MANTENERE GLI AIUTI UMANITARI A GAZA NONOSTANTE I RAZZI

Il sergente (riservista) Evan Pelz ha fatto parte dei soldati di Tsahal richiamati in servizio durante l’operazione Pilastro di difesa nel novembre 2012. Benché prestasse servizio in un’area colpita continuamente da razzi da Gaza, aiutava a trasferire a Gaza aiuti umanitari destinati ai palestinesi. Qui racconta la sua storia, la sua esperienza, i suoi valori e la missione che si è assunto nel corso dell’operazione.

Nel 2011, pochi mesi dopo essere immigrato in Israele dagli Stati Uniti, mi sono voluto impegnare ulteriormente per la mia nuova patria e mi sono arruolato in IDF, come soldato dell’unità di coordinamento e di collegamento con la striscia di Gaza, un’unità che permette il contatto tra l’esercito israeliano e la popolazione civile di Gaza per garantire la vita quotidiana dei palestinesi. Durante l’operazioe Pilastro di Difesa,, esattamente un anno fa, la missione della mia unità è stata più importante e significativa che mai.
Lo scorso novembre IDF lanciato l’operazione Pilastro di difesa in risposta ai razzi lanciati su Israele dai terroristi di Gaza. All’epoca la mia base era situata nei pressi di Gaza, a pochi chilometri dal confine con Israele, non lontano dalle comunità israeliane costantemente colpite dai razzi, tra cui il kibbutz Sa’ad dove ero stato adottato come “soldato solo”. Nonostante questi pericoli più che evidenti, la mia unità ha lavorato giorno e notte  per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari e anche per individuare le aree sensibili quali ospedali, scuole e moschee allo scopo di minimizzare le perdite umane nella striscia di Gaza. Abbiamo utilizzato le risorse dell’esercito, e noi abbiamo rischiato letteralmente la vita prestando servizio in questa zona martellata dai razzi, al solo scopo  salvaguardare al meglio la vita quotidiana dei civili palestinesi.
Ho lavorato in un rifugio antimissile in costante contatto telefonico da un lato con la Croce Rossa e le agenzie delle Nazioni Unite e dall’altro con i corpi delle forze di difesa Israeliane, cioè rappresentavo quella cooperazione che non si vede e non si sente. Mentre il mondo vedeva l’operazione come una successione di lanci di razzi da Gaza e attacchi aerei israeliani, non aveva il minimo sentore delle nostre infinite discussioni con i palestinesi e la Croce Rossa. Cercavamo di fare una lista delle attrezzature mediche necessarie e di proteggere il percorso dell’ambulanza. Il mondo non ha visto i responsabili dell’Onu dormire nella nostra base, lavorando individualmente con soldati durante ogni minuto dell’operazione. Il mondo non ha visto i nostri ufficiali pronti ad entrare nella striscia di Gaza in caso di un intervento di terra per minimizzare le perdite civili e occuparsi dei bisogni della popolazione di Gaza.
Durante tutto il mio servizio militare, che razzi colpissero Israele o no, abbiamo lavorato ogni giorno con le nostre controparti palestinesi nella striscia di Gaza, con lo stesso obiettivo: far entrare quanto più materiale e persone possibili attraverso i valichi israeliani.
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Poiché la missione dell’unità è sempre focalizzata sull’umanità, una delle priorità, pur con tutte le precauzioni di sicurezza necessarie, era di garantire gli interessi dei palestinesi nella striscia di Gaza.
L’IDF investe molto nella formazione dei soldati, come quella che ho ricevuto io. La formazione ha lo scopo di inculcare nei nuovi soldati il valore della vita umana e spiegare la necessità dell’ingresso di aiuti umanitari nella striscia di Gaza per i civili, spesso vittime di violenze locali.
Squadre di elettricisti israeliani assicurano il corretto funzionamento delle linee elettriche che entrano nella striscia di Gaza. L’unità coordina il trasferimento dei palestinesi che hanno bisogno di cure mediche da Gaza ad ospedali israeliani,
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ma si occupa anche dell’esportazione da Gaza attraverso il confine con Israele e i suoi porti per rilanciare l’economia palestinese. L’unità è in contatto quotidiano con molti corpi all’interno della stessa Gaza, tra cui con organizzazioni internazionali come la Croce Rossa, il Ministero della sanità dell’autorità palestinese e i media palestinesi.
Ripeto: la missione primaria dell’unità è quella di mantenere la pace, collegare le forze dell’IDF ai nostri rappresentanti palestinesi per mantenere la calma su un confine ostile. Ma anche durante l’operazione Pilastro di difesa lo scorso novembre, quando i terroristi colpivano Israele da aree densamente popolate da civili, abbiamo continuato a far entrare a Gaza gli aiuti per i palestinesi. A mio parere, questa è la più grande forza dell’esercito israeliano: riuscire a combattere il terrorismo, garantendo nel contempo la salute e il benessere dei civili palestinesi.

Sergente (riservista) Evan Pelz, nuovo immigrato in Israele dagli Stati Uniti. Ha servito nell’IDF come soldato semplice dal 2011 al 2013. Oggi, vive a Gerusalemme e studia legge presso l’Università ebraica. (Qui, traduzione mia) (Sì, lo so, lo so, sono tutte balle mandate in giro dalla propaganda sionista, figuriamoci se non lo sappiamo).

E poi vai a leggere anche questa bellissima storia, che è un po’ anche nostra.

barbara

QUANDO LA VITA È PIÙ FORTE DELLA MORTE

Segna il traguardo della maratona di New York, la cicatrice sul lato sinistro della testa è appena percettibile. Aharon Karov, 27 anni, completa il giro in 4:14:31, un risultato impressionante per chiunque. Soprattutto qualcuno che cinque anni fa era stato gravemente ferito in guerra e dato per morto.
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Ma la sua storia inizia nel dicembre 2008, quando a 22 anni sposa l’amore della sua vita, Tzvia, di 19.
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Ballano, cantano e fanno tutte le cose felici come tutte le altre coppie. La mattina seguente intorno alle 7:00, Karov, tenente in un’unità di paracadutisti della IDF, riceve una telefonata dal suo superiore che lo informa che sta per iniziare una guerra a Gaza – l’Operazione Piombo Fuso – e che c’è bisogno di lui. Secondo la legge militare, come anche secondo la halachà (legge ebraica), uno sposo ha il dovere di andare in guerra il giorno del proprio matrimonio soltanto per una “milkhemet hova”, una guerra religiosamente obbligatoria (non ne esistono ai giorni d’oggi). “L’operazione a Gaza non era una di quelle” racconta Karov. Tuttavia, dopo lunghe trattative con sua moglie, decide di andare a Gaza.
“In Israele, se c’è una guerra, tutti vanno perché esiste il senso della collettività, della comunità” – spiega il ragazzo – Era chiaro per me, per noi due, che dovevo andare “. Karov era il comandante di un plotone di 30 soldati che aveva addestrato durante il loro servizio militare. “Non sarei mai riuscito a mandare i miei uomini senza di me”, confessa. “Certo che avrei voluto essere a casa con mia moglie e non a Gaza”, racconta ancora Karov, “Tu non sai quando vedrai di nuovo tua moglie, tu non sai quando potrai parlare con tua moglie di nuovo, ma è necessario mettere tutto il resto da parte – tua moglie, la tua famiglia e anche te stesso”.
Una decina di giorni dopo il suo matrimonio, a Karov e ai suoi uomini viene assegnato il compito di bonificare sei edifici dagli esplosivi. Salito al secondo piano di un palazzo, un ordigno viene fatto esplodere. Karov salta in aria e cade dalla tromba delle scale, mentre l’intero edificio crolla sopra di lui. I suoi uomini, nessuno dei quali viene gravemente ferito dall’esplosione, si precipitano in fretta per rimuovere le macerie e tirano fuori il corpo del comandate. Karov viene effettivamente dichiarato morto. Poco dopo, sentendo un debole impulso, un paramedico dell’esercito fa un’incisione sulla gola del ragazzo moribondo per assicurarsi che avrebbe continuare a respirare.
Ma con otto pezzi di granata nella testa, senza più denti, con l’occhio sinistro smembrato e il lato superiore sinistro del corpo completamente schiacciato, le prospettive di sopravvivenza sembrano pressoché nulle.
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Cinque anni più tardi Karov vince la maratona di New York, per di più con un tempo straordinario per chiunque, e orgoglioso di se stesso rivolge un pensiero al suo plotone: “E’ stata una fortuna che nessuno dei miei soldati è rimasto gravemente ferito dall’esplosione”.
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Il campione dalla scorza dura vince così i 40mila dollari della gara e li devolve al Fondo OneFamily,
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un’associazione che sostiene le vittime del terrorismo e che ha sostenuto la sua famiglia durante questi lunghi anni di riabilitazione. (rubato qui)

Poi, volendo, tanto per restare in zona, ci sarebbe da andare a leggere questo.

barbara