QUARTO REICH?

Sceneggiatura di Joseph Göbbels, scenografia di Leni Riefenstahl, come suggerito dall’amico “myollnir” (è lungo, scusate, ma la materia lo richiede).

Joe Biden invita gli americani a “fermare” i Repubblicani MAGA – Breitbart News

Il Diavolo si è fatto vivo?

Mentre gran parte del suo discorso, cupo e oscuro, si è concentrato sulla demonizzazione dei Repubblicani MAGA pro-Trump, un momento particolare ha portato la consueta demonizzazione ad un passo ulteriore, quando Joe Biden è sembrato suggerire agli americani di assumere il compito di isolare i sostenitori di Donald Trump.
Joe Biden ha detto questo dopo aver dipinto i Repubblicani MAGA come minacce dirette alla democrazia americana.
“I Repubblicani MAGA non rispettano la Costituzione“, ha detto. “Non credono nello Stato di diritto, non riconoscono la volontà popolare”.
“Le forze MAGA sono determinate a portare questo Paese indietro“, ha aggiunto. “Indietro verso un’America in cui non c’è il diritto di scegliere. Nessun diritto alla privacy. Nessun diritto alla contraccezione. Nessun diritto di sposare chi si ama. Promuovono leader autoritari ed alimentano le fiamme della violenza politica”.
In seguito, il Joe Biden ha incoraggiato gli americani a lottare contro questa ideologia oscura e malvagia, definendo i Repubblicani MAGA come una minoranza, anche se 70 milioni di persone hanno votato per Donald Trump nel 2020.
“Non siamo impotenti di fronte a queste minacce“, ha detto Joe Biden. “Non siamo spettatori di questo continuo attacco alla democrazia. Ci sono molti più americani, molti più americani, di ogni provenienza e credo, che rifiutano l’ideologia estrema del Make America Great Again di quelli che la accettano”.
“E gente, è in nostro potere, nelle NOSTRE MANI, le vostre e le mie, fermare l’assalto alla democrazia“, ha continuato. “Credo che l’America sia a un punto di svolta. Uno di quei momenti che determinano la forma di tutto ciò che verrà dopo. E ora l’America deve scegliere se andare avanti o tornare indietro. Costruire un futuro o ossessionarsi con il passato. Essere una nazione di speranza, unità e ottimismo, o una nazione di paura, divisione e oscurità”.
Joe Biden, affiancato da due marine ed illuminato da una luce rossa contro un cupo muro di mattoni, ha tenuto il suo discorso all’Independence Hall di Filadelfia, luogo di nascita della Dichiarazione di Indipendenza e della Costituzione americana.

Ma lo stile del suo discorso – trasmesso da tutti i telegiornali – ha stranamente ricordato quello dei leader delle giunte militari.
Nel suo discorso, Joe Biden ha invitato gli americani ad “unirsi dietro l’unico scopo di difendere la nostra democrazia, indipendentemente dalla vostra ideologia“… a meno che la vostra ideologia non sia quella di un Repubblicano che ha votato o che potrebbe votare nuovamente per Donald Trump.
Joe Biden ha attaccato Donald Trump subito all’inizio del suo discorso ed ha avvertito gli americani che le “forze MAGA” – quelle che secondo lui sono allineate con i suprematisti bianchi, gli estremisti violenti ed altri indesiderabili – sono al lavoro per cercare di minare i processi elettorali.
Ma mentre parlava, è stato occasionalmente distratto da alcuni disturbatori all’esterno della sede, uno dei quali ha gridato “Fuck Joe Biden” attraverso un megafono. Le sirene della polizia si sono sentite periodicamente, riecheggiando per le strade del centro di Philadelphia durante tutto il discorso.
Joe Biden ha infine accusato i “Repubblicani MAGA” di vedere un Paese consumato nelle “tenebre” ed ha concluso il suo discorso ricordando i risultati ottenuti dalla sua amministrazione. Ha invitato gli americani ad essere ottimisti e a lavorare insieme per raggiungere la prosperità e la giustizia.
Nel dipingere i suoi avversari politici come degli “estremisti violenti”, Joe Biden ha detto: “Ci sono personaggi pubblici che oggi, ieri e l’altro ieri, auspicano la violenza di massa e i disordini nelle strade“.
Sembra che Biden si riferisse ai commenti di Lindsey Graham, senatore Repubblicano della Carolina del Sud, che aveva avvertito che sarebbero potute scoppiare delle rivolte se il Dipartimento della Giustizia avesse incriminato Donald Trump.
Breitbart News ha verificato quanto detto da Joe Biden anche all’inizio di questa settimana, quando ha accusato per la prima volta Lindsey Graham di aver detto che fosse “appropriato” usare la violenza:
I Democratici e i media sono stati ossessionati negli ultimi giorni dall’avvertimento del senatore Lindsay Graham, che in una recente intervista ha detto: “Se cercheranno di perseguire il presidente Trump per la cattiva gestione di informazioni classificate dopo che Hillary Clinton ha creato un server nel suo seminterrato, ci saranno letteralmente delle rivolte per le strade“.
Avvertire che potrebbero esserci disordini per via di un sentimento diffuso sull’esistenza di un doppio standard rispetto a come lavorano le forze dell’ordine – lo stesso è avvenuto, con il parere favorevole degli stessi Democratici allora, per tutto le rivolte dell’estate del 2020 – non è la stessa cosa rispetto a dire che la violenza è “necessaria” o “appropriata”.
Nella migliore delle ipotesi, è un’esagerazione selvaggia sostenere che Lindsay Graham stesse effettivamente invocando la violenza; ma dalla bocca del leader del Partito Democratico, tale affermazione è incendiaria di per sé, in quanto potrebbe venire usata per giustificare una risposta violenta preventiva da parte dei Democratici.
Lindsay Graham ha poi chiarito ciò che ha detto, dichiarando a Fox News:

“Quello che ho detto domenica è che gli americani rifiutano, ed anche io rifiuto, la violenza, ma rifiuto anche il doppio standard”, ha detto Lindsey Graham. “Se cercheranno di perseguire il presidente Trump per la cattiva gestione di informazioni riservate dopo le debacle della Clinton quando era Segretario di Stato, la gente in questo Paese perderà la fiducia nelle forze dell’ordine”.
 “Rifiuto la violenza. Ma, signor Presidente, deve parlare con il vicepresidente degli Stati Uniti, il suo vicepresidente, di come salvare i rivoltosi. Questo non incoraggia la violenza?”.

Nessun leader Repubblicano ha invitato alla violenza. Il leader della minoranza della Camera Kevin McCarthy, che sta guidando la campagna elettorale per le midterm del Partito Repubblicano, ha tenuto un discorso giovedì scorso per incoraggiare i Repubblicani ad andare votare alle elezioni di novembre.
Il discorso di Joe Biden è stato invece eccessivo, anche per alcuni esponenti della Sinistra, come la conduttrice della CNN Brianna Keilar, che ha criticato l’uso dei Marines come “oggetti di scena”.
I giornalisti della CNN e della CBS hanno criticato duramente Joe Biden per i due uomini dei Marines posti alle sue spalle mentre teneva un discorso politico in cui demonizzava i Repubblicani MAGA come un’oscura minaccia per la democrazia americana.
“Qualunque cosa pensiate su questo discorso, i militari dovrebbero rimanere apolitici. Posizionare dei Marines in uniforme dietro a Biden per un discorso politico va contro questo principio. È sbagliato quando lo fanno i Democratici. È sbagliato quando lo fanno i Repubblicani”, ha twittato Brianna Keilar della CNN.
Tom Nichols del The Atlantic si è detto d’accordo con la collega della CNN, prendendo le sue difese in risposta a chi contestava il suo punto di vista sull’uso delle forze armate come sfondo da parte dei presidenti, pubblicando una foto di Reagan che teneva un discorso davanti a membri dell’esercito.
“I militari sullo sfondo di un discorso, specialmente se messi tra il pubblico, non è come mettere delle guardie dei Marines dietro ad un presidente. Ma grazie per aver dimostrato che un comportamento stile culto può essere trovato anche al di fuori del mondo MAGA”, ha risposto Tom Nichols.
“È possibile essere d’accordo con tutto ciò che ha detto Biden e non essere d’accordo con l’uso dei Marines come sfondo per un discorso politico“, ha risposto Brianna Keilar ai critici.
Jeff Zeleny, corrispondente capo della CNN per gli Affari Nazionali, si è unito alla collega nella sua critica al discorso, che ha visto Joe Biden con sullo sfondo una luce rosso-sangue, in un’immagine che ricorda “1984“ di George Orwell.
“Non c’è nulla di insolito o sbagliato nel fatto che un Presidente tenga un discorso politico – è insito nella descrizione del suo lavoro – ma farlo sullo sfondo di due Marines sull’attenti e della Banda dei Marines è una rottura delle tradizioni della Casa Bianca“, ha twittato.
Il tweet di Zeleny ha scatenato una feroce reazione da parte degli anti-Trumpiani più accaniti, come Jennifer Rubin. “Scusatemi. Questa non è una convention dell’RNC alla Casa Bianca… se questa è la nuova CNN, non posso permettermi di partecipare”, ha ribattuto.
Ed O’Keefe, corrispondente senior di CBS News per la Casa Bianca e la politica, ha convenuto che l’uso dell’esercito da parte di Joe Biden è stato un passo troppo lungo per un discorso politico.
“Piaccia o non piaccia quello che ha detto stasera, va notato: Il Presidente ha parlato questa sera in un parco nazionale, affiancato dai Marines americani, e ha preso di mira in modo diretto e specifico il suo predecessore e i membri del Partito Repubblicano. Un’altra cosa che non si vede tutti i giorni“, ha twittato O’Keefe.
Dan Lamothe del Washington Post ritiene che Joe Biden non avrebbe dovuto impiegare i militari per un discorso del genere, dicendo che andava contro la sua promessa di “tornare alla normalità”.
“La maggior parte degli esperti civili e militari si preoccupa da anni dell’erosione delle norme che regolano l’ingresso dei militari nella politica da parte degli alti dirigenti. Donald Trump ha oggettivamente fatto saltare queste norme in modo allarmante. Joe Biden aveva promesso un ritorno a qualcosa di meglio”, ha twittato.
Lo staff di Joe Biden ha lavorato alacremente giovedì sera per controbattere a tutte le accuse secondo cui il discorso del loro capo alla Independence Hall di Filadelfia fosse “troppo di parte” contro i Repubblicani MAGA “estremisti”.
Joe Biden ha ripetutamente condannato quelli che ha chiamato “Repubblicani MAGA” ed i sostenitori dell’ex Presidente Donald Trump indicandoli come “estremisti violenti” che rappresentano una minaccia per la democrazia americana.
“La democrazia non è una questione politica o di parte“, ha scritto sui social media il vice segretario stampa della Casa Bianca Chris Meagher, criticando la descrizione del discorso come “politico” fatta da una conduttrice della CNN.
“Solo che non è politico“, ha insistito il vice segretario stampa della Casa Bianca Andrew Bates, muovendo dalla stessa critica fatta al discorso di Biden. Bates ha anche affermato che i giornalisti sono stati ipocriti nel suggerire che il discorso di Biden sia stato “troppo di parte”.
“Non è ‘politico’, è il suo dovere“, ha scritto il consigliere senior della Casa Bianca per le comunicazioni al Consiglio economico nazionale.
Il direttore della strategia digitale della Casa Bianca, Rob Flaherty, ha paragonato il discorso di Biden al discorso di addio del primo presidente della nazione, George Washington.
Anche gli ex funzionari di Joe Biden hanno cercato di difendere il loro capo.
“La difesa della democrazia è necessaria perché è minacciata. Questo non rende la difesa di uno dei nostri valori fondamentali come Paese partigiano o politico. (Perché non lo è)”, ha scritto su Twitter l’ex addetta stampa della Casa Bianca Jen Psaki.
L’ex addetta stampa di Kamala Harris ha detto che il discorso di Joe Biden “non” era un discorso da campagna elettorale. “Prima di stasera pensavo che questo fosse un discorso da campagna elettorale… dopo averlo ascoltato è chiaro che non lo era. Ho sentito un Presidente che suonava l’allarme sulla vera minaccia alla nostra nazione“, ha scritto.
Il discorso di Joe Biden, in cui ha descritto i Repubblicani MAGA come un’oscura minaccia per la democrazia americana, non ha generato esattamente una reazione positiva, con persino alcuni dei più duri critici dell’ex Presidente Donald Trump che hanno ammesso che Biden ha commesso un errore.
Nel corso del suo discorso, Biden ha ripetutamente dipinto i Repubblicani MAGA come violenti uomini di destra che non rispettano la Costituzione e che cercano di privare gli americani dei loro diritti più elementari.
“Le forze MAGA sono determinate a portare questo Paese indietro”, ha aggiunto. “Indietro verso un’America in cui non c’è il diritto di scegliere. Nessun diritto alla privacy. Nessun diritto alla contraccezione. Nessun diritto di sposare chi si ama. Promuovono leader autoritari ed alimentano le fiamme della violenza politica”.
Al termine del discorso, le immagini di Joe Biden in piedi davanti ad uno sfondo rosso e nero con soldati che lo affiancano si sono diffuse su tutti i social media, evocando paragoni con il Terzo Reich, l’URSS e con le porte dell’inferno.
Persino Jonah Goldberg, il principale sostenitore del movimento dei Never Trump, ha ammesso che il discorso è stato un “terribile errore“. “Penso che Trump ed il trumpismo siano un cancro per il corpo politico. Penso anche che questo discorso sia un terribile errore”, ha twittato.
Anche i media aziendali, dalla CNN alla CBS e al Washington Post, hanno espresso riserve sulla decisione di Joe Biden di avere i soldati dietro di sé durante un discorso apertamente di parte.
A quanto pare, l’effetto ottico è risultato così sgradevole che la CNN ha persino dovuto regolare il contrasto durante la trasmissione in diretta per schiarire le luci rosse dietro a Joe Biden.
Avvertendo il grave contraccolpo, la Casa Bianca si è immediatamente lanciata in una modalità di “controllo dei danni“, denunciando i critici che hanno liquidato il discorso come “politico”.
A prescindere dalla piega che ha preso la vicenda o dall’inquadratura retorica, il danno è stato fatto ed il verdetto è stato sancito quando la “foto infernale” di Joe Biden si è diffusa sui social media.
L’ex presidente Donald Trump ha reagito al discorso di Joe Biden sollevando preoccupazioni sul suo stato mentale.
“Se si guarda alle parole ed al significato del discorso imbarazzante ed arrabbiato di Biden di stasera, egli ha minacciato l’America, anche con il possibile ricorso alla forza militare“, ha scritto Donald Trump sui social media. “Deve essere pazzo, o affetto da demenza senile all’ultimo stadio!“.
Joe Biden ha usato il suo discorso sull’”Anima dell’America”, tenuto giovedì sera davanti all’Independence Hall di Filadelfia, per alimentare i timori nei confronti di Donald Trump e dei suoi sostenitori, bollandoli come Repubblicani MAGA “estremisti”.
“Non c’è dubbio che oggi il Partito Repubblicano sia dominato, guidato e intimidito da Donald Trump e dai Repubblicani MAGA, e questa è una minaccia per il Paese”, ha detto Joe Biden.
Donald Trump ha cercato di ricordare a Biden cosa significhi “MAGA“.
“Qualcuno dovrebbe spiegare a Joe Biden, lentamente ma con passione, che MAGA significa, con tutta la forza che le parole possono avere, MAKE AMERICA GREAT AGAIN!“, ha scritto.
Trump ha detto che Biden dovrebbe abbracciare la semplice filosofia del suo movimento politico.
“Se non vuole rendere l’America di nuovo grande, e non lo vuole attraverso le parole, le azioni e il pensiero, allora non dovrebbe rappresentare gli Stati Uniti d’America!“, ha scritto.
La star del country John Rich ha avuto una reazione di proporzioni quasi bibliche al cupo discorso di Joe Biden, in cui i “Repubblicani MAGA” sono stati etichettati come una “minaccia per la democrazia americana”.
Notando l’orribile ottica di uno sfondo rosso e nero con soldati che fiancheggiavano entrambi i lati di Biden, Rich ha detto che il discorso è apparso come se fosse stato pronunciato davanti alle “porte dell’inferno”.
“Come mai questo sfondo rosso sangue? È come se Joe si trovasse di fronte alle porte dell’inferno”, ha detto.
Poco dopo il discorso di Joe Biden, le immagini di lui che stringe i pugni sul podio davanti ad un oscuro sfondo rosso sono circolate su Twitter; “le porte dell’inferno” sono state il riferimento più popolare.
Ecco alcuni commenti:
“Niente comunica pace e unità come il fatto che lo sfondo del tuo discorso divisivo sembri entrare nelle porte dell’inferno” – Meghan Maureen
“Questa immagine non è stata modificata in alcun modo. Sembra che Biden abbia scelto di pronunciare il suo discorso dalle Porte dell’Inferno” – TheFirstonTV
“Chi mai ha pensato che un look “Porta dell’Inferno” fosse una buona immagine per il discorso di stasera di Biden? Voglio dire, è appropriato, Sì, ma sicuramente non è un buon look” – Bo Wagner
Altre reazioni si sono concentrate semplicemente sull’aspetto scenico e si sono chieste come qualcuno del Team di Biden abbia potuto pensare che l’immagine di lui arrabbiato su sfondo rosso sangue avrebbe potuto far presa sull’elettore medio.
“Quindi, a quanto pare, non si tratta di una foto ritoccata, ma di come la Casa Bianca intendeva far apparire Biden (e da quello che ho letto è stato l’opposto del discorso di unità nazionale che ci era stato promesso). Che diavolo hanno in mente? È come se Leni Riefenstahl lavorasse per Breznev. Incredibile” – Ilya Shapiro
“Cosa sta succedendo qui e chi ha pensato che questa illuminazione fosse una buona idea?” – ZubyMusic
“A parte gli scherzi, da persona con un passato da tecnico teatrale questo sembra un progetto di illuminazione che non è mai stato testato in condizioni notturne. Immagino che si aspettassero più luce ambientale e meno oscurità” – David Marcus (Qui)

Aggiungo quest’altro articolo che ne prende in considerazione alcuni altri aspetti, non meno importanti.

Biden, discorso per disunire la nazione

Nel Discorso alla nazione tenuto a Filadelfia il 1° settembre, Biden è andato oltre nella sua «Battaglia per l’anima della nazione» infarcendo un discorso di lotta ai “semi-fascisti”. Chiunque dissenta dalle sue scellerate ricette è stato definito un «pericoloso antidemocratico da fermare». 

Non ci sono parole per definire lo stato d’animo di chiunque abbia ascoltato e visto le immagini del Discorso alla nazione tenuto l’1 settembre dal presidente Joe Biden a Filadelfia. Un indemoniato (il fermo immagine parla da solo)

dimentico di essere il Presidente di tutti i cittadini, che il compianto amico e professore Antonio Martino aveva, profeticamente, definito il “peggior Presidente degli USA”. Ebbene, dopo le inusitate accuse di “semi fascismo” rivolte ai Repubblicani e ai sostenitori di Trump nel suo discorso di Rockville in Maryland lo scorso 26 agosto, salutate con esaltato entusiasmo dalla stampa il-liberal del Washington Post, a Filadelfia Biden è andato oltre nella sua «Battaglia per l’anima della nazione».

Gli oppositori politici sono i nemici della democrazia, i Democratici sono gli unici che possono salvare la nazione, gli unici che rispettano la Costituzione ed i suoi fondamenti di libertà, “uguaglianza e democrazia”. Il Presidente Biden che nel suo discorso di insediamento, a gennaio del 2020, aveva promesso di voler “unificare la nazione” e dismettere i panni di leader di una parte, è tornato nell’arena del confronto politico con metodi e toni tanto incivili da far apparire la disfida elettorale italiana una barzelletta.

Biden, ricordando la Dichiarazione di Indipendenza (2 agosto 1776) e il Bill of Rights (15 dicembre 1791) degli USA, entrambi emanati a Filadelfia, ha affermato che i «due documenti e le idee che incarnano – uguaglianza e democrazia – sono la roccia su cui è costruita questa nazione ma, mentre sono qui stasera, l’uguaglianza e la democrazia sono sotto attacco…Le forze MAGA [Nrd. ‘Make American Great Again’ è stato lo slogan elettorle di Trump ed ora è imbracciato dalla stragrande maggioranza di elettori e classe dirigente del partito] sono determinate a portare questo Paese indietro…verso un’America in cui non c’è il diritto di scegliere, non c’è il diritto alla privacy, non c’è il diritto alla contraccezione, non c’è il diritto di sposare chi si ama».

La conclusione è chiara, i nemici degli Stati Uniti, della sua anima e della democrazia sono il 50% dei sostenitori dei repubblicani e di Trump, tranne coloro che collaborano con l’Amministrazione Biden. Non una parola, da parte del Presidente che conta il 58% di disapprovazione,  sulla devastante crescita dell’inflazione, né un cenno alle preoccupazioni reali dei cittadini americani che, come dimostra l’ultima rilevazione della Reuters, sono : la situazione economica (29%), la diffusa criminalità (9%), l’ambiente (8%), il sistema sanitario (6%), l’immigrazione incontrollata (5%) e via dicendo.

Joe Biden, il novello difensore di diritti e spirito della nazione americana, ma che paragona i pericoli di oggi a quelli della Guerra Civile o della Seconda Guerra Mondiale, è un pericolo lui stesso per la democrazia, avendo dato più volte prova, con i suoi atti e decisioni, di intemerata violazione di ogni principio di libertà, rispetto dei diritti e democrazia. Innanzi tutto, richiamare lo spirito e l’anima della nazione a Filadelfia significa far memoria non solo di tutti i contenuti dei due testi sacri degli USA, ma anche dei padri fondatori americani che, invece e colpevolmente, proprio Biden e la sua Amministrazione stanno nei fatti cancellando dai libri di testo e dalla memoria di piazze ed edifici pubblici.

Così è stato nell’aprile 2021 con l’entusiasta dichiarazione della Amministrazione Biden nel promuovere il 1619 Project, che accusa i Pilgrim fathers di razzismo e genocidio, ancor prima a gennaio 2021 lo era stato con il sostegno personale di Biden e del Dipartimento per l’Educazione per la ‘CRT’ (teoria critica della razza) che rilegge la storia Usa con le lenti del razzismo bianco, senza dimenticare come dalla sua nomina ad oggi, lo stesso Biden abbia imposto l’indottrinamento LGBTIQI in tutte le scuole per ogni ordine e grado.

Tutto ciò in aperta violazione non solo alla libertà di educazione e pensiero, ma anche a quelle di coscienza e religione che sono parte centrale della storia fondativa e dei testi sacri USA. Quel Biden che per 31 volte ha proclamato il termine “democrazia”, ha paragonato tutti coloro che dissentono e si oppongono alle sue scellerate decisioni, siano essi i cittadini comuni che lamentano la crescita dei prezzi, i genitori che si oppongono alla dottrina LGBTQI nelle scuole, coloro che sostengono le ragioni pro-life…insomma l’altra metà (almeno) del cielo USA, come pericolosi antidemocratici da “fermare”.

Ovviamente anche ieri le testate mass mediatiche americane e internazionali hanno celebrato il discorso «eccellente» e condiviso i contenuti violenti usati da Biden, così la CNN che ha difeso la definizione degli elettori repubblicani e celebrato la definizione di “semi-fascisti”, così il The Guardian, così la Repubblica e la DW tedesca. Le parole però sono proiettili, Biden forse non si è accorto che dalla sua discesa violenta nell’agone partitico ed elettorale, uno dei uffici elettorali dei Repubblicani (Florida) è stato vandalizzato e semi distrutto con scritte che inneggiavano alla lotta ‘anti-fascista’.

Nulla di nuovo, dopo le violentissime accuse contro la Corte Costituzionale, a seguito della Sentenza Dobbs, a fronte della miriade di assalti, incendi e vandalismi contro chiese e centri pro life (282 ad oggi), il Presidente Usa e la sua Amministrazione non hanno fatto nulla. Non si vuol più intimidire i pro life, i giudici e le chiese, nemmeno il solo Trump, ora Biden punta al colpaccio e dimentica che le parole sono pallottole. Non a caso, tutti i sondaggi degli ultimi giorni dimostrano che almeno 2/5 dei cittadini USA crede che nei prossimi anni scoppierà una “nuova guerra civile”. Non sarebbe lecito per Biden usare toni e argomenti vergognosi nemmeno se volesse nascondere le collusioni tra FBI, settori del deep state e i social media (dopo le ammissioni di Zuckenberg) sullo scandalo di Hunter Biden e di lui stesso. Uccidere la nazione americana non è nei poteri nemmeno di Biden e delle sue lobbies.
Luca Volontè, qui.

E ci mancava solo, in aggiunta a questa immane sciagura, di ritrovarci come dirimpettaia atlantica la pazza squilibrata che gira con la mano sul pulsante rosso e, come se ancora non bastasse, adesso ci becchiamo anche lo sciroccato del clima e di tutte le altre puttanate di moda (ma accidenti a te, Bettina mia, avevi eroicamente resistito per 96 anni, non potevi tenere duro ancora un po’ e fartene un’altra manciatina? Anyway, buon viaggio e grazie di tutto).
Tornando al demente,
qui potete leggere il discorso completo in originale, e adesso ve lo faccio anche sentire, però prima guardate questo, di dieci secondi

e poi guardate anche solo per mezzo minuto quest’altro

e chiediamoci di che cosa devono averlo bombardato per metterlo in condizione di farlo. E pensare che ci scandalizzavamo per Reagan con la cartomante.

barbara

ORA CHE IL GIOCO SI FA SEMPRE PIÙ DURO

l’unica speranza di sopravvivenza della specie umana sul pianeta Terra è che Putin cominci a giocare duro sul serio, e sbaragli in una botta sola Ucraina, NATO e UE: dopodiché vivremo sicuramente in un mondo migliore.

Il sostegno incondizionato all’Ucraina semina dubbi

La Nato mostra i muscoli e al vertice di Madrid ridisegna la sua strategia volta al confronto con la Russia, mentre gli Stati Uniti inviano più forze in Europa. L’Ucraina “sarà sostenuta per tutto il tempo necessario“, è lo slogan che rimbalza sui giornali, che se, da una parte, appare una nuova dichiarazione di supporto senza limiti, dall’altra interpella.

Necessario a cosa? A raggiungere gli obiettivi della Nato, ovviamente, cioè degli Stati Uniti che ne sono i dominus, obiettivi che potrebbero essere diversi da quelli di Kiev, anche in maniera drammatica, come si sta vedendo sui campo di battaglia, dove gli ucraini sono mandati al macello – mille soldati spazzati via dal campo di battaglia al giorno – per erodere le forze della Russia.
Tale impegno “necessario” è stato deciso dai governi d’Occidente, meglio: dall’apparato militar-industriale americano e dai suoi attaché nell’amministrazione e nel Congresso Usa, contro le necessità dei popoli che essi governano e delle moltitudini del mondo, costrette a sopportare le sempre più gravi conseguenze economiche del conflitto e delle sanzioni annesse.
Così Jordan Schachtel in un articolo di The Dossier rilanciato dal Ron Paul Institute: “Le prospettive della guerra in Ucraina, finanziata dagli Stati Uniti e dalla UE, sono del tutto insostenibili, e il sostegno dato a una fazione di questa guerra tra popoli slavi sta bruciando denaro a una velocità tale da far sembrare l’avventura in Afghanistan una cosa di bassa lega”.
“L’amministrazione guidata da Volodymr Zelensky – prosegue Schachtel  – ha chiesto adesso oltre 5 miliardi di dollari al mese solo per coprire i costi del suo governo, nel quale lavorano molti burocrati, e gli stipendi dei dipendenti del governo. Si tratta di oltre 60 miliardi di dollari all’anno solo per finanziare i costi operativi del governo di Kiev, che è stato classificato negli anni passati come il più corrotto di tutta Europa” (lo scriveva anche Thomas Friedman sul New York Times del 6 maggio scorso: “L’Ucraina era, ed è ancora, un paese affondato nella corruzione”).
“Quest’ultima richiesta si aggiunge ai 100 miliardi di dollari  […] già stanziati per sostenere il suo esercito al collasso”. Tutto ciò, continua Schachtel , va considerato nell’ottica fotografata da una stupenda osservazione di Ron Paul, “gli aiuti esteri si concretizzano nel prendere soldi dai poveri del nostro paese per darli ai ricchi dei paesi poveri” (vale non solo per l’America).
“L’Ucraina sta diventando l’Afghanistan 2.0 e il suo governo dovrà affrontare la stessa sorte del governo appoggiato dagli Stati Uniti a Kabul se continuerà su questa strada costellata di spese irrecuperabili. Tutti i soldi e le forniture di armi non sembra che possano  compensare gli squilibri di un esercito scarsamente addestrato e di un paese mal governato che, ogni giorno che passa, vede approssimarsi la prospettiva di una resa incondizionata invero umiliante”.
Forse tale conclusione è troppo tranchant, ma iniziano a essere tanti a reputare che il conflitto non riservi prospettive rosee per l’Ucraina, vittima sacrificale di questa guerra per procura della Nato contro la Russia.
Tra questi, David Ignatius, che ha dato questo titolo a un articolo pubblicato sul Washington Post di oggi: “La NATO è unita sull’Ucraina. Bene, ma tante cose potrebbero ancora andare storte”.
Nella nota riprende temi consueti, cioè come il mondo stia subendo la stretta delle conseguenze economiche della guerra e come tale situazione potrebbe incrinare l’unità della Nato (peraltro garantita dalla coercizione di Washington e non da una sincera adesione a tale linea, che per l’Europa è semplicemente suicida… a proposito dello slogan in voga sulla lotta tra Paesi liberi contro Paesi autoritari).
E spiega come la Nato difetti in strategia, tanto che tutto questo sforzo potrebbe non avere un esito positivo. Infatti, “gli alleati dell’Ucraina potrebbero concludere di aver sperperato i loro attuali vantaggi e finire per perdere questo conflitto”.
Nella nota, in ogni caso consegnata alla necessità di fare di questo conflitto una guerra infinita, dettaglia problemi logistici e strategici da risolvere per evitare la disfatta. Ma non è detto che possano essere risolti.
Ancora più importante quanto scrive sulla recente crisi di Kaliningrad: “Un modo per perdere le guerre è quello di prodursi in provocazioni poco sagge. La recente decisione della Lituania di bloccare il transito verso la vicina enclave russa di Kaliningrad aveva lo scopo di far rispettare le sanzioni dell’UE, ma era ragionevole? Diversi funzionari europei e statunitensi mi hanno confidato dubbi al riguardo, dal momento che la mossa potrebbe provocare un contrattacco russo e poi un’invocazione della Lituania del patto di mutua difesa proprio dell’articolo 5 della NATO” (sul punto vedi anche American Conservative: “La Lituania Vuole Iniziare Una Guerra Con La Russia?”).
Più che probabile, se non certo, che la Lituania ha agito su suggerimento altrui, ché da sola non poteva neanche immaginare una simile boutade.
Ma al di là dello specifico, resta che il blocco di Kaliningrad non è la prima né sarà l’ultima provocazione “poco saggia” di questa guerra, che offre agli ambiti consegnati alla follia delle guerre infinite – che stanno gestendo quasi tutto il potere d’Occidente – grandi spazi di manovra, a tutti i livelli e a tutto campo. Anche per questo urge chiudere questa pazzia intraprendendo quanto prima la via del negoziato, come chiesto più volte da Kissinger. (Qui)

Tenendo però presente che Kissinger, come ha precisato il giorno successivo a quell’intervento, intende che il completo ritiro della Russia sia condizione preliminare al negoziato.
Quanto al merito della questione, è chiaro che non ci sono alternative alla resa incondizionata dell’Ucraina. E, conseguentemente di NATO e UE, che dopo la disfatta e la totale sconfessione dei loro infami progetti, dovrebbero ragionevolmente scomparire.
A proposito di Lituania e Kaliningrad, propongo un altro pezzo lucido e interessante.

Lituania e Zelensky decidono tutto? Anche no

Nel frenetico scambio di lettere tra la Commissione Europea e il Governo della Lituania, l’ultima proposta pare sia questa: la Ue farebbe un’eccezione alle sanzioni e permetterebbe alla Russia di continuare a rifornire l’exclave di Kaliningrad attraverso i 90 chilometri di territorio lituano tra la Bielorussia e, appunto, Kaliningrad, a patto che la Russia non aumenti il volume delle merci attualmente trasportate verso l’exclave. L’idea è di evitare, in questo modo, che il porto di Kaliningrad diventi lo strumento del Cremlino per importare ed esportare e alleviare il peso della guerra economica decretata da Usa e Ue. Il timore è invece che la Russia a un certo punto si stufi e, d’accordo con la Bielorussia, occupi il cosiddetto “corridoio di Suwalki”, interrompendo il confine di terra dei Paesi Baltici con il resto d’Europa e mettendo la Nato, nell’ipotesi più estrema, nella condizione di scegliere (per dirla brutalmente) se affrontare una guerra mondiale per difendere la Lituania (6 milioni di abitanti).
Al di là delle soluzioni ipotizzate di quelle che verranno eventualmente adottate per risolvere questa crisi, una cosa è chiara: piaccia o no ai saputelli dei neo-atlantismo estremo, è chiaro che l’iniziativa della Lituania di bloccare il 50% delle merci dirette verso Kaliningrad NON era stata concordata con i vertici Ue. Josep Borrell, alto rappresentante Ue per la politica estera e di difesa dell’Unione, la “coprì” subito, com’era politicamente giusto fare dal punto di vista della Ue (soprattutto di questa Ue sempre più succursale della Nato). Ma le trattative e le lettere tra Ue e Lituania (per non parlare dei borbottii della Germania, che ha registrato il suo primo deficit commerciale trimestrale degli ultimi trent’anni) dimostrano che a Bruxelles non hanno gradito, e sono preoccupati.
La domanda quindi è: la Lituania ha deciso da sola? Se così fosse, dovremmo davvero cominciare a tremare: vorrebbe dire che una minuscola porzione umana e politica dell’Unione Europea si sente in diritto di intervenire a piedi uniti (e per me in maniera sconsiderata) in una crisi che già minaccia di far saltare in aria l’Europa. Se non è così, invece, cioè se la Lituania ha agito in base a qualche “suggerimento” (per esempio degli Usa, che sono in crisi per ragioni interne, non certo perché quanto avviene in Europa li preoccupi più di tanto, o del Regno Unito, che accarezza l’idea di minare la Ue e sostituirla con altre alleanze), peggio ancora: vuol dire che nella Ue ci sono Paesi che rispondono a politiche e influenze che non sono quelle di Bruxelles. Per la verità lo sapevamo già, ma quando si gioca alla terza guerra mondiale le cose cambiano un po’.
Tutto questo sta dentro una retorica di finta umanità ma di vera dismissione delle responsabilità che nella Ue impera, anche a proposito dell’invasione russa e della guerra in Ucraina. Ogni giorno ci sentiamo dire che l’Ucraina è Europa e che questa guerra maledetta si svolge in Europa. Giusto. Ma allora perché per otto anni (dal Maidan al Donbass, dal 2014 al 2022) l’Europa non ha saputo far nulla per disinnescare un problema che col tempo poteva solo incancrenire? Perché Francia e Germania, allora spina dorsale della Ue e garanti degli Accordi di Minsk, hanno concluso così poco? Davvero ci raccontiamo che in tutto questo c’entrano solo la cattiva volontà e la perfidia di Vladimir Putin?
Ma non basta. Da mesi, di nuovo con cadenza quotidiana, sentiamo dire che devono essere gli ucraini a decidere se e quando dire basta, che dev’essere il presidente Zelensky a stabilire la condizioni della pace. Vien da chiedersi se i vari leader politici parlino sul serio. Ci diciamo che la guerra in Ucraina sta provocando una crisi mondiale, che rischia di mandare in tilt i Paesi sviluppati e ridurre alla fame quelli in via di sviluppo, parliamo spessissimo di allargamento possibile del conflitto e di bombe atomiche, e davvero pensiamo di affidare le sorti del pianeta a Zelensky e i suoi? L’Ucraina è vittima, d’accordo, ma stiamo pur sempre parlando di un Presidente che, nel caso qualcuno l’avesse dimenticato, prima della guerra aveva in patria un indice di gradimento del 20%? Se noi europei non siamo capaci di prendere in mano il nostro destino, almeno cerchiamo di smetterla con una retorica che sta diventando uno dei più insidiosi fattori di rischio di questo dramma epocale.
Fulvio Scaglione, 4 luglio 2022, qui.

Leggo che gli stati baltici sono convinti che se l’Ucraina dovesse cadere, il prossimo obiettivo saranno loro, dato che hanno anch’essi minoranze russofone; a questo rispondo con una domanda: anche loro stanno da anni opprimendo massacrando bombardando affamando e assetando le minoranze russofone? Se la risposta è sì, hanno sicuramente ragione di temere un’invasione russa, e Putin avrà dieci volte ragione a farla; se la risposta è no, evidentemente si nutrono di seghe mentali, che quasi sempre sono molto ma molto più pericolose di quelle carnali (e accecano almeno altrettanto). In ogni caso c’è da ricordare che ucraini e lituani sono sempre stati in prima fila nel fare per i tedeschi la maggior parte del lavoro sporco con gli ebrei: non stupisce che anche in quest’altra guerra si sentano così uniti.
Aggiungo questa riflessione, che mi sento di condividere in toto.

Andrea Zhok

Quando l’Ucraina sarà un deserto di rovine, smembrato tra Russia e Polonia, con milioni di profughi, mentre la recessione distruggerà quel che resta del welfare europeo e la nuova cortina di ferro sul mar Baltico ci costringerà a tempo indefinito a spendere le ultime risorse in armamenti, quel giorno e in tutti gli anni a venire, per piacere, ricordatevi di tutta la compagine di politici, opinionisti e giornalisti che nel febbraio scorso vi spiegavano come fosse un affronto inaccettabile per l’Ucraina sovrana rinunciare all’adesione alla Nato e accettare gli accordi di Minsk, che aveva sottoscritto.
Ricordatevi di quelli che hanno lavorato indefessamente giorno dopo giorno per rendere ogni trattativa impossibile, che hanno nutrito ad arte un’ondata russofobica, che vi hanno descritto con tinte lugubri la pazzia / malattia di Putin, che vi hanno spiegato come l’Europa ne sarebbe uscita più forte di prima, che vi hanno raccontato che la via della pace passava attraverso la consegna di tutte le armi disponibili, che hanno incensato un servo di scena costruito in studio come un prode condottiero del suo popolo.
Se 5 mesi fa non avessero avuto la meglio queste voci miserabili, se l’Ucraina non fosse stata incoraggiata in ogni modo a “tenere il punto” con la Russia (che tanto garantivamo noi, l’Occidente democratico), l’Ucraina oggi sarebbe un paese cuscinetto, neutrale, tra Nato e Russia – con tutti i vantaggi dei paesi neutrali che sono contesi commercialmente da tutte le direzioni – un paese pacifico dove si starebbe raccogliendo il grano, e che non piangerebbe decine di migliaia di morti (né piangerebbero i loro morti le madri russe).
Ma, mosso dal consueto amore per un bene superiore, dai propri celebri principi non negoziabili e incorruttibili, il blocco politico-mediatico occidentale ha condotto la popolazione ucraina al macello e i popoli europei all’immiserimento e ad una subordinazione terminale.
Non si pretende che reagiate, figuriamoci, ma almeno, per piacere, non dimenticate.

Assolutamente da leggere, e meditare, e magari imparare a memoria, questo articolo.

Guido Guastalla

Io non ho certezze e non esprimo giudizi morali che inevitabilmente sarebbero moralistici.
Sottopongo però questa analisi a tutti coloro che vogliono cercare di capire e non avere la verità in tasca, senza nulla concedere a chi la pensa diversamente o ha comunque dubbi!

Putin: “l’inizio della transizione verso un mondo multipolare”

L’ex comandante della NATO Philip Breedlove ha esortato l’Ucraina a far saltare in aria il ponte di Crimea. Secondo il generale, il ponte sarebbe un obiettivo legittimo per l’Ucraina. E forse non è un caso che il periodico tedesco Stern dia notizia che due soldati tedeschi avrebbero rubato armi ed equipaggiamento da alcune caserme per pianificare di far saltare in aria proprio il ponte di Crimea.
Nel frattempo le ostilità nei confronti di Mosca proseguono anche in ambito diplomatico. A Bali i ministri degli Esteri dei paesi del G20 non avrebbero scattato la tradizionale foto congiunta a causa del rifiuto di alcuni diplomatici, tra cui lo statunitense Blinken, di ritrarsi con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che dal canto suo ha fatto sapere di non essere interessato a correre dietro agli Stati Uniti per chiedere incontri: “Se non vogliono parlare, sono affari loro e se l’Occidente non vuole negoziati, ma la vittoria dell’Ucraina sulla Russia sul campo di battaglia, allora non c’è nulla di cui parlare”, ha detto secco Lavrov affermando invece che la Russia sarebbe pronta per i negoziati con Kiev e Ankara sulla questione del grano. “Se l’Occidente desidera davvero fare uscire dall’Ucraina il grano, tutto ciò che serve è costringere gli ucraini a liberare i porti del Mar Nero dalle mine e consentire alle navi di attraversare le acque territoriali dell’Ucraina. Nelle acque internazionali la Russia, con l’aiuto della Turchia, è pronta a garantire la sicurezza di tali convogli verso il Bosforo”. Il capo della diplomazia russa ha poi abbandonato la sezione del G20 senza attendere il discorso del ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock.
Nel frattempo l’Euro per la prima volta in 20 anni scende al di sotto di $ 1,01 [nel 2008 era arrivato a 1,6038, ndb]. Il che significa che se anche le materie prime perdono valore sul mercato, con il crollo dell’euro il prezzo pagato per gli europei continua ad essere alto e l’Unione rischia di importare inflazione in una possibile situazione di recessione globale.
Per Putin anche questo è l’inizio della transizione verso un mondo multipolare. Queste le parole del capo del Cremlino: ”Se l’Occidente voleva provocare il conflitto per passare a una nuova tappa della guerra contro la Russia, allora si può dire che c’è riuscito, la guerra è stata scatenata e le sanzioni sono state introdotte. In condizioni normali sarebbe stato difficile farlo. Ma ciò su cui vorrei porre l’attenzione è che l’Occidente doveva capire che avrebbe perso sin dall’inizio della nostra operazione militare speciale, perché l’inizio dell’operazione significa anche l’inizio della rottura cardinale dell’ordine mondiale impostato all’americana. Questo è l’inizio del passaggio dall’egocentrismo liberale globalista americano al mondo davvero multipolare, un mondo fondato non sulle regole egoistiche, inventate da qualcuno per se stesso e dietro le quali non c’è niente, tranne l’aspirazione all’egemonia, un mondo fondato non sugli ipocriti doppi standard, ma sul diritto internazionale, sulla vera sovranità dei popoli e delle civiltà, sulla loro volontà di vivere secondo i propri valori e tradizioni, di costruire una collaborazione sulla base della democrazia, sulla giustizia e sull’uguaglianza. A causa della politica occidentale è avvenuta la demolizione dell’ordine mondiale e bisogna capire che fermare adesso questo processo non è più possibile. Il corso della storia è spietato e i tentativi dell’Occidente collettivo di imporre al mondo il suo nuovo ordine mondiale sono tentativi condannati al fallimento. Perciò voglio dire e sottolineare: noi abbiamo tanti sostenitori, negli stessi Stati Uniti, in Europa e a maggior ragione in altri continenti e paesi, e ce ne saranno sempre di più, su questo non c’è alcun dubbio. Ripeto, anche nei paesi che sono ancora satelliti degli Stati Uniti, cresce la comprensione del fatto che la cieca obbedienza delle élite governanti al “signore supremo” non corrisponde agli interessi nazionali, anzi, molto spesso li contraddice radicalmente. Alla fine tutti dovranno fare i conti con la crescita di questi umori nella società di questi paesi satelliti degli USA. L’Occidente, che un tempo proclamava i principi di democrazia, quali la libertà di parola, il pluralismo, il rispetto delle altre opinioni, oggi sta degenerando nell’esatto opposto: nel totalitarismo. Ha messo in moto la censura, ha chiuso i mezzi di informazione di massa, usa il sopruso e la prepotenza verso i giornalisti, i personaggi pubblici. Nonostante tutto ciò, noi non rifiutiamo le trattative pacifiche, ma coloro che le rifiutano devono sapere che più avanti si va, più difficile sarà mettersi d’accordo con noi”.

Che non posso commentare che con un convinto: Grande Putin!
E, connesso con le considerazioni di questo articolo, vorrei riproporre un brano che avevo già postato tre mesi e mezzo fa, e che mi sembra diventare sempre più attuale.

VIETNAM
di Max Hastings. È un malloppone di oltre 1000 pagine ma vale la pena di leggerlo, e comunque scorre via bene. E vale anche la pena di ricordare un paio di cose. La prima è che in quella che è passata alla storia come la sporca guerra del Vietnam di Nixon boia, l’escalation è stata iniziata da John Kennedy, democratico, e portata poi avanti dal suo vice, diventato poi presidente, Lyndon Johnson, democratico. Richard Nixon, repubblicano, quello rozzo, quello antipatico, quello col mascellone da duro, quello da cui nessuno avrebbe comprato un’auto usata, è stato quello che la guerra l’ha fatta finire. Il bilancio finale è stato di oltre 58.000 soldati statunitensi uccisi e più di 153.000 feriti. Il calcolo dei morti vietnamiti va da almeno mezzo milione fino a 4 milioni. La guerra è costata quasi 150 miliardi di dollari. I termini del trattato che ha posto fine a dieci anni di guerra sanguinosissima e alla carneficina da entrambe le parti sono gli stessi abbozzati da La Pira e Ho Chi Minh già otto anni prima. La seconda è che tutto è cominciato con l’invio di soldi, tanti tanti soldi, per sostenere governi amici, non importa quanto corrotti, poi anche armi, poi colpi di stato, anche cruenti, per sostituire i governi quando non erano più utili (il burattino Zelensky, socio e complice di Hunter Biden nei suoi sporchissimi affari e a conoscenza di tanti segreti che potrebbero renderlo scomodo, farebbe bene a ricordarsene. Sempre che lo abbia mai saputo. E sicuramente a ricordarglielo non sarà che gli scrive quei bellissimi e tanto commoventi copioni da recitare di fronte ai parlamenti mondiali). Meditate gente, meditate.

Qui, in realtà, quattro mesi e mezzo fa sarebbe potuta finire allo stesso modo, ma oggi no: prima che tutto questo cominciasse, la Russia si sarebbe accontentata del rispetto degli accordi di Minsk, che l’Ucraina ha firmato e mai rispettato; alla vigilia della guerra o a guerra appena iniziata si sarebbe potuta accontentare del riconoscimento della Crimea come appartenente alla Russia e dell’autonomia del Donbass: ma oggi? Dopo che NATO e Ucraina l’hanno costretta a mesi di guerra? A migliaia di morti? A enormi spese? Dopo che a questo prezzo ha conquistato il 20% dell’Ucraina dovrebbe accontentarsi dello stesso pezzo di pane che prima sarebbe stato gratis? Oltre a raccontarvi che è pazzo, adesso pretendete che sia anche scemo? E a proposito di chi è scemo, guardate un po’ questa:

E dopo tanto nerume, risolleviamoci un po’ lo spirito con un po’ di biancore (e con una piccola magia)

Fantasia d’inverno, Balletto Igor Moiseiev,

barbara

QUELLA SINGOLARE SIMULAZIONE DI TRE ANNI FA

NEL 2019 GLI USA SIMULANO UNA “GUERRA NATO-RUSSA” CHE SI SVILUPPA DALL’UCRAINA CON UN MILIARDO DI MORTI

Una simulazione spaventosamente realistica dell’anno 2019, anticipa ciò che ora sta in parte accadendo nella realtà e che in caso di escalation potrebbe condurre a una catastrofe globale.  Uno dei partecipanti a questo “gioco di guerra” è stato Harry J. Kazianis, direttore senior del Center for the National Interest, un think tank sulla sicurezza nazionale con sede a Washington, fondato dal presidente Richard Nixon. Kazianis è l’autore del seguente articolo. 

Un intervento della NATO in Ucraina potrebbe scatenare una guerra nucleare. Vediamo nel dettaglio cosa potrebbe succedere

By Harry J. Kazianis

“Come facciamo a uccidere un miliardo di persone?”

Così come hanno fatto innumerevoli volte negli ultimi anni, un gruppo di passati e presenti alti funzionari governativi statunitensi da entrambi gli schieramenti si sono incontrati per soli tre giorni alla fine del 2019 per simulare una guerra tra la NATO e la Russia. Nel corso di quella che abbiamo chiamato la Guerra NATO-Russia del 2019, secondo le nostre stime sono morte un miliardo di persone. E se non stiamo attenti, quanto è accaduto in quella simulazione potrebbe accadere se una guerra NATO-Russia scoppiasse per l’Ucraina. Effettivamente, nella simulazione del 2019 che ho appena menzionato, in cui la Russia invade l’Ucraina in un modo simile a quello dell’ultima settimana o giù di lì, non solo la NATO viene trascinata involontariamente, anche la Russia alla fine sgancia armi nucleari nella sua disperazione. 
Il risultato è un’escalation con armi nucleari sempre più potenti e pericolosi, che causano più di un miliardo di morti.
Ma prima di iniziare a scrutare l’abisso, permettetemi di spiegare l’obiettivo di tali simulazioni. La NATO avrebbe chiaramente un enorme vantaggio convenzionale in una guerra con Mosca, assicurando che Putin perderebbe in uno scontro diretto. Tuttavia, la Russia ha dichiarato più e più volte che userà le armi nucleari per difendere il suo territorio e il suo regime in caso di minaccia mortale. La nostra simulazione si chiede come sempre: potremo mai sconfiggere il presidente russo Vladamir Putin in un conflitto armato sull’Ucraina o sul Baltico senza scatenare una guerra nucleare in questo modo? Finora, durante questi ultimi anni, e con almeno 100 partecipanti diversi che hanno idee diverse sulla guerra e sulle preferenze politiche, la risposta è un secco no.

Preparare lo scenario della guerra

Lo scenario che il gruppo aveva deciso di testare alla fine del 2019 era simile a quello di oggi: La Russia aveva deciso di invadere l’Ucraina con la scusa di dover difendere i popoli di lingua russa che vengono “oppressi” dal governo fascista dell’Ucraina [doverose le virgolette, essendone stati ammazzati solo 14.000 ed essendo stati sì massicciamente bombardati ma non essendo stato distrutto proprio tutto. Quanto a quelli intenzionalmente bruciati vivi, vabbè, sono cose che capitano, no?]. Nel nostro scenario, abbiamo immaginato che la Russia si comporti in modo molto più ammirevole di quanto non faccia oggi, tuttavia con obiettivi più limitati, nel senso che Mosca vuole collegare la Crimea alle regioni separatiste dell’Ucraina orientale che sono sotto il suo effettivo controllo. Abbiamo ipotizzato che la Russia lo faccia con rapidità, raggiungendo la maggior parte dei suoi obiettivi militari in circa quattro giorni.
Ma l’Ucraina non si arrende così facilmente, proprio come nella vita reale di oggi [embè, sono anni che la state armando fino ai denti, in modo da essere pronta quando la Russia finalmente si deciderà a reagire alle continue provocazioni, finalizzate espressamente a indurla a reagire: e vorrei vedere che l’Ucraina non fosse stata in grado di resistere]. Le forze ucraine, dopo aver subito pesanti perdite, montano un impressionante contrattacco, per cui la Russia perde più di 100 carri armati e oltre 2.500 soldati. Le immagini sui social media mostrano le armature russe in fiamme, i jet da combattimento d’élite Su-35 sono eliminati dai cieli, e le armi stanno arrivando in massa dall’Occidente.
Putin è furioso. Pensava che l’Ucraina si sarebbe semplicemente arresa, ma nel suo calcolo non tiene conto degli addestramenti quasi decennali che Kyiv ha ricevuto dagli Stati Uniti e dalla NATO, né del rafforzamento militare dell’Ucraina negli ultimi anni, che era focalizzato su questo scenario [poi venite a dare dei complottisti a noi, quando diciamo la NATO e l’America stavano preparando tutto questo da anni].
La Russia decide allora che i suoi limitati obiettivi militari sono stati un errore e che tutta l’Ucraina deve essere “smilitarizzata”. Mosca lancia allora un massiccio attacco con missili balistici e da crociera, seguito da una sua campagna “shock and awe” da parte delle forze aeree russe, distruggendo gran parte del comando e controllo dell’Ucraina, delle forze aeree, della difesa aerea e delle unità corazzate. Allo stesso tempo, la Russia sta cominciando a spostare le truppe ai confini dell’Ucraina che appaiono come un’imminente invasione e occupazione generale dell’intero paese.

La scintilla

È qui che la situazione degenera. Il sistema di guida di un missile balistico russo fallisce e si schianta sulla Polonia, membro della NATO, uccidendo 34 civili mentre atterra tragicamente in un villaggio abitato lungo il confine tra Polonia e Ucraina. Anche se il missile non era deliberatamente diretto contro la Polonia, le immagini sui social media mostrano bambini in lacrime per le loro madri e cadaveri irriconoscibili, e vengono chieste giustizia e vendetta.
La Polonia, che ha una sua storia travagliata con l’Unione Sovietica e la Russia, sta facendo del suo meglio per esercitarsi nella moderazione, il che gli fa onore. Pur non rispondendo con il proprio esercito, conduce uno sforzo per assicurarsi che Mosca paghi un prezzo salato per la sua aggressione in Ucraina e le sue azioni, anche involontarie, in Polonia. Varsavia guida un boicottaggio diplomatico ed economico di Mosca con il risultato che la Russia viene cacciata dallo SWIFT oltre a sanzioni dirette alle banche russe, simili a quelle che vediamo oggi [non esattamente: oggi tutto questo è stato fatto fin dal primo giorno, quando nessun paese NATO era stato toccato, e con l’aggiunta del boicottaggio sportivo e culturale, il sequestro – io lo chiamerei rapina – dei beni di privati cittadini russi e varie altre cose ancora].
Nel nostro scenario, la reazione della Russia è altrettanto rapida. Mosca decide di lanciare un massiccio attacco informatico contro la Polonia, avendo posizionato guerrieri informatici in tutto il territorio della NATO, utilizzando la loro geografia e i server proxy per mascherare l’origine dell’attacco. La Russia, in sole due ore, mette off-line l’intera rete elettrica della Polonia, il settore bancario, gli impianti energetici e altro – essenzialmente riportando la Polonia all’età della pietra.
Ed è qui che inizia l’incubo. Anche se è difficile attribuire la responsabilità, la Polonia si appella alla NATO e avvia privatamente la sua richiesta di invocare l’articolo 5 della Carta della NATO, dichiarando che un attacco a uno è un attacco all’intera alleanza. La NATO è preoccupata perché c’è una discussione sulla misura in cui la Russia dovrebbe essere punita. Allo stesso tempo, gli stati membri sentono di non avere un chiaro obiettivo militare, poiché alcuni vogliono reagire agli eventi in Polonia, mentre altri sentono di dover intervenire militarmente in Ucraina.

La risposta

È qui dove la NATO sorprende tutti. L’alleanza decide di istituire una no-fly zone limitata intorno alla città ucraina di Lviv per proteggere i civili innocenti e i rifugiati che sono intrappolati e non hanno un posto dove andare. La Russia è avvertita: La NATO non interviene nel conflitto, ma farà in modo che i suoi aerei e lo spazio aereo intorno a Lviv siano protetti. La NATO chiarisce che i suoi jet saranno nei cieli sopra l’Ucraina, ma non opereranno dal territorio ucraino.
A Mosca, Putin ha ora la sensazione che la NATO sia intenzionata a intervenire a fianco dell’Ucraina [eccerto: dopo anni che l’Ucraina viene armata e addestrata da loro per combattere contro la Russia, giusto di una sensazione si tratta!]. La Russia teme che la NATO usi questo corridoio protetto come base operativa per inviare armi sempre più sofisticate. E con l’economia del paese in caduta libera a causa delle sanzioni, Putin sente che i muri intorno a lui si stanno stringendo. Prima che la NATO possa far rispettare la sua no-fly zone, Putin ordina di attaccare tutti i rimanenti aeroporti e installazioni militari intorno a Lviv.
Ma è qui che Putin sbaglia i calcoli e mette le basi per una guerra NATO-Russia. Putin ordina un altro massiccio attacco informatico alle infrastrutture militari degli stati baltici, pensando che la NATO userà il Baltico per inscenare un’invasione della Russia.
Questo finisce per essere l’ultima goccia per la NATO [Questo finisce per essere l’occasione lungamente sperata e preparata per poter finalmente scatenare l’agognata guerra contro la Russia], che quindi decide che un intervento immediato in Ucraina è necessario per respingere l’aggressione russa. Prima ancora che venga fatto un annuncio, l’intelligence russa vede i movimenti di missili e truppe che indicano un imminente attacco della NATO e decide di colpire per prima – con armi nucleari tattiche.
La NATO decide di rispondere a sua volta.
La Russia attacca poi le città europee con armi nucleari, e allora anche la NATO e l’America rispondono con armi nucleari. Quello che rimane è una vera e propria apocalisse con un miliardo di morti stimati.

Nessuna guerra va come previsto

In ogni scenario di cui ho fatto parte c’è un tema comune a tutti quanti: Una volta che Vladimir Putin si sente stretto in una morsa e sente che la Russia è direttamente minacciata, generalmente a causa di un errore commesso sul campo di battaglia, decide di usare tutti i livelli di escalation per cercare di rifarsi.
Può essere che l’Ucraina e la Russia trovino presto una via d’uscita diplomatica da questa guerra brutale, ma entrambe le parti sembrano trincerarsi [a dire la verità sono 14 anni che la Russia sta tentando di raggiungere una via d’uscita diplomatica, l’ultima volta quattro giorni prima dell’attacco: tentativi regolarmente respinti dall’Ucraina – esattamente, ancora una volta, come i palestinesi, e poi la colpa viene sistematicamente addebitata alla controparte]. Questo significa che le possibilità di un’escalation come quella descritta sopra sono alte. E se la Russia e la NATO vengono coinvolte in un conflitto diretto, Putin ha la certezza che il suo regime verrebbe sconfitto in un combattimento convenzionale. Ciò significa che la Russia opterà per la guerra nucleare.
Ovviamente la domanda che si pone in una guerra tra la NATO e la Russia è: quanti milioni o miliardi di persone morirebbero? [La domanda che mi pongo invece io è: ma perché gli Stati Uniti e la NATO stanno cercando in tutti i modi, da anni, al prezzo di molti miliardi di dollari sottratti alle necessità dei contribuenti, di scatenare una guerra con la Russia che provocherà miliardi di morti?]

Harry J. Kazianis è direttore degli studi sulla difesa al Center for the National Interest di Washington DC e redattore esecutivo del loro braccio editoriale, The National Interest. Le opinioni espresse in questo articolo sono sue. È su Twitter @grecianformula.

TRADUZIONE A CURA DI NOGEOINGEGNERIA – CANALE TELEGRAM https://t.me/NogeoingegneriaNews

FONTE https://thefederalist.com/2022/03/04/nato-involvement-in-ukraine-could-spark-nuclear-genocide-heres-how-it-could-happen/

SGS (SCIENCE GLOBAL SICURITY) ha sviluppato una nuova simulazione per una possibile guerra in escalation tra Stati Uniti e Russia utilizzando posizioni realistiche delle forze nucleari, obiettivi e stime di mortalità.
Questo documento audiovisivo di quattro minuti si basa su valutazioni indipendenti delle posizioni attuali delle forze statunitensi e russe, dei piani di guerra nucleare e degli obiettivi delle armi nucleari. Utilizza ampie quantità di dati sulle armi nucleari attualmente schierate, sui rendimenti delle armi e sugli obiettivi potenziali per le armi specifiche, così come le stime dell’ordine di battaglia di quali armi sono rivolte a quali obiettivi, in quale ordine e in quale fase della guerra, per mostrare l’evoluzione di un conflitto nucleare dalla fase tattica a quella strategica fino a quella mirata.

I morti e i feriti immediati che si verificherebbero in ogni fase del conflitto sono calcolati utilizzando i dati NUKEMAP. Le stime delle vittime sono limitate alle morti direttamente causate dalle esplosioni nucleari e sarebbero significativamente aggravate dalle morti causate dal fallout nucleare e da altri effetti a lungo termine. 

FREDDO, CARESTIE E RADIAZIONI: L’INVERNO NUCLEARE DOPO UNA GUERRA ATOMICA

16/04/2022, qui.

E chissà se qualcuno si rende conto che quella porta, al momento socchiusa, sulla guerra totale nucleare, con l’ennesima provocazione messa in atto da Svezia e Finlandia diventa un portone spalancato.
Prima di chiudere, non posso non aggiungere una straordinaria perla del nostro ineffabile Presidente del Consiglio (avete visto? L’ho messo anche maiuscolo!)

Ucraina, Draghi: “La Russia non è più Golia, non è invincibile”

Ehm… Qualcuno per favore glielo dica che non è Golia quello che vince…

E ora, visto che il Titanic non è ancora affondato del tutto, fin che siamo in tempo balliamo ancora un po’.

barbara

DI GUERRA E DI PACE

In attesa della possibile-probabile-temuta-sperata-terrorizzante-salvifica guerra in Medio Oriente, ho ripescato questa vecchia cosa che forse – forse – potrebbe fornire uno spunto di riflessione.

Pensiero mattutino
Data:    Friday, September 20, 2002 11:23 AM

Di solito non scrivo mail “di massa”. E la politica mi interessa poco. Poi sono anche molto ignorante.
Ma sentire le parole di Bush, e vedere nei suoi occhi la violenza. Percepire che la Pace non è più una possibilità ricercata ma quasi un lusso da signorine e vedere la faccia sorridente del nostro premier, cioè, volenti o nolenti, di noi tutti italiani, lì di fianco a sottolineare il suo consenso…
E poi penso a me, che faccio? Sto forse nutrendo, inconsciamente, lo stesso Leviatano? Sono forse i miei pensieri, le mie parole, a portarmi distrattamente là dove la violenza si compie? Come vedo il mio prossimo? C’è ancora possibilità di pace, dentro di me? E come la incarno nei miei gesti quotidiani?
Il mio silenzio è un marchio a fuoco. Posso veramente non ritenermi responsabile di ciò che accade là fuori?
Grazie dei 2 minuti di attenzione.
Stefano B

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Caro Stefano,
ritengo sempre utile riflettere, specialmente di primo mattino, quando si è più freschi, riposati, calmi.
La riflessione si chiama così perché consiste di una serie approfondita di ragionamenti e pensieri elaborati e rielaborati, dunque è bene riflettere proprio quando le capacità intellettive sono al massimo delle potenzialità.
Quando si parla di guerra si parla inevitabilmente di morti, tragedie, sofferenze immediate e “a lunga cessione”: l’Europa è ancora ben giovane per aver dimenticato gli orrori di ben due guerre (e mezza) del secolo passato. Una riflessione sulla guerra dunque dovrebbe impegnare più di un solo mattino. Perché la guerra non è uno scherzo, ma il male in assoluto che come Umanità dobbiamo cercare di impedire ad ogni costo.
Nel caso specifico dell’Iraq guidato dalla dittatura di Saddam Hussein occorre ricordare -durante la riflessione- ciò che accadde il 7 Giugno 1981 a Tammuz, vicino Baghdad: con un’azione di “legittima difesa preventiva” l’aviazione militare israeliana bombardò e distrusse il reattore nucleare di Osiraq.
Quella data segna un importante stop al programma iracheno volto alla costruzione della bomba atomica. Quella fu un’azione di guerra o, se si preferisce, una “illegittima azione di pirateria internazionale”, ma a seguito di quell’azione il dittatore Saddam Hussein non possedeva più la capacità tecnologica per dotarsi di armamenti nucleari. È da ricordare che il 1981 fu un anno terribile per il Medio Oriente: la guerra civile in Libano, gli attacchi militari dal Libano contro Israele, la guerra Iran-Iraq, l’attentato al presidente egiziano Anwar El Sadat… Era insomma in corso l’inferno o giù di lì e TUTTO poteva accadere. Dopo il 7 Giugno però da quel “tutto” si poteva togliere -almeno per un lungo periodo di tempo- la capacità di un conflitto atomico in Medio Oriente.
Ricordando questo antefatto si deve tener conto di un altro episodio, un’altra pagina buia per l’Umanità: il bombardamento con armi chimiche sulla popolazione civile irachena di etnia curda nel nord dell’Iraq da parte della aviazione militare di Saddam Hussein nel 1988. Più di 5000 -cinquemila- morti, uomini, donne, vecchi, bambini, uccisi dal gas nervino. Ciò che rende più amara quella pagina buia dell’Umanità è che l’Umanità era stata avvertita dallo Stato di Israele circa la minaccia crescente del rais di Baghdad, ma l’Umanità rispose che era troppo furba per cadere nella trappola del Primo Ministro israeliano Shamir di “deviare l’attenzione” del mondo dall’Intifada in corso nei Territori palestinesi occupati.
Le immagini dei Curdi che giacevano a terra dopo aver sofferto indicibilmente catturarono l’attenzione di pochi media nel mondo, attenzione che era spasmodicamente rivolta solo e soltanto alla Intifada palestinese. Allora un Palestinese ferito contava molto più di cinquemila Curdi sterminati col gas. Era il 1988 e Saddam stava lentamente preparandosi ad attaccare il Kuwait e l’Arabia Saudita. Questi piani militari erano stati desunti da informazioni dei servizi segreti israeliani e per mesi ed anni Israele tentò invano di attirare l’attenzione sulla minaccia crescente, minaccia che puntualmente si attuò il 2 Agosto 1990 con l’invasione del Kuwait che dette inizio alla Guerra del Golfo (che tanti erroneamente fanno cominciare solo nel Gennaio 1991 quando una forza multinazionale avallata dall’ONU iniziò le operazioni militari di reazione per liberare il Kuwait). Le azioni di guerra cessarono con l’avvenuta liberazione dello stato arabo (non era Saddam l’obiettivo e dunque Saddam fu lasciato al suo posto: se fosse stato detronizzato si sarebbe trattato di un’azione illegittima di pirateria internazionale). L’inizio e la fine della guerra sono dunque collegate all’invasione e alla liberazione dello Stato del Kuwait.
Le Nazioni Unite, allo scopo di evitare il riarmo dell’Iraq e per garantire le minoranze etniche, istituirono delle sanzioni commerciali e stabilirono due zone semi-autonome a sud e a Nord del paese (dove vivono le minoranze sciite e curde, spietatamente perseguitate come ricordato prima) vietandone il sorvolo da parte dei Jet militari iracheni (sono le famose “no-fly zone).
Venne inoltre deciso l’invio di ispettori ONU per verificare la presenza e conseguentemente la distruzione di armi convenzionali e di distruzione di massa.
Gli ispettori non hanno mai avuto il permesso di ispezionare moltissimi siti “sospetti” e dopo essere stati espulsi una prima volta sono stati riammessi ma ancora senza poter svolgere realmente il proprio lavoro. Essi poi sono stati definitivamente riespulsi nel 1998. Quattro anni fa.
Come Israele lanciava l’allarme nel 1981, 1988 e 1989 e 1990 così sempre Israele (che la trentina di missili Scud iracheni su Tel Aviv ricordano aver ben ragione di temere per la propria sicurezza nonché per la propria sopravvivenza) ha lanciato più volte un più accorato -e come al solito inascoltato- allarme Iraq.
Stavolta la minaccia è di tipo nucleare.
Ma a questo punto occorre allungare la riflessione col ricordo dell’11 Settembre 2001: un giorno che insegna all’Umanità che la barbarie esiste e si può scatenare OVUNQUE. Un giorno che sottolinea come i pazzi che vogliono distruggere il mondo esistono e -soprattutto- agiscono davvero.
Dopo l’11 Settembre è stato immediatamente chiaro che la nuova minaccia alla sicurezza mondiale non poteva essere sottovalutata e che gli allarmi da Israele dovevano essere presi nella necessaria considerazione.
Il problema di un Iraq che sarebbe stato in possesso della bomba atomica entro il 2003 (notizia nota da almeno 12 anni) non poteva più essere trascurato.
A questo punto tralascerei “la violenza negli occhi di Bush” (anche perché il meraviglioso sguardo sorridente di Saddam Hussein mi ricorda quanto sia poco determinante l’espressione del volto) e mi riferirei al concetto espresso da un capo di stato e di governo che ha atteso con pazienza prima di colpire il centro di comando di Al Qaeda in Afghanistan e che ha avuto sangue freddo e conservato la calma per tranquillizzare la propria nazione così tragicamente e storicamente colpita.
Il concetto è questo: “non possiamo permetterci il rischio di aspettare di essere colpiti con armi di distruzione di massa”.
Ho molto semplificato ma il punto centrale è proprio questo. Non penso sia un “lusso per signorine” ricercare la pace, non lo penso perché la storia me lo ha insegnato, non lo penso perché i racconti dei nonni e della mamma me lo hanno insegnato, mi hanno insegnato cosa voglia dire la parola “guerra” e quanto di tragedia essa porti con sé. Però penso che nel 1938 durante i Patti di Monaco le democrazie occidentali abbiano commesso un grave, orrendo, fatale errore nel sottovalutare la potenza e la volontà di distruzione, conquista e sterminio della Germania nazista e mi domando quanti milioni di morti si sarebbero potuti evitare dichiarando SUBITO guerra a Hitler e dimostrando in tempo la forza del Diritto e della Democrazia a chi proprio il Diritto e la Democrazia voleva sconfiggere (A PROPOSITO DI GUERRA).
Nel 1945 la Germania nazista e il Giappone erano molto vicini alla costruzione dell’arma atomica. Questo significa che se il mondo avesse aspettato ancora pochi anni -se non addirittura mesi- prima di opporsi alla volontà di guerra delle dittature, già sessant’anni fa avremmo avuto un conflitto nucleare.
Un conflitto nucleare che sarebbe stato scatenato per primo da chi per primo nella storia ha scatenato i conflitti:
Hitler nel 1939
Saddam Hussein nel 1990
Milosevich nel 1992 e nel 1999.
Conflitti che non sono stati fermati dalla volontà popolare (come potrebbe accadere per gli stati democratici) perché stati democratici quelli non erano. Quei conflitti sono stati fermati soltanto da ciò che in ultima istanza poteva e può fermare una guerra. Non il trattato internazionale meglio conosciuto come “Patti di Monaco” ha fermato -come si erano illuse le democrazie occidentali ed i pacifisti- Hitler, ma gli sbarchi angloamericani in Sicilia, Anzio, Costa Azzurra e Normandia, le avanzate sovietiche in Finlandia, Polonia, Ungheria e Balcani…
Milioni di vivi hanno aspettato invano la liberazione, milioni di morti sono stati necessari per liberarci.
Dopo esser stati ciechi di fronte al terrorismo suicida in Israele -credendo si trattasse di un fenomeno isolato e circoscritto, credendo nella spontaneità di quei “sacrifici” e soprattutto credendo che essi fossero solo il frutto della “disperazione” senza invece approfondire il fenomeno come invano Israele chiede da tempo- in molti hanno visto l’11 Settembre cosa davvero significa “terrorismo suicida” e che cosa può comportare tale nuova strategia militare,  … vincente su Israele, vincente sugli Stati Uniti d’America, in altre parole, VINCENTE punto e basta.
Se è vero che la storia deve servire da lezione per non commettere in futuro gli errori passati allora devo cambiare il concetto del presidente Bush (“non possiamo permetterci il rischio di aspettare di essere colpiti con armi di distruzione di massa”) in una domanda:
Possiamo permetterci il rischio di aspettare di essere colpiti con armi di distruzione di massa?
Possiamo rischiare -ancora nella storia- altri milioni di morti?
È una domanda che mi faccio senza avere il magnifico sorriso sul volto.
Al mio più energico NO, NO ALLA GUERRA NUCLEARE DI SADDAM HUSSEIN, no alla distruzione atomica di Tel Aviv, Londra o Francoforte, non posso avere il magnifico sorriso sul volto, ma la mia più ferma determinazione per evitare la catastrofe.
Che può esser interpretata come “violenza negli occhi”.
Milioni di persone avrebbero voluto quell’espressione sul volto di Chamberlain a Monaco di Baviera nel 1938.
Fermare Bush e Blair. Ma Saddam chi lo ferma? Gli ispettori che arriveranno non potendo ispezionare enormi capannoni denominati “palazzi presidenziali” e “dunque non ispezionabili”?
Possiamo davvero aspettare quel giorno in cui da Baghdad arriverà la dichiarazione “abbiamo l’arma atomica” (condito magari da un bel “Grazie per avercelo permesso”)?
Possiamo davvero attendere un lampo accecante da Tel Aviv, Londra, Francoforte, Milano o New York senza fare niente?
Saddam Hussein sa come rimanere al potere e sa anche che dopo quell’annuncio al mondo ci resterà per sempre. Da quel momento però il mondo intero vivrà con la bomba atomica di Damocle.
Saddam ha fatto cadere tante spade: sui Curdi, su Israele, sul proprio popolo. Possiamo davvero rischiare un’altra spada stavolta accecante?
Rivolgendo l’attenzione ai famosi sporchi interessi, alla famosa frase della “guerra per il petrolio” (come se l’invasione irachena del kuwait non fosse volta proprio ad impossessarsi dell’oro nero kuwaitiano), Saddam ha ultimamente riammassato truppe militari vicino al confine col Kuwait ed inoltre non ha mai smesso di rivendicare la “proprietà” del Kuwait.
Davvero possiamo rischiare che un feroce dittatore -che fa a pezzi il poeta di corte perché non ne aveva gradito la poesia quel giovedì mattina- possa di nuovo impossessarsi con una guerra del Kuwait e continuare impunemente in Arabia Saudita arrivando così a poter ricattare il mondo con un’altra arma -ben più temibile- il controllo pressoché totale del petrolio?
L’arma atomica in mano irachena mi fa scrivere quella frase “continuare impunemente in Arabia Saudita”: quale paese al mondo infatti si esporrebbe a una rappresaglia nucleare se Saddam Hussein volesse “solo” conquistare qualche milione di chilometri quadrati di deserto?
Immaginiamoci per un istante -uno solo per carità!- la potenza di un Hitler con l’arma atomica ed il controllo mondiale sul petrolio.
Ma non occorre molto sforzo di immaginazione: fermandoci soltanto alla minaccia atomica potremmo ricordare le impunite (perché impunibili, pena la rappresaglia nucleare) invasioni sovietiche dell’Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968 e dell’Afghanistan nel 1979, o che dire della Cina -altra potenza nucleare- che si può permettere il lusso (da signorine?) di schiacciare con i carri armati migliaia di studenti “colpevoli” di protestare in piazza Tien-an-men… Addirittura sotto gli occhi delle telecamere.
La stessa cosa pensavano di fare Saddam Hussein nel ’90 e Milosevich nel ’92, ma per questi ultimi due casi fortunatamente (anche se lentamente) il mondo ha potuto opporsi. Per fortuna non avevano armi di distruzione di massa. Quanto al petrolio, ci ha pensato Saddam a quello kuwaitiano perduto: ordinando in ritirata l’incendio dei pozzi petroliferi che ha oscurato il cielo per mesi. Ma chissà se di questo hanno qualche notizia o si ricordano più coloro che volgono lo sguardo (lo volgono?) sulla storia irachena.
Spero non ci sia la guerra, spero non ci sia la necessità della guerra. Ma c’è sempre quella domanda…
Possiamo permetterci il rischio di aspettare di essere colpiti con armi di distruzione di massa? Possiamo permetterci di aspettare in silenzio senza fare qualcosa per evitare il peggio, l’irreparabile?
Uso volentieri le Tue parole:
“Il mio silenzio è un marchio a fuoco. Posso veramente non ritenermi responsabile di ciò che accade là fuori?”
La riflessione va fatta di mattina e non di sera perché altrimenti si rischia di trascorrere una lunga notte insonne.
Questa mia è stata una riflessione più lunga di due minuti e me ne scuso, ma quando si parla di guerra è bene riflettere più a lungo di soli due minuti. Ti ringrazio per avermi dato la possibilità di riflettere ancora: quando si parla di guerra nulla deve essere dato per scontato, nemmeno che il passato non ritorni.
Al riguardo ho sentito un brivido l’altro giorno, al primo anniversario degli attacchi terroristici a New York e Washington: qualcuno ha detto “MAI PIÙ”…
Lo avevano detto anche per Auschwitz, poi sono stati sterminati civili con il gas in Iraq, sono comparsi campi di concentramento in Bosnia, si è saputo di cadaveri di kossovari fatti sparire nelle fonderie della Serbia…
Si dice “MAI PIÙ” ma intanto non si fa niente perché non riaccada.
Non mi resta che congedarmi con il saluto più adatto, un saluto che è una profonda speranza,
SHALOM!
(Pace)
Federico

“Quando si parla di guerra nulla deve essere dato per scontato, nemmeno che il passato non ritorni”
E non aggiungo commenti.

barbara