ANNUS MEMORABILIS

pieno
netta
Per il prossimo due parole di spiegazione per i non addetti ai lavori: vita in ebraico si dice chai; il valore numerico della parola chai è 18.
20 chai
E infine questa cosa qui, che ancora non sappiamo di sicuro se sia vera, ma potrebbe esserlo – e conoscendo i nostri polli possiamo anche ritenerla ampiamente verosimile.

Michael Sfaradi
Se le voci di corridoio, che in queste ore si stanno facendo sempre più insistenti, dovessero risultare vere ci sarebbe un terremoto politico in tutta l’Unione Europea.
Sembra che tra i documenti trafugati dal MOSSAD a Teheran ci siano delle prove che confermerebbero TANGENTI a politici occidentali per approvare l’accordo nucleare.
RIPETO SI TRATTA DI VOCI DI CORRIDOIO ANCORA NON CONFERMATE.

barbara

CARTOLINE DA ISRAELE

CARTOLINA 1 DAL NEGEV «Alla mattina mi sveglio e vedo alberi, come in Svizzera e in Scandinavia: li abbiamo piantati noi, uno per uno». David Ben Gurion riposa in eterno accanto alla moglie Paula su uno sperone affacciato all’oasi di Ein Avdat, un profondo avvallamento nell’immane scenario del Negev. Siamo all’estremo limite del kibbutz di Sde Boker dove il padre di Israele – l’uomo che il 14 maggio 1948 diede al suo popolo la nuova terra promessa – aveva scelto di trascorrere gli ultimi anni contemplando il sogno realizzato: un deserto che fiorisce e si colora di verde grazie al lavoro dell’uomo. Proprio lì, a Midreshet Ben Gurion, hanno scelto di vivere anche Shirly Rimon, maggiore dell’aereonautica militare, responsabile del museo di Be’er Sheva, con i suoi figli. Li incontriamo sul ciglio della strada per Eilat e ci consegnano una memorabile cartolina di questo storica tre giorni del Giro. Qui non ci sono le grandi folle che ci hanno accompagnato sinora. Quattro anime solitarie nella pietraia. Sotto l’occhio vigile della madre e della figlia Rony, avvolta in una bandiera israeliana, Edo e Smir scalpitano sui sandali in attesa dei corridori: sul petto, con un pennello rosa, hanno tatuato «I love Giro». E «love» è un cuore all’altezza del cuore.
I love giro
«Siete venuti qui a vedere chi siamo, a portarci uno spettacolo e una gioia che non scorderemo mai. Grazie Italia!», scandisce Shirly. Nel suo sorriso, l’alfa e l’omega di questo viaggio rosa.

CARTOLINA 2 DA GERUSALEMME Partenza e arrivo dalla porta di Giaffa, via d’ingresso alla città vecchia, il fazzoletto di terra che racchiude i luoghi santi delle tre grandi religioni. E, insieme, quasi tutte le passioni e le contraddizioni del mondo in cui viviamo. A quelli che hanno chiesto che cosa ci andavamo a fare, a quelli che hanno cercato e cercheranno di buttarla in politica, risponde la parola più gettonata tra gli spettatori che invadono le strade: «Shalom». Che in ebraico è un saluto, ma vuol pur sempre dire «pace». Lo sport ha saputo pedalare con levità su strade intrise di storia e di dolori in nome di un valore che va oltre le barriere. Alla presentazione delle squadre, nella piazza del municipio intasata di gente entusiasta, l’applauso più intenso è andato, insieme con la Israel Cycling Academy, a due formazioni sponsorizzate dagli arabi: Bahrain-Merida e Uae-Team Emirates. Che cosa cambia un battito di mani nel mare dell’odio? Molto per chi lo vuole sentire.

CARTOLINA 3 DALL’ALTA GALILEA Lo Zoncolan d’Israele è una collina aspra e coperta di abeti, un angolo di Dolomiti incastonato tra Haifa e Tel Aviv. Sul Monte Carmel, luogo mistico di immenso fascino, abitava il profeta Elia, è nato l’ordine dei Carmelitani e i primi coloni d’Israele hanno imparato a vinificare sulle terre acquistate dai Rothschild. Il Giro d’Italia c’è passato facendosi largo tra due ali di folla. Mancavano gli alpini e il tasso alcolico ne ha risentito, ma il tifo ha riportato i più esperti girini al Veneto e al Friuli. Per la cronaca, ha vinto Viviani che di nome fa Elia. Come il profeta.

CARTOLINA 4 DA TEL AVIV A proposito di Viviani: una delle fortune riservate al direttore della Gazzetta è quella, ogni tanto, di vedere le cose dal palco. E qui l’immagine è doppiamente indimenticabile. Elia che sale sul palco tenendo per mano il piccolo Giacomo, uno dei due gemelli di Michele Scarponi, un po’ intimorito dall’ovazione e dalla commozione generale.
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Davanti a lui, una folla compatta e urlante occupa uno spiazzo lungo almeno 400 metri e largo 100. Non abbiamo perso tempo a contarli. Erano tanti, tantissimi. Legati da un magico filo rosa. Domani, dalla Sicilia, è un altro giorno. E altre immagini troveranno posto nella storia del ciclismo. Ma questa parte dell’album è preziosa come la scena di un matrimonio ben riuscito. Shalom, vecchio Giro. E altri cento di questi azzardi.

Andrea Monti, La Gazzetta dello Sport, 7 maggio 2018

Ogni tanto c’è, fortunatamente, qualcuno che, quando guarda, è capace anche di vedere. E sentire. E capire. E amare. Grazie Andrea!

barbara

E PRIMA DI CAMBIARE DISCORSO

Impossibile non dare la parola al mitico, imprescindibile Andrea Marcenaro.

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Siamo fieri del Giro d’Italia filosemita

Ci piace da morire che le biciclette partano quest’anno da Israele

Ancora è in corso la pressione palestinista, così detta per dire di una complessa comunità araba la quale resta una via di mezzo tra ex giordani e non so, sui confini israeliani di Gaza. E l’altro giorno Abu Mazen, che sarebbe poi una via di mezzo tra un Arafat e un Fantozzi coi miliardi, ha scelto di indossare il vestito del primo, vale a dire di una via di mezzo tra Himmler e Nasser, per estrarre dalla kefiah una sua personale riedizione del Protocollo dei Savi di Sion, pubblicazione che rappresenta in maniera esemplare una via di mezzo tra la mascalzonata e l’orrore. Cioè: se la sono cercata, gli ebrei, Hitler coi forni glie l’ha fatta solo trovare. Bon. Prima in quanto europei, poi come italiani, siamo evidentemente orgogliosi di essere rappresentati in tutto ciò dalla commissaria Mogherini la quale, via di mezzo tra il nulla e il magico incrocio tra Obama e D’Alema, non pronuncia parola se non sente Teheran. Siamo fieri della mamozza nostra, in sintonia con l’Europa, epperò, lei ci perdonerà, restiamo filosemiti inguaribili. Fuori moda, in altri termini, povere vie di mezzo tra tradizioni e tendenze. Ci piace da morire, facciamola breve, che le biciclette del Giro d’Italia partano quest’anno da Israele. Prima tappa Gerusalemme, sede naturale delle prossime ambasciate, perciò a cronometro. Seconda in volata, sul lungomare di Tel Aviv, dove i bar sulla spiaggia fanno dei Negroni che levati. Terza a Eilat, 229 chilometri verso il Mar rosso tagliando il Negev. Siamo tutti una via di mezzo, questo è innegabile: tre tappe, poi di nuovo l’Italia. A pedalare. Dio quanto ci piace, però, che anche in Israele siano tappe di sola andata e il diritto al ritorno se lo pigli nel culo.
Andrea Marcenaro, il Foglio, 4 maggio 2018

E niente, quest’uomo si può solo adorare.

barbara