Brucia! Fratelli, brucia!
Ah, la nostra povera città – D.o ci protegga – brucia!
Venti malvagi col loro fragore
trascinano, rompono, strappano
le fiamme selvagge diventano ancora più forti,
tutto intorno brucia!
E voi ve ne state a guardare
con le braccia conserte,
e voi ve ne state a guardare –
la nostra città brucia!
Brucia! Fratelli, brucia!
Ah, la nostra povera città – D.o ci protegga – brucia!
Lingue di fuoco lambiscono tutta la città –
e i venti selvaggi infuriano –
la nostra città brucia.
E voi ve ne state a guardare
con le braccia conserte,
e voi ve ne state a guardare –
la nostra città brucia!
Brucia, fratelli, Brucia!
Forse verrà il momento
in cui la nostra città con noi insieme
dal fuoco saremo trasformati in cenere,
resteranno – come dopo un macello
solo i muri nudi e neri.
E voi ve ne state a guardare
con le braccia conserte,
e voi ve ne state a guardare –
la nostra città brucia!
Brucia! Fratelli, brucia!
La salvezza è solo in voi stessi;
se questa città vi è cara,
prendete i secchi, spegnete il fuoco,
spegnetelo con il vostro stesso sangue,
dimostrate che ne siete capaci
Non restate, fratelli, a guardare
con le braccia conserte;
non restatevene così, fratelli, spegnete il fuoco
la nostra città brucia. (traduzione mia)
Oggi
(cliccare sull’immagine per ingrandire) Quelle sanguinolente ve le ho risparmiate, ma se avete stomaco, potete trovarne quante volete.
E nelle manifestazioni di gioia
con l’aggiunta delle esternazioni scritte
(qui il catalogo completo) e gli immancabili utili idioti
Nonostante gli inquietanti precedenti
Oggi (settimana santa!) come l’11 settembre, è stato colpito al cuore un importantissimo simbolo della nostra civiltà, della nostra cultura, del nostro stile di vita. Oggi anche se l’attacco non ha provocato la carneficina di 18 anni fa, si è però simbolicamente alzato ulteriormente il tiro: sono state colpite le nostre radici, la nostra spiritualità, la nostra arte, la nostra storia. Siamo, in entrambi i casi, stati colpiti al cuore noi.
Cinquant’anni fa.
Già ricordato qui e qui. Come ho già scritto altrove e come, credo, continuerò a dire fino al mio ultimo giorno: una ferita che non si rimargina.
Succede dunque che venerdì sera 11 maggio, i gazassassini incendiano il nastro trasportatore Agriagat sul lato di Gaza di Kerem Shalom, l’unico valico attraverso il quale passano merci e attrezzature (cibo, medicinali e ogni genere di beni) ogni giorno dell’anno.
Il costo del nastro trasportatore è di 23 milioni di Shekel (pari a oltre 5 milioni di €). Oltre a disperdere le merci, hanno anche bruciato il complesso per carburante da 8 milioni di €, attraverso il quale viene trasferito a Gaza carburante per far operare, tra l’altro, gli ospedali. E che cosa denunciano le anime belle? La “rappresaglia” di Israele che per punirli gli ha chiuso, poverinipoverini, l’unico valico di passaggio delle merci [l’unico? E l’Egitto? E, a parte questo, perché non si procurano le merci lavorando, come fanno tutti gli altri sette miliardi e mezzo di abitanti della Terra?]con la scusa dei danni provocati dagli incendi («è stata decisa ufficialmente a seguito dei “danni e degli incendi provocati dalla parte palestinese del valico da decine di manifestanti incitati da Hamas”, ha dichiarato l’esercito israeliano nella Striscia di Gaza». [Ehm… decine? E lo ha detto proprio “l’esercito israeliano”? – Carino poi questo esercito che dichiara come un sol uomo – Sicuri sicuri che abbia detto proprio così? Perché qui dice che erano 15.000 – QUINDICIMILA -: vogliamo trovarci almeno a metà strada?])
Vabbè, poi va in onda l’Eurofestival, e guardate un po’ quali direttive vengono impartite:
Come ci informa Il Borghesino, “Amichai Stein, il corrispondente israeliano da Lisbona, ha inoltrato via Twitter un documento, che rivela come gli organizzatori abbiano imposto ai giornalisti dello stato ebraico di non pronunciare il nome della loro capitale durante la votazione. A differenza degli altri delegati, soltanto lo stato avrebbe dovuto essere menzionato; e non anche Gerusalemme”. Niente, non vogliono che Gerusalemme esista – non una Gerusalemme israeliana, per lo meno. Epperò, alla facciaccia loro e delle loro mene dietro le quinte, a Gerusalemme, quella che esiste, quella che è la capitale di Israele da un po’ più di tremila anni, in piena scena davanti alle quinte va in onda questo
e questo
(è incredibile: con la notevole difficoltà che ho, da sempre, a capire l’inglese parlato, quando parla quest’uomo non mi sfugge una sola parola).
E i palestinesi? Marionette obbedienti, attaccano. Un “popolo” fabbricato a tavolino negli anni Sessanta senza mai avere avuto una propria specifica lingua, una propria storia, una propria cultura, una propria tradizione, un proprio stato, decide che lo stato di Israele debba essere il suo stato, e che la capitale di Israele non sia la capitale di Israele bensì la propria, e in nome di questo delirio vanno all’attacco dei confini israeliani (cosa che, in base a ogni norma di diritto internazionale, rappresenta UN ATTO DI GUERRA a tutti gli effetti). Come ai tempi di Arafat, che in occasione degli scontri programmati faceva chiudere le scuole e organizzare autobus perché i bambini potessero andare a fare gli scudi umani davanti ai terroristi armati, sono state chiuse scuole, università, negozi affinché tutti fossero “liberi” di andare a protestare violentemente (pagandoli, a quanto sembra). Israele, come sempre, lancia volantini in arabo: “Non lasciate che Hamas vi usi cinicamente come suoi fantocci. State prendendo parte a scontri violenti che mettono a rischio la vostra vita. Hamas si sta approfittando di voi per nascondere i suoi fallimenti e minaccia il benessere vostro e delle vostre famiglie. L’esercito israeliano è pronto ad affrontare qualsiasi scenario e agirà contro ogni tentativo di danneggiare la barriera di sicurezza o colpire militari o civili israeliani”. Hamas, dal canto suo, invita gli israeliani ad andarsene: “Non rimanete, i palestinesi stanno sciamando senza freni, vi consigliamo di andarvene senza esitazione [come hanno fatto loro nel 1948, seguendo gli appelli dei loro dirigenti arabi? Ma veramente si immaginano che gli israeliani siano coglioni come loro?]. Gli aquiloni sono la punta dell’iceberg, quelli che resteranno sopporteranno tutte le conseguenze. Siete stati avvisati, attraverseremo il confine e raggiungeremo tutte le vostre comunità. Non moriremo da soli”. E invece sì, sono andati a farsi impallinare come tordi e sono proprio morti da soli. E le anime belle? Innanzitutto lamentano che – tenetevi forte, che questa è grandiosa davvero – adesso Gerusalemme è diventata la capitale di Israele. Diventata. Adesso. E trattandosi di un giornalista professionista è impossibile sospettare l’ignoranza, quindi si tratta proprio di tonnellate di malafede. E poi strillano come oche spennate, inorridiscono per la “strage” perpetrata dai perfidi giud israeliani che sparano sulla folla [tipo Bava Beccaris?] e si scandalizzano, inorriditi, che a Gerusalemme si festeggi mentre a Gaza si muore [tipo le SS che finito di infornare ebrei mettevano smoking e papillon e andavano alle feste con caviale e champagne?]. E che vi devo dire ragazzi? Inorridite, e che buon pro vi faccia. E, mi raccomando, evitate accuratamente di trascurare per un momento la propaganda e dare un’occhiata a qualche documento
(Abbatteremo il confine e strapperemo i loro cuori dai loro corpi)
Noi, intanto, ci godiamo la meravigliosa visione di questa targa
barbara
Postati tanti anni fa nell’altro blog, e scritti tanti anni prima ancora; il sottotitolo potrebbe essere “Questa sono io”. Anche il mio interlocutore esiste realmente, e il ritratto che emerge da questi dialoghi è assolutamente fedele.
TERRA
“Chi sei?”
“Io sono la terra. La terra che tu puoi calpestare, e lei non protesterà, ma non la puoi ignorare perché in qualunque momento può spalancarsi e inghiottirti. Sono la terra che nutre le radici e ne fa crescere i frutti di cui tu puoi nutrirti, ma non puoi violarla, o si vendicherà. Sono la terra ricca di tutti i tesori: posso darti oro e argento, ferro e rame, carbone e petrolio, rubini e diamanti, e tu ne potrai prendere quanti ne vorrai, ma bada, dovrai estrarli con molta, molta delicatezza, o tutti i tesori della terra franeranno su di te e ti sommergeranno, e per te non vi sarà scampo. Dal mio corpo scaturiscono i terremoti e nel mio ventre affondano le radici dei vulcani: non scherzare con loro, o avrai a pentirtene. Nel mio centro brucia un fuoco, che si estinguerà solo con me: non lo devi temere, è da lui che provengono la mia forza e la mia vita. Sono la terra grassa e fertile, che nutre l’intera umanità e sopporta la sua ingratitudine. Sono la terra che dà vita alla vita, ma stai attento: se la rifiuterai, lei ti punirà. E tu chi sei?”
“Io sono colui che vive al di sopra della terra, che tenta di volare con le aquile, che non osa sottrarre i tesori per timore che non gli siano destinati. Io sono colui che ammira e non coglie. Io, forse, sono troppo lontano da Adamo e non sono stato tratto dalla terra”
ARIA
“Chi sei?”
“Io sono l’aria. L’aria che ti fu insufflata quando per primo abitasti la terra, e da golem di terra ti trasformò in essere umano. L’aria che nutre i tuoi polmoni e mantiene viva in te la vita. L’aria che accarezza il tuo viso e sfiora il tuo corpo, e scompiglia malandrina i tuoi capelli. L’aria che solleva le gonne alle ragazze, donandoti una fuggitiva visione di fresca pelle. Posso spingere la tua barca e farti arrivare in porto sano e salvo, ma non mi devi sfidare, o affogherai miseramente senza il tempo di dire amen. Porto le nubi e la pioggia a dissetare i campi, ma non mi si deve fare arrabbiare, o scatenerò tempeste e uragani, cicloni e tornado e distruggerò ogni cosa sul mio cammino. Posso far stormire le fronde e scoperchiare le case, far fremere le ali delle farfalle o sradicare alberi secolari, perché il mio umore è bizzarro: bisogna conoscermi bene, e non prendermi alla leggera, se non si vogliono avere guai. Io so far piangere i tuoi occhi, e so asciugare le lacrime sul tuo viso, perché molti e vari sono i miei sentimenti. Potrai nutrirti di me quanto vorrai, perché grande è la mia generosità, potrai chiamarmi se vorrai fare il gioco della camicia, perché grande è la mia allegria, potrai cercarmi ovunque e ovunque mi troverai, perché grande è la mia anima, potrai interrogarmi, e sempre avrai risposta, perché grande è la mia fantasia. Solo una cosa non potrai fare mai: dimenticarmi, perché immediatamente ne morirai. E tu chi sei?”
“No, io, io sono uno che con l’aria non va tanto d’accordo. Anzi, mi sono anche fatto venire l’asma per non rischiare di respirarne troppa”.
ACQUA
“Chi sei?”
“Io sono l’acqua. L’acqua che ha accolto la vita prima che fosse vita e l’ha trasformata in vita. L’acqua che ha cullato il tuo minuscolo corpo e lo ha cresciuto fino a farlo diventare il corpo di un uomo. L’acqua che scorre lenta e piana e ti mormora storie senza fine, ma tu dovrai saperle ascoltare, o ti smarrirai nella foresta della vita. L’acqua che sa accarezzare il tuo corpo, ma non dovrai tentare di afferrarla, perché ti sfuggirà per sempre e non la ritroverai mai più. Io sono l’acqua che ti disseta, ma mi dovrai sorbire nella giusta misura: se ne prenderai troppa ti soffocherai, se troppo poca morirai. Ti posso cullare ma ti posso anche travolgere e spazzare via senza pietà, dipenderà solo da te salvarti e godere della mia frescura o perderti per sempre nelle mie rapide, non dovrai commettere errori o sarai perduto per sempre. Io nutro la terra e la rendo fertile e travolgo e spazzo via i villaggi; io do la vita e tolgo la vita, non a mio capriccio, ma secondo leggi inesorabili. Io sono colei che purifica col solo contatto, ma non mi si deve sporcare, o sporcherò a mia volta. Non mi si deve incatenare, o romperò ogni argine, non mi si deve sfidare, perché sarò sempre io la più forte, non dimenticarlo mai. Io do forza e calore, do energia e produco la luce. Con me si può giocare, ma non si deve sbagliare il momento, e non si deve sbagliare il gioco: il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto. Io creo sublimi visioni e immani devastazioni, perché in me è la forza che tutto crea e tutto distrugge. In me ti puoi muovere, da me puoi lasciarti cullare, ma devi sapermi seguire, o ti sommergerò senza pietà. E tu chi sei?”
“No io, scusami, ma io non vado tanto d’accordo con te, io non amo lasciarmi cullare da te. In effetti mi piaci, mi affascini, ma preferisco non fidarmi troppo, sai, non si sa mai”.
FUOCO
“Chi sei?”
“Io sono il fuoco. Il fuoco che scalda il tuo corpo e scalda la tua anima e lenisce le ferite del tuo corpo e della tua anima. Io sono il cuore del sole e della terra e degli astri tutti. Per secoli e millenni e migliaia di millenni gli uomini hanno tentato di imprigionarmi. Alla fine hanno creduto di esserci riusciti, e per un po’ io glielo lascio credere, ma prima o poi fuggo e mi dirigo dove meno se lo aspettano. Per secoli e millenni e migliaia di millenni hanno tentato di domarmi, e alla fine anche questo hanno creduto di essere riusciti a farlo. E anche questo per un po’ glielo lascio credere, ma prima o poi mi ribello, poiché non sopporto catene. Io tengo lontani da te gli animali pericolosi e i fantasmi che turbano la tua mente. Da me nascono scintille che illuminano i tuoi occhi e il tuo spirito. Io scaldo il tuo sonno nelle gelide notti invernali e accompagno i tuoi sogni. Io rischiaro la tua via affinché tu non ti perda per selve oscure e rendo sacri i giorni di festa. Tale è la mia potenza che i popoli delle foreste mi credono un dio e mi adorano e mi pregano. Gli uomini delle macchine non mi credono un dio, ma hanno bisogno di me quanto quelli che essi chiamano “primitivi”. Io sono ovunque e sono il motore di ogni cosa, senza il mio calore nessuna cosa funzionerebbe sulla terra, e la vita stessa scomparirebbe. Io sono dunque il tuo calore e la tua fonte di vita. Forse potrei dire che io sono la tua vita stessa. E tu chi sei?”
“Ecco io, vedi, io sono un uomo dimezzato. Il mio spirito ti ama e ti cerca e ti desidera, ma il mio corpo ti teme, ha paura di restarne bruciato, e così il mio corpo e il mio spirito sono sempre lontani l’uno dall’altro”.
“Allora lascia che il tuo spirito sia completamente compenetrato da me. Quando ciò sarà avvenuto, il tuo corpo e il tuo spirito si riuniranno”.
“Ma non è facile”.
“No, non lo è. Ma nessuna cosa è facile su questa terra. E se tu vuoi vivere, e non solo sopravvivere, non hai altra scelta”.
“Ma tu sei pericoloso”.
“Sì, lo sono. Ma chi ha paura del pericolo non possiederà la vita”.
che qualcuno evidentemente deve considerare bella, dal momento che, leggo, sei una miss, anche se a me non sembrerebbe mica tanto
(e qualcuno sicuramente dirà che la mia è tutta invidia. Lo dicono sempre, quindi non è il caso di badarci granché), avrei due parole da dirti. Ma prima, nel caso qualcuno dei miei lettori fosse stato distratto, o non avesse la memoria pronta, riporto l’articolo pubblicato dal Corriere della Sera di ieri.
CASERTA – Getta la spugna il legale che nelle ultime settimane ha assistito Rosaria Aprea, la ventenne della provincia di Caserta picchiata dal fidanzato tanto da rimetterci la milza, eppure convinta di volerlo perdonare e tornare con lui. Dopo aver ripetutamente cercato di convincere Rosaria che stava facendo la scelta sbagliata, l’avvocato Carmen Posillipo ha deciso di rinunciare al mandato. Perché il comportamento della Aprea, «collide con la mia etica professionale e con le mie strategie difensive», spiega. E per essere più chiara aggiunge: «Non voglio assistere all’anteprima di un omicidio».
Da quando la ragazza è finita in ospedale dopo essere stata presa a calci dal ventisettenne Antonio Caliendo (ora in carcere con l’accusa di lesioni gravissime e in attesa della decisione del Tribunale del riesame che proprio ieri ha affrontato il caso), l’avvocato Posillipo le è stato accanto come e più di una amica. È andata a trovarla ogni giorno, le ha parlato cercando di calmarla quando Rosaria cominciava ad agitarsi, e anche dopo che lei se n’è uscita con la storia che voleva tornare con Antonio («perché lui mi ama e cambierà sicuramente») ha continuato ad assisterla. E ha dovuto spiegarle molte cose. Per esempio che non bastava che Rosaria ritirasse la denuncia per far scarcerare Antonio, perché il reato era troppo grave e il magistrato decide autonomamente, non si basa sul perdono della vittima. Poi quando la ventenne le ha fatto capire che avrebbe rilasciato volentieri qualche intervista a pagamento in modo da avere i soldi per pagare la cauzione e far uscire il fidanzato, l’avvocato con pazienza le ha spiegato che le cose in Italia funzionano diversamente dai telefilm che Rosaria vede in tv. Ma alla fine, quando ha capito che l’intenzione della ragazza, dimessa ieri dall’ospedale, era di andare a Casal di Principe, dove vivono i familiari di Antonio e dove c’è una casa pronta per lei, il fidanzato e il loro bambino di un anno, l’avvocato Posillipo non se l’è sentita più di continuare. (Fulvio Bufi)
Ecco, quello che voglio dirti, mia cara Rosaria, è che sono immensamente dispiaciuta. Mi dispiace veramente tantissimo che quell’impiastro del tuo fidanzato, dopo anni di allenamento a menarti, sia riuscito solo a spappolarti la milza, col bel risultato di far spendere a noi contribuenti un sacco di soldi per curarti e di condannare quella povera creatura innocente di tuo figlio a continuare a vivere con una criminale che, pur di continuare a farsi sbattere dall’energumeno, non si fa il minimo scrupolo a farlo vivere in un inferno e ad esporlo ad ogni sorta di violenze. Mi auguro con tutto il cuore che la prossima volta – perché NATURALMENTE ci sarà una prossima volta – il suo lavoro sia più accurato.
Poi, visto che ci sono, vorrei dire due parole anche alla madre di Fabiana Luzzi, 15 anni, colpita con venti coltellate e poi bruciata viva dal fidanzato, che ha dichiarato che «anche quel ragazzo è una povera vittima» (capisco che il dolore possa anche far impazzire, ma anche nel dolore dovrebbe esserci un limite all’indecenza), e all’avvocato della “povera vittima”, Giovanni Zagarese che ha provveduto a informare che il ragazzo «è molto provato»: egregi signori, sono alla ricerca di due piccoli razzi, diciamo dieci centimetri di diametro e una trentina di lunghezza. Dotati di una piccola testata nucleare. La vostra fantasia vi aiuterà sicuramente a indovinare dove ve lo dovete infilare.
barbara
In uno shtetl arriva un predicatore, un baldarshon, e tutta la popolazione maschile godeva ad ascoltare le sue dotte prediche, le sue argute osservazioni, le ingegnose divagazioni e i suoi toccanti raffronti.
Andarono dal baldarshon tre donne: la moglie del rabbino, la moglie del dayan e la moglie dello shokhet, e dissero:
“Perché predicate sempre agli uomini, forse che la sapienza è riservata esclusivamente a loro? E se pensate che le donne non siano in grado di ricompensarvi, eccovi in anticipo tre monete da cinquanta copechi.”
Il baldarshon accondiscese a predicare anche alle donne.
Il Sabato dopo pranzo le donne si riunirono in sinagoga nella galleria superiore. Il baldarshon così iniziò la sua predica:
“Vi racconterò una storia. In uno shtetl visse una donna. Visse la sua vita e poi morì. Morì e le fecero il funerale. Il giorno seguente andò dal rabbino lo shames e gli disse che il corpo di quell’ebrea era stato scagliato fuori dalla tomba. Il rabbino cominciò a guardare nei Sacri Testi e trovò che se una donna ebrea durante la cottura del pane avesse trascurato di benedire la pasta e non avesse separato una khala, allora come punizione, dopo la morte la terra non vorrà accoglierla. Cosa fare con la defunta? Il rabbino ordinò che fosse arsa. Organizzarono accanto alla tomba una pira, buttarono il corpo nel fuoco. Ma quello non bruciò.
Il rabbino riprese a sfogliare i Sacri Testi e trovò che quella donna aveva evidentemente infranto la disposizione divina della preghiera sulle candele del Sabato. Nei Testi è scritto che per una donna che infranga questa disposizione non ci sarà fuoco che vorrà accoglierla dopo la morte.
Cosa fare con la defunta? Il rabbino ordinò di gettarla in acqua. Legarono alle braccia e alle gambe quattro grandi pietre e la gettarono nell’acqua. Ma il corpo subito riemerse e un’onda lo gettò sulla riva. Tornò, il rabbino, a consultare i Sacri Testi e disse: ‘Questa donna ha infranto la disposizione divina del bagno rituale obbligatorio, la mikve, e per questo neanche l’acqua la vuole’.”
A quel punto le donne che si erano riunite cominciarono a piangere forte, prorompendo in lamenti. Ma il baldarshon, alzate le braccia al cielo, le rassicurò terminando la sua predica con le seguenti parole:
“Voi tutte, in quanto onorate e devote figlie di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non avete nulla da temere se vi atterrete a tutte le leggi e alle ingiunzioni divine, e in tal caso sappiate che la terra vi inghiottirà, il fuoco vi brucerà e nell’acqua affogherete. Amen!” (da “Racconti di rabbini”)
E dunque vi raccomando, care sorelle: se volete essere sepolte, bruciate, affogate, rispettate le regole! Parola di rabbino.