Perché succede che il venerdì mattina si esce di casa per andare alla stazione, e quasi subito, appena si comincia a scendere dalla collina, si scopre che tutta Torino, ovunque si volga lo sguardo intorno per chilometri, è un unico immenso parco macchine: tutte ferme. Un metro e fermi un minuto, mezzo metro e fermi tre minuti. In un incrocio ci sono due vigili che appaiono completamente nel pallone, disperati, non sanno cosa fare, vanno un po’ avanti e un po’ indietro, un po’ a destra e un po’ a sinistra, si guardano, allargano le braccia e poi ricominciano (si saprà più tardi che sotto una strada a quattro corsie che costeggia il Po era scoppiato un tubo dell’acquedotto, provocando una voragine;

la strada era stata chiusa e tutto il suo traffico dirottato sulle altre strade). Mancano ancora alcuni chilometri per arrivare alla stazione, e il treno parte fra un quarto d’ora. E a questo punto quel pazzo scatenato di Manuel (quello a destra nella foto della conferenza) si lancia in una delle sue migliori interpretazioni, con un paio di manovre da duecento anni di lavori forzati ciascuna, se lo avessero beccato: intuisce che fra qualche secondo dall’altra parte dell’incrocio si aprirà uno spiraglio di qualche millimetro, lo attraversa tutto col rosso a velocità folle, piomba sulle auto che stanno arrivando da destra puntando il muso della macchina (MOLTO grande) su quei due millimetri di spiraglio, gli altri sono costretti a inchiodare per evitare lo schianto e lui ci infila tutta la macchina, guadagnando così almeno una ventina di minuti. Un altro paio di manovre appena un pelo meno folli di questa e a cinque minuti dalla partenza siamo davanti alla stazione, a due minuti dalla partenza sono al binario, a un minuto dalla partenza sono a bordo.
(Oggi invece sette ore al pronto soccorso per via di una gamba che ha cominciato a darmi problemi una decina di giorni fa ed è andata via via peggiorando. Col solito macello per farmi il prelievo di sangue, prima un buco andato a vuoto perché appena ha sentito arrivare l’ago la vena è scappata indietro e non c’è più stato modo di raggiungerla, poi un buco fruttuoso ma dolorosissimo sulla vena grossa del polso perché altre non c’era modo di trovarne. Eccheppalle però)
barbara