CIAO EVA

Eva Fischer
Ne avevo parlato qui.

È scomparsa a Roma all’età di 95 anni Eva Fischer, pittrice nota come l’ultima rappresentante della Scuola Romana del dopoguerra. Protagonista della mostra “Tandem” appena conclusasi all’Accademia d’Ungheria, commovente omaggio al sodalizio artistico-sentimentale che la legò per una vita ad Alberto Baumann, Fischer era nata nel 1920 a Daruvar, nell’ex Jugoslavia, in una famiglia fortemente intrisa di valori ebraici (il padre Leopoldo era rabbino e talmudista) che pagò un prezzo altissimo di sangue alle persecuzioni nazifasciste. Ha raccontato a Pagine Ebraiche: “A causa della guerra venimmo in Italia, io mi fingevo sordomuta per non far riconoscere il mio accento. Mio fratello Eric invece faceva il medico in Svizzera. Molti coprirono me e mia madre in quel periodo: il nome ufficiale da dire a tutti era Eva Venturi. Un giorno il vicino fascista, insospettito dal viavai di presunti partigiani in casa nostra, voleva incastrarci. Spiegai con molta tranquillità che quei bravi ragazzi volevano da me semplicemente un ritratto”. A guerra finita, dopo mesi di peripezie, fughe, attività clandestine nella Resistenza, Eva sceglie Roma ed entra a far parte del gruppo di artisti di via Margutta. Fu allora che Dalì vide e s’innamorò dei mercati dipinti nei suoi quadri, mentre Ehrenburg scrisse sulle “umili e orgogliose biciclette”. Con Picasso s’incontrarono invece a casa di Luchino Visconti e parlarono a lungo d’arte contemporanea. Trasferitasi a Parigi, Eva divenne poi amica e profonda ammiratrice di Marc Chagall. Mentre a Parigi la sua pittura animò dibattiti nell’atelier di Juana Mordò fra l’artista marguttiana e i pittori spagnoli ancora in lotta contro il franchismo. Negli anni Sessanta fu poi a Londra dove espose nella più esclusiva galleria della City. Il suo estro l’ha chiamata anche fuori dall’Europa: da Israele, dove ha dipinto mirabili tele di Gerusalemme e Hebron (molto note sono le vetrate del Museo ebraico di Roma, un patrimonio ad oggi non sufficientemente valorizzato), fino agli Stati Uniti. Eva Fischer è stata anche al centro del recente percorso sulle artiste del Novecento “tra visione e identità ebraica” promosso dalla Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia. “Trovo ammirevole la modestia con cui mia madre si approccia ogni volta al pubblico, come fosse un’artista agli inizi e non una pittrice di fama con opere sparse in tutto il mondo” ci raccontava il figlio Alan a pochi giorni dall’inaugurazione di Tandem. Ad Alan e a tutti i suoi cari il cordoglio e la vicinanza della redazione del portale dell’ebraismo italiano http://www.moked.it e di Pagine Ebraiche. (7 luglio 2015, Moked)

Per fortuna non solo l’erba cattiva, ma anche quella buona, ogni tanto, vive abbastanza a lungo da lasciarci doni preziosi. Ciao Eva, grazie di tutto e buon viaggio.
passi perduti
Apologia
barbara

EVA FISCHER

«Da piccola disegnavo ovunque: sui muri di casa, sulle tende, sull’asse di legno dove mia madre impastava… Un giorno la mamma partì per Budapest con qualche mio lavoro in borsa per chiedere al direttore dell’Accademia se vedeva del talento. E lui disse: sì, deve andare avanti!». A 93 anni, la pittrice Eva Fischer parla con voce fresca, soave, colorata. Matita e pennello fanno parte di lei da sempre, e i suoi ricordi scorrono come la pittura a olio sulle sue tele. È l’ultima rappresentante della scuola romana di Mario Mafai, i suoi amici erano Guttuso, Cagli, Emilio Greco. E ha da raccontare. È nata nel 1920 a Daruvar, ex Jugoslavia, da famiglia ebraica ungherese, e ha sofferto il buio dell’era nazista. Più di trenta suoi parenti sono stati massacrati nei lager, tra loro, suo padre Leopold, rabbino capo e noto talmudista. Eva è più fortunata. Dopo la guerra si stabilisce a Roma e dipinge, dipinge… La sua fama cresce, espone in tutto il mondo. È una colorista e lavora a fasi tematiche: biciclette, mercati, Mediterraneo, paesaggi, nature morte, ritratti, voli. Poi c’è Ennio Morricone. Sono amici dalla fine degli anni Cinquanta: «Abitavamo nello stesso palazzo. Eravamo tutt’e due poverissimi. Lo sentivo che suonava tutto il giorno, dalle 6 del mattino». Lei ha tradotto quelle note in 38 dipinti; lui le ha dedicato un album con 12 pezzi, intitolato Eva Fischer pittore. Ma c’è anche un soggetto che Eva Fischer ha tenuto segreto molto a lungo: dal 1946 al 1989 ha fatto quadri sulla Shoah e nessuno poteva vederli, neppure suo marito o suo figlio. «Comprensibile ritegno a mostrare la parte più profonda del suo animo», ha scritto a questo proposito Elio Toaff. A Roma in questi giorni, e fino al 30 marzo, alcune di queste opere compongono una mostra sull’Olocausto presso l’Accademia di Ungheria (un buon segno, visti gli echi di nostalgie barbare che arrivano da quella nazione). Complessivamente, tra oli, incisioni, disegni, litografie, Eva Fischer ha realizzato quasi mille lavori, compresi quattro francobolli italiani e le vetrate del Museo Ebraico di Roma. L’ultimo dipinto è del 2007: una tela di 2 metri per 1,40 della serie Scuole di ballo. «Però, qualche disegno, lo faccio. E davanti al letto ho cavalletto e colori, perché nella mia testa dipingo ancora. Quadri veri, ma soltanto per me».
(Corriere della Sera, 9 febbraio 2014)
ultimo saluto
curriculum mortis
Qui una cospicua raccolta delle sue stupende opere sulla Shoah.

barbara