DAVVERO INCONSAPEVOLE?

Dobbiamo proprio crederci?

Vincitore del Premio Campiello: quanto sono ancora radicati gli stereotipi antisemiti….

I premi letterari italiani di grande prestigio nazionale sono pochissimi e senza dubbio il Campiello è fra questi: nato sessant’anni fa per volontà degli industriali veneti, attribuito in cornice di gala a Venezia, ha laureato fra molti altri celebri scrittori anche Primo Levi (due volte) e Giorgio Bassani. Quest’anno il riconoscimento è andato a un’opera prima (il che non è frequente) di un ventisettenne, Bernardo Zannoni di Sarzana, intitolata in maniera piuttosto enigmatica I miei stupidi intenti.
Si tratta di una specie di fiaba ambientata in un mondo animale fin troppo umano, un po’ alla maniera di Disney: le tane di volpi, cinghiali, faine hanno camere, tavoli, finestre; gli animali parlano, perfino alcuni di loro leggono e scrivono, hanno sentimenti di odio e di amore, nostalgie, sogni, rivelazioni mistiche. Una scrittura molto scorrevole e precisa rende plausibili queste strane circostanze, senza farci cadere nella fantasy. Il protagonista è una faina, un maschio che si chiama Archy, il quale si azzoppa cadendo da un albero, non serve più per cacciare e allora viene venduto a una vecchia volpe, che di professione fa l’usuraia e  all’inizio lo maltratta molto ma poi lo educa nell’arte della lettura, gli insegna una sua bizzarra religione e gli muore fra le braccia. C’è un grande amore, ci sono lotte selvagge, c’è la composizione di un libro, la fame, il sangue, la famiglia. Alla fine Archy morirà ucciso da un suo stesso figlio abbandonato, ma in qualche modo contento per quel che ha imparato della vita.
Insomma uno strano romanzo di formazione, in cui i buoni sentimenti si mescolano a uno sguardo abbastanza lucido sulla durezza della natura. Senza dubbio un lavoro che si può leggere facilmente e che ha una sua originalità nella mescolanza di cultura umana e mondo animale.
Tutto bene, dunque? Purtroppo no, ci sono alcuni dettagli che stonano terribilmente. La volpe usuraia si chiama Salomon, il libro che essa legge è una Bibbia probabilmente ebraica, dato che si citano solo brani della Torà. In questo libro la volpe crede e lo studia continuamente, tanto da citare storie come la punizione dell’uomo che raccoglieva legna di sabato, o le dieci piaghe d’Egitto, o il fatto che “Dio ha quasi fatto uccidere Isacco da Abramo”. Fra l’altro la volpe dice di aver intrapreso la professione di strozzino “poco dopo aver scoperto Dio, grazie ai suoi insegnamenti”. Si cita anche il popolo ebraico, in maniera piuttosto ambigua: “Gli ebrei erano il suo popolo e li faceva combattere con altri che non lo conoscevano o lo ripudiavano”.
Insomma, questa volpe che fa l’usuraio e si chiama Salomon e ha un grande cane feroce che a sua volta si chiama Gioele, appare molto vicina all’immagine che degli ebrei hanno gli antisemiti. I miei stupidi intenti è un romanzo antisemita? Il caso è stato sollevato da Elisabetta Fiorito su Shalom , il magazine della Comunità ebraica di Roma. L’autore intervistato dal Giornale ha negato: “Sono profondamente colpito che la rivista Shalom abbia intuito riferimenti antisemiti nel mio romanzo. Davvero, mi addolora. Ho sempre provato fascino per l’ebraismo, per le sue storie dense di significati, i nomi più belli che esistano a questo mondo. Certo, nel libro ci sono riferimenti a loro, non ne ho potuto fare a meno, nemmeno ho voluto. […] Se qualcuno si è sentito offeso non era mia intenzione e mi dispiace molto”.
Si tratta però di una smentita che non cambia nulla, o forse peggiora il problema. Possiamo certamente credere che Zannoni non si senta antisemita e non voglia esserlo. Resta il fatto però che ha condito il suo romanzo con una dose di pregiudizi e di stereotipi che sono oggettivamente antisemiti: c’è un usuraio di nome Salomon, che magari ha qualche saggezza e bizzarria, ma non esita a fa ammazzare al suo Gioele chi non paga i suoi interessi da strozzo, c’è un’ispirazione assai violenta che gli viene dalla Torà e non, poniamo dai Veda o dal Corano, c’è un Dio presentato come violento e vendicativo: molto di quello che per secoli è stato descritto come la follia e il carattere criminale degli ebrei.
Che Zannoni non se ne sia reso conto e che nessuno dei giurati del Campiello abbia sollevato la questione, mostra quanto questi pregiudizi siano ancora diffusi, ottant’anni dopo la Shoah.
Ugo Volli, qui.

Nessun autore mette a caso i nomi dei propri personaggi: a chi potrebbe venire l’idea si mettere in scena un milanese fiero della propria milanesità da sette generazioni e chiamarlo Gennaro Gargiulo? Così come non sono mai messi a caso certi dettagli: se il mio personaggio è una suora di clausura, tranne il caso che sia una versione aggiornata della monaca di Monza, difficilmente la troveremo intenta alla lettura di Cinquanta sfumature di grigio. È dunque credibile che un Salomon che legge – anzi, studia – la Bibbia e fa l’usuraio sia piovuto nel romanzo per puro caso? È plausibile il suo cadere dal pero noncredevononpensavononvolevo? Davvero non saprei dire se sia peggio il libro o quelle ridicole scuse.
E poi c’è quest’altra.

La “storiella” raccontata da Lorenza Rosso al termine del suo intervento per la giornata europea della cultura ebraica continua a suscitare polemica. La presidente della Comunità ebraica, Petraroli: “Stupita dal basso livello culturale: scriverò al sindaco”.

GENOVA– La barzelletta   che nessuno si aspettava è piombata nel mezzo della mattAnnamaria Coluccia,inata nella sinagoga genovese, durante una delle iniziative organizzate ieri anche nel capoluogo ligure per la Giornata europea della cultura ebraica.

«Una volta un mio amico ebreo mi ha raccontato questa storia: “Sai perché gli ebrei hanno un naso grande? Perché l’aria è gratis”. Ecco, direi che questo accomuna ancora di più questa città a questa comunità». A raccontarla è stata l’assessore comunale ai Servizi sociali Lorenza Rosso, delegata dal sindaco Marco Bucci a rappresentare l’amministrazione cittadina al convegno.

L’assessore si difende: “E’ una battuta razzista? Forse non me ne rendo conto”

di Annamaria Coluccia

GENOVA – Assicura di non aver avuto alcun intento offensivo nei confronti della loro comunità ebraica, e si scusa se le sue parole sono state interpretate diversamente. Ma Lorenza Rosso, l’assessore nell’occhio del ciclone, è anche stupita dalle polemiche provocate dalle sue parole.

– La sua barzelletta ha suscitato sconcerto nella comunità ebraica e sta sollevando molte polemiche.
«Ma non è stato e non voleva essere affatto un affronto. Me l’aveva raccontata un amico, ebreo, che non c’è più, e io volevo mettere in evidenza un atteggiamento che accomuna ebrei e genovesi. Come poteva avere un significato negativo? Allora ho fatto uno sgarro anche a tutti i genovesi?».

– Però c’è chi vi ha letto uno sfondo razzista, antisemita.
«Ma è possibile interpretarla così? Perché magari io non me ne rendo conto».

– Ma non pensa che fosse una barzelletta quanto meno inopportuna in quella giornata e in quel contesto?
«Mi scuso moltissimo se ho offeso qualcuno. Non è proprio il mio essere quello di offendere le culture, e religioni, le libertà in generale. Tutto il discorso che ho fatto credo lo abbia dimostrato, probabilmente sono stata fraintesa. Ho raccontato quella barzelletta in un’ottica di comunanza in una giornata importante. Ho evidenziato che la comunità ebraica ha anche una funzione sociale in città, più di così… Come poteva essere travisata la barzelletta? Non lo capisco. Se lo è stata me ne scuso e se occorre presenterò scuse formali».

– Ma lei si è accorta delle reazioni che aveva suscitato?
«No, assolutamente, nessuno mi ha detto niente. Prima di andarmene sono andata salutare il rabbino, e non mi ha detto nulla».

– Le opposizioni in Comune chiedono le sue dimissioni da assessore.
«Se dovrò dare le dimissioni, le darò. Tutti pensano che io sia attaccata alla poltrona, ma non è affatto così».

(Il Secolo XIX, 19 settembre 2022)

Resta da capire se è tonta a livelli inverosimili o se sta tentando di salvarsi in corner recitando la parte della tonta: per “accomunare” ebrei e genovesi non trova di meglio che tirare fuori uno dei peggiori stereotipi antisemiti, ci aggiunge il nasone come caratteristica fisica attribuita agli ebrei dalla peggiore propaganda antisemita

Qui

(che oltretutto nessuno, che io sappia, ha mai attribuito ai genovesi), e parla di “interpretazione”? Parla di “fraintendimento”? Si vanta addirittura di avere “evidenziato che la comunità ebraica ha anche una funzione sociale in città” (“più di così…”)? Ma che razza di gente abbiamo nelle istituzioni?

barbara

E MENTRE ELICOTTERI E DRONI

e intere squadre di poliziotti a terra coordinano le azioni per arrestare un uomo che corre sulla spiaggia deserta e un altro che corre in un parco deserto…

Genova, abitanti dei vicoli esasperati: “Noi chiusi in casa, i pusher liberi di spacciare”

di Michele Varì

Spacciatore arrestato in via Gramsci: in tasca aveva la droga, sul viso la mascherina
Genova
Noi chiusi negli appartamenti, gli spacciatori liberi di spacciare infischiandosene del decreto che impone di restare in casa!”.
Il grido di allarme arriva dagli abitanti di ogni zona del centro storico di Genova, dalla zona di via del Campo, dove sono state riprese queste immagini, a Canneto e San Bernardo: “Non si riesce a capire come riescano a farla franca e a passare inosservati anche ora che è in vigore il coprifuoco – denunciano gli abitanti – visto che quasi sempre i pusher sono anche le uniche persone che ci sono in giro e si capisce subito che non sono lavoratori o massaie che vanno a fare a spesa”.
A fare arrabbiare gli abitanti è anche la sfacciatagine di alcuni spacciatori: “A volte sono così tanti che dobbiamo farci largo fra di loro per passare, una situazione poco rassicurante anche dal punto di vista igienico”.
Polizia e carabinieri però garantiscono che stanno pattugliando i vicoli della città vecchia. L’ultimo arresto a mezzogiorno di Pasqua in via Gramsci.  Uno spacciatore con la mascherina sanitaria sul viso alla vista degli agenti della volante del commissariato di Cornigliano è fuggito, ma è stato rincorso e bloccato dai poliziotti. Addosso aveva circa 18 grammi fra cocaina ed eroina, è stato arrestato con l’obbligo di dimora a Torino, dove ha la sua residenza. Come a dire, anche lo spacciatore in trasferta deve rimanere a casa sua. (qui)

E mente noi siamo agli arresti domiciliari da sei settimane, nel resto del mondo

Lockdown: gli italiani sono i più reclusi del mondo

Tutto il mondo si chiude di fronte al dilagare del coronavirus. Ma c’è qualcuno che è più chiuso degli altri: dove per lockdown si intende l’ordine impartito ai cittadini di stare chiusi in casa, l’Italia ha adottato le misure di lockdown più rigide del mondo e attualmente è l’unico Paese realmente paralizzato.
La Spagna, che era il Paese europeo con le misure più rigide di segregazione di massa assieme all’Italia, da ieri ha riaperto i cantieri e molte aziende considerate “non essenziali”. La Spagna e l’Italia erano le uniche due nazioni in tutta Europa che avevano anche sospeso la produzione di beni e servizi non essenziali. Da oggi, solo l’Italia mantiene l’ordine di chiusura di gran parte della sua attività produttiva.
La Francia, ha adottato misure restrittive simili a quelle italiane anche se sport solitari e passeggiate sono generalmente permesse fino a 1 km da casa propria, salvo ulteriori divieti imposti a livello comunale. Attualmente sono ancora in vigore, ma verranno ritirate l’11 maggio, giorno in cui Macron ha preannunciato anche la riapertura delle scuole (cosa che in Italia non avverrà). Misure simili anche in Belgio, dove i cittadini non possono lasciare i loro comuni di residenza e possono uscire di casa solo per andare al lavoro, al supermercato, in farmacia o in banca. Ma le attività fisiche continuano ad essere consentite. Misure che però (salvo contrordini) dureranno meno che in Italia: fino al 19 aprile. Il Regno Unito, dopo aver previsto una strategia più liberale di rallentamento del virus, dal 23 marzo è entrato in lockdown. Ma gli inglesi non sono chiusi in casa come gli italiani: nei giardini possono andare e possono praticare sport se sono da soli o con persone con cui convivono sotto lo stesso tetto. Anche gli olandesi, che pure fino a marzo inoltrato avevano deciso di non ricorrere a misure drastiche, hanno imposto il lockdown. Che però si traduce più in una serie di raccomandazioni (state a casa il più possibile e non invitate più di 3 persone) che in un arresto domiciliare di massa. In Austria, il lockdown è finito ieri, i cittadini tornano liberi dopo poco più di due settimane. In Finlandia sono stati posti limiti agli spostamenti interni, ma è sempre consentito uscire di casa. La Norvegia, che ha blindato i confini, ha ordinato la chiusura di scuole e luoghi pubblici. Da Pasqua le scuole sono riaperte. La Svezia sta ancora adottando una delle strategie più liberali d’Europa, limitandosi a vietare gli assembramenti di più di 50 persone. Anche la Danimarca, che ha chiuso scuole, teatri, biblioteche e altri luoghi pubblici, non ha segregato i suoi cittadini in casa e dal fine settimana di Pasqua ha riaperto le scuole.
Vi sono poi Paesi che non hanno imposto una strategia nazionale contro l’epidemia, ma lasciano che queste vengano adottate da autorità locali. Il macro-caso è quello degli Stati Uniti, in cui Trump è esplicitamente contrario al lockdown (e da ieri sta chiedendo di scavalcare le autorità statali per poter imporre una rapida riapertura), ma quasi tutti gli Stati lo stanno imponendo ai loro cittadini. Quasi, perché 6 Stati non hanno mai chiuso nulla: Nord e Sud Dakota, Nebraska, Arkansas, Oklahoma e Iowa. Fino alla fine di marzo, anche New Hampshire, West Virginia, New Mexico, Utah, Nevada, Alaska e Hawaii avevano posto restrizioni molto limitate, ma non ordini di “restare a casa”. Idem dicasi per la Svizzera, Paese federalista alle porte di casa, dove non esiste una strategia su scala nazionale: mentre il Canton Ticino italofono ha deciso di seguire misure simili a quelle italiane, nella maggioranza dei cantoni tedeschi non c’è lockdown. La Germania (federale, con regole che cambiano a seconda dei Land) non ha applicato nulla di simile al nostro lockdown. Anche il fine settimana di Pasqua è trascorso con i tedeschi all’aperto, a prendere il sole e fare sport nei loro parchi. Nel Baltico, dopo aver vinto una causa legale, i cittadini del Meclemburgo sono anche andati a fare i primi bagni e a prendere il sole in spiaggia. In generale sono chiusi i luoghi pubblici in cui è più probabile che si creino assembramenti, come bar, locali, impianti sportivi, ma le aziende sono in gran parte libere di continuare a lavorare.
Misure più blande sono adottate in Paesi dell’Europa centrale e orientale. In Ungheria non c’è un lockdown nazionale, ma viene spesso imposto l’ordine per i cittadini di restare a casa (se non per uscite di stretta necessità) e in alcuni casi la quarantena può essere obbligatoria. Nella vicina Repubblica Ceca sono chiuse solo alcune attività e sono stati limitati gli accessi al Paese. Da Pasqua, ha riaperto praticamente tutto. In Slovacchia, sono vietati gli eventi pubblici e le frontiere sono state chiuse. Non c’è lockdown, ma sono state rese obbligatorie le mascherine per quando si esce di casa. In Polonia c’è un lockdown nazionale, ma si può uscire di casa da soli o in coppia (ed è obbligatorio indossare i guanti nei supermercati). Il 10 maggio si voterà comunque per le elezioni nazionali. In Croazia non c’è lockdown, si raccomanda di evitare assembramenti. In Lituania e Lettonia le scuole sono chiuse ed è stata adottata una politica di lockdown, ma lo sport all’aperto è possibile, con precauzioni. In Estonia, oltre alla chiusura dei confini, non c’è un lockdown nazionale, solo misure restrittive per negozi e trasporti. La Russia, che finora ha registrato casi soprattutto nella capitale, ha chiuso i cittadini nella sola Mosca.
Sono meno comparabili le realtà extra-europee, sia per le grandi differenze nella loro società che per la minor diffusione del virus, in proporzione, rispetto ai Paesi occidentali. I Paesi dove i cittadini restano più liberi di muoversi sono e restano le democrazie dell’Asia orientale, che per prime sono state contagiate: Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Giappone. Strategie simili (test di massa e tracciamento dei contagi) sono state adottate anche in Israele, dove è stato imposto un lockdown solo parziale.
Lungi dall’essere esaustivo questo elenco non sarebbe completo se non si guardasse anche all’effetto pratico di queste misure. Ebbene, Google, con una raccolta dati in tutto il mondo, ha misurato quanto si siano ridotti i movimenti delle persone, nei vari ambiti. Da qui apprendiamo che il movimento degli italiani per motivi di lavoro si è ridotto del 62%, attualmente la percentuale più alta del mondo (dopo la riapertura della Spagna, unica che ci batteva fino a ieri). Nella maggioranza dei Paesi europei la percentuale di cittadini che non si recano più al lavoro è inferiore al 50%. In Germania gli spostamenti verso i luoghi di lavoro sono appena il 30% in meno, in Danimarca e Svezia il 25% in meno, per non parlare delle democrazie asiatiche, come Taiwan, Singapore, Corea del Sud e Giappone, dove le abitudini di lavoro sono cambiate per circa il 10% della popolazione attiva. Verso parchi, spiagge e giardini, in Italia c’è un calo di movimento del 95%. Anche qui: siamo primi al mondo per immobilità, basti pensare che in altri Paesi colpiti, come Giappone, Norvegia, Ungheria, Slovacchia, Olanda, Svizzera, nei Paesi Baltici, in Germania, in Svezia e in Danimarca, si registra un aumento delle persone che si svagano all’aperto, in particolar modo in Danimarca con percentuali oltre il 100%. Verso supermercati e farmacie, l’Italia registra un calo di mobilità dell’82%, anche qui una cifra da record mondiale.
Eppure l’Italia, ancora oggi, è un Paese con la percentuale di morti in rapporto alla popolazione fra le più alte del mondo (ci superano solo la Spagna e il Belgio, più alcune micro-realtà come Andorra e San Marino). E non per colpa di chi fa il “furbetto” della spesa o il “runner” che è ormai razza estinta. (qui)

Già. Anche il 15 aprile abbiamo avuto oltre 2500 nuovi contagi e oltre mezzo migliaio di morti. E con provvedimenti deliranti. In Inghilterra dei poliziotti si erano appostati vicino ai supermercati per verificare che la gente comprasse solo cose di assoluta necessità: è intervenuto personalmente Boris Johnson a richiamarli all’ordine, chiarendo che non è di questo che si devono occupare. E in Italia? Ti multano se compri il vino perché hanno deciso, a loro unico e insindacabile giudizio, che non è una necessità. E credete che con questo si sia toccato il fondo? Vi sbagliate, e anche di grosso. Succede che a un fornaio siciliano con un bar-panificio, oltre al bar fanno chiudere anche il panificio, perché a chi mai potrebbe venire in mente che il pane possa essere un bene di prima necessità, ma quando mai. Vabbè, lui docilmente obbedisce e chiude. Ma decide, in accordo con alcune organizzazioni benefiche, di produrre ugualmente del pane, tutto solo, per regalarlo ai poveri del paese. Risultato? Multa e chiusura. Esagero se dico che “solo in Italia”? E io continuerò a ripeterlo finché avrò fiato, o meglio dita da battere sulla tastiera: abbiamo una sola via di salvezza: la disobbedienza civile. E se non basta, si studierà come proseguire.

barbara.

NON RIDETE, BASTARDI!

Genova (Sto male dal ridere)

I centri sociali organizzano un corteo contro il razzismo e la polizia fascista,
Genova antifascista
invitando i profughi.
I profughi vedendo il locale dei centri sociali attrezzato decidono di rimanere lì.
I compagni spiegano ai profughi che non possono stare lì perché non saprebbero come mantenerli e li invitano ad andarsene.
I profughi decidono di occupare lo stabile dei compagni.
I compagni sono costretti a chiamare la polizia fascista per riappropriarsi del centro sociale.
I profughi mentre vengono portati via ammanettati dalla polizia fascista inveiscono minacce di morte e accusando di razzismo i ragazzi dei centri sociali.
4 nigeriani sono stati denunciati dai ragazzi dei centri sociali per aggressione e una ventina di antifascisti denunciati dai profughi con l’accusa di razzismo.
(dalla pagina di Gino Briganti)

Non ridete, bastardi!

Da fare invidia ai mitici fratelli De Rege.

barbara

NOTA: mi si segnala che potrebbe trattarsi di una bufala. Prendo atto e segnalo a mia volta; tuttavia, se chiunque l’abbia letta l’ha presa per buona, è perché è straordinariamente realistica.

CASSANDRE

È così che le “persone di buon senso” chiamano coloro che lanciano allarmi e preannunciano catastrofi imminenti: cassandre. Con irrisione. Con disprezzo. Con il senso di superiorità di chi, sentendo gridare al lupo, sa che il lupo non c’è, e si sente quindi in diritto di sbeffeggiare chi invece di godersi la vita sta lì a lanciare oscure profezie. Fanno di tutto, costoro, per dimenticare che Cassandra non era una povera demente. Fanno di tutto, costoro, per dimenticare che non una delle catastrofi preannunciate da Cassandra ha mancato di verificarsi. Fanno di tutto, costoro, per dimenticare che non uno di coloro che la sbeffeggiavano è scampato, quando la catastrofe è puntualmente arrivata. NON UNO.
no-Gronda
barbara

CON L’ESERCITO

Così meno di quattro anni fa il signor Grillo Giuseppe – di formazione geometra, di professione spacciatore di mastodontiche bufale e giganteschi imbrogli – così, dicevo, si proponeva di fermare chi avesse tentato di mettere in atto la “Gronda”, che avrebbe alleggerito il traffico del ponte Morandi

Nel 2014 dopo l’alluvione che colpì la città di Genova, Grillo si trovava in città assieme al Comitato “No Gronda” che denunciava lo spreco di denaro per le grandi opere: “6 per il terzo Valico e 3-4 miliardi di euro per la Gronda”, dichiarava il grillino Paolo Putti del Comitato.
L’opera della Gronda avrebbe dovuto alleggerire il traffico sul Ponte Morandi deviando almeno i mezzi pesanti, ma il leader dei pentastellati lo riteneva uno spreco di denaro e incitava il pubblico gridando: “Dobbiamo fermarli con l’esercito”. Qui, mentre qui potete vederlo in tutta la sua bellezza e ascoltarlo in tutto il suo starnazzare.

E oggi? Anche oggi ha molto da dire, il signor Grillo Giuseppe. Ascoltiamolo.

di Beppe Grillo – La Superba è tagliata in due, in cielo volano gli elicotteri dei Vigili del Fuoco e del 118, che stanno operando in condizioni estremamente difficili e pericolose. La rapidità del loro intervento è fondamentale.
Ancora più rapidi, per natura, gli sciacalli già volteggiavano nel cielo delle parole. Parole nauseanti, al 90% inutili. [Eh sì, signora mia,  così fastidioso lo sciacallaggio, ma così fastidioso quando non ne siamo gli autori bensì i bersagli…]

E’ difficilissimo rispondere a questa gente, che nel tempo ha trasformato in pettegolezzo macabro un mestiere (informare) che era nobile. Spesso richiedeva un grande coraggio.
Gli sciacalli sono animali veloci e senza alcuna forma di rispetto, la natura non li ha neppure forgiati belli nel corso dell’evoluzione. [Ora le spiego una cosa, signor Grillo Giuseppe: gli sciacalli a quattro zampe non sono uguali a quelli a due zampe. E, soprattutto, se si vuole descrivere qualcosa, il modo migliore non è quello di guardarsi allo specchio. Se mai le fosse capitato di vederne uno, saprebbe che sono fatti così
sciacallo
e sfido chiunque a sostenere che questo sia un animale brutto. Che poi, a dirla tutta, leoni tigri leopardi giaguari hanno forse rispetto? E che senso ha parlare di rispetto in un ambito come questo?]

A loro non serve essere prestanti per razzolare in mezzo alla morte ed approfittarne. [? Prestanti? Ma non stava parlando di bellezza? Di estetica? Comunque per una volta concordo: anche lei in effetti non è poi così prestante. Ma poi mi dica – ah, che sciocca! Stavo per scrivere “mi dica onestamente”, o “mi dica sinceramente”: quale assurdità” – è peggio un animale quadrupede che, essendo sprovvisto di forti armi, si sfama e sfama i propri figli con quando rimane degli animali uccisi da altri animali, o un animale bipede che stermina un’intera famiglia?]

*Non c’è grande opera pubblica che mancherà di essere rivalutata! Non c’è pettegolezzo che possa essere ascoltato se non da un altro pettegolo.
IO AMO GENOVA, e questo schifo di tirapiedi in cerca d’autore mi ha infastidito nel profondo.* [questa parte non l’ho capita. Nel senso che proprio non ho capito di che cosa stia parlando]

Proprio quel viadotto e tutta l’infinita serie di revisioni a costi esorbitanti, esitato comunque nel crollo, nella tragedia: un pugno nello stomaco al futuro della città. Proprio quello stesso viadotto era una grande opera pubblica. Era malata alla nascita, [«Ci viene poi raccontata, a turno, la favoletta dell’imminente crollo del Ponte Morandi» Chissà chi l’avrà detto? Mah…]

e proprio mentre siamo sgomenti a contemplare il suo disastro, esito triste e muto di una gestione dissennata, gli sciacalli colpiscono esattamente lì. [Vero. Ne sto contemplando uno proprio in questo momento]

*La motivazione a rivalutare tutti questi mostri potenziali è ancora più forte oggi. Revisionare queste mangiatoie, rivalutare anche quei gioielli che verranno costruiti con i soldi della gente e che alla gente devono restare.* [anche questo non l’ho capito]

Non sono uso a rispondere agli schiavi dei rapaci, ma questa volta non posso evitarlo. Noi rivedremo tutti questi “progetti”. [? Noi chi? Lei, tirando fuori il suo diploma di ragioniere che le dà la competenza sufficiente?

Che da anni e decenni stanno lì, come se fossero scritti con l’inchiostro simpatico. Destinati, dopo l’opportuna spartitoria stagionatura politica, ad essere costruiti male e di fretta. Oppure con infinita lentezza come la SA-RC.

Insomma, sento che devo rispondere agli sciacalli, devo rispolverare un’ascia di guerra che non avrei mai pensato di riconsiderare [HAHAHAHAHA!]: noi rivedremo quei progetti dissennati, fermeremo questa ininterrotta serie di obbrobri pericolosi e, agli sciacalli, non resta che un vaffanculo a mille decibel. [e quando mai è stato capace di dire qualcosa di diverso]

Contemplando questo orrore sono ancora più convinto che le grandi opere pubbliche dalla carta al mondo reale devono essere riviste: tutte.

La concessione a operatori così dissennati della nostra viabilità va revocata e restituita allo stato! [Quello stato che – giusto per fare un esempio a caso – nella gestione dell’acqua si perde per strada il 40%? O che mette ventottomila forestali in Sicilia mentre il Canada, con oltre 400.000 Km² di foreste, ne ha 4200?]

Esiste uno sciacallaggio peggiore del fingere di non avere detto quello che è stato detto e che ha contribuito a spianare la strada al disastro? Sì, lo so, nessuno può garantire che senza i “no-gronda” il ponte sarebbe ancora in piedi, ma questa non è una buona ragione, per chi ha battuto tutti i marciapiedi possibili, per farsi fare un’imenoplastica e presentarsi come vergine immacolata e offesa.

barbara

APPELLO PER IL MUSEO LUZZATI

IL MUSEO LUZZATI AL GIRO DI BOA: A RISCHIO CHIUSURA

 

Il Museo Luzzati celebra i suoi 15 anni, dopo aver realizzato 27 mostre su diversi aspetti dell’opera di Emanuele Luzzati in sede (dai grandi temi come la fiaba, il cinema d’animazione, la grafica, il design ad aspetti più specifici come il fumetto, Pulcinella, le opere per Calvino, l’opera giovanile…) , 32 mostre di Emanuele Luzzati in altre sedi in Italia e all’estero (tra cui Roma, Torino, Vicenza, Ferrara, Gerusalemme), 6 mostre collettive con importanti temi (Pinocchio, Genova, la rappresentazione degli animali) 19 mostre monografiche di altri artisti (tra cui Altan, Quentin Blake, Mordillo, Jutta Bauer, Nicoletta Costa, Andrea Pazienza, Silver, Gipi) e curate 11 monografie scientifiche.
Il Museo Luzzati è però un museo privato, questo vuol dire che vive al 90% con i ricavi delle sue attività: ingressi, laboratori, bookshop, vendita mostre, rari sponsor e gestione diritti di uso immagine e nome di Luzzati affidataci dagli eredi. Solo una minima percentuale delle attività è finanziata da contributi pubblici, spesso richiesti (e non sempre ottenuti) per singoli progetti.
Ebbene tutto questo non basta. I conti non tornano, da alcuni mesi chi lavora al Luzzati non percepisce stipendio, risulta difficile soddisfare i creditori, ma anche gestire gli assetti finanziari e amministrativi e garantire continuità della nostra opera.
I costi annuali sono in media €450.000  (personale, gestione spazi, organizzazione mostre, eventi e officina didattica, comunicazione) I ricavi degli ultimi anni sono in media circa 240.000 (tra ingressi, vendita mostre, ricavi da laboratori, artshop e diritti,  contributi di istituzioni e sponsor privati) Per mantenere in vita la programmazione ci servirebbero quindi ulteriori € 210.000 all’anno, in fondo non una grande cifra in un’ottica “pubblica”, gravosa invece se lasciata sulle spalle di una piccola azienda privata.
In questa situazione l’esistenza del Museo Luzzati è a forte rischio.
Riteniamo che l’attività del Museo si sia trasformata negli anni in una risorsa per Genova, accogliendo da 30.000 a 40.000 visitatori l’anno, divenendo sempre più riconosciuta a livello nazionale e internazionale; e che la struttura, seppure “privata”, abbia reso alla comunità un forte contributo in termini di servizio e di immagine.
Ci teniamo a sottolineare l’importante lavoro svolto in questi anni, un lavoro in cui il carattere “culturale” prevale nettamente rispetto al “commerciale”: 

  • Le nostre mostre e cataloghi sono curati direttamente con gli artisti o  selezionando le opere di Luzzati  e sono supportati da un lavoro scientifico autonomo, una scelta complessa e culturalmente appagante che ci ha sempre caratterizzato.
  • Incontriamo annualmente oltre 14.000 bambini provenienti da scuole, famiglie e centri disabili nei laboratori dell’Officina Didattica  che svolge le sue attività a Genova e su territorio nazionale. Il costo di partecipazione è  tra i più bassi (€5), anche in confronto alle offerte di simili istituzioni pubbliche. Il lavoro didattico promuove inoltre l’educazione sociale attraverso convegni internazionali, presentazioni, incontri con esperti e addetti ai lavori.
  • Portiamo avanti un attento lavoro di catalogazione dell’opera di E. Luzzati, continuiamo a difendere e a diffondere l’ immagine dell’artista di cui siamo unici referenti riconosciuti dalla famiglia. 
  • Comunichiamo e promuoviamo a livello nazionale con grandi risultati la nostra attività, la figura e l’opera di Emanuele Luzzati e quindi anche Genova e il suo patrimonio artistico, turistico e culturale.

In questo momento di forte crisi e di prospettiva di chiusura chiediamo l’intervento di istituzioni pubbliche e private per trovare soluzioni che preservino il nostro lavoro e il grande valore che il Museo Luzzati ha saputo costruire negli anni. Ci piacerebbe essere coinvolti in progetti pubblici e privati che consentano di utilizzare le grandi risorse del Museo e di Luzzati per ottenere i ricavi mancanti.
Siamo disponibili pertanto a lavorare su iniziative che possano coinvolgere aziende, società, enti mettendo a disposizione un patrimonio artistico unico e prezioso che consenta al Museo di poter continuare nella sua importante missione sociale e culturale.

Il direttore
Sergio Noberini

LA MIA (SUA) GENOVA

E’ una strana città!
Popolata da gente ancor più strana, schiva e piena di riserbo.
Ma bella, bellissima e sempre diversa.
Dicono che sono i genovesi ad affossarla, questa incredibile congerie di complessità, di differenze, di squilibri che crea un’urbanistica unica ed impossibile che compone Genova.
Ma non è così!
I genovesi sono pochi ed ai pochi che restano, superstiti di una serie di feroci e talvolta anche sanguinose faide, non viene manco in mente di fare del male alla loro Madre Città. Cercano solo di sopravvivere, godendo solitari o fra loro, quando possono, di incredibili squarci di sole tra temporali furibondi, di scorci di azzurre cimase di antichi palazzi, di un pazzo clima che regala miti rigidezze e tiepidi calori.
Sono i foresti che, da sempre, quando in questa città vengono a far conquista, due cose fanno per prime ed a lungo: odiarla o farne scempio, la prima, e disprezzarne e rovinarne le genti la seconda. Forse per odio atavico… o per vendetta o per averne molto sofferto il passato dominio.
Ma tale è la straordinarietà della Superba che, con il tempo, anche i foresti spesso cambiano.
Ed alcuni di loro, non tutti, per carità, che sarebbe troppa e non voluta grazia, nella vecchiezza raggiunta tra Nervi e Pegli da noi diventano indistinguibili.
Spesso più genovesi dei genovesi stessi.
Più riservati, più schivi e più inclini ad un minimalismo quotidiano, a volte così creativo e profondo da far sparire le grandi espressioni artistiche e filosofiche che affondano penosamente i nostri media.
Mentre ti prendi un caffè con Loro, in un qualche bar posizionato in una pazzesca terrazza sbalzata sul mare, durante un folle pomeriggio di sole terso che ha fatto seguito ad una pioggia mattutina, ricordi il loro cognome, che genovese non è, e pensi a come diavolo ha fatto questa benedetta città a renderli più cittadini di te , che ci vivi da più di milleduecento anni.
Siamo tutti cittadini del mondo, è vero! ma per diventare Genovesi ci vuole qualcosa di più (o di meno) e non tutti ci riescono.
Non per vantarmi, ma io questa città la amo.

Marco Capurro, agosto 2002

Un piccolo, doveroso omaggio a Colui che è stato il più grande di tutti noi.

barbara