LA BADOGLIEIDE

(e il re)

Composta nell’aprile del 1944 a Narbona, una borgata della Valle Grana incastrata tra la cima Crosetta (2194 m) e la rocca Cernauda (2284 m), da un gruppo di partigiani tra cui Nuto Revelli e Dante Livio Bianco, anime della Resistenza cuneese (qui).

barbara

IO, COME AL SOLITO, MI DOMANDO

Dice che suo marito soffre di turbe psichiche. Cioè, voglio, dire, non è che si possa invocare un raptus che nessuno poteva prevedere o immaginare: quest’uomo è matto e tu lo sai. E sapendo che è matto lo sposi. Non solo: sapendo che è matto ci fai un figlio. Non solo: sapendo che è matto – e che contro il parere dello psichiatra ha interrotto la terapia farmacologica – ti allontani lasciandolo solo col figlio neonato. Non solo: dopo aver constatato che se n’è andato in macchina col figlio e che si nega al cellulare, aspetti OTTO ORE prima di denunciare la sua fuga. La mia domanda è: donna, ma quanto baldracca sei?

barbara

 

LA FAMIGLIA KARNOWSKI

Una tensione indefinita, un misto di attesa, esaltazione e paura invase la capitale quando gli uomini in stivali s’impadronirono delle strade e delle piazze.
Erano ovunque, e in gran numero. Sfilavano in parata, sfrecciavano a tutta velocità in automobile o in motocicletta, brandivano torce accese, cantavano in coro e marciavano, marciavano, marciavano.
Il risuonare dei loro passi risvegliava il sangue. Non si sapeva bene che cosa i nuovi padroni avrebbero portato, ma tutti erano tesi, tesi ed elettrizzati. C’era una sensazione di anarchia, qualcosa di diverso dal solito, di festivo, di inquietante e di frenetico, come in un gioco infantile.
Di nuovo, come un tempo, c’erano fanfare, bandiere, uniformi, saluti militari, parate e discorsi altisonanti. Più fragoroso che in qualunque altro luogo, il martellare degli stivali echeggiava nella zona occidentale di Berlino, sul Kurfürstendamm, sulla Tauentzienstrasse, in tutto il quartiere dove vivevano e lavoravano i grandi commercianti, i professori, i direttori di teatro, gli avvocati, i medici e i banchieri dai capelli e gli occhi scuri. «Wenn das Judenblut vom Messer spritzt, dann geht’s noch mal so gut, so gut» [Quando il sangue ebraico zampilla dal coltello, allora tutto va di nuovo così bene, così bene] cantavano a squarciagola gli uomini del «nuovo ordine», marciando davanti ai negozi eleganti, alle banche e ai grandi magazzini di quelle strade, perché le zazzere nere udissero bene.
Le udivano benissimo quelle parole, coloro ai quali erano rivolte. Così come le udivano gli intellettuali, i giornalisti e gli intermediari seduti nei bar, con un giornale e l’eterna tazza di caffè. Anche loro erano inquieti per quanto stava accadendo, provavano un po’ di vergogna e si sentivano a disagio. Ma non erano seriamente spaventati. In fin dei conti si trattava solo di poche frasi di una stupida canzonetta. Del resto, nemmeno i commercianti della Friedrichstrasse e dell’Alexanderplatz le prendevano sul serio.
Gli affari andavano bene come prima, e anche meglio. La gente si riuniva nelle strade, era di umore spensierato, festoso, e spendeva i propri soldi dimenticando la prudenza e la parsimonia consuete. Nei bar, assieme allo strudel e al caffè, i camerieri portavano ai clienti abituali dai capelli neri i giornali esteri continuando a chiamarli «dottore», che il titolo fosse legittimo o meno. Nessuno credeva che tutto ciò potesse cambiare. Nessuno ci voleva credere. E poi, come sempre succede in caso di calamità, ognuno pensava che se doveva arrivare una disgrazia avrebbe colpito il vicino, non lui.
Rudolf Moser si recava come di consueto in automobile all’imponente stabile che ospitava la sua casa editrice. Per quanto fosse sgradevole sentire quei canti sul sangue degli ebrei, in nessun momento aveva pensato che potessero riguardarlo personalmente. È vero che era di origine ebraica, ma era battezzato da un bel pezzo, aveva una moglie cristiana, ed era addirittura membro del consiglio della Gedächtniskirche, la chiesa più prestigiosa della città. Il suo salotto era frequentato da politici in vista, anche di destra. Uno dei loro, il dottor Zerbe, era ricevuto in casa sua. Qualunque cosa potesse succedere agli ebrei, non riguardava lui, il cristiano.
Nemmeno i proprietari di grandi magazzini, i banchieri e i grossi commercianti, i direttori di teatro, gli attori e gli artisti celebri, nonché i professori di fama mondiale che appartenevano ancora alla comunità, pensavano che il sangue di cui doveva grondare il coltello potesse essere il loro. Il legame che mantenevano con la comunità era di natura puramente formale. Erano tedeschi fino al midollo, radicati nella cultura del paese. Avevano grandi meriti da far valere. I più giovani avevano combattuto al fronte e vi si erano distinti. Se qualcosa doveva accadere, sarebbe toccata agli ebrei osservanti, ai nazionalisti che si aggrappavano alla cultura ebraica e alcuni dei quali sognavano addirittura di emigrare in Asia.
Anche il dottor Spayer, rabbino della Nuova Sinagoga, non credeva che quelle minacce lo riguardassero. La sua famiglia non viveva in Germania da generazioni? Nelle sue prediche non usava il miglior tedesco? Non adornava i suoi sermoni con frasi di Goethe, Lessing, Schiller e Kant? Non aveva esortato i suoi fedeli a difendere il paese alla vigilia delle ostilità e a offrire il loro sangue e il loro ardore alla patria? Se qualcuno si poteva rimproverare, erano gli stranieri, gli immigrati di fresca data. Come durante la guerra, ricominciò a prendere le distanze dal suo amico David Karnowski. In questi tempi difficili è preferibile tenersi il più lontano possibile da gente di quel tipo, pensava. L’uomo non deve mettersi in pericolo. Beato l’uomo che ha sempre paura, è scritto.
Il dottor Georg Karnowski continuava a lavorare nella sua clinica, senza preoccuparsi troppo di quel che gridavano gli uomini in stivali, cioè che nella patria risvegliata i medici ebrei dovevano fare le valigie. Assurdo! È nato qui, qui ha compiuto gli studi, qui si è reso celebre per la sua importante attività medica. E poi ha fatto la guerra, è stato decorato, promosso capitano. Sua moglie è cristiana, tedesca da sempre. Se ha paura, è per i genitori. Stranieri, tuttora privi della cittadinanza tedesca, potrebbero avere dei problemi.
Nemmeno David Karnowski immaginava che potessero cacciarlo dal paese, lui che ci viveva da tanti anni, aveva mandato un figlio in guerra, era egli stesso un commerciante degno di fiducia, puntuale e onesto, al punto che ai tedeschi con cui trattava mancavano le parole per cantarne le lodi. Si era integrato alla perfezione nel paese, aveva assimilato la lingua fin nelle minime sottigliezze, era un occidentale al cento per cento che non aveva assolutamente più nulla a che vedere con l’Oriente. Se c’era un pericolo per gli stranieri, era convinto fosse per quelli arrivati in massa dopo la guerra, che si erano stabiliti nel vecchio Scheunenviertel. Accanto alla compassione per quella gente, David Karnowski provava anche un po’ di risentimento. Intanto erano arrivati in troppi. Poi, mentre infuriava l’inflazione avevano acquistato case per un tozzo di pane. Lui stesso aveva venduto il suo stabile a uno di loro. Inoltre molti erano ebrei con caffettano e cernecchi, amministratori di sinagoghe, cantori, scribi, rabbini vecchia maniera. David Karnowski spesso si vergognava nell’incrociarli in tram o nella metropolitana. Alcuni venivano anche a chiedere offerte nella parte ovest della città. Con il loro aspetto e i loro costumi non avevano reso un buon servizio agli ebrei berlinesi. Anche lui, pur essendo straniero, non riusciva a sopportare i nuovi venuti. Non c’era da stupirsi se si erano attirati l’odio dei gentili. È vero, anche fra di loro si trovavano persone rispettabili, gente colta e illuminata. Il vecchio Efraim Walder, per esempio. Ma nell’insieme la popolazione di quel quartiere costituiva un corpo estraneo nella capitale. Era possibile che gli uomini del nuovo regime si mostrassero poco teneri con gli stranieri senza documenti che vi risiedevano.
Gli abitanti dello Scheunenviertel facevano a loro volta distinzioni al proprio interno. A reb Hertzele Vishnik, il proprietario dell’albergo Franz Joseph sulla Dragonerstrasse, pareva evidente come due più due fanno quattro che lui e i suoi compatrioti, gli austriaci o i galiziani, come li chiamavano i russi, non correvano alcun pericolo. L’Austria non era stata alleata della Germania? I due paesi non avevano combattuto il nemico fianco a fianco? È vero che la parte di Austria chiamata Galizia era passata a nuovi padroni, i polacchi. Ma era successo perché era stata persa la guerra. In realtà quella regione era parte dell’Austria, e comunque considerata come tale. Sarebbe stato stupido credere che se la prendessero con loro, degli alleati, molti dei quali avevano combattuto in prima linea. Se avevano in mente qualcuno, si trattava dei russi, gli stranieri che avevano invaso il quartiere. A loro volta i russi facevano distinzioni: c’erano quelli con i documenti in regola e quelli i cui documenti erano dubbi. Questi ultimi si dicevano che nella peggiore delle ipotesi ci sarebbe sempre stato il consolato del loro paese. Il mondo non era una giungla. (pp. 260-264)

Già, è proprio così che è andata: ognuno credeva di far parte della categoria degli “ebrei buoni” e che la mannaia, se proprio doveva abbattersi, si sarebbe abbattuta su qualcun altro (e ancora oggi, ottant’anni dopo, ci sono ebrei che ancora non hanno imparato la lezione e non ne vogliono sapere di impararla). Come dice il vecchio, saggio talmudista, ti proponi di essere ebreo in casa e tedesco nel mondo e ti ritrovi a fare il goy in casa mentre quegli altri, fuori nel mondo, in te continuano a non vedere altro che l’ebreo.

Quando il libro è uscito, più di qualcuno ha gridato al capolavoro: avevano ragione, lo è. E dunque non vi resta che leggerlo.

Israel Joshua Singer, La famiglia Karnowsky, Adelphi
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barbara

NADA AL-AHDAL HA 11 ANNI

Anzi, per la precisione, dieci anni e tre mesi. Nada, bambina yemenita, è cresciuta nella casa dello zio, in un ambiente culturalmente ricco in cui ha avuto la possibilità di studiare e imparare il canto. Ma quando un ricco yemenita residente in Arabia Saudita l’ha chiesta in moglie, i suoi genitori hanno cercato di riportarla in famiglia allo scopo di ricevere i soldi per la sistemazione. Di fronte al suo rifiuto, la madre ha minacciato di ucciderla (per “motivi di onore”). La coraggiosa Nada è riuscita a sfuggire, con l’aiuto dello zio, che ricorda anche una zia della bambina, costretta a sposarsi a 13 anni e suicidatasi dandosi fuoco. Questo il messaggio di Nada al mondo:

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barbara