UN PO’ DI ATTUALITÀ

Iniziamo con un salto in Israele, dove in tre giorni i palestinesi hanno lanciato più di 1100 missili (quanto costa un missile?). Qui possiamo vedere un lancio di pochi secondi, giusto per avere un’idea; le esplosioni che si vedono in cielo sono gli incontri fra i missili e l’iron dome che li neutralizza.

Questo invece è uno delle centinaia di missili difettosi che ricadono entro il territorio di Gaza

e che in questo caso ha fatto un bordello di morti fra cui sei bambini, di cui naturalmente la responsabilità viene addebitata a Israele.

Passiamo all’Ucraina, di cui Amnesty International ha documentato vari crimini di guerra fra cui l’uso di scudi umani, cosa inaudita e vergognosa (il documento di AI, intendo, naturalmente), che ha provocato le dimissioni per protesta della direttrice della sede ucraina, giustamente, dato che il compito di AI è notoriamente quello di vedere ciò che è corretto vedere, non ciò che succede.
Nel frattempo i bombardamenti nazisti continuano a martellare il Donbass e a seminare morte, e a bombardare perfino i funerali

E ora hanno cominciato a disseminare i centri delle città, soprattutto su prati e giardini, i famigerati “petali”, piccolissime mine giocattolo

troppo poco potenti per uccidere, ma sufficientemente potenti da provocare, soprattutto nei bambini, mutilazioni, cecità o altre lesioni invalidanti. Pappagalli verdi li chiamavano in Afghanistan: a chi ha un po’ di anni sulle spalle sicuramente il nome risveglierà qualche ricordo.

A quelli che amano i paragoni voglio poi mostrare questo video: l’aviazione israeliana aveva organizzato un’operazione per distruggere un deposito di armi della jihad islamica. Sennonché all’ultimo momento

Bisogna comunque dire che anche i russofoni del Donbass sono estremamente educati e corretti: trovate due grosse mine e appurato che erano mine ucraine, non hanno esitato un momento a restituirle:

E veniamo all’Italia. A Pisa un giovane barbiere marocchino immigrato da sette anni, sposato e con due bambini piccoli è stato accoltellato a morte sulla porta del suo negozio. Ho passato in rassegna sei testate senza trovare il minimo accenno in merito all’aggressore, nonostante questo si fosse costituito e quindi la sua identità – e la sua nazionalità – fosse già nota. Potevano sussistere dubbi? Alla fine sono dovuta capitare su una pubblicazione in inglese per poter leggere

Halim Hamza, the 32-year-old barber, originally from Morocco, killed in front of his shop on the afternoon of Sunday 7 August by a Tunisian

Scommettiamo che per questo immigrato non caucasico nessuno si straccerà le vesti?

E sempre restando in italia:

EMERGENZA IDRICA O EMERGENZA DEMOCRATICA?

Ve lo riferisco con riluttanza, sgomento. Non avrei neanche voglia di scriverlo, questo post. Ma devo farlo.
Questa mattina mi sono attaccato al telefono per avere delucidazioni sull’ordinanza che vieta, tra l’altro, di innaffiare orti e giardini a Firenze fino al 30 settembre (vedi mio post di ieri “Declinazioni provinciali…”).
L’impiegato della Direzione Ambiente che mi ha risposto mi ha detto che non sapeva niente e mi ha dato il diretto di un dirigente. Quello, appena ha capito che volevo parlare dell’ordinanza 157, mi ha stoppato e mi ha dato il numero della persona che ha scritto il documento (non farò il nome, perché lo scopo di questo posto non è fare gogne mediatiche: giornalisti eventualmente interessati ad approfondire, contattatemi in privato).
L’ho chiamata, mi ha risposto, abbiamo avuto una lunga e cordiale conversazione. Io non ho fatto polemiche: non volevo affermare le mie ragioni, volevo capire le sue, e per questo volevo che si sentisse a suo agio, che si sentisse compresa.
Le ho chiesto prima di tutto se l’ordinanza avesse delle omissioni, dei sottintesi, delle deroghe non espresse. Risposta: quello che c’è scritto è.
Le ho chiesto se quindi avrei dovuto lasciare seccare le mie piante di pomodori. Risposta: sì, a meno di ingegnarsi (attingere acqua a una fonte, ricavarla da un pozzo…).
Le ho chiesto del prato. Risposta: anche quello, da far seccare.
Le ho chiesto se, oltre ai pomodori e al prato, dovrei lasciar morire anche gli alberi e le piante che si trovano nel mio giardino. Risposta: eh, bisogna ingegnarsi.
Le ho chiesto se il Comune di Firenze è cosciente che questa ordinanza condanna alla distruzione migliaia e migliaia di piante e alberi nel territorio comunale; le ho chiesto a che genere di idea “green” corrisponda questa strategia. Risposta: sì, certo, ne siamo coscienti, ma qualcosa bisogna sacrificare. È meglio sacrificare i suoi pomodori che un’attività produttiva, no?
Le ho chiesto se dunque la mia famiglia deve davvero rinunciare alle quattro piante di pomodori che soddisfano interamente il nostro fabbisogno fino a ottobre. Risposta: Sì, è meglio che lei perda i suoi pomodori, tanto può comprarli al supermercato, piuttosto che togliere l’acqua a un autolavaggio, che poi entra in ballo un discorso di occupazione, di sindacati…
Le ho chiesto se il territorio di Firenze sta vivendo davvero una crisi idrica così drammatica da preferire la distruzione del verde, degli alberi, delle piante. Risposta: In realtà no, l’invaso di Bilancino è ancora pieno per l’80% [più o meno come l’anno scorso, e l’anno prima, e l’anno prima ancora in questo periodo – nota mia]; ma ci sono state pressioni: l’autorità idrica ha mandato la richiesta di fare ordinanze contro lo spreco dell’acqua il 3 giugno; molti sindaci le hanno fatte subito; noi siamo gli ultimi, abbiamo rimandato, ma alle riunioni era tutto un dire “perché noi l’abbiamo fatta e Firenze non fa l’ordinanza?”, alla fine abbiamo dovuto farla anche noi.
Le ho chiesto se la distruzione del verde riguarderà anche i produttori. Risposta: no, le attività produttive non possono essere toccate, neanche l’autolavaggio, per l’appunto. L’ordinanza riguarda solo le utenze domestiche.
Le ho chiesto del verde pubblico. Risposta: eh, anche noi abbiamo dovuto decidere. Ci siamo messi intorno a un tavolo e abbiamo fatto una lista: questo prato lo salviamo, quest’altro lo lasciamo seccare. Pensando anche agli investimenti fatti: se un prato era stato piantato qualche mese prima non si poteva far seccare.
Facciamo tanti investimenti per il verde…
Le ho chiesto se aveva presente la differenza tra far seccare un prato o un’aiuola, che poi ripianti i semi e dopo tre settimane sono uguali, e far morire un albero vecchio di dieci, venti, trent’anni, con tutte le sue relazioni complesse con l’ecosistema. Risposta: Eh, bisogna che uno si ingegni.
Le ho chiesto se queste decisioni non siano in contraddizione con la norma che impedisce di abbattere un albero che si trovi nel proprio giardino senza un apposito permesso e senza che sia prevista la sua sostituzione. Risposta elusiva.
Le ho chiesto se per caso l’ordinanza sia stata fatta con la convinzione che tanto verrà ignorata da moltissime persone e non farà grossi danni. Risposta: Le norme vanno rispettate; ma poi basta vedere quanti cartelli di divieto di sosta ci sono, e quante macchine parcheggiate…
Le ho chiesto come potrei ignorare questa norma se avessi un vicino litigioso e incattivito nei miei confronti, che non vede l’ora di avere un pretesto per mettermi nei guai e che chiamerebbe immediatamente la municipale vedendomi con la sistola in mano. Risposta: be’, sì, del resto le norme sono fatte per essere rispettate, non per essere eluse.
Ho chiesto se quindi il Comune sia cosciente del fatto che con questa ordinanza – salvo ribellione in massa – trasformerà la città di Firenze in un deserto nel giro di tre mesi, con relativo aumento della temperatura, distruzione dell’ecosistema, della catena alimentare, della biodiversità. Risposta: Sì, ma anche se in questo momento noi non siamo in emergenza, qualcosa bisogna pur fare.
La conversazione è stata davvero pacata e piacevole. Nessuna provocazione, polemica o protesta da parte mia. Non volevo prendermela con la dottoressa XY: volevo capire. Volevo ascoltare la voce dell’ultimo anello della catena che rappresenta la follia al potere. E in questo sono stato accontentato: era una persona normale.
Normali e perbene sono le persone che negli ultimi due anni e mezzo hanno varato, votato, apprezzato, rispettato – senza mai osare fare un rilievo critico – i provvedimenti che stanno alla base di questa deriva irrazionale, dispotica, punitiva e totalitaria, ormai talmente diffusa nella mentalità comune da essere diventata invisibile, completamente disciolta, e quindi inarginabile e incommentabile. Infatti sono andato in internet e non ho trovato un solo articolo o commento critico su questa norma (che si ritrova quasi identica in molti Comuni dal Nord al Sud della Penisola). Neanche uno. Davvero non avevate capito che i “noi consentiamo / noi non consentiamo” avrebbero portato dritto a questo? Adesso è dura tornare indietro. E non so neanche quanti vorrebbero farlo.
Io penso agli orti che in questo momento si stanno seccando. Agli animali, che, di conseguenza, stanno morendo. Penso agli alberi decennali che stanno morendo. Penso all’invaso di Bilancino che oggi contiene 60 milioni di metri cubi d’acqua, pronti per essere utilizzati. Penso a quanta acqua serve per produrre un chilo di carne o un hamburger. A quanta viene divorata dal digitale (guardare un film in streaming costa 400 litri d’acqua, ci diceva nel 2016 l’Imperial College – io ne uso 40 al giorno per irrigare i miei 30 metri di orto-giardino). Penso alle mie piante, che danno da mangiare a me e ai miei figli, che in questo momento “dovrebbero” stare morendo.
Penso che adesso è abbastanza fresco per uscire e dare una bella annaffiata.
Anche le tartarughe ne saranno contente, e anche il discreto popolo degli insetti. L’alveare, incastonato nel buco tra le pietre del muro davanti alla casa, brulica di api. E pensare che stiamo solo a un chilometro da Porta Romana.
E mi chiedo infine: c’è un avvocato, un giurista, un magistrato, disposto a dire che, semplicemente, questa follia non si può fare, perché una follia del genere – a livello giuridico e politico – ha la stessa legittimità, giustificazione e plausibilità di altre follie ancora più criminali?
Carlo Cuppini

E io questa cosa qui la metterei dritta dritta nei crimini contro l’umanità.

Meglio una bella Carmen infuocata, vero?

barbara

MA SI PUÒ VIVERE COSÌ?

Ho una zia in fin di vita, in provincia di Padova. Chiamo i carabinieri – visto che sono loro a punire gli sgarri alle norme stabilite dal boss, dovrebbero sapere quali siano esattamente le cose che si possono e quelle che non si possono fare – spiego la situazione e chiedo se la partecipazione a un funerale rientri fra i motivi riconosciuti validi per uscire dalla regione. Non lo sa, e mi dà il numero della prefettura, dove dovrebbero saperlo di sicuro. Chiamo, rispiego la situazione, ripropongo la domanda e lui mi dice che: oltre all’autocertificazione devo farmi mandare dall’agenzia di pompe funebri tramite PEC l’indicazione esatta, giorno e ora, di quando si terrà il funerale, nome e indirizzo della chiesa in cui si svolgerà e indirizzo del cimitero in cui verrà sepolta; copia del manifesto dei condoglianti in cui io compaia con nome e cognome e qualifica di nipote; devo andarci per la via più breve senza deviazioni; devo partire in un orario che mi consenta di arrivare giusto in tempo per il funerale e rientrare subito dopo, tranne il caso che si svolga nel tardo pomeriggio e non abbia modo di rientrare in nottata, nel qual caso mi è consentito pernottare in loco e ripartire la mattina successiva. Detto questo, mi ha avvertita che comunque, in caso di controllo, il controllante potrebbe decidere, in base ai propri criteri personali, che partecipare a un funerale non è una inderogabile necessità o che una zia non è una parente sufficientemente stretta da giustificare lo spostamento, e quindi multarmi.
Servono commenti?

barbara

ORI ANSBACHER

Ori è la diciannovenne israeliana stuprata e assassinata a coltellate, fatta praticamente a pezzi, qualche giorno fa.
Ori
In questi giorni non ne ho scritto, perché ci sono cose che dici no, è troppo, non ce la faccio. Poi ti fai forza e ti imponi di farlo, perché glielo devi. Almeno questo glielo devi, e dunque eccomi. Riporto alcuni pezzi di persone che hanno saputo dire molto meglio di me quello che va detto.

Sull’assassinio di Ori Ansbacher da parte di un terrorista palestinese a Gerusalemme risultano ancora non pervenuti:

– l’Unione Europea, sempre rapida nel condannare la costruzione di nuove case israeliane
– l’Onu, sempre riunita in sessione d’emergenza quando Israele uccide un terrorista
– i giornali, sempre pronti a far spazio ai terroristi morti sul confine di Gaza e alla pin-up Ahed Tamimi
– Papa Francesco, sempre distratto quando Israele subisce un terribile lutto
– Abu Mazen e i “palestinesi moderati”, sempre generosi nel fare bonifici ai terroristi con i soldi europei
– il mondo islamico, sempre pronto a nascondere terroristi in una loro moschea
– le femministe, sempre in cerca di un femminicidio tranne quando c’è di mezzo una ragazza israeliana

Buona visione del più agghiacciante film di successo della storia: l’antisemitismo che uccide.
Giulio Meotti

corpo

I MANDANTI

Chi sono i mandati del brutale assassinio di Ori Ansbacher? Prima di tutto Hamas e l’Autorità Palestinese che per decenni hanno fomentato il clima di odio virulento nei confronti degli ebrei israeliani, poi subito dopo l’Europa, l’Europa pro palestinese dalla fine della Guerra dei Sei Giorni del 1967, che progressivamente si è inchinata ai desiderata arabi e islamici, l’Europa che ogni volta che Israele si difende le da addosso accusandola di crimini contro l’umanità, l’Europa che mette i bollo su i prodotti che escono dalla Cisgiordania, l’Europa delle ONG per i diritti umani, come Amnesty International che accusa Israele di occupare abusivamente territori che le vennero conferiti dal Mandato Britannico per la Palestina, l’Europa che all’ONU vota sempre con i paesi islamici, satrapie, dittature, teocrazie, contro l’unica democrazia Mediorientale, e con l’UNESCO quando sottrae agli ebrei la loro storia millenaria da Gerusalemme e da Hebron, imponendo a luoghi storicamente ebraici, nomi islamici, l’Europa che non rende illegale il movimento antisemita BDS, l’Europa che fa affari con l’Iran e cerca di aggirare le sanzioni americane.
Insieme a loro tutti quegli “intellettuali”, politici, giornalisti, che non hanno fatto e non fanno altro che criminalizzare Israele, mentre al contempo sono teneri con regimi assassini e nemici della libertà, e tra di loro non pochi ebrei con il cervello distrutto dalla metastasi ideologica che gli ha fatto scambiare i terroristi per vittime e chi si difende dalla loro cieca violenza per carnefici.
Questi sono i mandanti. Teniamolo bene a mente.
Niram Ferretti

funerale

Ora un po’ di conti, che non fanno mai male.

DUEMILAQUATTROCENTO EURO AL MESE.

Questo è lo stipendio che Hamas pagherà ad Arafat Aryah, il palestinese che ha sgozzato la ragazza diciannovenne ebrea Ori Ansbacher dopo averla violentata e deturpatone il corpo con dodici coltellate.
Israele farà (forse) saltare in aria la casa del terrorista ma Hamas ne costruirà una nuova e più moderna.
Anche i genitori prenderanno una pensione a vita.
Uccidere gli ebrei conviene tutto sommato.
Nelle carceri Israeliane molti palestinesi si sono laureati studiando nelle università israeliane.
Una volta scontata la pena usciranno con tanti soldi in tasca, una casa nuova ed una bella laurea.
Si uccidere ebrei conviene.
Da dove vengono tutti questi soldi?
Dalle vostre buste paga.
La Guerra Santa costa.
L’Italia e la UE mandano e hanno mandato miliardi di euro alla Palestina.
Miliardi con i quali non è stata mai costruita una strada, una scuola, una fabbrica o un ospedale.
Miliardi usati per costruire migliaia di tunnel in cemento per invadere Israele.
Miliardi usati per armare terroristi e per pagare loro una pensione d’oro.
Si, la Guerra Santa costa.
Costa tanto.
12.000 shekels è la pensione minima per un terrorista palestinese; pari a circa 2.400 euro.
Se considerate che in Palestina un buon stipendio è 300 euro…..
Si, decisamente si.
È stato un ottimo affare uccidere la obiettrice di coscienza e volontaria del servizio civile Ori Ansbacher. 19 anni.
Riposi in pace.
Noi non riusciamo a trovar pace oggi.
Buona giornata Italia da un paese in lutto. (qui)

LA BELVA DELLO ZOO DI GERUSALEMME

Il corpo nudo, spezzato, dell’israeliana Ori Ansbacher lo hanno ritrovato vicino allo zoo di Gerusalemme. Già arrestato l’animale scappato dal parco e che l’ha uccisa, un palestinese di Hebron.
Se l’Onu, pronto a scomodarsi per difendere il burqa in quanto rientra fra i “diritti delle donne”, non condanna entro le prossime ore questo delitto che non ha nome, da quanto è indicibile, suggerisco di andare a prendere un paio di funzionari di alto grado delle Nazioni Unite e metterci loro dentro allo zoo. Scommetto che neanche i lama si degnerebbero di sputargli in faccia.
Giulio Meotti

La belva.

Ho guardato e riguardato il volto del terrorista palestinese che ha violentato e ucciso Ori Ansbacher, questo sorriso inerte, inebetito. E non ho visto niente. Poi mi sono ricordato quanto aveva raccontato Francesco De Rosa, il comandante dell’Achille Lauro che nel 1985 fu dirottata da un commando di terroristi palestinesi. Di Abu Abbas e dei suoi uomini, che gettarono in mare un passeggero ebreo in carrozzella, Leon Klinghoffer, De Rosa ricordava il sorriso. “Un sorriso maligno, che mi ha accompagnato sempre”. Eccolo qui.
Giulio Meotti
Arafat Irfaiya
Ma anche Cesare Battisti. O Angelo Izzo.

Sicuramente molti di voi avranno visto qualche immagine di funerali palestinesi, in cui i dolenti si divertono a sparacchiare in giro, così, tanto per gradire. I funerali israeliani, in mezzo al dolore più atroce per il crimine più efferato, si svolgono così.

E infine un pensiero riconoscente all’eroe che ha permesso la cattura dell’assassino. Grazie Rambo!
Rambo
barbara

ERRATA CORRIGE: il nome “Rambo” che avevo trovato in un articolo era evidentemente un attributo, non il suo vero nome, che è in realtà Zili.

BARUCH MIZRACHI

(Giusto per restare in tema di guerra)

Baruch-Mizrachi
Perché i giornali hanno altro da fare, le televisioni hanno altro da fare, le radio hanno altro da fare, e quindi non restiamo che noi blogger a ricordare queste perpetue stragi di innocenti. Stavolta è toccato a Baruch Mizrachi, poliziotto israeliano. Non era in servizio però, in quel momento: era in auto con la famiglia,
Baruch's family
per andare a trascorrere la Pasqua con dei parenti, quindi non è stato ucciso in quanto poliziotto, bensì in quanto israeliano. Anche qui, tuttavia, occorre fare una distinzione: non sono tutti gli israeliani ad essere bersaglio del terrorismo assassino, ma solo quelli ebrei; quindi Baruch Mizrachi è stato assassinato perché ebreo. Come i sei milioni della Shoah, come le centinaia di migliaia, nel corso dei secoli, dei pogrom e delle espulsioni e dei roghi dell’Inquisizione, né più né meno.
Era alla guida dell’auto quando ha visto il suo assassino. Ha fatto in tempo a gridare “C’è un terrorista che spara”, poi è stato immediatamente colpito a morte. La moglie, benché anche lei ferita, è riuscita ad afferrare il volante per mantenere il controllo dell’auto, e a spostargli il piede dall’acceleratore, fermandosi poi solo quando è stata certa di essere sufficientemente lontana. Quando sono arrivati i soccorsi, ha chiesto che portassero fuori per primi i bambini, uno dei quali ferito, in modo che non si accorgessero che anche lei era ferita (qui).
Mizrachi-Funeral-1
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Mizrachi-Funeral-5
È per questo, che le forze del male non prevarranno mai su Israele: perché la Terra d’Israele, Eretz Israel, lo stato d’Israele, Medinat Israel, è abitato dal popolo d’Israele, Am Israel: gente che recupera un’auto fuori controllo, porta in salvo i bambini, e si preoccupa anche di non farli spaventare troppo.
AM ISRAEL CHAI

barbara

NON SOLO IN ITALIA

Abbiamo degli idioti che ridono alle cerimonie funebri o commemorative di stato.

Oca giuliva
Catherine, Duchess of Cambridge, smiles from a balcony, accompanied by Sophie, Countess of Wessex, as they watch a wreath laying ceremony at the Cenotaph on Whitehall on Nov. 10 in London. People across the U.K. gathered to pay tribute to service personnel who have died in the two World Wars and subsequent conflicts as part of the annual Remembrance Sunday ceremonies.

 

barbara

ANCORA UN PENSIERINO – L’ULTIMO – SUL TERRORISTA DEFUNTO

Funerali

Non tutti, si sa, vivono bene la vecchiaia. Chi, in particolare, ha avuto una giovinezza intensa e avventurosa, non si rassegna a passare le giornate ai giardinetti o a portare a spasso il cane, e si ostina a rivivere l’eroico passato, rendendosi, talvolta, un po’ tedioso e ripetitivo agli occhi di familiari e conoscenti (“mamma, ma il nonno quella storia me l’ha già raccontata tante volte, forse si è un po’ rimbambito?” “ma che dici tesoro, ti vuole tanto bene…”). Sono riflessioni che mi sono venute alla mente nel leggere la malinconica cronaca dei funerali del brigatista Prospero Gallinari, con la pittoresca partecipazione di alcuni suoi anziani compagni d’armi, ritratti tutti insieme, nonostante gli acciacchi dell’età, a cantare l’Internazionale col pugno chiuso. Qualcuno ha pensato di poggiare sul feretro un qualche simbolo del glorioso passato. Si è cercata, così, qualche pistola o qualche mitra, ma non se ne trovavano più. L’idea di un’arma giocattolo è stata scartata come poco dignitosa. Uno ha portato una bandiera con la stella a cinque punte, ma si è obiettato che appariva troppo commovente, a molti spuntavano le lacrime. Finché si è trovata, in un cassetto, una vecchia bandiera palestinese, un po’ lacera, e questo ha messo tutti d’accordo, cosicché il carceriere di Aldo Moro ha compiuto l’ultimo viaggio avvolto dai colori della Palestina. Poveri brigatisti. Dati i problemi dell’età, da molti anni non leggono più i giornali. Ai loro tempi, la bandiera palestinese era simbolo di fiero antagonismo, di lotta al sistema, e chi la sventolava incuteva terrore ai nemici borghesi. Nessuno ha spiegato loro che, in questi anni, quella bandiera è diventata una sorta di amuleto portafortuna, gioiosamente esibita a destra, al centro e a sinistra, da chierichetti e finanzieri, suore e boy-scout, maestre d’asilo e brigadieri. È stato l’esecutivo del compassato Senatore Monti, dalla linea non esattamente brigatista, a votare a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina da parte delle Nazioni Unite. Poveri brigatisti. Un tempo facevano tremare, riempivano i telegiornali, provavano l’ebbrezza di sparare alla schiena a poliziotti e magistrati. E sono finiti compagni di lotta del governo dei Professori e dei banchieri.
Francesco Lucrezi, storico

Che Francesco Lucrezi è un grande, ho già avuto modo di dirlo e di dimostrarlo. Ma questa non è una buona ragione per rinunciare al piacere di assaporare la sua raffinatissima prosa e la sua geniale ironia.

barbara

QUALCHE RIFLESSIONE SU TERRORISMO, COMUNISMO, ANTISEMITISMO E AFFINI

Nel mio solito andare a vedere le notizie sui giornali on-line sono incappato in diversi filmati-reportage dei funerali dell’ex brigatista rosso Prospero Gallinari. A parte il triste squallore (il ritrovarsi dei suoi ex compagni di lotta accanto al feretro mi ha ricordato la cena degli “alunni del T. Tasso anno 1963”, cui, improvvidamente e in preda a demenza senile, ho partecipato, forse vittima del voler rivivere vecchi tempi andati), mi ha colpito che sulla bara vi fosse, oltre ai garofani rossi, la bandiera palestinese e, ancora una volta mi è venuta da pormi la solita domanda: “per quale motivo la sinistra, senza alcuna remora e perplessità, sposa la “causa palestinese”?
Messa da parte la questione se le BR fossero di sinistra e se non si siano mai poste la domanda sulla a-storicità delle loro azioni “rivoluzionarie” e se non facevano in verità il gioco del capitalismo che affermavano di voler abbattere (anche allora non escludevo l’ipotesi che fossero pilotate, in modo più o meno inconsapevole, dalla destra internazionale, visto che Moro, a parte il suo ibridismo, dava fastidio a molti per il supposto compromesso storico, ho cercato di vederne gli ipotetici motivi.
Il primo antisemitismo di sinistra potrebbe essere individuato negli illuministi del 700 che, vedendo nell’ebraismo l’origine delle religioni oscurantiste (in primis il Cristianesimo), in linea con i dettami della rivoluzione francese, invitavano gli ebrei a rinunciare alla loro identità, annullarsi ed assimilarsi totalmente.
In seguito Marx, ebreo convertito al protestantesimo, nonostante le analisi storiche corrette, non si chiese come mai tra gli ebrei fosse diffusa la pratica del prestito del denaro e li accusò di perseguire i fini del capitalismo, riscuotendo consensi tra le avanguardie rivoluzionarie. Che tra i regnanti della Grande Russia e dell’impero austroungarico fossero diffusi sentimenti antiebraici non c’è da stupirsi, tra gli ebrei lì dispersi era molto diffuso il Frankismo, una ideologia misticheggiante avente una forte connotazione anarcoide, e da qui il confluire di molti di essi nelle file dei movimenti rivoluzionari e per non rinunciare alla propria identità diedero corpo ad una propria organizzazione: il Bund. Iniziano a quel punto i primi problemi antiebraici in seno alla sinistra. Lenin sarà un grande oppositore del Bund (lo accusava di spaccare l’unità del proletariato e di essere anti-internazionalista) e, in seguito, Trotsky, ebreo non praticante, con la sua teoria della rivoluzione permanente, caratterizzata da legami che risentono della Kabbalà frankista – sabbatiana, sarà visto da Komintern come un pericoloso nemico da eliminare-mettere a tacere.
Il Bolscevismo ottiene il potere e i partiti Comunisti europei si identificano con la rivoluzione sovietica e i suoi dettami.  Sale al potere Stalin che, avendo studiato in gioventù in seminario, è impregnato della cultura antiebraica tipica del clero russo il quale, in linea con l’antisemitismo cristiano delle origini, non ha mai mosso un dito in opposizione ai pogrom e spesso, anzi, in difesa del potere costituito ha chiamato il popolo a raccolta accanto a sé agitando la bandiera dell’ebreo affamatore ed origine di tutti mali.
Quando nel 48′ si prospetta l’idea di ri-creare lo stato di Israele, laico con un substrato socialisteggiante che, in alcune sue strutture, ricalca la formula organizzativa dei Kolcotz sovietici (non stiamo a sottilizzare su cosa veramente erano e come furono istituiti), Stalin, ipotizzando la possibilità di crearsi un alleato da opporre all’espansionismo britannico nel Nord Africa e di esercitare un controllo sul Canale di Suez, ne appoggia fermamente la nascita, ma quando Nasser cerca di creare la RAU il Partito Comunista dell’Unione Sovietica muta politica, visto che essere alleati di una coalizione di più stati arabi è più vantaggioso che appoggiare uno stato piccolo, povero e, per di più, senza petrolio. Il suo fine è solo di allargare la zona di influenza del Patto di Varsavia.  È a questo punto che dall’URSS, “faro” del comunismo internazionale (si fa per dire) si propagano le fole di Israele focolaio del capitalismo e del popolo palestinese defraudato.
In questo contesto quello che non viene mai preso in considerazione dai sinistresi è che alla base di tutte le “rivendicazioni palestinesi”, a parte le bugie di partenza, vi sia unicamente l’Islam con il sogno di istituire ovunque la sharia e di rifondare il Califfato, quindi un ideologia strettamente nazional-religiosa, per di più oscurantista, e non sociale.

Prima notazione a margine
Alla sinistra, dopo la Shoa, andava bene l’ebreo perseguitato da difendere e compiangere nelle sue sofferenze. Tutto è cambiato da quando ha osato difendersi (1967) e, da allora, identificato come il male supremo.

Seconda notazione a margine
Il fenomeno degli “odiatori di sé”, contrabbandato sotto la forma di una (prezzolata) obiettività e correttezza ideologica, non è nuovo e, spesso, nasconde logiche opportunistiche in difesa del proprio orticello e privilegi (essere ben accetto da chi detiene il potere e riscuotere applausi). Il primo caso? Paolo di Tarso.

lor

Questa riflessione è stata scritta a caldo, subito dopo la morte di Gallinari e la visione dei filmati del funerale. Poiché lo trovo interessante, con l’autorizzazione dell’autore lo propongo anche ai miei lettori.

barbara

LA RIFFA

Per la gioia dei miei lettori, ecco un nuovo racconto di quel geniaccio di Mario Pacifici.

Chiuso in un grumo di inconsapevole sofferenza, David osservava la bara che scendeva nel sepolcro, con la fredda indifferenza di un estraneo. Sebbene a tratti fosse scosso da un lieve tremore, continuava a ripetersi che non c’era nulla che lo legasse a quell’uomo, se non il fatto di essere suo figlio.
A pochi passi da lui, sua madre piangeva dietro gli occhiali scuri. David non se ne capacitava. Suo padre le aveva reso la vita impossibile! L’aveva umiliata con i suoi tradimenti e annichilita con i suoi inganni eppure tutto questo non aveva scalfito quella sua irritante devozione.
Sua madre piangeva e lui ne provava rabbia. Rabbia per lei, per le sue lacrime, per quel suo modo ottuso di perdonare ogni ingiuria, ogni oltraggio, ogni affronto.
E quanti ne aveva dovuti subire!
David la ricordava con gli occhi gonfi di lacrime ogni volta che lui spariva di casa, per correre dietro all’ennesimo capriccio.
Tuo padre è fatto così ripeteva lei, in quei momenti. E a dispetto delle lacrime rimaneva in attesa dell’immancabile ritorno, pronta a concedere l’immancabile perdono.
Sei un adorabile cialtrone, gli diceva allora lei, ostentando una collera che, già mitigata dal sollievo, era preludio ad una plenaria assoluzione. E lui annuiva, giurando convinto che non sarebbe accaduto mai più, che mai più si sarebbe allontanato da lei.
Eppure, suo padre era davvero tanto cialtrone quanto adorabile.
Con lui, la casa traboccava di allegria. Aveva un gesto, una carezza, un’attenzione per ognuno. Mai che dimenticasse una ricorrenza o un compleanno. E i suoi regali poi… Tanto sontuosi, da lasciarsi dietro buffi che sua madre, passata la festa, doveva affannarsi a sistemare.
Con il denaro lui aveva un rapporto di sconsiderata indifferenza. Non se ne curava, ma era un maestro nel dissiparlo. E per di più, amava il gioco. Sui tavoli verdi di mezza Europa aveva bruciato intere fortune fino a quando sua madre non gli aveva sottratto, per una volta con testarda determinazione, il controllo degli ultimi quattro pezzetti del patrimonio rimasti liberi da ipoteche.
Il rabbino lo scosse dai suoi pensieri,  gli lacerò la camicia e lo aiutò a recitare il Kaddish. E mentre le labbra sillabavano quelle formule aramaiche, tanto familiari quanto incomprensibili, lui continuava a ripetersi che bene avrebbe fatto a rimanersene a casa, marcando col frastuono di una assenza, l’incolmabile distanza che lo separava da quel padre sciagurato.
Ma questa era solo una puerile elucubrazione. Lui non era tipo da colpi di testa. Lui era solo un  piccolo, ordinato e metodico commercialista. Un tipo noioso, pensò con accorata malinconia, al cui funerale avrebbero partecipato quattro gatti, non la folla strabocchevole che si assiepava ora intorno al sepolcro.
Quella folla, pensò, era per suo padre una sorta di postumo trionfo. Erano tutti lì per lui, accorsi come per un evento mondano, convinti che senza quell’impareggiabile protagonista il loro mondo non sarebbe più stato lo stesso.
In quella folla, pensava David, c’era l’anima stessa di suo padre. In essa si specchiava quel suo fascino suadente che gli apriva ogni porta e gli conquistava la simpatia, l’amicizia, l’amore di ognuno.
Era un dono quello, ma un dono da cui lui stesso era stato soggiogato. Quell’essere amato e benvoluto infatti, piuttosto che una gratificazione era diventato, col tempo, un imperativo categorico. Viveva per quell’adorazione e ogni incontro, ogni rapporto, ogni relazione finivano per diventare una schermaglia, volta a conquistare l’ambita devozione perfino di gente che non avrebbe mai più rivisto.
Era una droga, un delirio, un trionfo dell’effimero di cui però chi interloquiva con lui non coglieva il senso. Quell’artificio del comportamento, quel misterioso equilibrio fra seduzione e frustrazione sparivano infatti dietro l’amabilità dei modi, dietro l’arguzia del conversare, dietro la folgorante genialità delle battute. Di lui emergeva solo l’irresistibile charme, mentre rimaneva celata la fragilità che lo costringeva a piacere per sentirsi vivo.
Solo David lo vedeva per quello che era e coglieva in lui quella paranoia esistenziale che lo induceva a recitare, sul palcoscenico della vita, la parte dell’uomo baciato dalla sorte. E come un mattatore che cerca nell’ultimo applauso la conferma di un talento, suo padre cercava nell’ultima fiamma le rassicurazioni di cui non aveva mai abbastanza.
Era così che si era trascinato negli anni da una relazione all’altra, con donne di ogni risma, lasciandosi alle spalle le macerie di un matrimonio in frantumi e di una famiglia in dissesto.
David questo non glielo aveva mai perdonato.
Aveva smesso di incontrarlo e per quanto possibile lo aveva cancellato dalla sua vita.
Ma questo, si sa, non è mai facile con un genitore.
A volte gli incontri erano stati inevitabili e David ne era uscito sempre con un intollerabile senso di frustrazione.
“Sempre a studiare!” lo rimbrottava suo padre con quei suoi modi ilari che avrebbero dovuto compiacerlo. “Goditi la vita piuttosto! All’età tua è sulle donne che ti devi consumare, non sui libri. E poi con loro non fare il tirchio. Devi essere splendido, che i soldi servono a quello: a comprarti le gioie della vita!”
“Ma quali soldi!?” avrebbe voluto gridargli David. “Quali soldi, se ci hai lasciati sul lastrico, bruciando il mio futuro sui letti delle tue puttane?”
Avrebbe voluto, ma non ne era mai stato capace e oggi se ne rammaricava.
“Non potrò farlo mai più” pensò con amarezza “e continuerò a sentirmi nelle orecchie i suoi insulsi inviti a una vita lasciva. Ma io non sono fatto della sua pasta. Non mi giocherò la vita, come ha fatto lui, correndo dietro a quattro sgualdrine.”
Dopo la cerimonia, David si allontanò da solo. Ne aveva abbastanza degli abbracci consolatori di quella gente e il solo pensiero dei sette dì in casa di sua madre lo atterriva. Che consolassero lei, se ne aveva bisogno. Lui voleva solo voltar pagina.
Si fermò al primo distributore fuori del cimitero e scese dall’auto per un caffè.
“Pago il pieno” disse alla cassiera, porgendo la carta di credito. “E poi un espresso, il Messaggero e un pacchetto di Winston Blu.”
Lei gli sorrise ed inserì la carta.
“Vuoi anche il biglietto della riffa?” chiese. “E’ l’ultimo…”
Lui scrollò le spalle.
“Non sono di qui…”
“E cosa importa. Tu lasci il numero e se vinci ti chiamiamo noi.”
Aveva già staccato il tagliando e gli porgeva il terminale del POS per inserire la password
“E’ quello fortunato, l’ho conservato per te” aggiunse ammiccante.
David le sorrise. Era bella, inguainata in una T-shirt aderente, i capelli corti alla Carfagna.
“Allora” disse con inusuale faccia tosta, “se vinco, il premio voglio che sia tu a consegnarmelo.”
“Ci puoi contare” flirtò lei leggera. “Tu pensa a vincerlo, che io te lo consegno.”
Dieci minuti dopo la cosa era dimenticata. Dieci giorni più tardi, però, il telefono squillò mentre lui era con un cliente.
“Hai vinto” disse, senza preamboli, una voce dall’altra parte.
“Sei tu?” chiese lui, in modo un po’ ottuso.
“Certo che sono io. Chi vuoi che sia? Non avrai mica giocato a qualche altra riffa, nel frattempo!”
David rise.
“Sono con un cliente…”
“Lascia che aspetti! E dimmi piuttosto dove vuoi che ti porti il premio.”
La sera alle otto, lei bussò puntuale al suo appartamento.
Indossava un abito nero, corto ed attillato.
“Non ti dovevi disturbare…” mormorò David, tanto per dir qualcosa e celare l’imbarazzo. “Potevo venire io al distributore.”
Lei gli sorrise.
“Ogni promessa è un debito… Ma non mi fai entrare?”
Lui spalancò la porta sul piccolo appartamento. Era un monolocale con una grande finestra affacciata sulle luci di Roma, un arredamento accogliente e tanti libri in giro e sugli scaffali.
“Whaoo!” esclamò lei, posando la borsa. “Che carino qui…”
David annuì, guidandola verso la zona salotto.
“Cosa ti offro…?”
“Quello che prendi tu…” rispose lei, continuando a guardarsi intorno.
Lui tornò dalla cucina con due calici e una bottiglia di prosecco.
“Funziona il compact?” chiese lei, mentre lui armeggiava con il tappo della bottiglia.
Non attese la risposta per mettere su un CD dei Coldplay.
Bevvero lo spumante e chiacchierarono di musica, di cinema, di calcio.
Il tempo passò piacevolmente mentre a piccoli sorsi svuotavano la bottiglia.
“E’ ora che vada” disse lei a un tratto, alzandosi in piedi.
Improvvisamente David si rese conto che non voleva che lei se ne andasse.
“Non vuoi trattenerti per due spaghetti?” chiese.
Lei lo squadrò con un sorriso malizioso.
“Perché? Sai cucinare…?”
Lui allargò le braccia, divertito.
“Veramente no, ma confido in te… In cucina ho pochi ingredienti e molti surgelati.”
Lei si infilò un grembiule e imbastì una cena, mentre lui si occupava del vino e apparecchiava la tavola.
Chiacchierarono ancora, cenando, e il tempo volò via.
“Ora è davvero tardi” disse alla fine lei, dando un’occhiata all’orologio. “Devo andare… Ma tu riuscirai a sparecchiare da solo?”
David scrollò le spalle.
“Farò del mio meglio…”
“Bene… Allora io vado…”
Si alzò. Le girava un po’ la testa e si sentiva euforica.
Improvvisamente si rammentò del premio.
“Non mi hai nemmeno chiesto che cosa hai vinto.”
Lui la fissò con un sorriso un po’ infantile.
“Speravo fossi tu il premio.”
In vita sua, non si era mai sognato di dire qualcosa del genere.
Forse fu il vino oppure l’atmosfera, ma di certo lei non se ne offese.
Lo guardò con tenerezza. Poi gli mise una mano fra i capelli e lo trasse a sé, baciandolo con trasporto.
La mattina dopo quando si svegliò, lei dormiva ancora nel suo letto.
Cercò i calzoni del pigiama e andò a preparare la colazione. Quando tornò con il caffè e i biscotti lei era sotto la doccia.
Appoggiò il vassoio sul letto e fece scorrere la mano sulle lenzuola. Non sapeva nemmeno come si chiamasse e già era pazzo di lei.
Pochi minuti e lei uscì dal bagno, avvolta in un asciugamano.
“Un caffè?” chiese lui.
Lei gli si accoccolò vicino e centellinò il caffè a piccoli sorsi, senza parlare.
“Devo andare” disse a un tratto “o farò tardi al lavoro.”
Gli dette un piccolo bacio sulle labbra e si vestì in fretta sotto il suo sguardo.
David la accompagnò alla porta, con la sensazione che rimanesse qualcosa di importante ancora non detto.
“Io…” provò a dire, ma lei gli stava tendendo una busta.
“Il tuo premio. Trenta biglietti della lotteria di Capodanno.”
David si rigirò la busta fra le mani senza alcun interesse.
“Quando ci rivediamo?” chiese con un sorriso.
Lei era seria. Abbassò gli occhi e scosse la testa.
David si sentì perduto.
“Perché no? Io non voglio perderti!”
Lei sollevo lo sguardo e lo baciò sulle labbra, facendo scorrere la mano sulla sua pelle nuda.
“Perché questa è una barriera…” disse infine, battendo un dito sul suo maghen David.
Ma che dici…? Non esistono barriere! Non per me almeno…”
“So come vanno le cose. Ci sono già passata. I ragazzi ebrei, quando si vogliono sposare, si cercano una brava ragazza ebrea. Io non ho l’età per imbarcarmi in una relazione senza prospettive. E non voglio soffrire ancora. Potrei star bene con te ma credimi, ci faremmo del male l’un l’altro.”
“Non voglio perderti” ripeté lui. “Ne parleremo ancora… Io non sono come tutti gli altri…”
“No!” rispose lei con dolcezza. “Fermiamoci qua. E’ stato bello, ma non funzionerebbe. Lo sappiamo entrambi.”
David scosse il capo.
“Non è così. Dammi il tuo numero di telefono. Sono certo che fra qualche giorno vedrai le cose in modo diverso.”
“No!” ripeté lei con fermezza.
“E allora prendi il mio.”
Afferrò una penna e si guardò intorno alla ricerca di un pezzo di carta.
“Scrivilo qui” disse lei, porgendogli il braccio.
Lui scosse il capo. Non voleva che il numero scivolasse via alla prima doccia. E poi un numero sul braccio gli faceva orrore.
Afferrò la busta, ne tirò fuori un biglietto e vi scrisse sopra il numero del cellulare.
“Chiamami!” disse, infilandolo nella sua borsetta.
Lei lo baciò sulle labbra, gli sorrise e andò via senza aggiungere altro.
Per molti giorni David attese che lei lo chiamasse ma alla fine si convinse che non sarebbe successo. A volte provava l’impulso di recarsi al distributore ma sapeva che sarebbe stato del tutto inutile. E poi, sebbene gli facesse male doverlo ammettere, si andava convincendo che lei non aveva tutti i torti. Il problema delle tradizioni, l’educazione dei figli, l’atteggiamento delle reciproche famiglie… In vista di un matrimonio quelli sarebbero stati tutti macigni difficili da rimuovere e perfino da aggirare. 
A poco a poco quella serata magica divenne per lui un ricordo malinconico e nostalgico, cui riandare di tanto in tanto col pensiero. Qualcosa di bello ma definitivamente concluso.
Proprio però mentre raggiungeva questa pacata rassegnazione, un altro pensiero gli si faceva strada nella mente. Un pensiero tanto ridicolo quanto persistente. Lui si considerava una persona pragmatica e razionale, per nulla incline alle credulità superstiziose, eppure quel pensiero gli lavorava dentro come un tarlo. La più irripetibile delle avventure, continuava a pensare, gli era capitata pochi minuti dopo il funerale di suo padre. Come non vedere in questo una stupefacente connessione? Quella fulminea, esaltante e amara relazione prese così, poco a poco, a configurarsi nella sua immaginazione, contro ogni logica ed ogni razionale convincimento, come un ultimo dono di suo padre. Un  dono avvelenato, però. Un ultimo sberleffo. Tu non sei fatto della mia pasta…? Beh, eccoti servito! Ora lo sai cosa può darti una donna! Ora lo sai cos’è una passione! E’ facile fare il saccente, parlando dei sentimenti e delle pulsioni altrui. Ma tu non sei diverso da me. Sotto quella maschera di noioso perbenismo, brucia lo stesso fuoco che ardeva nelle mie vene. Tu sei come me e se ne avrai l’occasione farai le stesse scelte per le quali mi condannavi.
David era spaventato da quella deriva dei suoi stessi pensieri ma per quanto cercasse di arginarla, soffocandola sotto una montagna di razionali intendimenti, essa tornava a tormentarlo con una insistenza morbosa.
Giorno dopo giorno tuttavia, quell’incontro fortuito e devastante si faceva nella sua mente più lontano e sfumato, tanto che David riuscì alla fine a relegare gli inquietanti pensieri da cui era stato turbato in uno di quei cassetti della memoria con su scritto questioni inesplicabili.
Un paio di mesi dopo, entrando una mattina nel bar sotto casa, trovò la cassiera intenta a controllare sul giornale il suo biglietto della lotteria.
“Anche per questa volta non sono diventata milionaria!” sbuffò, strappando il tagliando. “E pensare che il primo premio è stato vinto a Roma. Magari l’ha vinto lei, dottore… Ha controllato?”
“No, io no! Non ho neppure il biglietto!”
Nel dirlo si ricordò del premio della riffa e subito quei pensieri irrazionali, di cui credeva di essersi liberato, tornarono ad emergere sornioni.
Non può essere, si disse con forza. Era perfino indispettito di poterlo pensare. Eppure, di andare in ufficio senza prima controllare non se ne parlava nemmeno. Mio padre sarebbe capace di tutto pensò, dandosi beninteso dell’idiota per averlo solo pensato.
A casa cercò la busta in fondo a un cassetto ed accese il computer per connettersi con il sito della lotteria.
Prese i biglietti e se li fece scorrere sotto i polpastrelli. Erano in sequenza. Bastava controllarne uno per controllarli tutti.
Clikò sulla pagina delle estrazioni e partì dal primo estratto. Codice alfabetico MS AJ. Corrisponde! Poi 615. Esatto! Il cuore gli batteva furiosamente, le mani gli tremavano. 718. Oh santo Dio! 946.
Il biglietto gli cadde dalle mani.
“Ho vinto” mormorò sottovoce, quasi per convincersi di essere sveglio.
Spazzò via il biglietto che aveva controllato e che finiva con 941. Quello vincente era nel mazzo degli altri, dal momento che erano tutti in sequenza.
Nell’attimo stesso in cui ne prendeva coscienza, una terribile premonizione gli tolse il fiato.
Oh no! Lui sarebbe capace di tutto, pensò con assoluta convinzione.
Fece scorrere febbrilmente i biglietti. 943, 944, 945, 947.
Ricontrollò tre volte ma non c’era verso. Il 946 mancava. Ci aveva scritto sopra il numero di telefono per quella sgualdrina senza nome! Aveva dato via per niente una fortuna!
Si accasciò sul divano in preda ad un tremito isterico, mentre una voce gli rimbombava nella testa.
E allora, sei fatto davvero di una pasta diversa?

(e presto, una sorpresa…)

barbara

E SE I MARTIRI SCARSEGGIANO

Niente paura: ci si ammazza in casa una bambina di due anni con uno di quei razzetti artigianali (oltre 130 in tre giorni: immaginate voi con quali immani sacrifici, poveri cari, con tutta la miseria che hanno in casa che sono tutti lì che muoiono di fame) che non fanno male a nessuno, come leggiamo su tutti i giornali un giorno sì e l’altro pure, si tenta di far ricadere la colpa su Israele; poi viene inconfutabilmente dimostrato che sono stati loro ma non importa, si seppellisce lo stesso come una martire.


Perché noi eroi di Palestina sull’infanzia – nostra e altrui – ci caghiamo, o yes.
(E le stelle stanno a guardare, o yes)

barbara