ALLA FINE È ARRIVATA

la prima caduta in bicicletta, ma non è stata colpa mia. È perché c’era lo stop e passava una macchina e quindi mi dovevo fermare e per essere più comoda volevo mettere il piede sul marciapiede e nel momento preciso in cui lo stavo per posare quel figlio di puttana si è spostato di due centimetri e così il piede ha trovato il vuoto e sono caduta e mi sono tutta ammaccata. Decisamente i gradini mi portano sfiga, per non parlare di quello precedente con cui mi sono spaccata tutte e due le zampe e ho fatto due mesi in sedia a rotelle e un intero anno prima di poter tornare a camminare quasi normalmente. Eccheppalle, gente! Più che altro mi dispiace che adesso per un po’ non potrò più fare questa cosa qui, che fino a qualche ora fa mi riusciva tanto bene!

barbara

IO (11/8)

Concedetemi una botta di protagonismo

E per cominciare in modo logico la botta di protagonismo, parto con la sala delle botti alla cantina del Golan,
botti-golan
naturalmente sempre col foulard sulle spalle per via del freddo polare che tocca patire in qualunque spazio interno da queste parti.
Poi c’è questa ai piedi del monte Sodoma,
monte-sodoma
di cui ancora non vi ho parlato, ma ve ne parlerò, perché c’è un bel po’ di cose da dire e di immagini da vedere (in realtà ne ho già parlato in altra occasione, ma su tutt’altro aspetto).
E come quelli ballavano sul Titanic che affondava, qui vedete l’incosciente che sorride sull’orlo dell’abisso, sopra Maktesh Gadol,
maktesh-gadol-2
mentre sul fondo, precedentemente, si era comodamente adagiata all’ombra.
maktesh-gadol-1
Qui sono su uno dei sentieri che collegano le varie cave a campana
cave-campana
– e anche la gonna giustamente a campana – vicino a quello che avevo indicato come un cappero e invece poi sono stata severamente bacchettata sulle dita perché col cappero che era un cappero.
E qui a Wadi Kelt,
wadi-kelt
nello spazio in cui i turisti si fermano per ricevere spiegazioni dalle guide, scattare foto, e resistere eroicamente ai tampinamenti dei venditori arabi che ad ogni auto o autobus che si ferma si precipitano fulmineamente sui malcapitati assediandoli con ogni sorta di cianfrusaglie da vendere e seguendoli poi accanitamente in ogni spostamento.
Per le foto di Gerusalemme occorre qualche spiegazione preliminare. La città vecchia – chi la conosce lo sa bene – è sostanzialmente fatta di scale. Per spostarsi lì dentro bisogna fare scale, tante scale, centinaia e centinaia di gradini, credi di avere finito e c’è un’altra rampa, pensi che sia l’ultima e invece no, non finisce mai. A parte il fatto che fare scale mi era stato severamente vietato dal fisiatra, c’era l’immane fatica del muoversi in quel modo per ore da parte di una persona reduce da tre mesi di quasi immobilità più tre settimane di mobilità estremamente ridotta. Questa è la ragione della mia faccia sfinita, pressoché catatonica, qui presso uno degli infiniti banchi della città vecchia,
jerush-1
e qui coi due poliziotti che impediscono il passaggio a uno degli ingressi al Monte del Tempio
jerush-2
– ah no, scusate, alla spianata delle moschee, quella che è islamica fin dalla creazione del mondo e sulla quale il profeta musulmano Issa a dodici anni disputava con gli imam nella moschea, stupendoli con la propria sapienza, mentre più avanti ne avrebbe cacciato cambiavalute e venditori di colombe che avevano la deplorevole abitudine di condurre i propri affari dentro la moschea. Quella. Poi poco dopo è intervenuto il cuore a informarmi che ero arrivata al limite e dovevo fermarmi immediatamente. Per fortuna i segnali di allarme li so riconoscere, e a quelli obbedisco – a prescrizioni e divieti dei medici non sempre, soprattutto se titolari di un culo brutto, ma a quelli del mio corpo sì – e mi sono fermata all’istante. Ho avuto la fortuna che proprio nel punto in cui mi sono fermata c’era un muretto basso, e mi ci sono stesa. Ho avuto l’altra fortuna che nel gruppo c’era un medico, che ha provveduto a mettermi uno zaino sotto la testa e due sotto le gambe, e dopo un po’ mi sono ripresa.
Poi c’è questa al ristorante armeno, la sera dell’arrivo a Gerusalemme,
io-e-gatto
che a qualcuno sicuramente piacerà.
E infine, per concludere, i soliti due (attenti a quei),
mar-morto
in cui lei come al solito ha dimenticato di tirare dentro la pancia, a differenza di lui che non se ne dimentica mai.

barbara

E DUNQUE

per dieci giorni ho arrancato penosamente con la caviglia bendata e col bastone, trattandola frequentemente con i gel adatti e col ghiaccio artificiale. Poi è successo che sono stata portata a vedere il mikvè più antico d’Europa (si prega di notare la scala per la quale sono scesa per arrivarci) e con la punta delle dita ho sfiorato l’acqua

(la foto, per la verità, è stata un bel po’ fotoshoppata, perché una volta scaricata e vista a schermo intero, ci siamo accorti che la scollatura del vestito si era abbassata in maniera decisamente imbarazzante, e quindi si è dovuto provvedere a ricoprire il troppo scoperto) e lì è avvenuto il miracolo: i legamenti rotti si sono velocemente riaggiustati, l’edema si è fortemente ridotto, i dolori attenuati, al punto che il giorno dopo mi sono arrischiata ad uscire senza le bende elastiche

e quello successivo ho definitivamente abbandonato il bastone (poi sono stata beneficata anche di altri quattro miracoli, ma di quelli non parlo).

barbara