HO LETTO CHE HA FINALMENTE TIRATO LE CUOIA

quel pezzo di merda di Alberto Asor Rosa (perché io la memoria ce l’ho ancora buona, e le infamie non le dimentico e non le perdono). Ho raccattato su un po’ di vecchie cose.

L´antisemitismo di sinistra: Alberto Asor Rosa

Alberto Asor Rosa, indicato da Oliviero Diliberto come futuro Ministro dell´Università : “Gli ebrei, da razza deprivata, perseguitata e decisamente diversa è diventata una razza guerriera, persecutrice e perfettamente omologata alla parte più consapevole e spregiudicata del sistema occidentale. La colpa dell´occidente verso l´ebraismo è stata risarcita, assumendosi il carico di una colpa altrettanto grande verso l´islam. Da un popolo di religiosi e di pensatori è nato un popolo di zeloti“.
Questi stralci sono tratti dal libro di Alberto Asor Rosa intitolato La Guerra.
Se costui arriva al Governo c´è da preoccuparsi.
Anche perché potrebbero sentirsi legittimati e incoraggiati, quelli che nei cortei bruciano le bandiere d´Israele. (Qui)

Risposta ad Alberto Asor Rosa

Lettera inviata al Corriere della Sera e non pubblicata

La lettera di Alberto Asor Rosa al Corriere della Sera (16 maggio 2006) è basata sul seguente ragionamento: “la causa ebraica non coincide con quella dello Stato d’Israele”; quindi egli ha diritto di criticare il secondo senza essere accusato di ledere la prima; invece, i suoi critici non fanno che confondere le due cause e così lo fanno oggetto di una forma acuta di intolleranza. Così messa sembrerebbe ineccepibile. Se non fosse che colui che ha fatto confusione è proprio Asor Rosa quando, nel suo libro, ha dedotto dalla critica allo Stato d’Israele conclusioni pesantissime nientemeno che nei confronti della “razza ebraica” – espressione che non dovrebbe uscire dalla penna di un intellettuale contemporaneo, tenuto a sapere che il concetto di razza non ha basi scientifiche ed è soltanto un aggregato di pregiudizi dalle tragiche conseguenze -, una “razza” che da perseguitata sarebbe diventata persecutrice, e altre consimili deduzioni riguardanti gli ebrei nel loro complesso che è soltanto triste ricordare. Ad Asor Rosa è stato chiesto ripetutamente di rivedere questa infelice uscita. Al contrario, qui, con un gioco dialettico, per nasconderla egli ne scarica la colpa sui suoi critici. In tal modo, egli ha dato soltanto prova della fondatezza della tesi secondo cui la manifestazione attuale dell’antisemitismo è l’antisionismo. Sta a lui, se e quando vorrà finalmente farlo, correggersi e dimostrare di essere soltanto vittima di questa manifestazione, e combattere ora e qui l’antisemitismo nel modo che serve.
Tralascio per brevità di entrare su altri aspetti di merito, come il richiamo all'”ingiustizia della fondazione dello Stato d’Israele” cui – per sua grazia – non si deve porre rimedio con la sua distruzione. E’ davvero curioso che si debba parlare di ingiustizia soltanto nel caso della fondazione dello Stato d’Israele e non di innumerevoli altri casi analoghi di cui è intessuta la storia. Per esempio, la fondazione della Grecia è stata pagata al prezzo di ingiustizie, come quella della famiglia di chi scrive, deprivata di case e averi. Eppure viviamo qui tranquilli senza rivendicare diritti al ritorno, come non li rivendicano il milione e passa di ebrei deprivati di case e averi nei paesi arabi. Se dovessimo rifare le bucce alla storia trasformeremmo la terra in uno scannatoio.
Infine, se il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche non ha il diritto di esprimere perplessità di fronte a chi parla (e in termini così negativi) di razza ebraica, tanto vale sciogliere l’Unione e mandarne a casa organi e presidenza. In tal caso, sarà stato Asor Rosa ad aver esercitato una pressione indebita e intimidatoria volta a inibirne la libertà di espressione.
Giorgio Israel, qui.

Israele e lo strabismo di Asor Rosa

Victor Magiar – L’Unità 17 maggio 2006

NOTA: Victor Magiar è sinistrassimo e molto critico nei confronti di Israele. Tuttavia l’abisso delle affermazioni di Asor Rosa è tale che perfino lui sente la necessità di ribellarsi e prendere posizione.

In quasi tutti i paesi democratici del mondo, gran parte del voto ebraico si esprime a «sinistra» o, meglio, per quelle formazioni politiche che potremmo definire di progresso, sensibili ai temi dei diritti civili e della giustizia sociale: in Italia non è più così.
Certo è vero che, in tutto il mondo, abbiamo assistito negli anni ad un progressivo spostamento a destra del voto ebraico, ma sempre in misure ragionevoli: nella scorsa competizione presidenziale americana la percentuale degli ebrei statunitensi che ha votato per i Democratici è passata dall’85 all’81% .
Tornando in Italia, comprendere le ragioni di questo spostamento a destra è semplice: basta aprire certa stampa collocata a sinistra, ascoltare politici o intellettuali di sinistra, per assistere a una costante demonizzazione di Israele, compiuta con gli strumenti del revisionismo storico di stampo negazionista e/o terzomondista.
Un campione di questa tendenza è il professor Asor Rosa che proprio ieri, dalle pagine del Corriere della Sera, ha compiuto l’ennesimo transfer revisionista.
Fra i tanti cammei colpisce quello con cui, quasi con un candore, sostiene che se è una vergogna essere antisemiti non lo è essere anti-israeliani: «La solidarietà assoluta alla causa ebraica non cancella il laico diritto di critica alle scelte politiche e ideologico-culturali di Israele».
Buffo no? La metà degli israeliani critica laicamente il proprio governo, così come fa buona parte della diaspora ebraica, senza però divenire anti-israeliani. Del resto anche qui nel nostro Paese, metà degli elettori critica laicamente il governo di turno, senza però divenire anti-italiani.
Perché allora essere anti-israeliani?
Cosa vuol dire essere anti-israeliani?
Significa criticare un governo, una politica, o significa (unico caso al mondo) contestare l’esistenza di uno Stato? Negare il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico così come sancito dall’Onu?
La risposta la dà sempre il Professore con un secondo cammeo quando, con il solito candore e citando se stesso, ci spiega che la nascita di Israele sarebbe un’ingiustizia.
Per fortuna, bontà sua, si perita anche di dirci che non si può «pretendere che all’ingiustizia della fondazione dello Stato d’Israele faccia seguito l’ingiustizia della sua eventuale distruzione e cancellazione».
Chiunque conosca la Storia sa che la nascita dello Stato per gli ebrei, Israele, è stato un atto di giustizia.
Una giustizia tardiva e mal compiuta.
Tardiva e mal compiuta per responsabilità delle potenze coloniali e delle forze arabe nazionaliste che, oltre ad eliminare i leader arabi dialoganti, hanno oppresso il popolo arabo della Palestina Mandataria.
La tragedia della mancata nascita di uno stato per gli arabi nella Palestina Mandataria è totale responsabilità dei regimi arabi.
La tragedia dei profughi è totale responsabilità dei regimi arabi che hanno dichiarato innumerevoli guerre al neonato Stato ebraico e alle minoranze ebraiche interne ai loro Paesi, causando lutti ed esodi: oltre ai 650 mila profughi palestinesi va aggiunto quel milione di ebrei cacciati dalle terre arabe (la cui tragedia sembra invisibile a tanti nobili cuori).
Se il Professore si limitasse a filosofeggiare e sostenere che essere anti-israeliani sia un diritto, ovviamente laico e di sinistra, la nostra rimarrebbe una disquisizione intellettuale, sebbene stravagante e preoccupante.
Ma la sorpresa di oggi è stata un po’ più amara, quasi scioccante:
abbiamo infatti appreso che le dichiarazioni di Claudio Morpurgo, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sarebbero «un’indebita pressione sugli affari interni e sulla politica dello Stato italiano, e un pericoloso precedente»… come se Morpurgo fosse un capo di stato straniero.
No, Claudio è un cittadino italiano, contribuente ed elettore…
Riassumendo l’Asor-pensiero:
1) come Stato, Israele è l’unico ad esistere ingiustamente;
2) nel mondo tutti possono, laicamente e liberamente, criticare lo Stato di Israele e i rappresentanti delle autoctone e millenarie comunità ebraiche;
3) per contro gli ebrei non possono criticare, obiettare, osservare… sarebbe ovviamente «un’indebita pressione sugli affari interni e sulla politica dello Stato italiano, e un pericoloso precedente».
Complimenti.
Victor Magiar, qui.

Naturalmente nella sinistra estrema è tutto un insorgere a difesa del povero Asor Rosa incompreso e diffamato; lo fa per esempio l’infame Rossana Rossanda, qui se avete voglia di dare un’occhiata: io sono riuscita a procedere per poco, perché la malafede e la perfidia sono a un livello tale da dare il vomito. E poi ovviamente non può mancare il saltimbanco sedicente ebreo, con una faccia di bronzo di uno spessore tale da non temere il rischio della vergogna.

Moni Ovadia, saltinbanco di successo

Per Moni Ovadia, cantore yiddish, il passato buono è Asor Rosa, il futuro possibile Gino Strada. Un saltimbanco di successo che sull’unità censura i mala tempora e a Milano riempie i teatri (anche con Cofferati). Come Benigni, stia attento al suo Pinocchio
MGM – Il Foglio
Roma. Il grande saltimbanco si dice certo che la sinistra in cui lui si riconosce si dissocia dalla kefiah, però resta convinto che l’attuale politica porterà Israele in un cul de sac, per lui il premier, appena rieletto secondo le regole del voto democratico, è un uomo ottuso, imbevuto di odio.
Per lui gli ebrei di Roma, che gli scrivono qualche lettera di critica, hanno una radice “popolare e bottegaia”, sic, poco esercitata al pensiero critico, i rigurgiti di fondamentalismo essendo purtroppo sempre più evidenti, come dimostra anche la brutta storia capitata ad Asor Rosa. Citiamo da recentissima intervista sull’Espresso, nella quale par di cogliere alle intemperanti certezze del grande saltimbanco un qualche imbarazzo nella più accorta intervistatrice, perfino un cedimento quando lui per forza le propina il sogno di fine terapia psicanalitica.
Che sarà mai successo ad Asor Rosa, forse qualcosa di criticabile c’è nell’ultimo libro del pensatore insigne? Il grande saltimbanco il libro non lo ha letto, ahi ahi, però ha capito dalla lettura dei giornali che hanno fatto una cosa indegna, gli hanno dato dell’antisemita a un uomo come lui, anziché aiutarlo a capire, rispettando la sua specchiata storia di democratico.
“Nei lager nazisti, a fianco degli ebrei, sono morti proprio gli Asor Rosa dell’epoca. E quando ricapiterà saranno gli Asor Rosa i primi ad aiutare gli ebrei”. Infatti, per il grande saltimbanco le latenze antisemite sono molto più forti di quanto non si creda.
Ha ragione, si pubblicano impunemente scritti di questo tenore, “Gli ebrei, da razza deprivata, perseguitata e decisamente diversa sono diventati una razza guerriera, persecutrice e perfettamente omologata alla parte più consapevole e spregiudicata del sistema occidentale… gli ebrei hanno rinunciato ai valori della propria tradizione e alla memoria delle proprie sofferenze… hanno perso il carattere di vittime che li ha contraddistinti nella storia”[bello quando gli ebrei erano vittime, eh? Belli i tempi delle pecore al macello, eh? Ah, che nostalgia!]. Firmato Alberto Asor Rosa, è il famoso libro criticato, lui è il famoso democratico di storia specchiata che correrebbe in soccorso, immediato, ieri come oggi.
Il grande saltimbanco pubblica con Mondadori e con Einaudi, case editrici che fanno capo alla famiglia Berlusconi.
Dev’essere con questo peso sulla coscienza, non è proprio lui a dire che l’essere nato ebreo in Bulgaria, dove gli ebrei vennero salvati da deportazione e genocidio, gli ha procurato un senso di colpa incurabile, e dunque continuiamo così, facciamoci del male; con questo peso sulla coscienza va a congressi, convention, riunioni provinciali e nazionali, ovunque insomma la sinistra si riunisca, e dice “sono qui perché voglio essere un uomo libero e non un dipendente di un’impresa”, “contro questa destra non ci si può chiamare fuori”, e ancora “se dall’altra parte c’è un padrone che dice silenzio, qui decido io, allora la vostra litigiosità e le vostre differenze sono un valore aggiunto”.
Nel rispetto delle differenze il grande saltimbanco prima stava sempre con D’Alema, ora con Cofferati ci fa pure serate teatrali a Milano.
Il grande saltimbanco scrive sull’Unità tutte le settimane, una bella rubrica di pace, lui è uomo di pace, crede fermamente che l’uomo sia un progetto etico, per questo la rubrica si chiama “Mala Tempora”.
In quella dell’8 febbraio scorso, con il consueto stile scoppiettante scriveva: “La questione ebraica particolarmente in Italia si sta rimpicciolendo sempre di più, si sta appiattendo sul conflitto israelo-palestinese, non misurandosi responsabilmente con la complessa tragicità di quello scontro doloroso e apparentemente senza via d’uscita… Di questo approfitta surrettiziamente la destra post fascista, ergendosi a nuovo difensore degli ebrei per il tramite di un rapporto acritico e strumentale con l’attuale dirigenza israeliana… La destra, una volta sdoganata dalla sua posizione filoisraeliana, avrà facile gioco a mettere in sinergia il revisionismo con il suo nuovo maquillage filosemita, per confinare l’antifascismo nel quadro angusto di una ideologia vetero comunista, mentre qualsiasi democratico di buon senso sa quanto proprio in questo momento nel nostro paese ci sia vitale urgenza di una profonda consapevolezza dei valori espressi dall’antifascismo” [lo stile dei volantini delle brigate rosse, preciso sputato. Questo lo ha senz’altro scritto lui: gli articoli che gli scrive sua moglie sono decisamente migliori]. Proprio in questo momento.
Il grande saltimbanco sente così forte l’urgenza civile che a ogni suo spettacolo in teatro ci sono i banchetti, gli striscioni, i volontari di Emergency. Al gallerista Guido Guastalla, che gliene aveva finanziato uno, a Livorno, capitò di entrare al teatro “La Gran Guardia” e trovarsi circondato da gadget e volantini. Nessuno lo aveva informato, ci restò male [questa me la ricordo, me l’ha raccontata la figlia di Guido Guastalla, ancora sbalordita da quanto accaduto], ma il grande saltimbanco con il chirurgo di guerra e fondatore di Emergency, Gino Strada, ha un’intesa antica e un sodalizio profondo, che niente può spezzare, figuriamoci il vile denaro di un finanziamento, ci sono altre fonti disponibili. Per il libro di Strada dal titolo “Pappagalli verdi”, il grande saltimbanco fece una prefazione. “Gino Strada arriva quando tutti scappano, quando la guerra esplode nella sua lucida follia… In questo libro mette a nudo le immagini più vivide, talvolta i ricordi più strazianti, le amarezze continue della sua esperienza, profondamente etica, in una fase storica che alcuni definiscono senza più valori… In questi luoghi umani violati e negati, i Gino Strada costruiscono l’umanità possibile del futuro, l’unica possibile”.
E’ vero, basta leggere queste frasi, “Il terrorismo islamico non fa mistero sulle ragioni dei suoi attentati: questione israelo-palestinese, embargo contro l’Iraq, occupazione militare dei luoghi sacri dell’Islam… E’ un fatto che Israele abbia violato sistematicamente le risoluzioni delle Nazioni Unite e abbia trasformato Gaza in un campo di concentramento… Quelli che mettono le bombe nelle discoteche di Tel Aviv sono terroristi, ma lo sono come i soldati di Sharon che lanciano missili su Gaza. C’è anche un terrorismo di Stato. Ed è quello di Israele e degli Stati Uniti”. Parole di Gino Strada, alla Repubblica, sabato 8 febbraio.
Il grande saltimbanco è Moni Ovadia, 57 anni, milanese di adozione e a Milano non più giovane diventato popolare e ricco, cantore e teatrante, regista e attore della cultura ebraica orientale, praticamente un’icona.
Forse tanta fatica dà alla testa, forse la sua vera dimensione resta quella originale, l’umorismo, le grandi barzellette sugli ebrei. Come il Benigni di Beautiful, stia attento a Pinocchio.
20/02/2003, qui.

D’altra parte, come stupirsi, da parte dell’individuo che alla domanda Arafat, secondo lei, è un terrorista?
 risponde Arafat non è un terrorista e chi dice questo è un pazzo. Arafat è il democratico e legittimo rappresentante del suo popolo e che a me ha detto, anzi gridato, testualmente (oltre a vagonate di altre mostruosità) del Monte del Tempio non me ne frega un cazzo! Asor Rosa, Rossanda, Moni Ovadia, Gino Strada culo e camicia coi terroristi ai quali dava sempre la precedenza per cure e interventi chirurgici: come si suol dire, Dio li fa e poi li accoppia. Ma non sarebbe meglio se invece di accoppiarli li accoppasse?
Chiudo con un bel canto ebraico preso dal Salmo 133:
Ecco, com’è bello e soave che i fratelli siedano insieme! Ve lo presento in due diverse versioni: quella di uno degli uomini più belli del mondo

e quella dei soldati israeliani in uno dei film sulla missione Entebbe: tanti fratelli seduti insieme per andare a salvare altri fratelli.

barbara

TALE PADRE TALE FIGLIA

Cecilia Strada 

Aaaallora. Avevo pensato di dare una serie di risposte collettive, informative ed educative, a tutte le bufale su mio padre, Gino Strada, che mi sono state segnalate nelle ultime settimane (dalla vaccata della residenza in Svizzera alla bufala sui soldati italiani a Mosul, passando ovviamente per gli anni ’70, katanga, Ramelli e diffamazioni varie che hanno già perso in un tribunale, ripeto che hanno già perso in un tribunale).

Poi ho pensato che no, non ho il dovere di educare chi calunnia. Io sono responsabile di quello che faccio e dico. Gli altri devono fare lo stesso, anche quando inciampano in una bufala e anziché controllare – come faccio io prima di parlare – la fanno propria diffondendola. Io non ho il dovere di educare gli altri, e chi calunnia è l’unico responsabile delle proprie parole.

Questa settimana ho troppo da fare, ma settimana prossima prometto che trovo due ore per parlare con l’avvocata e arrivo, ragazzi, arrivo da tutti. Se avete condiviso bufale senza pensarci, vi consiglio di trovare anche voi due ore per la vostra avvocata, perché ho un sacco di voglia di finanziare un po’ di soccorsi in mare con i vostri soldi.

E anche questo, in realtà, sarà educativo: insegnerà a un po’ di persone come si sta al mondo, che esistono le leggi, e che non si può diffamare a caso. Poi magari potete rivolgervi – per aiutarvi a pagare il risarcimento – a quelli che vi hanno riempito di bufale. Dubito vi aiuteranno, ma potete provare. Buooona serata!

Gente lurida, di padre (e madre) in figlia, che vuole i nostri soldi per foraggiare i trafficanti di esseri umani, svuotando l’Africa delle sue risorse umane e scaraventandole sulle nostre coste, per metterle al servizio della criminalità organizzata o a raccogliere pomodori dall’alba al tramonto per una manciata di euro al giorno, perché lei è una filantropa, sta scritto su Wikipedia. Poi un paio di mesi fa ha anche rivelato pubblicamente di essere bisessuale – perché far sapere con chi si scopa è essenziale per fare il mestiere del filantropo – e quindi adesso vale doppio, se la critichi, adesso che è finocchia, oltre che filantropofobo negrofobo negrierofobo e clandestinofobo sei anche finocchiofobo. Forse tra l’altro è il caso di segnalare a Israele la lurida lettera scritta dalla defunta sposa e madre e suggerirgli di trovarsi un buon avvocato che faccia sputare un bel po’ di soldini per la diffamazione e calunnia ivi condotte, in modo da poter meglio combattere contro i terroristi rimessi, dal  signor Strada, in condizione di tornare ad ammazzare infedeli, a partire dagli ebrei. Ricordando, per inciso, che se la signorina Strada ci denuncia accusandoci di avere mentito su suo padre, è lei a dover dimostrare che noi mentiamo e che suo padre non era un terrorista, non viceversa: se siamo ancora in uno stato di diritto, è l’accusa che deve essere provata, non la difesa.
E stendiamo un velo pietoso sul suo stile di scrittura da bimbaminkia, che sarebbe penoso a quindici anni, figuriamoci a quarantatré suonati.

barbara

LA STORIA PUZZA, MA LUI LA STARÀ CONTANDO GIUSTA?

Ritorno a Gino Strada, alla benemerita Emergency e alla brutta storiaccia di Daniele Mastrogiacomo, raccontata da Gabriele Torsello, che era stato a sua volta rapito qualche mese prima.

«Lo strano ruolo di Emergency nel mio rapimento in Afghanistan»

14 Aprile 2010 – 02:04
Fausto Biloslavo

Kash Gabriele Torsello, fotografo free lance, preso in ostaggio nel 2006 in Afghanistan svela per la prima volta i lati oscuri del suo rapimento. Chiamando in causa Ramatullah Hanefi, l’ex responsabile locale dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah. Un’onda lunga di sospetti sempre più tangibili, che porta alla crisi di oggi con l’arresto di tre italiani dell’ong fondata da Gino Strada e sei collaboratori locali.
Non pensa che gli ultimi arresti abbiano un’origine lontana. A causa del coinvolgimento di Emergency nella sua vicenda e nella liberazione di Mastrogiacomo, l’inviato di Repubblica rapito nel 2007?
«Se osserviamo la cronologia dei fatti negli ultimi 4 anni ci sono parecchie stranezze. Nel 2007 è stato arrestato Ramatullah Hanefi coinvolto nella mediazione per la liberazione del giornalista di Repubblica. Non lo hanno giustiziato sul posto. È stato preso per fare delle indagini. Però il fondatore di Emergency, Gino Strada, ha avuto una reazione furiosa. L’inchiesta è stata bloccata senza appurare la concretezza di eventuali ipotesi di reato, ma gli afghani non dimenticano. La tensione fra Emergency, l’ospedale di Lashkar Gah e le autorità di Kabul, è rimasta sotto traccia. Per questo motivo oggi ci si ritrova con una complicazione in più».
Lei ha conosciuto Hanefi, l’ex responsabile locale dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah. Che impressione le ha fatto?
«Con me non è mai stata una persona limpida. Talvolta criticava i talebani e parlava bene delle forze della coalizione internazionale. In altre occasioni sosteneva l’opposto».
Cosa è successo il giorno della sua partenza da Lashkar Gah?
«Era il 12 ottobre 2006 e avevo molte immagini di Musa Qala, dove talebani e soldati inglesi si erano scontrati duramente. Dato che all’ospedale non mi lasciavano usare internet per trasmetterle mi sono deciso a partire verso Kabul. Il giorno prima, l’11 ottobre, Hanefi mi ha proposto di prendere l’autobus. Gli ho detto che lo avrei fatto salendo sul primo mezzo che incontravo. Lui, però, ha insistito sostenendo che era molto difficile trovare il posto. Mi ha detto: “L’unico sistema è comprare il biglietto il giorno prima”. Io tergiversavo, perché non avevo tutta questa voglia di partire. Hanefi, per farla breve, ha mandato un suo collaboratore a comprarlo. Poi me lo ha consegnato e sopra c’era scritto che valeva per l’autobus che partiva all’alba del giorno dopo per Kabul, via Kandahar. C’era addirittura il numero del posto prenotato, dove avrei dovuto sedermi. Hanefi lo sapeva ed io non ho detto in giro che partivo indicando ora e tragitto».
Poi cosa è accaduto?
«Il giorno dopo sono partito utilizzando il biglietto, ma purtroppo i sequestratori mi aspettavano a colpo sicuro, appena usciti da Lashkar Gah. Sulla strada per Kandahar l’autobus è stato fermato. Ho guardato fuori vedendo gente armata. Uno in particolare con una mitraglia è salito sull’autobus puntando dritto verso il mio posto per farmi scendere. Un’operazione mirata».
Sapeva dov’era seduto?
«Il mio sequestro è stato organizzato e pianificato per bene. Hanno fermato l’autobus perché sapevano esattamente che ero seduto in quel determinato posto. Il mezzo era grande e pieno di gente. Il rapitore ha puntato direttamente su di me. Va anche considerato che ero vestito all’afghana, con la barba ed i capelli lunghi ed un turbante tipico del luogo. Le macchine fotografiche erano nascoste. Sembravo un afghano, se non fossero stati informati, nei dettagli, sarebbe stato difficile riconoscermi».
Pensa che Hanefi fosse coinvolto in qualche maniera nel sequestro?
«Non spetta a me dirlo, ma quando Hanefi venne arrestato dopo la liberazione di Mastrogiacomo ho tirato un sospiro di sollievo. Avevo in testa tanti punti interrogativi, che mi portavano ad Hanefi. Mi aspettavo che dall’arresto arrivassero delle risposte, ma poi le pressioni di Strada lo hanno fatto scarcerare e la vicenda si è chiusa».
Sapeva, che come ha dichiarato Strada, è stato proprio Hanefi a portare i due milioni di euro di riscatto per liberarla?
«No, l’ho scoperto quando Strada l’ha dichiarato alla stampa dopo l’arresto di Hanefi. Ho cercato di parlare con Strada, ma non ho mai avuto il privilegio di incontrarlo».
Nei 23 giorni del suo rapimento qual è stato il ruolo di Hanefi?
«Sono stato io a dare il numero di cellulare di Ramatullah ai rapitori, perché la faccenda non mi quadrava. Ho sempre pensato che qualcosa non andava con Hanefi. Lo ritenevo responsabile di avermi fatto prendere quel maledetto autobus. La banda era stata ingaggiata apposta per il mio rapimento. Lui ha cominciato a mediare. Dopo 23 giorni mi hanno messo bendato e incatenato nel portabagagli di una macchina. Ad un certo punto sono stato spostato su un altro mezzo senza le catene. Ho sentito una voce che mi diceva di togliermi la benda. Ero in una jeep bianca di Emergency e alla guida c’era Hanefi».
Ha tirato delle conclusioni su cosa è accaduto ieri e oggi a Lashkar Gah?
«La deduzione logica è che qualcosa di oscuro c’è sempre stato. Questo non significa che medici ed infermieri, che fanno un lavoro fantastico, siano coinvolti. Può essere, però, che qualcuno abbia abusato della neutralità dell’ospedale di Emergency. Se sono stati trovati armi ed esplosivi ed esistono dei dubbi, che hanno avuto origine fin dal mio caso non ci dovrebbero essere ostacoli a fornire chiarimenti e a far svolgere il proprio lavoro alle autorità afghane. Se non hai nulla da temere, qual è il problema?».

“mi sono deciso a partire verso Kabul.” – “Io tergiversavo, perché non avevo tutta questa voglia di partire.”

Lineare il ragazzo, vero? E altrettanto lineare l’idea di dare il numero di cellulare di Hanefi ai rapitori “perché la faccenda non gli quadrava”. E qui di seguito ripropongo un mio post pubblicato dopo la sua liberazione.

TORSELLO, TI VUOI DECIDERE?

Pilucco qualche passaggio dall’articolo-intervista di Andrea Nicastro sul Corriere di oggi. “Al buio, bendato, in catene”. “Solo l’altra notte, da un foro nel tetto è filtrato un raggio di luna. Era la prima volta che vedevo il cielo. La luce mi ha avvolto”. Ora, fermiamoci un momento a ragionare. Quel foro nel tetto c’era o non c’era prima dell’altra notte? Se non c’era, chi e quando e perché è andato a farlo? Se c’era, come mai da quel foro capace di far passare la luce della luna, non era mai entrato il sole? E come fa un raggio di luna che filtra da un foro a produrre tanta di quella luce da avvolgere una persona, oltre che poter essere chiaramente vista da una persona bendata? E come si fa a vedere addirittura il cielo da un semplice foro? O era uno squarcio di mezzo metro di diametro? Ma se era uno squarcio, non avrebbe dovuto vedere la luna entrare e non un raggio filtrare? E in ogni caso, come ha fatto a vederlo con gli occhi bendati? Ma andiamo avanti: “È stato un tempo informe, sempre uguale a se stesso, passato nella penombra”. Penombra? Ma non era buio? “La kefia invece è la stessa che ho avuto come benda, asciugamano e cuscino durante l’intera prigionia”. Benda asciugamano cuscino? In contemporanea? Ossia tenendola sugli occhi come benda e contemporaneamente usandola come asciugamano o mettendosela sotto la testa come cuscino? Roba da far impallidire Houdini! “Nei primi giorni almeno avevo un Corano in inglese e l’ho letto tutto”. Al buio e bendato? Ma allora è vero che Allah è il più grande, cazzarola! Tanto più che poco più avanti ribadisce: “Bende sugli occhi. Catene ai piedi” (per inciso: bende? Non era la kefia?). E infine c’è un’altra cosa che non appare troppo chiara. Spiega che era stato “a Musa Qala, uno degli epicentri dei combattimenti tra talebani e truppe Nato”, e che la località è ridotta a un paese fantasma. Interrogandosi sulle ragioni del rapimento riflette: “Non credo perché sono un occidentale, secondo me non si capiva. In quel momento li ho sentiti nominare ‘Musa Qala’. Forse c’entra il mio lavoro”. Cioè il lavoro di documentare la distruzione di Musa Qala? Lo avrebbero rapito per impedirgli di farlo? Ma allora chi è stato a distruggerla? Certo che se questa intervista è il biglietto da visita della sua attendibilità di cronista, siamo messi bene davvero.

Voglio dire, sull’opacità, per usare un eufemismo, di Strada e di Emergency, non ci piove, ma sulla trasparenza del ragazzotto

Kabul, AFGHANISTAN: Italian photojournalist Gabriele Torsello poses in Kabul, 03 November 2006. Torsello was released in southern Afghanistan after being held three weeks by abductors who demanded the withdrawal of Italian troops from the country. AFP PHOTO/ STR (Photo credit should read STR/AFP via Getty Images)

io proprio la mano sul fuoco avrei qualche esitazione a metterla.
E ora godiamoci qualche altra perla sul Grande Medico, laureato in medicina a trent’anni e mezzo e privo di qualsiasi specializzazione.

barbara

IN RICORDO DI GINO STRADA

che finalmente ha tirato le cuoia. Iniziamo dal curriculum del vecchio malvissuto

È un post lungo, ma tante sono le cose da ricordare. Se mi promettete di leggere tutto, domani vi lascio (quasi) riposare, così potete leggerlo a rate.

CHI È GINO STRADA

C’è uno strano caso di “silenzio stampa” in questo nostro grande paese: quello riguardante il passato violento del dottor Gino Strada. Il pacifista, la colomba, l’uomo che ama il bene e fa del bene, il missionario laico che va in soccorso degli oppressi, colui che predica col ramoscello d’ulivo in bocca, è lo stesso che faceva da “luogotenente” – insieme al futuro odontoiatra Leghissa – a Luca Cafiero il famigerato capo del servizio d’ordine del famigerato Movimento Studentesco del l’Università Statale di Milano, quello dei terribili e mai dimenticati “katanghesi”. Sì, è proprio lui: il “pacifista” Gino Strada, colui che oggi dà dei “delinquenti politici” agli esponenti della casa della Libertà e dei DS che non vogliono soggiacere ai suoi diktat di aspirante leader politico che sogna un seggio in Parlamento. Per l’esattezza Strada, insieme a Leghissa, era il capo del servizio d’ordine di Medicina e Scienze e il suo gruppo o squadra aveva questo inequivocabile nome: “Lenin”. Rispetto ai capi degli altri servizi d’ordine – ad esempio Mario Martucci per la Bocconi e il suo gruppo “Stalin”, o Franco Origoni per la squadra di Architettura, o Roberto Tuminelli, l’erede delle famose scuole private per il recupero-anni, alla guida del gruppo “Dimitroff”, il bulgaro segretario della Terza Internazionale accusato da Hitler di aver incendiato il Reichstag – il gruppo guidato da Strada si distingueva per la più cieca obbedienza e fedeltà a quel fior di democratico e di amante dei diritti civili che rispondeva al nome di Luca Cafiero, capo supremo di tutti i Servizi d’Ordine e poi divenuto deputato del PCI, candidato a Napoli, dove superò addirittura in fatto di preferenze l’on. Giorgio Napolitano. Ora Cafiero è ritornato a fare il docente universitario alla facoltà di Filosofia della Statale. Al comando generale e assoluto di Cafiero c’erano i gruppi “Stalin”, “Dimitroff” e tanti altri – ciascuno dei quali aveva uno o più sotto-capi -, ma era il “Lenin” di Gino Strada che si distingueva per la prontezza e la capacità di intervento laddove ce ne fosse stato bisogno.
In sostanza, ancora ben lontano dallo scoprire il suo attuale animo pacifista, Gino Strada era uno degli uomini di punta di quel Movimento dichiaratamente marxista-leninista-stalinista-maoista che aveva i suoi uomini guida in Mario Capanna, Salvatore “Turi” Toscano e Luca Cafiero. I milanesi, e non solo loro, ricordano benissimo quegli anni, e soprattutto quei sabati di violenza, di scontri, di disordini. Ma ora nessuno dice loro che ad accendere quelle scintille c’era anche l’odierno “predicatore” Gino Strada.
Solo che allora non aveva dimestichezza con le colombe bianche, le bandiere multicolori, il rispetto altrui, il ramoscello d’ulivo.
Ma era molto di più avvezzo ai seguenti segni identificativi: l’eskimo, il casco da combattimento, e l’obbligo di portare con sé, 24 ore su 24, le “caramelle”: cioè due sassi nelle tasche e soprattutto “la penna”, cioè la famosa Hazet 36 cromata, una chiave inglese d’acciaio lunga quasi mezzo metro nascosta sotto l’eskimo o nelle tasche del loden. Alla “penna” – si usava tale termine durante le telefonate per evitare problemi con le intercettazioni – si era arrivati partendo dalla “stagetta” (i manici di piccone che avevano il difetto di spezzarsi al contatto col cranio da colpire), dalle mazze con avvitato un bullone sulla sommità per fare più male, e dai tondini di ferro usati per armare il cemento, ma anch’essi non adatti poiché si piegavano. I katanghesi e il loro servizio d’ordine, Gino Strada in testa, erano arrivati a questa scelta finale in fatto di armamentario, su esplicita indicazione del loro collegio di difesa che allineava nomi oggi famosissimi come quello di Gaetano Pecorella, Marco Janni, Gigi Mariani, insieme ad altre decine di futuri principi del foro, mentre sul fronte dei “Magistrati Democratici” spiccava la figura di Edmondo Bruti Liberati.
Il “collegio di difesa” aveva dato istruzioni ben precise in caso di arresti e processi: “Negare sempre l’evidenza”, anche in caso di fotografie o filmati inequivocabili, definire come “strumento di lavoro” la scoperta eventuale della chiave inglese. Sarebbe stato difficile giustificare come tale un manico da piccone o un tondino di ferro, facilmente considerabili e catalogabili come “arma impropria”, mentre diventata più facile con la chiave inglese. “Dite che stavate andando a riparare il bagno della nonna o che vi serviva per sistemare l’auto di vostro padre”, poteva essere una delle indicazioni difensive consigliate in caso di bisogno.
“Pacifici ma mai pacifisti” era uno degli slogan ideati da Mario Capanna, ed è strano dunque che oggi Gino Strada si definisca proprio “pacifista”. Comunque – a parte la canzoncina ritmata con cui si caricavano prima degli scontri (kata-kata-katanga) – essi pronunciavano ad alta voce ben altri slogan di quelli di oggi e perseguivano ben altri obiettivi. E i loro avversari non erano solo i Tommaso Staiti sul fronte della destra, ma anche i “compagni” di Avanguardia Operaia (molti dei quali oggi sono esponenti dei Verdi), Lotta Continua (dei Sofri, Mario Deaglio, Gad Lerner, apprezzato radiocronista dai microfoni di Radio Popolare incaricato di dare le istruzioni in diretta sulle vie da evitare e sulle strade di fuga in cui fuggire) e Lotta Comunista (memorabile e indimenticabile uno scontro di inaudita violenza) e perfino coi primi gruppi di Comunione & Liberazione. Anche quelli di sinistra erano i “nemici” di Strada al pari di Tom Staiti e dei suoi. Non c’è bisogno di scomodare la memoria del prefetto Mazza e del suo famoso rapporto, la cui rispondenza alla verità venne riconosciuta solo molti anni dopo, per affermare che il servizio d’ordine del Movimento Studentesco era uno dei corpi più militarizzati, una autentica banda armata che incuteva terrore e seminava odio in quegli anni.
Si trattava di una autentica falange macedone di 300-500 persone, (Strada e Leghissa ne guidavano una cinquantina), che non arretravano di un millimetro nemmeno di fronte agli scudi della polizia in assetto da combattimento. Semmai, purtroppo avveniva talvolta il contrario. Unico aspetto positivo è che, a differenza di Lotta Continua, l’MS non ha prodotto successivi passaggi al terrorismo. Anche se bisognerebbe riaprire le pagine del delitto Franceschi alla Bocconi e sarebbe ora che la coscienza di qualcuno che conosce la verità finalmente si aprisse. Che si trattasse di un corpo militarizzato, in tutti i sensi, strumenti di violenza compresi, è fuor di dubbio. Così come è indubitabile la autentica ed elevata ferocia che caratterizzava quei gruppi che attaccavano deliberatamente la polizia come quando si trattò di arrivare alla Bocconi per conquistare il diritto dei lavoratori ad avere le aule per i loro corsi serali. E non possono certo essere le attuali conversioni dei Sergio Cusani, degli Alessandro Dalai, dei Gino Strada, degli Ugo Volli (considerato, senza ritegno alcuno, “l’erede di Umberto Eco”) o degli Ugo Vallardi (al vertice del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera) a far dimenticare quegli anni, quelle violenze, e quelle “squadre di propaganda” di cui faceva parte anche un certo Sergio Cofferati, in qualità di studente-lavoratore della Pirelli. Qualcuno, quando incrocia il dottor Gino Strada in qualche talk-show televisivo, vuole provare a ricordargli se ha qualche ricordo di quei giorni, di quegli scontri, di quelle spranghe, di quei ragazzi (poliziotti o studenti) rimasti sul selciato? Che bello sarebbe poterglielo chiedere al dottor Gino Strada se rinnega il suo passato e come si concilia col suo presente.
E poi, soprattutto: quale titolo ha costui per poter definire “delinquenti politici” gli altri? (qui)

Proseguo con questo mio post di cinque anni e mezzo fa.

UN ARTICOLO DI FRANCESCO MERLO

di 13 anni fa. Né il destinatario, né l’evento specifico sono attuali, ma il contesto generale è tuttora valido, e penso che valga la pena di rileggerlo.

Io credo che lei, gentile Gino Strada, sia certamente un chirurgo straordinario, innalzato su un piedistallo di nobiltà etica. Lo dico senza ironia, ma con sincera ammirazione. Ed è, anzi, proprio per questo che capisco quanto il signor Né-Né possa indurla in tentazione, o quanto lei stesso rischi di diventare un signor Né-Né, non più medico neutrale, non più nemico della sofferenza d’Occidente e d’Oriente, della ferita che non segue il corso del sole. Lei, insomma, da farmaco senza ideologia né patria, apolide come la penicillina, rischia di diventare uno dei tanti maestri di pensiero politico italiano, leader e simbolo partigiano che tra i pacifisti nidifica. Sarebbe davvero imperdonabile, una bruciante sconfitta per tutti noi, se alla fine anche lei più che un pacifista diventasse un paciere, di quelli che trattengono l’uno mentre l’altro lo picchia. Il signor Né-Né, lo ripeto per chiarezza, non è infatti un pacifista, anche se si accuccia proprio in quella passione per la pace che è la passione di tutti noi, anche la mia, una passione necessariamente sobria e mai gridata e che lei, invece, gentile e coraggioso chirurgo Gino Strada, qui, purtroppo, sbrodola. Voglio dire che si può legittimamente pensare che l’intervento militare contro Saddam sia un errore, senza diventare per questo un signor Né-Né. E ci si può battere, diplomaticamente e politicamente, perché si provi un’altra strada, ben sapendo che l’esilio volontario di un dittatore terrorista, come generosamente vorrebbe Pannella, è solo una trovata retorica e che neppure l’embargo è una strada indolore, visto che le spese le pagano soprattutto i deboli, i poveri, i vecchi e i bambini mentre i furbi, «le volpi», ben si accomodano nelle disgrazie, sempre travestiti da benefattori, da santi, da pacifisti. Si può persino mestamente rassegnarsi a Saddam, e sceglierlo come male minore, in attesa di prove più schiaccianti e di nuovi genocidi. L’importante, mio gentile e coraggioso chirurgo, è sapere che in guerra, nella guerra che ci è stata dichiarata l’11 settembre a New York, non è consentito stare né di qua né di là: o si sta con l’Occidente, con il suo petrolio e la sua democrazia, o si sta invece con Saddam, con il suo petrolio, il suo satrapismo e la sua dittatura etnocida e terrorista. Lei, dunque, gentile e coraggioso chirurgo, stia con chi le pare, ma non dica di non stare né né. La sua lettera poi è la prova di quanto l’intelligenza sia secca e netta, come le buone operazioni chirurgiche. La parola, quando è troppa, surroga la poca intelligenza dei fatti. E io temo che lei sia ricorso alla facondia, o meglio alla verbosità, per non impegnarsi appunto nell’intelligenza di quell’evento enorme: la guerra contro l’Occidente dichiarata dall’islamismo fanatico nell’attacco alle due torri e nell’eccidio di quei nostri fratelli, bianchi, neri, ispanici, e anche arabi, una guerra non solo al simbolo architettonico ma al cuore fisico di una civiltà, quella verticale, quella della tecnica che corre in cielo, quella della democrazia, la nostra civiltà che è impastata con le ragioni dell’Altro ed è fatta anche di chirurghi pacifisti che ci riempiono d’orgoglio proprio perché si volgono all’Altro, con la pietas laica che soccorre i corpi ben più della pietas religiosa, così attenta a confortare l’anima. La retorica, cui lei fa abbondante ricorso, è sempre un grido di malessere dell’intelligenza. Io per esempio mi sgomenterei alla vista delle mille sofferenze depositate negli ospedali, nei suoi encomiabili ospedali. Non avrei nessuna intelligenza adeguata a quelle piaghe e perciò potrei, certamente sbagliando, scrivere contro la chirurgia, che emotivamente e scioccamente detesto, e magari produrre sino al doppio di lamenti che lei ha scritto contro di me, sempre sotto forma di buoni sentimenti. Ecco, io temo, e lo dico con rispetto sincero, che proprio questo le sia accaduto. Si può infatti vedere Ground Zero e non capire. Addirittura, a volte, più si vede e meno si capisce. Ma eccoci tornati al punto: a noi è stata dichiarata la guerra. E in guerra, purtroppo per lei, per Rosy Bindi, e per me, non si può scegliere di non scegliere, non si può stare né di qua né di là, come si illusero di stare i pacifisti che nel 1939 gridavano nelle strade di Parigi di non volere morire per Danzica e poi caddero in posti sconosciuti per la difesa della Francia, dell’Europa e del mondo civile. Né ci si può commuovere per gli ebrei della Shoah e poi odiare gli ebrei di Israele, e bruciare le loro bandiere nelle strade d’Europa in sintonia con quanto avviene nelle strade dell’Islam. Pensi, ancora, a quelli che inventarono lo slogan, che tanto le piace, «né un soldo né un uomo», e che poi consegnarono alla destra, cioè al fascismo e al nazismo, le ragioni democratiche dell’interventismo coraggioso. La retorica delle buone intenzioni ha sempre dei profittatori, degli astuti signori Né-Né. Dove vuole che vadano i lupi e le volpi se non tra le colombe del coraggioso Gino Strada, e nei pollai?

Francesco Merlo

Credo che i destinatari, oggi, potrebbero essere molti, tra le folte file dei buoni di professione.

In cui è stato inserito questo interessante commento.

andrea c

dicembre 23, 2016

Una recente campagna per la raccolta fondi di Emergency recitava “In Italia 11 milioni di persone non hanno accesso alle cure. Italiani o stranieri per noi non fa differenza…” e il numero di telefono per donare tramite SMS.
Sono consapevole che il sistema sanitario nazionale ( per quanto sia tra i migliori sistemi sanitari al mondo) non sia perfetto, e specialmente in alcune regioni è possibilissimo che ci siano migliaia di persone che di fatto rimangono senza cure o con cure insufficienti. Ma 11 milioni di persone mi sembra un’enormità! Da dove le tirano fuori ste cifre?
Secondo statistiche ufficiali manco negli USA c’è una così alta percentuale di persone senza assistenza sanitaria.
Possibile che siamo messi così male?
Poi dicono di non fare differenza tra italiani e stranieri, ma se vai a vedere gli ambulatori Emergency in Italia sono tutti per migranti, con mediatori culturali e scritte in arabo. Ok, posso capire che i migranti, se non altro per limiti linguistici(per legge il sistema sanitario non fa discrimimazioni, anche un clandestino che si rivolge al pronto soccordo ha diritto di essere curato senza essere denunciato) hanno più bisogno di strutture a loro dedicate, con traduttori che capiscono anche l’arabo. Ma allora non raccontate la storiella che “italiani o stranieri non fa differenza”, ditelo chiaramente che impegnate soprattutto per gli stranieri.
Inoltre non fate passare il sistema sanitario italiano come una roba da terzo mondo, ditelo che il principale ostacolo che possono incontrare gli immigrati sbarcati da poco è l’incomprensione linguistica, altrimenti il nostro sistema sanitario non discrimina nessuno, non lascia senza cure essenziali neanche i clandestini!

Balle, montagne di balle, di nient’altro che questo era capace, il sordido individuo.
E quest’altro post ancora più vecchio, del 17 maggio 2007

E RIPARLIAMO DI GINO STRADA

Riporto integralmente una lettera pubblicata qualche giorno fa nel forum di Magdi Allam.

Fabrizio Celli da Forlì (voi non lo conoscete ha gli occhi belli…) ha centrato un argomento che ha suscitato anche in me molti sospetti. Per protesta contro il governo di Karzai (a suo dire, un Quisling di Bush) se n’è andato in Sudan, ad aprire un centro cardiochirurgico.
Niente da obiettare, se andasse in un paese disastrato come il Sudan a fare del bene. Però ci sono cose che, come non convincono il buon Fabrizio, non convincono neanche me.
Innanzitutto: Strada se ne è andato dall’Afghanistan perchè non riconosce Karzai: forse riconosce il governo sudanese, colpevole di almeno due genocidi (quello, dimenticato, dei musulmani neri in Darfur e l’altro, ancor più dimenticato, dei cristiani e degli animisti in Rumbek)?
Tanto più che all’aeroporto di Khartum, ad accoglierlo, c’erano le massime autorità sudanesi, ovvero i massacratori del Darfur e di tutto il Sud Sudan.
Ma proseguiamo. Leggo che l’ospedale verrà aperto a Khartum, quindi nella capitale. Non nel Darfur o nelle zone cristiane e animiste.
Non che abbia niente da ridire se Strada aiuta dei disgraziati. Solo che certe conti non mi tornano del tutto. Un uomo coerente dovrebbe andare sì in Sudan, ma non farsi ricevere dai generali islamisti dalle mani sporche di sangue. Dovrebbe invece prendere una posizione più netta a favore delle vittime di quei despoti. Despoti che, caro Strada, sono mille volte peggiori di Karzai.
Nel sud del Sudan invece operano meritoriamente i padri comboniani. Ricordo in particolare la titanica (e sconosciuta) figura di don Cesare Mazzolari, vescovo del Rumbek, che mai ha fatto sconti agli islamisti, che ha aperto scuole e ospedali che spesso il governo di Khartum ha demolito, che ha riscattato schiavi (tra cui uno che era pure stato crocifisso). Un santo vivente che non si fa la pubblicità che si fa strada.

E sul Corriere di oggi leggiamo che il San Raffaele si è dichiarato disponibile a gestire l’ospedale in Afghanistan abbandonato dal signor Strada, ma ad Emergency la cosa non piace neanche un po’: e che la cosa non è non solo auspicabile, ma neanche tollerabile, e che non ci sono garanzie, e che nessuno è bravo come loro, e che loro non sono d’accordo con la presenza militare in Afghanistan (ma non sono medici di guerra, loro? O che vogliono la guerra senza i militari?), e che loro questa cosa la sentono come se li si volesse escludere (escludere? Ma non erano stati loro ad andarsene?) e quindi niente, quelli del San Raffaele non li vogliono. E gli afgani, nel frattempo, con l’ospedale chiuso? Beh, che si fottano e crepino.

Imprescindibile questa lettera firmata dalla moglie.

Lettera di Emergency ad Ariel Sharon
«Non bloccate i soccorsi»
Il Presidente
Teresa Sarti

Signor Primo Ministro,
Emergency è un’associazione che presta soccorso alle vittime civili delle guerre.
Conosciamo la disumanità che accompagna qualsiasi guerra. Per questa diretta conoscenza siamo persuasi che le armi non siano idonee a produrre, in nessun caso, risultati positivi alla sicurezza delle persone e degli Stati, alla convivenza, alla comprensione e all’amicizia tra loro. Nella nostra azione, tuttavia, abbiamo sempre ottenuto dalle parti in conflitto il rispetto per l’attività di cura dei malati e dei feriti.
Abbiamo ottenuto che questa condizione fosse accordata e rispettata anche (…) in Afghanistan: sia prima dei bombardamenti dell’ottobre 2001, sia nelle fasi più accese dei combattimenti successivi. Questo disperato, ultimo residuo di umanità è a volte la sola traccia di speranza, una tenue possibile radice d’intesa e di riconciliazione.
Ci sconvolgono le notizie, sempre più frequenti, di vite umane distrutte dall’impossibilità di ricevere soccorso sanitario: un’impossibilità determinata dal Governo e dall’esercito dello Stato di Israele. Si trattengono malati e feriti ai posti di blocco, si distruggono ambulanze, si uccide personale impegnato in attività di cura. Un’incredibile disumanità nega l’esistenza anche a una vita al suo nascere. Si determina la morte di un neonato – il simbolo stesso dell’innocenza – in nome della sua appartenenza a un popolo. Questa violazione del più elementare tra i diritti dell’uomo suscita ancor più profondo turbamento perché i responsabili sono visti, nella coscienza e nella memoria del mondo civile, come vittime o eredi delle vittime delle più gravi violazioni contro i diritti dell’uomo, crimini contro l’umanità.
Nelle azioni del Suo Governo vediamo, Signor Primo Ministro, anche un’ingiuria alle sofferenze e alla storia del Suo popolo. (marzo 2002)

Difficile immaginare una cosa più immonda, più abominevole, più schifosamente razzista. E naturalmente per Arafat mai una critica, mai un richiamo, mai un sopracciglio alzato: chi ammazza gli ebrei ha sempre ragione.
Per  concludere la carrellata degli scritti altrui posto questo ricordo del dottor Marco Urago, riportato dall’amico Emanuel Segre Amar. Non è uno scritto accurato, ma date le circostanze penso si possa capire.

e va bene, visto che siete in tanti curiosi per l mio post su g.s., vi accontento. correva l’anno….. in cui mi sbattevo in Afghanistan cercando con amici e collaboratori di costruire un futuro per quel Paese. cercavamo di costruire due ospedali. la logica della Cooperazione è sempre stata quella di costruire posti e formare il personale sì da non dare del pesce ma imsegnare a pescare. li c’erano due ospedali di emergency a laskar g. e kabul. ottimo lavoro in entrambi i posti ma con nessun personale afghano nelle posizioni funzionali, solo francesi,italiani, danesi…… dall’italia, e sottolineo dall’Italia, GS sparava a zero sul presidente afgano: ladro, terrorista,narcotrafficante……. e dall e dall e dall che un giorno gli afgani gli fanno un biscotto. vengono trovate armi nell’ospedale e arrestati medici e infermieri italiani. parte un duro e dico duro confronto con americani tra la ns ambasciata i ns servizi e quelli americani afgani…… e quando dico dura dico davvero dura ero a kabul, sentivo urla, e …… vari. nel frattempo il ns. … dall’italia… e sottolineo dall’Italia… continuava a sparare a zero con dichiarazioni di fuoco mettendo in imbarazzo la ns. delegazione che necessitava di silenzio per lavorare sotto traccia….. lui, il solito pieno di sè, integralista,aggiungerei antisemita…. picchiava duro. viene rintracciato e gli si chiede silenzio stampa….. ma de che comincia a picchiare duro anche contro i ns servizi, pagati conniventi….. su militari e diplomatici meglio tacere… torno ad herat…mi convoca il governatore e mi dice….. dr. urago lo sa che voci mi dicono che ci potrebbe essere droga nei vs ospedali?… lo guardo, sorrido….e gli faccio …come all’ospedale di laskar gar?…. lui sorride e mi dice. so di che pasta lei è fatto non si preoccupi continui a lavorare tranquillo, ma s potesse dire a quello… di stare un po’ zitto…. lo comunico a chi di competenza. passa qualche settimana e liberano finalmente i ns concittadini. l’ambasciata chiede al ns. se vogliono tornare con aereo di stato… ok va bene si organizza il transfer in gran silenzio. d’un tratto arriva il niet dall’italia e se ne vanno via terra per i cazzi loro. figura di m… galattica con gli afgani.. e gli americani. dichiarazioni al veleno dall’italia…. salvati gli italiani grazie al ns coraggio si sono tutti messi paura… siamo forti e non abbiamo bisogno di nessuno….. pezzo di merda…… e tutti quelli che si sono spaccati il culo… in silenzio con grande professionalità?…. ma vaffanculo .. sommessamente… oggi è una giornata particolare

Concludo con qualche ricordo personale. Per esempio GS che rifiuta una donazione per Emergency da parte dell’Italia perché il governo guidato da Berlusconi ha aderito alla guerra in Iraq, cosa che potrebbe anche essere un atto nobile se i soldi fossero stati destinati a lui, ma quei soldi erano destinati a curare i poveri della Terra, a cui racconta di avere dedicato la vita: è a loro che li ha sottratti, rifiutandoli. GS che racconta che quando l’Inter gioca qualche partita importante, ovunque si trovi lui prende l’aereo per andarla a vedere (con quali soldi? Sottratti a quale progetto? E nel frattempo chi si occupa dei poveri della Terra a cui ha dedicato la vita?). GS che pontifica in televisione invocando, da bravo pacifista, la guerra santa contro gli Stati Uniti (e nel frattempo chi si occupa del poveri della Terra a cui ha dedicato la vita?). GS che partecipa alle marce per la pace, quelle con vetrine infrante e cassonetti bruciati e auto distrutte, per dimostrare quanto lui ami la pace (e nel frattempo chi si occupa del poveri della Terra a cui ha dedicato la vita?). E poi GS culo e camicia coi terroristi in generale e coi talebani in particolare, GS che afferma che se solo avesse abbastanza soldi comprerebbe lui una nave e andrebbe di persona a raccattare tutti i cosiddetti naufraghi in giro per il Mediterraneo e li porterebbe tutti in Italia, GS che sceglie con cura chi curare e chi no, GS in televisione che sbraita con una ferocia e un’aggressività senza pari. Brutta brutta brutta persona davvero. Poi se vi restano ancora due grammi di pazienza leggete anche questo, e magari andate a ripescare la brutta storiaccia di Mastrogiacomo.
Con Strada ho finito, andate in pace.

barbara

MIGRANTI: LA PAROLA A CHI SA

Il traffico di umani dall’Africa, le mafie e la complicità dei razzisti

Il traffico di esseri umani nel mondo frutta 150 miliardi di dollari alle mafie, di cui 100 miliardi vengono dalla tratta degli africani. Ogni donna trafficata frutta alla mafia nigeriana 60 mila euro. Trafficandone 100mila in Italia, la mafia muove un giro di 600 milioni di euro all’anno. Nessun africano verrebbe di sua volontà, se sapesse la verità su cosa lo attende in Europa.
Non mi infilo nell’eterna guerra civile italiana basata su fazioni e non contenuti, ma da afrodiscendente italiano e immigrato ora negli Stati Uniti credo sia arrivato il momento di parlare e trattare l’immigrazione o meglio la mobilità come un problema e fenomeno strutturale che ha vari livelli e non come uno strumento per fare politica o da trascinarsi come i figli contesi di due genitori che li usano per il loro divorzio come arma di ricatto.
Secondo stime dell’ONU, ogni anno sono trafficati milioni di esseri umani con una stima di guadagno delle mafie di 150 miliardi di dollari di fatturato ripeto 150 MILIARDI. (le allego la news di AlJaazera non de Il Giornale o il Fatto Quotidiano). Io non so se lei ha mai vissuto o lavorato nell’Africa vera e che Africani conosce in Italia o se da giornalista si informa su testate anche non italiane, ma il traffico di esseri umani con annessi accessori vari (bambini, organi, prostituzione) non è un fenomeno che riguarda solo l’Italietta dei porti sì o porti no, ma è un fenomeno globale che fattura alle mafie africane, asiatiche, messicane, 100 – e ripeto 100 – Miliardi di dollari all’anno.
Questi soldi poi non vengono certo redistribuiti alla popolazione povera di questi paesi, ma usati per soggiogarla ancora di più con angherie di ogni genere, destabilizzarne i già precari equilibri politici, reinvestirli in droga e armi.
Si è mai chiesto perché, a parità di condizioni di povertà e credenza che l’Europa sia una bengodi, quelli che arrivano da Mozambico, Angola, Kenya sono pochissimi, o quelli che arrivano dal Ghana (il Ghana che è il mio Paese d’origine ha una crescita del PIL del 7% e una situazione di assenza di guerre e persecuzioni) provano a venire? Perché esiste una cosa chiamata Mafia Nigeriana, che pubblicizza nei villaggi che per 300 euro in 4 settimane è possibile venire in Italia e da lì se vogliono andare in altri Paesi Europei. Salvo poi fregarli appena salgono su un furgone aumentandogli all’improvviso la fee di altri 1000 $, la quale aumenta di nuovo quando arrivano in Libia dove gliene chiedono altri 1000$ per la traversata finale. Il tutto non in 4 settimane come promettono, ma con un tempo di attesa medio di un anno.
In tutto questo ci aggiungo minori che vengono affidate a donne che non sono le loro veri madri, che poi spariranno una volta sistemate le cose in Europa e di centinaia di donne che saranno invece dirottare a fare le prostitute ognuna delle quale vale 60 mila euro d’incasso per la mafia stessa. Solo trafficandone 100.000 verso l’Italia la mafia nigeriana muove un giro di affari di 600 milioni di euro all’anno.
A questo si somma quello che perde l’Africa: risorse giovani. Ho conosciuto ghanesi che hanno venduto il taxi o le proprie piccole mandrie per venire in Europa e ritrovarsi su una strada a elemosinare o a guadagnare 3 euro all’ora, se gli va bene, trattati come bestie e che non riescono neanche a mettere ovviamente da parte un capitale come era nei loro progetti. E anche se desiderano tornare non lo faranno mai per la vergogna perché non saprebbero cosa dire al villaggio, non saprebbero come giustificare quei soldi spesi per arrivare in Europa, anzi alimentano altre partenze facendosi selfies su facebook, che tutto va bene per non dire la verità per vergogna e quindi altri giovani (diciottenni, non scolarizzati ) cercano di venire qui perché pensano che sia facile arricchirsi.
Che senso ha sostenere che questo traffico di “schiavi” e questa truffa criminale della mafia nigeriana, come quelle asiatiche in Asia, deve continuare?
A chi fa bene? Non fa bene al continente africano, non fa bene al singolo africano arrivato qui, perché al 90 per cento entra in clandestinità e comunque non troverà mai un lavoro dignitoso; non fa bene all’Italia che non ha le risorse economiche e culturali per gestire e sostanzialmente mantenere tante persone che non possano contribuire specialmente in un Paese dove il 40% dei coetanei di questi giovani africani è già senza un lavoro; e non fa bene neanche all’immagine che l’europeo ha dell’Africano perché lo vede sempre come una vittima, un povero, un soggetto debole.
Questo da africano, ma anche essere umano, è l’atteggiamento più razzista che ci sia oltre che colonialista perché non aiuta nessuno, se non le mafie e chi lavora in buona o malafede in tutto questo indotto legato alla prima assistenza.
Con 5 mila dollari è più facile aprire una piccola attività in molti Paesi dell’Africa che venire qui a mendicare e se solo fosse veramente chiaro e divulgato questo concetto il 90 per cento delle persone non partirebbe più probabilmente neanche in aereo per l’Italia.
Specialmente chi ha forse la quinta elementare e 20 anni. Non è lo stesso tipo d’immigrazione di 30 anni fa dove molti erano anche 30enni, alcuni laureati, ma molti con diploma superiore e comunque trovavano lavori nelle fabbriche e in situazioni dignitose.
Non conosco la situazione delle ONG che si occupano dell’assistenza marittima, ma conosco benissimo quelle che operano in Africa di cui la maggioranza sono solo un sistema parassitario. Per i maggiori pensatori Africani e veri leader politici una delle prime cose da fare è proprio cacciare dall’Africa tutte le ONG, perché seppure il personale che ci lavora sono in buonafede, i giovani volontari, il sistema ONG serve a controllare e destabilizzare l’Africa da sempre, oltre che creare sudditanza all’assistenza, senza contare il giro finanziario di donazioni e sprechi fatti dalle ONG per mantenere dirigenti sfruttando l’immagine del povero bambino africano.
Basta con questo modo di pensare controproducente, razzista, e ignorante. Sarebbe curioso vedere qualcuna di queste ONG fare iniziative a Scampia mettendo nelle pubblicità le foto di qualche bambino napoletano.
Siamo stanchi di questa strumentalizzazione che fate su questo tema per i vostri motivi ideologici o le vostre battaglie fascisti o antifascisti sulla pelle di un continente di cui conoscete poco o che avete romanticizzato e idealizzato e che usate per mettere a posto la vostra coscienza o lenire i sensi di colpa del vostro status privilegiato. E’ ora di fare analisi serie e porre in campo soluzioni concrete vincenti, non di avvelenare i pozzi di un partito o dell’altro, perché chiunque vinca perde l’Africa.
Sarebbe bello un reportage di Edo State in qualche villaggio per capire a che livello di furbizia, cattiveria, fantasia criminale sono arrivati e scoprirete che forse solo trasportare e illudere un giovane analfabeta di vent’anni e la sua famiglia è il minimo che questa potentissima e sottostimata organizzazione criminale fa ogni giorno, sfruttando la disperazione e ignoranza delle gente di cui alcuni disposti a tutto, persino a vendere un figlio appena nato per 100 dollari.
Se questo verrà tollerato ancora i rischi non saranno solo per l’Italia, ma anche per i Paesi Africani dove oltre al problema di dittatori si aggiungerà quello di Narcos al livello della Colombia di Escobar o il Messico di El Chapo con ancora più morti e sottosviluppo di quello che già c’è.

di Fred Kuwornu (qui)

E poi c’è Gino Strada, che i “migranti” li raccatterebbe su tutti, li porterebbe tutti in Italia, subito, di corsa, ma…

È sobbalzato sulla sedia, il giornalista Toni Capuozzo, quando l’altra sera, ospite a In onda su La7 con Gino Strada, ascoltava il fondatore di Emergency raccontare perché la sua organizzazione non sia più presente nel Mediterraneo a soccorrere i migranti.
Salvini non c’entra, anzi «se potessimo saremmo in mare domani mattina e li porteremmo nei porti italiani». Il punto è che «non abbiamo i soldi per farlo – ha spiegato Strada -. Noi lavoravamo su una barca che era di proprietà di Moas, contribuivamo con il nostro personale sanitario che pagavamo noi: delle spese logistiche noi pagavamo 150mila euro al mese. Dopodiché – ha svelato – ci hanno chiesto di dare di più, 180mila o 230mila, noi abbiamo discusso tra di noi e abbiamo accettato. Poi ci hanno detto: vogliamo che sbarchiate domani perché la Croce Rossa ci dà 400mila euro e noi che dovevamo fare? È come quando il padrone di casa ti dà lo sfratto».

Siete scettici? Fake news? Manipolazione? Frasi estrapolate dal contesto? Allora ascoltatele dalla viva voce di Strada in persona:

La Croce Rossa, già. Quella che a Theresienstadt ha trovato tutto regolare, quella che ad Auschwitz, nella persona di Maurice Rossel intervistato da Claude Lanzmann, non solo non vede camere a gas e forni crematori, cosa che possiamo anche immaginare senza troppa difficoltà, ma non vede neanche i treni, non vede i camini, non vede il fumo, non sente l’odore delle tonnellate di carne umana bruciata (“Le baracche militari o cose simili hanno sempre un cattivo odore. Ma se mi parla di odore di carne bruciata, di cose di questo tipo, altri le hanno sentite o viste, io non ho visto nulla”) qui, se il Cannocchiale funziona. Quella che, dopo avere accettato come simbolo riconosciuto la mezzaluna rossa, alla proposta di accettare anche la stella di David rossa ha risposto: “ E perché non anche la svastica allora, già che ci siamo!” Quella, ora anche in combutta coi trafficanti di carne umana.
Chiudo con una nota ottimistica che ci viene da un signore che immagino sia di sinistra, che ci fa sperare che non tutti siano accecati dall’odio antisalviniano.
susic
barbara

I SESSI DI VOCE

“e molte/i altre/i voci del mondo della cultura italiano”

Perché, come tutti sappiamo, c’è una voce femmina e un voce maschio (ma di un maschio signora mia, ma di un virile, ma di un maschione, ma una roba che guardi, non mi ci faccia neanche pensare che se no…), e giustamente ad entrambi i sessi vocesi, vocili, vociani, insomma quelli, viene data la giusta attenzione. Questo gioiello, talmente gioielloso che il Koh-i-Noor
koh-i-noor
se lo vede si va a nascondere dalla vergogna, si trova qui. Si tratta dell’appello del grande nonché geniale attore regista musicista pacifista intellettuale eccetera eccetera Moni Ovadia, grandissimo amico di Gino Strada, a sua volta grandissimo amico di un tot di terroristi, e chissà se varrà quella famosa proprietà transitiva che io non mi voglio sbilanciare per carità ma insomma vedete un po’ voi, l’appello, dicevo, per Potere al popolo, il nuovo partito di estrema sinistra più a sinistra dell’ultima estrema sinistra conosciuta che era molto più a sinistra dell’ultima estrema sinistra precedente, il cui modello ideale, come spiega la sua leader Viola Carofalo – e ditemi voi se potete immaginare una faccia più da sfigata di questa
Viola Carofalo
è il Venezuela. Nell’articolo è possibile leggere anche le numerose firme fin qui giunte, che riportano fra parentesi le professioni dei firmatari: beh, ammazzatemi se fra tutti questi appassionati di potere al popolo trovate un operaio, un contadino, una commessa, una donna di servizio, un fabbro, un venditore ambulante, un postino, un pizzaiolo… In compenso, gioielli nel gioiello, troviamo, fra le varie professioni – giornalista, attore, ricercatore, regista, docente universitario, oncologo… – una strepitosa “Adriana Maestrelli (antifascista)” e una “Angela Sajeva (attrice, narratrice, femminista)”, che se poi qualcuno mi spiega che mestiere è la narratrice mi fa un favore, grazie. Da segnalare infine l’unico, almeno finora, commento sotto l’articolo dell’appello:

Tommaso Granata
09 febbraio 2018 – 16:22
compagni, l’emancipazione esige distruzione

che mi sembra la migliore illustrazione di questo nuovo che avanza, anzi, che è avanzato e nessuno ha ancora provveduto a spedirlo nella pattumiera.

barbara

IL SIGNOR EMERGENCY SÌ CHE È BRAVO!

costi-emergency
Interessante, ma prima di sentenziare è necessario far capire ai common la differenza tra costo e tariffa. Mi piacerebbe inoltre capire come emergency calcola i costi fissi e variabili della SVA o della SVM, visto che solo la valvola costa circa duemila euri.
Da ultimo il solone equoesolidale si dimentica del fatto che la tariffa copre i costi dell’intero ricovero, secondo gli standard di accreditamento italiani, ivi compresa la permanenza in terapia intensiva cardiochirurgica.
Ma quante sostituzioni valvolari fa Emergency? Con quali protesi e secondo quali standard organizzativi e logistici?
Che tipo di politiche adotta per il contenimento dei costi? Me lo insegni, per favore!

(Source: soldan56)

D’altra parte sappiamo bene chi è il signor Gino Strada, catanghese in gioventù e culo e camicia coi terroristi in vecchiaia, con le letterine firmate dalla moglie che accusava Israele di assassinare deliberatamente i neonati palestinesi per ragioni razziali – e non un solo “a” ad Arafat e al suo terrorismo con diffusione planetaria. Sappiamo, oh se lo sappiamo.

barbara

UN ARTICOLO DI FRANCESCO MERLO

di 13 anni fa. Né il destinatario, né l’evento specifico sono attuali, ma il contesto generale è tuttora valido, e penso che valga la pena di rileggerlo.

Io credo che lei, gentile Gino Strada, sia certamente un chirurgo straordinario, innalzato su un piedistallo di nobiltà etica. Lo dico senza ironia, ma con sincera ammirazione. Ed è, anzi, proprio per questo che capisco quanto il signor Né-Né possa indurla in tentazione, o quanto lei stesso rischi di diventare un signor Né-Né, non più medico neutrale, non più nemico della sofferenza d’Occidente e d’Oriente, della ferita che non segue il corso del sole. Lei, insomma, da farmaco senza ideologia né patria, apolide come la penicillina, rischia di diventare uno dei tanti maestri di pensiero politico italiano, leader e simbolo partigiano che tra i pacifisti nidifica. Sarebbe davvero imperdonabile, una bruciante sconfitta per tutti noi, se alla fine anche lei più che un pacifista diventasse un paciere, di quelli che trattengono l’uno mentre l’altro lo picchia. Il signor Né-Né, lo ripeto per chiarezza, non è infatti un pacifista, anche se si accuccia proprio in quella passione per la pace che è la passione di tutti noi, anche la mia, una passione necessariamente sobria e mai gridata e che lei, invece, gentile e coraggioso chirurgo Gino Strada, qui, purtroppo, sbrodola. Voglio dire che si può legittimamente pensare che l’intervento militare contro Saddam sia un errore, senza diventare per questo un signor Né-Né. E ci si può battere, diplomaticamente e politicamente, perché si provi un’altra strada, ben sapendo che l’esilio volontario di un dittatore terrorista, come generosamente vorrebbe Pannella, è solo una trovata retorica e che neppure l’embargo è una strada indolore, visto che le spese le pagano soprattutto i deboli, i poveri, i vecchi e i bambini mentre i furbi, «le volpi», ben si accomodano nelle disgrazie, sempre travestiti da benefattori, da santi, da pacifisti. Si può persino mestamente rassegnarsi a Saddam, e sceglierlo come male minore, in attesa di prove più schiaccianti e di nuovi genocidi. L’importante, mio gentile e coraggioso chirurgo, è sapere che in guerra, nella guerra che ci è stata dichiarata l’11 settembre a New York, non è consentito stare né di qua né di là: o si sta con l’Occidente, con il suo petrolio e la sua democrazia, o si sta invece con Saddam, con il suo petrolio, il suo satrapismo e la sua dittatura etnocida e terrorista. Lei, dunque, gentile e coraggioso chirurgo, stia con chi le pare, ma non dica di non stare né né. La sua lettera poi è la prova di quanto l’intelligenza sia secca e netta, come le buone operazioni chirurgiche. La parola, quando è troppa, surroga la poca intelligenza dei fatti. E io temo che lei sia ricorso alla facondia, o meglio alla verbosità, per non impegnarsi appunto nell’intelligenza di quell’evento enorme: la guerra contro l’Occidente dichiarata dall’islamismo fanatico nell’attacco alle due torri e nell’eccidio di quei nostri fratelli, bianchi, neri, ispanici, e anche arabi, una guerra non solo al simbolo architettonico ma al cuore fisico di una civiltà, quella verticale, quella della tecnica che corre in cielo, quella della democrazia, la nostra civiltà che è impastata con le ragioni dell’Altro ed è fatta anche di chirurghi pacifisti che ci riempiono d’orgoglio proprio perché si volgono all’Altro, con la pietas laica che soccorre i corpi ben più della pietas religiosa, così attenta a confortare l’anima. La retorica, cui lei fa abbondante ricorso, è sempre un grido di malessere dell’intelligenza. Io per esempio mi sgomenterei alla vista delle mille sofferenze depositate negli ospedali, nei suoi encomiabili ospedali. Non avrei nessuna intelligenza adeguata a quelle piaghe e perciò potrei, certamente sbagliando, scrivere contro la chirurgia, che emotivamente e scioccamente detesto, e magari produrre sino al doppio di lamenti che lei ha scritto contro di me, sempre sotto forma di buoni sentimenti. Ecco, io temo, e lo dico con rispetto sincero, che proprio questo le sia accaduto. Si può infatti vedere Ground Zero e non capire. Addirittura, a volte, più si vede e meno si capisce. Ma eccoci tornati al punto: a noi è stata dichiarata la guerra. E in guerra, purtroppo per lei, per Rosy Bindi, e per me, non si può scegliere di non scegliere, non si può stare né di qua né di là, come si illusero di stare i pacifisti che nel 1939 gridavano nelle strade di Parigi di non volere morire per Danzica e poi caddero in posti sconosciuti per la difesa della Francia, dell’Europa e del mondo civile. Né ci si può commuovere per gli ebrei della Shoah e poi odiare gli ebrei di Israele, e bruciare le loro bandiere nelle strade d’Europa in sintonia con quanto avviene nelle strade dell’Islam. Pensi, ancora, a quelli che inventarono lo slogan, che tanto le piace, «né un soldo né un uomo», e che poi consegnarono alla destra, cioè al fascismo e al nazismo, le ragioni democratiche dell’interventismo coraggioso. La retorica delle buone intenzioni ha sempre dei profittatori, degli astuti signori Né-Né. Dove vuole che vadano i lupi e le volpi se non tra le colombe del coraggioso Gino Strada, e nei pollai?
Francesco Merlo

Credo che i destinatari, oggi, potrebbero essere molti, tra le folte file dei buoni di professione.

barbara

INCOMPATIBILITÀ

Dice che votare Brunetta non si può, perché è esteticamente incompatibile con una città di straordinaria bellezza quale Venezia. Il che, effettivamente, ci può anche stare. Non come ragionamento politico, beninteso, anche perché detta così farebbe intendere che oltre a quelle estetiche non ci sia nessun altro tipo di riserve su Renato Brunetta. Ma se vogliamo metterla sul piano estetico, si deve obiettivamente riconoscere che sotto questo aspetto Brunetta non è il massimo. Ma che a sindacare sull’estetica altrui sia un simile ceffo
strada
che, oltre ad essere fiancheggiatore di terroristi e di ogni sorta di delinquenti, quanto ad estetica può far sembrare carino Brunetta e quasi passabile Berlusconi e che – altro che Venezia! – sarebbe incompatibile con una qualsiasi baraccopoli, è veramente ma veramente il colmo!

barbara