IL CORANO È COME LA LUCE QUANDO È BUIO

(che infatti, come spiegava quel saggio, la luna è molto più importante del sole, perché il sole fa luce quando è già chiaro di suo, mentre la luna fa luce quando è buio, e allora sì che la luce serve! E così la luce del Corano) Così dice il signor Orlando Leoluca,

e il signor Orlando è un uomo d’onore. Ma forse non tutti hanno presente chi sia il signore in questione, e dunque, decisa a compiere la mia buona azione quotidiana – perché io, come tutti sanno, sono una persona buona, e le persone buone non si smentiscono mai, né tanto meno si riposano – vi rinfresco la memoria con questo articolo di sei anni fa.

Filippo Facci, 20 maggio 2012, qui

La storia di Leoluca Orlando e Giovanni Falcone

È la storia, questa, di un tradimento orribile da raccontare proprio nei giorni in cui Leoluca Orlando potrebbe diventare sindaco di Palermo per la terza volta, e che sono gli stessi giorni nei quali si celebra il ventennale della morte di Giovanni Falcone. Difatti «Orlando era un amico», racconta oggi Maria Falcone, sorella di Giovanni. «Erano stati amici, avevano pure fatto un viaggio insieme in Russia… Orlando viene ricordato soprattutto per quel periodo che in molti chiamarono Primavera di Palermo, ma anche per lo scontro durissimo che ebbe con Giovanni e che fu un duro colpo, distruttivo per l’antimafia in generale». Uno scontro che va raccontato bene, al di là della dignitosa discrezione adottata da Maria Falcone in Giovanni Falcone, un eroe solo da lei scritto di recente per Rizzoli.
Siamo nei tardi anni Ottanta. Leoluca Orlando, tuonando contro gli andreottiani, era diventato sindaco nel 1985 e aveva inaugurato la citata Primavera di Palermo che auspicava un gioco di sponda tra procura e istituzioni. Però, a un certo punto, dopo che il 16 dicembre 1987 la Corte d’assise di Palermo aveva comminato 19 ergastoli nel cosiddetto «maxiprocesso», qualcosa cambiò. Tutti si attendevano che il nuovo consigliere istruttore di Palermo dovesse essere lui, Falcone: ma il Csm, il 19 gennaio 1988, scelse Antonino Meli seguendo il criterio dell’anzianità. E a Falcone cominciarono a voltare le spalle in tanti. Con Orlando, tuttavia, vi fu un episodio scatenante: «Orlando ce l’aveva con Falcone», ha ricordato l’ex ministro Claudio Martelli ad Annozero, nel 2009, «perché aveva riarrestato l’ex sindaco Vito Ciancimino con l’accusa di essere tornato a fare affari e appalti a Palermo con sindaco Leoluca Orlando, questo l’ha raccontato Falcone al Csm per filo e per segno». Il fatto è vero: fu lo stesso Falcone, in conferenza stampa, a spiegare che Ciancimino era accusato di essere il manovratore di alcuni appalti col Comune sino al 1988: si trova persino su YouTube.
Quando Falcone accettò l’invito di dirigere gli Affari penali al ministero della Giustizia, poi, la gragnuola delle accuse non poté che aumentare. Fu durante una puntata di Samarcanda del maggio 1990, in particolare, che Orlando scagliò le sue accuse peggiori: Falcone – disse – ha una serie di documenti sui delitti eccellenti ma li tiene chiusi nei cassetti. Per l’esattezza il riferimento era a otto scatole lasciate da Rocco Chinnici e a un armadio pieno di carte. Le trasmissioni condotte da Michele Santoro erano dedicate a una serie di omicidi di mafia, e «io sono convinto», tuonò Orlando, «che dentro i cassetti del Palazzo di Giustizia ce n’è abbastanza per fare chiarezza su quei delitti». L’accusa verrà ripetuta a ritornello anche da molti uomini del movimento di Orlando, tra i quali Carmine Mancuso e Alfredo Galasso. Divertente, o quasi, che tra gli accusati di vicinanza andreottiana – oltre a Falcone – figurava anche il suo collega Roberto Scarpinato, cioè colui che pochi anni dopo istruirà proprio il processo per mafia contro Andreotti.
È di quei giorni, comunque, uno slogan di Orlando che fece epoca: «Il sospetto è l’anticamera della verità». Falcone rispose a mezzo stampa: «È un modo di far politica che noi rifiutiamo… Se Orlando sa qualcosa faccia i nomi e i cognomi, citi i fatti, si assuma la responsabilità di quel che ha detto, altrimenti taccia. Non è vero che le inchieste sono a un punto morto. È vero il contrario: ci sono stati sviluppi corposi, con imputati e accertamenti». Ma Orlando era un carroarmato: «Diede inizio», scriverà Maria, a una vera e propria campagna denigratoria contro mio fratello, sfruttando le proprie risorse per lanciare accuse attraverso i media». Così aveva già fatto nell’estate del 1989, quando il pentito Giuseppe Pellegriti accusò il democristiano Salvo Lima di essere il mandante di una serie di delitti palermitani: Falcone fiutò subito la calunnia ma Orlando si convinse che il giudice volesse proteggere Lima e Andreotti. «Seguirono mesi di lunghe dichiarazioni e illazioni da parte di Orlando, che voleva diventare l’unico paladino antimafia», ha scritto ancora Maria Falcone.
Del fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura, vicino a Palermo, torneremo a scrivere nei prossimi giorni. Per ora appuntiamoci soltanto quanto scrisse il comunista Gerardo Chiaromonte, defunto presidente della Commissione Antimafia: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».
Orlando era instancabile. Tornò alla carica il 14 agosto 1991, quando rilasciò un’intervista su l‘Unità poi titolata «Indagate sui politici, i nomi ci sono»: «Sono migliaia e migliaia i nomi, gli episodi a conferma dei rapporti tra mafia e politica. Ma quella verità non entra neppure nei dibattimenti, viene sistematicamente stralciata, depositata, e neppure rischia di diventare verità processuale… Si è fatto veramente tutto, da parte di tutti, per individuare responsabilità di politici come Lima e Gunnella, ma anche meno noti come Drago, il capo degli andreottiani di Catania, Pietro Pizzo, socialista e senatore di Marsala, o Turi Lombardo? E quante inchieste si sono fermate non appena sono emersi i nomi di Andreotti, Martelli e De Michelis?». Orlando citò espressamente, tra i presunti insabbiatori, «la Procura di Palermo» e implicitamente Falcone. Per il resto, tutte le accuse risulteranno lanciate a casaccio. Poco tempo dopo, il 26 settembre 1991, al Maurizio Costanzo Show, ad attaccare Falcone fu il sodale di Orlando, Alfredo Galasso.
Lo stesso Galasso assieme a Carmine Mancuso e a Leoluca Orlando, l’11 settembre precedente, aveva fatto un esposto al Csm che sarà il colpo finale: si chiedevano spiegazioni sull’insabbiamento delle indagini sui delitti Reina, Mattarella, La Torre, Insalaco e Bonsignore e anche sui rapporti tra Salvo Lima e Stefano Bontate e sulla loggia massonica Diaz e poi appunto sulle famose carte nei cassetti. Così, dopo circa un mese, il 15 ottobre, Falcone dovette vergognosamente discolparsi davanti al Csm. Non ebbe certo problemi a farlo, ma fu preso dallo sconforto: «Non si può andare avanti in questa maniera, è un linciaggio morale continuo… Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del komeinismo». Racconterà Francesco Cossiga nel 2008, in un’intervista al Corriere della Sera: «Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo. Voleva andar via».
Anche della strage di Capaci torneremo a raccontare. Ora restiamo a Orlando, e a quando il 23 maggio 1992, a macerie fumanti, da ex amico e traditore si riaffaccerà sul proscenio come se nulla fosse stato. Il quotidiano la Repubblica gli diede una mano: «A mezzanotte e un quarto una sirena squarcia il silenzio irreale del Palazzo di Giustizia di Palermo. Arriva Antonio Di Pietro da Milano, il giudice delle tangenti, il Falcone del Nord… Con lui ci sono Nando Dalla Chiesa, Carmine Mancuso e Leoluca Orlando». Cioè parte degli accoltellatori, quelli dell’esposto al Csm. Proprio loro. Partirà da quel giorno un macabro carnevale di sfruttamento politico, editoriale, giudiziario e «culturale» dell’icona di un uomo che ne avrebbe avuto soltanto orrore.
Il 25 gennaio 1993, intervenendo telefonicamente a Mixer su Raidue, Maria Falcone disse a Leoluca Orlando: «Hai infangato il nome, la dignità e l’onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere integerrimo e strenuo difensore dello Stato. Hai approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per fare, come diceva Giovanni, politica attraverso il sistema giudiziario».
Il 18 luglio 2008, intervistato da KlausCondicio, Orlando l’ha messa così: «C’è stata una difficoltà di comprensione con Giovanni Falcone». Una difficoltà di comprensione. E poi: «Ma ridirei esattamente le stesse cose… Ho avuto insulti ai quali non ho mai replicato, perché credo che sia anche questa una forma di rispetto per le battaglie che io ho fatto… (pausa, poi aggiunge) … e che Giovanni Falcone meglio di me ha fatto, perché trascinare una storia straordinaria come quella di Falcone dentro una polemica politica, francamente, è cosa di basso conio». E lui non l’avrebbe mai fatto.

Quella cosa che il Corano, ossia l’islam, è come la luce, comunque, è vera: assolutamente e sacrosantamente vera:
luce 1
luce 2
Quello di cui si vede un braccio e una mano nella foto qui sotto, è il corpo di una ragazzina che si era messa il rossetto
luce 3
luce 4
luce 5
luce 6
luce 7
MIDEAST ISRAEL PALESTINIANS
E per concludere, guardate com’è bello il nostro Leoluca mentre partecipa all’inizio del ramadan
Orlando ramadan
e mentre accoglie l’equipaggio della Flottilla che va a salvare Gaza dalla morte per fame.
Orlando, Flottilla
Questo sì che è un uomo!

barbara

L’IMPORTANZA DI SCEGLIERSI IL NEMICO GIUSTO

I palestinesi di Gaza, per esempio, si sono scelti come nemico Israele. Basta che uno di loro si faccia un graffio, non importa se bambino o adulto, non importa se disarmato o armato fino ai denti, non importa se innocente o assassino, non importa se stava facendo una passeggiata o eseguendo un attentato, non importa, addirittura, se sia stato colpito da un israeliano o da un palestinese: basta che si faccia un graffio e il mondo intero si mobilita, marcia, protesta, brucia bandiere, boicotta, invoca (e ottiene) condanne Onu. Prendi invece i palestinesi di Yarmouk (esattamente come quelli di Giordania, del Kuwait, di Tell al Zatar): li ghettizzano, li discriminano, li opprimono, li affamano, li massacrano, e al mondo non gli scuce un baffo.
flottillas
La storia di quelli di Yarmouk ce la racconta Lorenzo Cremonesi, giornalista non di rado poco onesto quando c’è di mezzo Israele (ci ho anche personalmente litigato, e lì è stato proprio disonesto al massimo grado), ma che ogni tanto si ricorda di essere giornalista e racconta le cose come stanno, come per esempio nell’articolo scritto dopo la liberazione della Natività dai terroristi che vi avevano fatto irruzione: chi desiderasse rileggerlo, lo troverà all’interno di questa recensione). E lo fa anche in questo articolo che vi propongo.


L’assedio del campo profughi: ‘Uccisi dall’Isis mille palestinesi’

Spari sui civili nei campi profughi e inevitabilmente colpisci i bambini. Non fa eccezione il grande campo profughi palestinese di Yarmouk, a otto chilometri dal centro di Damasco, dove dal primo aprile si combatte una furibonda battaglia contro i jihadisti dello Stato Islamico (Isis) e del gruppo radicale Al-Nusra. Pare abbiano il controllo sull’80 per cento dell’area. Sui social network di Isis sono già stati postati video delle decapitazioni di almeno due combattenti palestinesi. Altri sette sarebbero stati fucilati. Alcune fonti riportano una settantina di morti nell’ultima settimana. Ieri in serata il deputato arabo israeliano Ahmed Tibi ha dichiarato al quotidiano Ha’aretz che «il movimento fascista di Isis» avrebbe ucciso «mille palestinesi» tra cui l’imam della moschea di Hamas e accusava i Paesi arabi di «vergognosa passività».
Testimoni parlano di 25 decapitati. Ma per ora sono cifre difficili da verificare. «Almeno 18.000 profughi intrappolati sotto i bombardamenti e tra questi 3.500 bambini. Le loro condizioni sono gravissime, oltre l’inumano. In ogni momento rischiano di essere feriti o uccisi. Nel campo mancano cibo, acqua, elettricità. Si vive con meno di 400 calorie al giorno. Scarseggiano le medicine, gli ultimi medici sono scappati qualche giorno fa», avvertono le agenzie dell’Onu e le ong. Le Nazioni Unite rilanciano gli appelli al cessate il fuoco e per la costituzione di corridoi umanitari. Ma per ora cadono nel vuoto, solo 2.000 persone sarebbero riuscite fortunosamente a scappare. C’è chi fa già il paragone con Srebrenica, la città martire della ex Jugoslavia dove nel luglio 1995 circa 8.000 musulmani bosniaci vennero massacrati dalle milizie serbe sotto lo sguardo passivo del contingente dell’Onu . Non è la prima volta che si combatte in questo che è il più grande campo profughi della diaspora palestinese. Prima dello scoppio delle rivolte contro il regime di Bashar Assad, nel 2011, era abitato da circa 150.000 persone. Al suo interno c’era una pletora di gruppi in lotta tra loro, sostanzialmente facenti capo al fronte laico dell’Olp, più legato al regime, e ai radicali islamici di Hamas, che rapidamente si schierarono con la miriade di formazioni siriane decise a defenestrare Assad.
Ma queste divisioni sono venute a scemare negli ultimi mesi, con l’avanzata di Isis verso la capitale. E oggi sono uniti per fermare il nemico comune. Pare che Isis in questa fase abbia stretto alleanza con Al Nusra, riuscendo così a penetrare Yarmouk. Il regime ha risposto con furia devastatrice. Ormai da due o tre giorni i suoi mortai sparano nel mezzo dei quartieri abitati e gli elicotteri sganciano i famigerati «barili bomba», ordigni primitivi e brutali che distruggono palazzi interi. L’organizzazione internazionale non governativa «Save the Children» riporta: «Le testimonianze degli operatori umanitari ancora sul posto raccontano di civili feriti per le strade da giorni, senza che nessuno possa andare a soccorrerli a causa dei combattimenti continui». L’inviato locale della Bbc in lingua araba spiega della presenza letale di cecchini che impediscono ogni movimento, specie verso le vie di fuga.
Yarmouk

Interessante e meritevole di essere letta anche questa analisi di Carlo Panella.

barbara

OGNI TANTO SE NE ACCORGONO PERFINO LORO!

hey activist
An Al Jazeera TV host named Faisal Al-Qassem uploaded this to his Facebook page less than a day ago, and translated it to Arabic.

It is going viral. 

As of this writing [lunedì 13/01, ndb] it has over 19,000 “Likes” on Facebook – from Arabic speakers!

E anche qui c’è qualcuno che si è deciso ad aprire gli occhi (guardate il video, mi raccomando). Le anime belle delle nostre parti invece no, non sono ancora riuscite ad accorgersene. E pensare che i dati dovrebbero parlare chiaro, se solo si avesse voglia di prenderne atto.
death arabs
In ogni caso, piaccia o no alle anime belle, i fatti sono questi:

on a London street
barbara