E lo so che parlare male dei morti non sta bene. Meno che mai quando si tratta di un eroe nazionale, di una leggenda, di un mito; ma quando si parla di storia servono i fatti, non le buone maniere, e i fatti parlano chiaro: Moshe Dayan ha commesso il più catastrofico errore che mai si potesse fare, dando il via a un disastro che continua a provocare sciagure e che difficilmente potrà diventare reversibile – a meno di una guerra, che naturalmente nessuno vuole. Ma torniamo indietro, a quel giugno del 1967 in cui la cosiddetta Gerusalemme est fu finalmente liberata, dopo 19 anni, dall’illegale occupazione giordana, che aveva provocato l’espulsione di tutti gli ebrei che lì vivevano, distruzione di sinagoghe, devastazione di cimiteri, divieto di accesso a tutti i luoghi santi ebraici per tutti gli ebrei del mondo e pesanti limitazioni a quelli cristiani. E qual è la geniale idea di Moshe Dayan? Sicuramente grandissimo genio militare ma, come molti militari, col deprecabile vizio di essere un inguaribile pacifista e tanto tanto comprensivo nei confronti dei palestinesi, la prima cosa che fa, è di rassicurare i musulmani e affidare loro la sovranità sul Monte del Tempio. Quella cosa su cui Salomone aveva costruito il Primo Tempio. Quella cosa su cui Erode aveva costruito il secondo Tempio. Quella cosa su cui dopo la distruzione di Gerusalemme da parte dei romani era sorta una chiesa cristiana. E poi, buoni ultimi, sono arrivati i musulmani e hanno detto che quella è roba loro, e Moshe Dayan gli ha dato ragione e gli ha consegnato su un piatto d’argento il più prezioso luogo sacro ebraico, affinché provvedessero a devastarlo per cancellare il più possibile le tracce della presenza ebraica, e infatti adesso anche l’Unione Nazisti Esperti in Stravolgimenti Ciclopicamente Obbrobriosi ha stabilito che quella è tutta roba musulmana da cui gli invasori ebrei devono togliere il disturbo.
Ecco, questo devastante disastro messo in atto da Moshe Dayan si chiama status quo: cioè le cose devono rimanere nello stato in cui sono, senza apportare alcun cambiamento. E gli arabi musulmani lo stanno rispettando alla grande:
il primo status si chiamava Kamil Shnaan e aveva ventidue anni
il secondo si chiamava Ha’il Satawi: aveva trent’anni e un bambino di tre settimane, il suo primo figlio.
barbara