleva decidere «lei» quando morire. Anche per la procura, a cui la Commissione rinvia il caso, il medico «non ha agito con attenzione e ha oltrepassato una linea invalicabile» nonostante la richiesta scritta di eutanasia fosse «poco chiara e contraddittoria».

«È STATO TERRIBILE MA LO RIFAREI»

Tuttavia Arends viene prosciolta in ogni sede, «non mi sarei aspettata mai di andare in causa, mai», conclude la dottoressa ricordando l’incubo di finire in cella quando capì che avrebbero potuto accusarla «persino di omicidio», «ero convinta di avere agito con attenzione e nei limiti della legge». La Corte Suprema le dà ragione. E a maggior ragione la dottoressa afferma che «rifarei tutto. Immagino che ci siano medici che lo troverebbero un passo troppo al limite (sono oltre duecento i medici olandesi che hanno espresso orrore per la condotta di Arends). Ma io ho dovuto farlo senza il consenso della paziente. È stato un passo tremendamente difficile. Ma per il meglio».

SDOGANATA L’EUTANASIA AI DEMENTI

Quella decisione ha sdoganato in Olanda l’eutanasia per chiunque non sia più in grado di esprimere o rinnovare la propria scelta sul fine vita. Dopo la sentenza della Corte Suprema è caduto anche il paravento dell’autodeterminazione e il mito della morte dignitosa: oggi in Olanda si muore drogati, uccisi a forza, mentre i parenti ti immobilizzano al letto e il medico ti pratica tre iniezioni letali con la convinzione di fare il proprio mestiere: “dovevo aiutarla”, “non potevo abbandonarla”, “lo rifarei”. (qui)

Ma in realtà non stiamo veramente parlando d’altro: stiamo sempre parlando della spaventosa deriva del mondo in cui ci troviamo a vivere, quello in cui si cancella il passato distruggendone i simboli, quello che cancella il valore della vita distruggendo e devastando, con pretesti assolutamente risibili (se l’uccisione di Floyd fosse un motivo, perché non si sono mai mossi per tutte le precedenti migliaia di persone – e sottolineo persone, perché, piaccia o no, anche i bianchi sono persone – ?), e uccidendo chiunque si trovi in mezzo, bianco nero o lilla che sia. E stiamo parlando di un mondo in cui non è reato far castrare un figlio bambino per fargli cambiare sesso. E, in particolare, siamo in Olanda, dove le leggi stabiliscono quali vite siano degne di essere vissute e quali no (“Lebensunwerte Leben”, si chiamavano un po’ più a est, vite indegne di essere vissute, e quindi destinate al macero). E dove degli “psicologi” stabiliscono che una ragazza di diciassette anni depressa a causa degli stupri subiti sicuramente non guarirà mai più, che la sua depressione è irreversibile e che quindi è giusto assecondare il suo desiderio di morire senza tentare di guarirla.

E tornando al caso in questione, oltre alla dottoressa assassina, che dire di quel marito e di quella figlia che tengono ferma la vittima che non vuole essere assassinata affinché il boia possa portare a termine il lavoro?

barbara

SI SA COME COMINCIA…

Come già più di una volta ho avuto occasione di ricordare, quando il governo nazista ha proposto una legge per sterilizzare gli handicappati gravissimi, sembrava una cosa altamente umanitaria: nessuna persona normale si accoppierebbe con un handicappato grave, e d’altra parte anche loro hanno le stesse pulsioni sessuali di chiunque altro con, in più, un’assoluta incapacità di autocontrollo. La conseguenza è che o li si lascia accoppiare fra di loro, e mettono al mondo dei mostri, o li si condanna a una vita di sofferenza impedendo loro la realizzazione della propria vita sessuale. E dunque, sterilizziamoli e poi possiamo lasciarli liberi di godere quanto vogliono. Tutti i medici riuniti a convegno hanno votato a favore, tranne uno, con la seguente motivazione: cose come queste si sa come cominciano, ma non si sa come poi vadano a finire. Noi, oggi, lo sappiamo: dalla sterilizzazione degli handicappati gravissimi si è arrivati a sterilizzare persone con un leggero ritardo, come ne abbiamo in tutte le nostre scuole e in tutti i nostri posti di lavoro, e gli handicappati più gravi venivano gassati. Dalle decisioni prese in base a rigorose indagini svolte da un’equipe di tre medici, come stava sulla carta, si è passati a gassare sulla base di una crocetta messa su un foglio da un’infermiera (che, per inciso, era una persona che aveva frequentato la scuola elementare e poi un corso di sei mesi). Allo sterminio di sei milioni di ebrei, almeno centomila handicappati, altrettanti omosessuali (che prima di finire in gas dovevano obbligatoriamente passare per i letti delle SS), mezzo milione di zingari ecc. ecc., si è arrivati partendo da quella legge tanto umanitaria.

Venendo all’attualità, si è cominciato con la legalizzazione dell’aborto. Legge giusta e umanitaria, beninteso: chi voleva abortire ha sempre abortito, con o senza legge. Non tutte allo stesso modo, però: chi aveva soldi lo faceva fare da un medico in anestesia (e in tempi più recenti andava a Londra, in una clinica, con tutte le garanzie sia igieniche che di emergenza, in caso di imprevisti) e chi non li aveva ricorreva alla solita mammana, non di rado su un tavolaccio da cucina su cui era stato sì e no passato uno straccio, e tutto dal vivo, e nessun rimedio se qualcosa andava storto. O al rimedio casalingo del micidiale decotto di prezzemolo, che bastava sbagliare una virgola e ti ritrovavi all’altro mondo. La legalizzazione ha messo fine a tutte queste inique sperequazioni. Volendo ci sarebbe da dire che se ai tempi di mia nonna una donna non aveva molti strumenti – a parte la castità che, diciamolo, non è lo sport più divertente del mondo – per evitare una gravidanza, oggi gli strumenti ci sono tutti, per cui se non si vuole un figlio basta semplicemente evitare di concepirlo. Ma diciamo che se ciononostante una lo concepisce e non lo vuole, prima vita o morte (o salute o conseguenze irreversibili) dipendevano da quanti soldi avevi, adesso, con la legalizzazione no, le condizioni sono uguali per tutti. Tutto questo in base al diritto di autoderminazione della donna sul proprio corpo, e già qui non ci siamo più. Perché se una donna decide di buttarsi nel bidone della spazzatura, a me dispiacerebbe immensamente, ma non mi sognerei mai di  negare il suo diritto di farlo. Ma il fatto è che se tu abortisci, il corpo che va nel bidone della spazzatura non è il tuo: è quello di tuo figlio. E allora, come già detto altrove, bisognerebbe avere il coraggio di chiamare le cose col loro nome esatto: quella che ti arroghi non è AUTOdeterminazione bensì ETEROdeterminazione, cioè diritto di determinazione anche su un altro corpo. Spesso vedo gente saltare sulla sedia quando uso il verbo assassinare, ma non ce n’è un altro: la cosa che sta dentro l’utero, chiamala bambino, chiamala feto, chiamala embrione, chiamala grumo di cellule, appartiene alla specie umana. Quelle cellule sono cellule umane. Ora, quella roba là dentro l’utero, è viva, e prima di tirarla fuori di lì tu devi fare in modo che smetta di essere viva. Se tu fai attivamente in modo che una cosa viva smetta di essere viva, e la cosa in questione appartiene al regno animale, l’azione che viene compiuta si chiama uccidere. Se l’animale in questione appartiene alla specie umana e l’uccisione è premeditata, si chiama assassinare. Puoi dirmi che ne hai il diritto, puoi dirmi che la tua coscienza non ha niente da rimproverarti – neanche al secondo aborto, al terzo, al quinto – puoi dirmi tutto quello che ti pare, ma il verbo rimane assassinare.

Autodeterminazione, si diceva. E se autodeterminazione deve essere, perché ci dovrebbero essere dei limiti? Ed ecco che si passa all’eutanasia. Cosa altamente umanitaria: se ho una malattia che non mi dà alcuna speranza di guarigione e che mi porterà alla morte, e se mi provoca sofferenze disumane che so che col tempo continueranno ad aumentare, e che niente più è in grado di alleviarle, che cosa c’è di più umano di aiutarmi ad anticipare un po’ quella morte che comunque mi raggiungerebbe a breve e porre fine a tanta sofferenza? Poi però ci si accorge che la legge che consente l’eutanasia in questi casi pone una grave discriminazione: e il neonato che soffre altrettanto e non ha speranza di guarigione e neppure miglioramento, ma non è in grado di dire che vuole morire, cosa facciamo, lo lasciamo lì a patire? Ma neanche per sogno! Mettiamo a punto un bel protocollo e stabiliamo che possiamo far fuori anche i neonati fino a un anno Groningen Protocol con termini sufficientemente sfumati da rendere difficile capire dove esattamente stia il confine fra sospendere terapie che non servono a produrre miglioramenti, e il fare attivamente qualcosa di più. Adesso ci siamo? No che non ci siamo. Perché il limite minimo per poter chiedere personalmente l’eutanasia è di 12 anni, e questo è gravemente discriminatorio: perché un bambino di undici o dodici anni non dovrebbe avere il diritto di chiedere l’eutanasia? E con questo siamo arrivati al capolinea? Ma certo che no! È di questi giorni l’ennesima geniale trovata umanitaria: smettiamo di fornire prestazioni quali interventi chirurgici, inserimento di mace-maker, cura del cancro, dialisi e altro alle persone che hanno più di settant’anni. No, non è per risparmiare soldi, ci mancherebbe, al contrario: è per assicurare loro una migliore qualità di vita: lo sappiamo tutti – anche se non tutti per fortuna lo abbiamo sperimentato di persona – quanto siano debilitanti le terapie per il cancro e la dialisi, quanto possano essere pesanti le conseguenze di un intervento chirurgico, e allora risparmiamogli tutte queste pene, poverini, lasciamoli in pace! Dice ma io voglio vivere, sono lucidissimo, sono autosufficiente, io… Zitto, microbo! Chi sei tu per pretendere di determinare la tua vita? Determinare? Ma non eravamo giusto partiti dal diritto di autodeterminazione, il corpo è mio, decido io…? Già, eravamo partiti da lì. È esattamente da lì che si è aperta la porta dell’inferno. E non si è chiusa più.

barbara