IL BANCHIERE DI HITLER

In realtà non è affatto corretto chiamarlo il banchiere di Hitler: Hjalmar Horace Greely Schacht, certo, ha collaborato anche con Hitler, lo ha entusiasticamente sostenuto quando credeva che potesse rappresentare la salvezza per la Germania, ma non ha esitato a prenderne le distanze e a combatterlo apertamente – pagandone il prezzo – quando si è reso conto che in realtà la stava riconducendo verso il baratro. Perché la vera molla delle sue scelte e delle sue azioni, oltre a un’innegabile robusta dose di ambizione, è stato un immenso amore per la sua Germania.
Quanto alla questione ebraica, pur tutt’altro che immune da pregiudizi, ha però sempre ritenuto inaccettabile qualunque forma di persecuzione nei loro confronti, e non si è mai stancato di proclamare questa sua convinzione, sia in privato che in pubblico, sia a voce che per iscritto, oltre a considerare un vero e proprio crimine contro la Germania il privare la sua economia del competente apporto degli ebrei.
Libro ricco e documentato, nonostante qualche imprecisione (per non parlare di un’abominevolissima citazione latina con un accusativo al posto del nominativo), direi che vale senz’altro la pena di leggerlo.
Piesse: considerando che in tempi più recenti abbiamo avuto un “banchiere di Dio”, se dovessi mettere sulla bilancia il banchiere di Dio e quello del diavolo, non credo che avrei difficoltà a stabilire quale dei due sia stato il più disonesto, il più sporco, il più malvagio. In una parola: il più diabolico.
Pipiesse: l’economia non è il mio campo; dire che poco ne so e meno ancora ne capisco, sarebbe già un eufemismo. Credo, tuttavia, di potermi permettere di dire che chi si preoccupa della crisi attuale, delle sue cause, delle possibili soluzioni, farebbe bene a leggere questo libro. E a meditarci su.

John Weitz, Il banchiere di Hitler, Piemme

barbara