Il sangue è quello di Elisa Claps; l’altare è, metonimicamente, quello della chiesa della Santissima Trinità a Potenza. L’autore è Tobia Jones, un giornalista inglese, innamorato dell’Italia in generale e della Basilicata – quella terra in cui Cristo, fermatosi a Eboli, non è mai arrivato – in particolare.
È un libro bellissimo, intenso e partecipe, quello scritto da quest’uomo come professionista ma anche da amante e studioso delle cose d’Italia e di Basilicata, della storia e della società e di tutte le magagne che affliggono la nostra terra. E poi anche da quell’amico sincero che in breve è diventato per la famiglia Claps, della quale ha seguito per quasi un ventennio le drammatiche vicissitudini. Ed è, il libro, cronaca degli eventi che punteggiano la storia di Elisa Claps, e indagine approfondita della psicologia dei personaggi, e storia della nostra penisola e molto, molto altro ancora. È un libro che si dovrebbe leggere, ma non so, davvero non so se sia un libro per tutti. Perché io, a leggerlo, sono stata male, male proprio fisicamente voglio dire, ad un certo punto ho lasciato ogni altra attività per finirlo il più in fretta possibile e liberarmene, spogliarmene, perché non ce la facevo più. Perché tu ti immedesimi – non puoi non farlo – con lo strazio e la rabbia impotente di questa famiglia che sa con assoluta certezza che la ragazza è stata assassinata, e sa chi l’ha uccisa, ma si trova bloccata da un’incredibile rete di complicità, dal parroco che impedisce di perquisire la chiesa al pubblico ministero che nega sistematicamente tutte le autorizzazioni necessarie ad accertare la verità al padre dell’assassino che manovra tutte le sue potenti pedine per creare un solidissimo muro fra la verità e chi tenta di raggiungerla a tutti coloro che hanno davanti agli occhi tutte le prove possibili e fingono di non vederle, in un vertiginoso intreccio di mafia e massoneria e poteri locali di ogni genere. E l’aggiunta degli sciacalli, le piste fuorvianti, le richieste di riscatto, le telefonate mute, gli inquirenti che ti dicono che sarà scappata di casa, ti ridono in faccia, ti minacciano… E non avere neppure un corpo da seppellire, una tomba su cui piangere, non sapere dove si trovino i resti. C’è da perdere la ragione, e ti chiedi come abbiano fatto, loro, a non perderla, che quasi quasi stai rischiando di perderla tu. È una cosa che ti resta sullo stomaco, questo libro, perché è una storia che non riesci mica a digerire. Eppure bisognerebbe trovare il coraggio di affrontarlo. Bisognerebbe, sì.