e l’autismo e le mutilazioni e le lesioni cerebrali e la sindrome di Down e il nanismo, arriva nell’esercito di Israele anche la cecità. Perché in un Grande Esercito di una Grande Nazione, nessuno vale così poco da non avere niente da dare.
Mutilati, autistici, cerebrolesi, in sedia a rotelle, Down, nani… E ciechi. Tutti volontari. tutti fieri di poter dare il proprio contributo alla difesa del proprio Paese.
Dopo i soldati in sedia a rotelle
dopo i soldati autistici
dopo i soldati mutilati
dopo i soldati (ufficiale, per la precisione) cerebrolesi
dopo i soldati Down
arriva ora anche la soldatessa nana
Nessuno di loro ha l’obbligo di servire nell’esercito, ma a tutti loro è riconosciuto il diritto di farlo, affinché ognuno, se lo desidera, possa avere l’onore e l’orgoglio di dare quanto può (così come all’alba dell’era dei Kibbutzim, mentre le femministe europee e americane combattevano per ottenere gli stessi diritti degli uomini, quelle israeliane combattevano per ottenere gli stessi doveri). Ricordando – come già altrove ho avuto l’occasione di dire – a tutti quelli che “Israele come la Germania nazista”, che nella Germania nazista tutti i protagonisti delle foto qui sopra finivano in gas con l’attiva collaborazione dell’esercito, in Israele vengono accolti nell’esercito con l’attiva collaborazione di tutto il popolo.
Per la terza volta in brevissimo tempo. Questo l’orrendissimo articolo che gli ha meritato la severa punizione.
“Gaza, mamma palestinese incinta e la figlia di un anno e mezzo uccise nei bombardamenti”. Questo è il titolo di un articolo sull’edizione online di La Repubblica. L’intento è esplicito. Fomentare l’odio verso Israele e dare la stura all’antisemismo. Cosa c’è di meglio se non evidenziare che Israele uccide le donne e i bambini? Fa sempre un certo effetto e rincuora gli animi di chi afferma che i soldati dell’IDF sarebbero come i nazisti. La notizia della morte, vera o presunta, della donna è fornita da Hamas. Ovviamente nel titolo si omette qualsiasi riferimento al fatto che da Gaza sono partiti 150 razzi contro Israele e che, Israele ha risposto di conseguenza. Si titola così, ad effetto. Funziona sempre. Goebbels lo ha insegnato bene, poche idee, semplici, costantemente ripetute. Israele che ammazza donne e bambini è irresistibile, è uno dei capisaldi del romanzo criminale sullo Stato ebraico, null’altro se non la continuazione del romanzo criminale sugli ebrei che dura da millenni. Bisogna dire che La Repubblica è ormai diventata poco più di una latrina. Il tanfo è irrespirabile, soprattutto in estate, quando gli odori si percepiscono più netti a causa della calura. Da quando la direzione è sotto la tutela di Mario Calabresi, il precipitare verso il basso è una picchiata senza sosta. Meno male che l’esimio titolare del giornale e del gruppo L’Espresso, l’ingegnere Carlo DeBenedetti, ha saputo individuare in Matteo Salvini il vero antisemita.
Invito tutti gli amici a condividerlo nel proprio blog e, se qualcuno se la sente, anche su FB, come ha fatto l’amico Enrico Richetti, dal quale l’ho ripreso.
Restando in tema di spudorata disinformazione su Israele, aggiungo l’infame episodio della foto della “bambina di due anni uccisa dagli israeliani insieme alla mamma incinta”, naturalmente con l’immancabile corredo di pupazzo orsacchiotto e la tenerissima Hello Kitty in mezzo alle macerie della casa, ovviamente pulitissimi, come sempre.
Si tratta in realtà della foto di una bambina americana presa a caso da Instagram,
per toccare cuore e pancia con quegli occhioni innocenti spalancati sul mondo, che i perfidi giud sionisti hanno chiuso per sempre. Perché è così che funziona: prima inventi l’etichetta (israeliani=nazisti), poi inventi la notizia (israeliani uccidono donne e bambini), poi peschi fuori da un sito qualsiasi un’immagine qualsiasi che si sposi con la notizia inventata, ed ecco dimostrato che l’etichetta era corretta. E funziona sempre.
In 15 posti diversi: un piccolo regalo per i 70 (+3000) anni di Israele.
Qui invece sono 12.000, tutti insieme, compreso il presidente della repubblica, a cantare per i 70 anni della recuperata indipendenza di Israele.
E ricordiamo: qualunque cosa accada, la sentinella d’Israele veglia sempre ed è sempre all’erta, per la sicurezza e la pace di tutti noi.
Mazl tov, Israel! Yom huledet sameach!
Cari Amici,
è chiaro che di nuovo – come in tante altre situazioni di pericolo per Israele – c’è una larga differenza fra quel che pensano e che sentono gli amici di Israele e in particolare gli ebrei (salvo pochissimi traditori, personaggi cioè che il popolo ebraico detesta e disprezza) e il modo in cui i media stanno orientando l’opinione pubblica. Ignorando i traditori e gli antisemiti più o meno consapevoli e dichiarati che sono venuti allo scoperto in questa circostanza, vorrei cercare di spiegare a chi onestamente non capisce le azioni di Israele che cosa sta succedendo a Gaza.
Lo faccio in maniera estremamente sommaria, accennando solo a due punti. Il primo è questo. Hamas, un’organizzazione considerata terrorista da moltissimi paesi (non solo gli Usa da ben prima di Trump e quasi tutti i paesi occidentali, ma anche molti stati arabi), ha lanciato un mese e mezzo di mobilitazione, chiamata “marcia del ritorno”, con lo scopo esplicito di abbattere i confini di Israele e di impadronirsi del suo territorio.
Spesso ha dichiarato di voler sterminare tutti i “sionisti” o i “coloni”- parole in codice per dire ebrei. Che il senso delle manifestazioni fosse questo, lo hanno dichiarato in maniera chiarissima il suo capo politico Yihya Sinwar: http://www.jpost.com/Breaking-News/Hamas-chief-We-will-remove-the-borders-and-implement-the-right-of-return-549053 ed altri dirigenti (https://twitter.com/twitter/statuses/982520058411978752) .
Ora, non c’è Stato senza controllo del territorio. Non si tratta solo dei confini, che vengono difesi da tutti (pensate allo sdegno recente per l’”irruzione” della Gendarmeria francese a Bardonecchia), ma anche di porzioni di territorio che vengono chiuse. Negli ultimi anni, ogni volta che ci sono state iniziative politiche internazionali sono state difese da “zone rosse”, difese militarmente dagli stati organizzatori. Nessuno del resto lascia la propria casa aperta a chi pensa di prendersela per sé. Le città nascono stabilendo i propri inviolabili confini, come Plutarco e Livio raccontano di Roma. Perché proprio Israele non dovrebbe difendere i suoi confini?
Anche se la “marcia del ritorno” fosse stata una manifestazione pacifica (ma non lo era, ve ne sono infinite prove fotografiche e testuali, a partire dal nome), Israele aveva diritto di impedire lo sconfinamento, con gli ostacoli e le barriere che ci sono sempre e che sempre Hamas cerca di violare con tunnel, missili e incursioni varie; e se queste erano minacciate, per esempio tagliando la rete di protezione come hanno ripetutamente cercato di fare i terroristi durante gli scontri, anche con le armi.
E’ un fatto comunissimo: avvicinatevi a una qualunque zona militare, anche a una caserma dei carabinieri nella pacifica Italia, e trovate dei cartelli che vi avvertono della possibilità di una difesa armata. Cercate di superare un confine vero (ormai l’Italia non ne ha più, ma cercate di entrare in Russia dall’Ucraina o in Turchia dalla Grecia o dall’Armenia) e vi spareranno a vista.
Israele si è difeso in maniera molto selettiva, individuando i caporioni (guarda caso, tutti giovani maschi appartenenti a organizzazioni terroristiche).
Perché non avrebbe dovuto farlo? Quali erano le alternative? Mezzi di controllo delle sommosse come gas lacrimogeni sono stati largamente usati, ma sono inutili contro organizzazioni militari attrezzate come quelle che hanno attaccato il confine, preparando anche una copertura fumogena, come nelle guerre vere e proprie: un vero e proprio stupro ecologico, contro cui aspetto ancora di sentire una protesta ambientalista.
Ecco, questo è il primo punto: negando a Israele il diritto di difendersi, lo si discrimina rispetto a tutti gli altri stati e lo si mette in pericolo, incoraggiando i suoi nemici, che continuano a pianificare la sua distruzione (https://www.aljazeera.com/news/2018/04/khamenei-big-mistake-negotiate-israel-180405125637407.html )
L’Europa ancora una volta si allinea o fa finta di non sentire, vedendo solo le indubbie durezze di una guerra di difesa. Il che fa sì che gli ebrei si indignino dell’indignazione europea. Ma c’è una seconda ragione, più specifica. Se ogni stato ha il diritto e il dovere di difendere i propri confini per tutelare i propri cittadini, uno stato ebraico non può non sentire questo dovere con intensità molto maggiore. La memoria storica degli ebrei ha impressa a lettere di fuoco l’esperienza di quel che accade quando una folla ostile sfonda le difese ed entra nelle loro case. Dai visigoti cristiani agli almoravidi musulmani in Spagna, dalle stragi compiute da Maometto in persona contro gli ebrei dell’Arabia a quelle dei crociati, dai processi dell’Inquisizione ai pogrom in Polonia e in Russia, dalla Shoah alla caccia agli ebrei nei paesi arabi nel secolo scorso, il popolo ebraico si è trovato sempre vittima di lutti e distruzioni infinite, disarmato, senza avere modo di difendersi mai perché privo di uno stato, dovendo solo confidare nella pietà o nell’interesse di chi poteva fermare gli assassini e quasi sempre non lo faceva.
La fondazione dello stato di Israele ha prima di tutto il senso di prendere il destino nelle proprie mani, di potersi difendere. Esattamente questo significa per noi “mai più Auschwitz”. Non possiamo credere, oggi come nel Medioevo, a una protezione internazionale. L’esperienza ha mostrato che in ogni momento di debolezza di Israele le potenze del mondo (e in primo luogo l’Europa) non l’hanno voluto difendere. E hanno mostrato anche che i “poveri palestinesi” sono ben decisi ad ammazzare più ebrei che possono, appena ne hanno la possibilità.
Rinunciare a difendere i confini vorrebbe dire tornare ad Auschwitz.
Auschwitz è ciò che l’Europa, che a suo tempo collaborò volonterosamente coi nazisti, la Chiesa, che non fece quasi nulla per impedire la strage, la sinistra (che cercò per decenni di occultarne il senso antisemita) vorrebbero oggi di nuovo dagli ebrei.
L’odio anti-israeliano gratuito dell’Europa, della Chiesa, della sinistra in generale, esibisce una coazione a ripetere che non può che far dubitare della natura umana – o della cultura occidentale. Non faccio fatica a immaginare con quanta commozione ci commisererebbero fra cinquant’anni, se seguissimo i loro buoni consigli umanisti: con giornate della memoria, musei e commoventi rievocazioni della nostra cultura. E’ un vero peccato dover deludere queste così nobili aspettative. Noi ebrei non abbiamo la minima intenzione di farci commemorare un’altra volta, non siamo disposti a farci sterminare di nuovo dai palestinisti, dagli iraniani o da chiunque altro. Ci difendiamo. Anche a costo di non mostrare la moralità delle vittime che così volentieri ci viene riconosciuta, magari dagli eredi dei carnefici o dei loro aiutanti.
Se qualcuno, armato di mitra o di coltello, magari sbandierando una svastica, cerca di entrare a casa nostra per tagliarci la gola, ci difendiamo.
E continueremo a farlo, alla faccia degli appelli del Papa, del Segretario delle Nazioni unite o degli editorialisti dei quotidiani di provincia che continuano a farci la lezione. Se disgraziatamente dovesse servire, lo faremo fino all’ultimo uomo (a parte i traditori infettati dall’ideologia di sinistra, che per fortuna sono pochissimi). Ci spiace di non darvi soddisfazione, di non poter fare i bravi ragazzi, come piacerebbe a voi. Cercate di capirci, abbiamo già dato.
Ugo Volli, su Informazione Corretta
Naturalmente sappiamo benissimo che “cercate di capirci” è un modo di dire, per dare una chiusa elegante e “rotonda” al pezzo. Sappiamo benissimo che “quelli” non ci pensano neanche di striscio a cercare di capire, non ci pensano neanche di striscio a cercare informazioni diverse dalle veline della propaganda filo terrorista. Ce ne faremo una ragione. E continueremo a difenderci, perché dopotutto, come diceva Golda Meir, “preferisco le vostre critiche alle vostre condoglianze”.
E ciò che non hanno potuto fare loro ieri, oggi, fortunatamente, lo possono fare, e lo fanno, i loro nipoti.
Basta computer! Basta videogiochi! Dai, vieni, che ti porto a prendere una boccata d’aria.
E dal momento che siamo fuori, approfittiamone per dare un’occhiata intorno.
E dopo avere guardato, facciamo qualche riflessione.
Confine
Tutto quello che ci divide è un lungo cancello guardato giorno e notte dai nostri soldati. Da una parte noi, i nostri campi coltivati, strade che disegnano arzigogoli di terra chiara in mezzo agli aranceti, agli avocadi, ai filari nuovi di ceci; dall’altro lato Gaza. Se non avessero scelto Hamas, ora di oggi gli abitanti di Gaza potrebbero probabilmente entrare ed uscire dalla striscia quotidianamente, lavorerebbero probabilmente nelle terre e nelle fabbriche della zona tutto intorno, in territorio israeliano, come un tempo.
E invece.
Hamas chiama a raccolta manifestanti, infiltra le file dei ragazzini scalmanati ma in maggioranza disarmati con militanti pronti a tutto piuttosto che a cantare “we shall overcome”, li arma di fionde e armi vere, pianifica i punti in cui far salire al cielo fumo nero di pneumatici dati a fuoco, incita al passaggio del confine, all’invasione di Israele. Se potessimo fermarci un attimo a ragionare su questa immane bestialità ci accorgeremmo di quanto è goffa: Hamas ci vuole invadere. Si immagina di poter avanzare attraverso le nostre campagne proprio nella stagione in cui sono così verdi, combattendo vittorioso e arrivando fino a Gerusalemme. È una fantasia talmente surreale, talmente fuori da ogni possibile scenario militare, che sembra provenire da un universo parallelo. Eppure, a vedere la stampa straniera Hamas sta vincendo come sempre la battaglia dei media, tutta pensata e impacchettata per regalarla all’Occidente, con una bella carta regalo istoriata con il nome del giornalista palestinese colpito dai nostri sembra mentre (forse, o forse no [forse molto probabilmente sì, ndb]) faceva volare un drone a cavallo del confine infuocato. Poi possiamo discutere del perché permettiamo che Hamas usi i nostri soldati e le loro armi per i suoi scopi, ma sia ben chiaro: tutti i morti di questi ultimi fine settimana, nessuno escluso, sono palestinesi ammazzati da Hamas. Poco importa se per mezzo di fuoco israeliano. È Hamas a volere i morti, perché con i morti palestinesi, specie se civili, figuriamoci quando membri della “Press”, si riempiono le prime pagine dei giornali. E purtroppo, noi glieli diamo. Daniela Fubini, Pagine ebraiche 9 aprile 2018
Aggiungerei qualche considerazione su quei conti che non tornano, che proprio, con tutta la buona volontà, non si riesce a far tornare.
Dario Calimani è abitualmente severo con Israele, molto più severo di quanto io consideri ragionevole. E nutre una manifesta e dichiarata antipatia, condita a sfiducia, per Benyamin Netanyahu, antipatia e sfiducia per me assolutamente incomprensibili. Proprio per questo, proprio perché Calimani non può essere sospettato di faziosità cieca a favore di Israele, ritengo utile pubblicare questo suo articolo.
Gaza
Certamente, la situazione ai confini con Gaza poteva essere affrontata in modo diverso, magari con proiettili di gomma o diffondendo nell’aria una buona dose di spray al peperoncino. Certamente, anche la presenza di richiedenti asilo di origine africana poteva essere affrontata in modo diverso, con più sensibilità, con meno brutale indifferenza, con più consapevolezza della propria storia. Benjamin Netanyahu e il suo governo non si distinguono per misura e saggia lungimiranza. E, tuttavia, quando cerchi di far tornare i conti, mettendo in campo mente, coscienza ed emozioni, ti accorgi che non riesci a trovare la tua collocazione. C’è, in tutto ciò che sta accadendo e nella reazione del mondo, un senso di incommensurabilità. I racconti e i giudizi su quei racconti, da parte della stampa e della politica, sembrano non aver molta relazione con gli eventi reali, e sollevano interrogativi, più di quante non siano le risposte che pretenderebbero di offrire. Non è la prima volta che accade. E non sarà purtroppo l’ultima.
Nessuno, tanto per capirsi, mette in discussione l’azione provocatoria della massa che da Gaza si è riversata bellicosa al confine di Israele. Nessuno fa caso alle grida di battaglia, alla minaccia di distruggere Israele, alle armi che la gente si passa di mano in mano, ad Hamas che spinge i civili palestinesi allo scontro – meglio se donne e ragazzini. E nessuno fa caso al fatto che il grido di guerra non sia ‘morte a Israele’, bensì ‘morte agli ebrei’. Evidentemente, non fa alcuna differenza, o la differenza non la si vuole cogliere. Ma ‘morte agli ebrei’ non è un grido di battaglia politico, è una minaccia antisemita che può risuonare in tutto il Medio Oriente, dove, per fortuna, di ebrei ne sono rimasti assai pochi. Per quei pochi, allora, il pericolo è serio, vista la grande capacità di diffusione che le idee hanno nel mondo arabo. La storia lo ha dimostrato.
Ma quando si gioca con il fuoco si dovrebbe mettere nel conto che si rischia di ustionarsi. Peccato che Hamas non abbia alcun timore di ustionarsi, perché gioca sulla pelle altrui, e sulla vita e sul destino di un popolo che ha tenuto nella miseria per tenere sempre accesa la miccia.
Di tutto ciò, che è, indubbiamente, almeno una parte della verità, non si accorgono le varie Mogherini, che da tempo immemorabile ormai guardano la realtà del Medio Oriente con il capo avvolto nella kefiah. E non se ne accorge Papa Bergoglio, che continua a parlare di ‘Terra Santa’, trovando ostico pronunciare la parola ‘Israele’, perché così facendo riconoscerebbe l’esistenza di uno stato, e questo metterebbe in crisi la sua teologia, in particolare una mal applicata teologia della liberazione.
I conti non tornano, dunque, e c’è una incomprensibile incommensurabilità fra l’attenzione che attira la tensione al confine di Gaza e l’assuefazione con cui si guarda, ad esempio, alla Siria e alle sue centinaia di migliaia di morti. Centinaia di morti ogni giorno, nell’indifferenza dei politici alla Mogherini, che si limitano a ‘stigmatizzare’ per poi tornare a occuparsi, con cura monomaniacale, di Israele .
Per i diciassette morti di Gaza un telegiornale italiano ha parlato di ‘strage’. Ora, in senso metaforico anche un solo morto è una strage del senso di umanità. Ma se strage è quella di Gaza, che termine ci si dovrà inventare per la Siria? E se la concentrazione su Israele pesa un chilo, quanto dovrebbe pesare quella sulla Siria, o sul disastro umanitario in Venezuela?
Netanyahu non mi piace. La sua politica, temo, produrrà solo infelicità, per Israele e per chi le sta intorno e addosso. Ma se una massa di disperati grida ‘morte agli ebrei’, quello non è un grido politico, e non esprime la teologia della liberazione. E chi ne appoggia la ‘lotta di liberazione’, senza capacità e volontà di fare i debiti distinguo, non sta sostenendo una rivendicazione politica. Sta solo ribadendo, e rafforzando, un animus antisemita.
Con questo spirito, anziché spingere le parti a convergere verso una politica di pacificazione, ci si limita a parteggiare e ad approfondire il divario. Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia, Pagine ebraiche 03/04/2018
E per concludere, prima di rientrare (siamo sempre – ricordate? – lì fuori a prendere una boccata d’aria fresca), voglio mostrarvi questo splendido monumento:
è una mano che impugna la placca del militare israeliano Oron Shaul,
ucciso da Hamas nella guerra del 2014, il cui corpo non è mai stato restituito dai terroristi palestinesi. E non dite che non hanno senso artistico.
Inizio dalla più autorevole, quella dell’eroico rabbino – che rabbino in realtà non è ma lui giustamente si spaccia per tale, avendone tutte le doti di probità, onestà, sincerità, giustizia, intelligenza, saggezza, cultura, nonché suprema autorevolezza – che primo e forse unico ha osato dire, e testimoniarlo in un pregevole libro che potrete trovare in tutti i migliori siti nazisti, che la storia degli omicidi rituali per spillare il sangue con cui impastare le azzime di Pesach non è leggenda antisemita bensì realissima realtà. Tesi che, a ben guardare, fa capolino anche da questa lucida analisi di quanto avvenuto al confine fra Israele e Gaza.
E poiché gli antichi saggi, che erano molto saggi (lo dice la parola stessa) sostenevano che Ἐν οἴνῳ ἀλήθεια, In vino veritas, (e, come disse un altro grande saggio, in grappa figuriamocis)le parole dell’esimio “rabbino” Ariel Toaff, devono sicuramente essere un purissimo distillato di verità.
Passo a Dore Gold:
Traduco per i non anglofoni: Alcuni dati basilari dimenticati: gli eventi di Gaza riguardano un’organizzazione illegale, Hamas, definita gruppo terroristico anche dagli stati arabi, che sta perseguendo una finalità illegale, ossia cancellare per mezzo della forza un confine internazionale, usando mezzi illegali quali il mescolare agenti armati con i civili.
E questo è veramente un dato basilare da tenere sempre presente.
Proseguo con questo breve testo, da standing ovation:
Tutti lodino i 100 tiratori israeliani schierati sul terrapieno di Gaza
Tutti lodino i 100 tiratori israeliani schierati sul terrapieno al confine con Gaza. Non solo il primo ministro Netanyahu, non solo il ministro della difesa Lieberman, non solo gli ebrei, non solo gli ebrei israeliani, non solo l’esercito israeliano (in cui militano, ricordarselo, molti drusi, beduini, arabi cristiani…), non solo i filo-semiti: anche gli anti-semiti. Anche un anti-semita la notte vuole dormire in pace, una volta chiusa la porta del proprio appartamento. E i 100 tiratori israeliani non hanno difeso solo se stessi e il loro Stato, hanno difeso un’idea universale. Il terrapieno di Gaza è un archetipo del confine. “Abbattere le frontiere vuol dire consegnare il mondo al caos” avvisa Jean Clair. Se le torme ululanti di palestinesi avessero superato quel terrapieno nessuno avrebbe più potuto dormire tranquillo, da nessuna parte. Tutti lodino i 100 tiratori israeliani schierati sul terrapieno di Gaza contro la violenza del numero.
Camillo Langone, Il Foglio
Non può mancare il solito strepitoso Giulio Meotti.
Immaginate se venerdì scorso Hamas avesse portato quelle 30.000 persone, miliziani armati, famiglie e bambini a marciare verso il confine siriano. Assad avrebbe ordinato a un battaglione di alawiti di sparare sulla folla. Ci sarebbero stati 200 morti. Poi, per dissuaderli dal farlo di nuovo, avrebbe loro lanciato due barrel bombs. Altri 80 morti. Infine, se i palestinesi avessero resistito, avrebbe loro lanciato due taniche di gas sarin. Decine di morti per asfissia e centinaia di (veri) feriti. I superstiti sarebbero stati evacuati con un autobus. Immaginate se Hamas avesse portato quei 30.000 al confine iraniano. Gli ayatollah avrebbero opposto loro i Basiji, le milizie sciite. A sparare sulla folla, a fare arresti di massa, a torturare in carcere a Evin, a fare desaparecidos. Pensiamo a quello che hanno fatto gli iraniani dopo che le loro donne hanno cercato di togliersi il velo per strada o i loro poveri hanno marciato per il pane. Lo hanno fatto ai propri cittadini. Immaginate se Hamas avesse portato quei 30.000 contro i turchi di Erdogan. Chiedetelo ai curdi per sapere cosa sarebbe successo ai palestinesi. E se Hamas avesse portato quei 30.000 contro il confine egiziano, Al Sisi avrebbe usato guanti bianchi? Non si rivolgono mai verso occidente, contro il blocco egiziano. Sanno che ci sarebbe un massacro. Sentiamo mai marce palestinesi in Giordania, dove costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione? No? Perché si ricordano di cosa fece loro Re Hussein nel 1972: 3.400 palestinesi uccisi a sangue freddo. La verità è che Israele, in un Medio Oriente fondato sull’abominio, il sopruso e la violenza di stato, costituisce quanto di più vicino ci sia ad Amnesty International, con regole di ingaggio che molti paesi occidentali si sognano e che adempie a quei principi democratici e civili che sono un vanto dell’Occidente. Lo sanno i palestinesi e per questo forzano la sua mano a fini politici e lo sa la comunità internazionale che gioca con il diritto a esistere di Israele.
Giulio Meotti
Aggiungo questa analisi, che mi sembra plausibile e ragionevole. E infine una robusta bacchettata che arriva dritta in casa nostra.
E traduco anche questo per i non anglofoni: Sul serio, Mogherini? Non una parola su Hamas? Sulla violenta provocazione intenzionale? Su Hamas intenzionato a distruggere Israele? Sull’uso dei bambini? Sul fatto che la maggior parte dei morti erano terroristi? È per questo che lei non ha alcuna credibilità. Lei è priva di morale.
E per concludere due parole mie. Sappiamo che il mondo è costantemente in agguato – come un gatto che fa la posta al passero, non per mangiarlo, perché di fame non ne ha affatto, ma solo per divertirsi a torturarlo a morte – in attesa di un pretesto per scatenarsi come una muta di cani rabbiosi su Israele. A volte, se è da troppo tempo che di pretesti non ne trova e sta rischiando la crisi di astinenza, accade che si scateni anche senza pretesto (se il cannocchiale funziona e se avete due minuti leggete anche i commenti: ne vale la pena). E quindi non deve stupire questo ennesimo latrare scatenatosi non appena le orde palestinesi indottrinate addestrate e comandate da Hamas si sono lanciate contro il confine israeliano allo scopo preciso di scatenare la prevedibile e legittima reazione di difesa israeliana in modo da avere un po’ di cadaveri da esibire al mondo. Non deve stupire, dicevo, e non stupisce infatti. Ma la prevedibilità di quanto sta accadendo non è certo sufficiente a smorzare la rabbia. E il dolore.
E delle “proteste”, e dei “manifestanti” uccisi dall’esercito israeliano “in quella che molti osservatori internazionali hanno descritto come una strage” (link), e degli ennesimi spaventosi crimini di Israele e dell’uso sproporzionato della forza e delle condanne internazionali eccetera eccetera. Inizio con la
Dichiarazione del Ministero degli Esteri israeliano riguardo agli eventi a Gaza
“La barriera di confine tra Israele e la Striscia di Gaza separa uno stato sovrano e un’organizzazione terroristica.
Separa uno stato che protegge i suoi cittadini dagli assassini che mandano i loro connazionali mettendo in pericolo le loro vite. La recinzione separa un esercito che usa la forza per autodifesa e in modo mirato e proporzionato, e Hamas, un’organizzazione che santifica l’omicidio e la morte, e che per anni – ieri incluso – è stata intenta a colpire milioni di israeliani.
Chiunque veda erroneamente in questa messinscena omicida persino una briciola di libertà di espressione, è cieco alle minacce che lo Stato di Israele deve affrontare”.
Do ora la parola a Giulio Meotti.
“Strage” e “Massacro”, titola La Repubblica in prima pagina oggi sulla guerra che Hamas ha portato al confine di Israele. Non una riga sul diritto di Israele di proteggere i propri confini e i propri civili. Non era una “marcia”. Era terrorismo che Hamas ha ordito con milioni di dollari [nostri, ndb] al confine di Israele. Spari da parte di Hamas e Jihad Islamica? Scomparsi. Sommosse per abbattere il confine? Scomparse. “Uccisi” i palestinesi. Scomparsa la relazione di causa ed effetto. Cosi si demonizza il popolo di Israele e si processa il suo diritto a difendersi da una organizzazione terroristica che da trent’anni cerca di distruggerlo a suon di kamikaze e missili, che costruisce tunnel sotto quei confini e che ieri ha cercato di organizzargli una Pasqua di sangue. Che vergogna di giornalismo. Non ho visto gli stessi titoli di prima pagina sparati sui 5 israeliani uccisi dai terroristi palestinesi nelle ultime settimane. O me li sono persi?
Passo a una riflessione di Giulio Bernacca
Forse ai più sfugge l’essenza di ciò che sta succedendo in queste ore a Gaza: Hamas, la cupola mafiosa che gestisce Gaza, in grave difficoltà politica e messa in disparte dai paesi arabi che ora hanno altro a cui pensare (tipo l’espansionismo turco e iraniano) ha deciso di fare una specie di Woodstock del sangue.
Ha speso dieci milioni di dollari (miei e vostri, ovviamente, quelli che pensavamo sarebbero andati per gli ospedali e i desalinizzatori) ed ha organizzato una marcia, anzi, una spinta contro la linea di confine con Israele, ben sapendo che ovviamente Israele non avrebbe potuto tollerare che trentamila persone cresciute a pane ed odio anti israeliano entrassero sul suo territorio e andassero a passeggio incontrollati per le sue cittadine e paesi.
Hamas cercava il sangue e lo ha trovato. Non esiste un modo non cruento per fermare una cosa come quella organizzata in questi giorni.
Hamas torna alla ribalta, l’utile idiota disinformato occidentale si commuove (e bisogna commuoversi per i morti, lo sottolineo), Israele fa la solita figura dello stato canaglia che tormenta i palestinesi, e via così.
Ah, Gaza è Judenfrei dal 2005, anno in cui è diventata di fatto una base terroristica avanzata da cui sono partiti innumerevoli attacchi.
Poi questo notevole articolo di Niram Ferretti
ONORE A LORO
Hamas, durante la Marcia del Ritorno, usa la popolazione suddita per infiltrare facinorosi e membri della Brigata Izz ad-Din al-Qassam, della quale sono stati uccisi dieci membri da parte dell’esercito israeliano. Non dieci scouts.
Sì, questa è la risposta di Israele a protezione dei propri confini e dell’incolumità dei suoi cittadini. Ai terroristi non è permesso entrare.
Non sono più i bei tempi della Seconda Intifada quando si facevano esplodere in caffè, ristoranti, locali pubblici, autobus. Tutto questo è finito dal 2005, grazie alla barriera di protezione, quella che le quinte colonne jihadiste qui in Occidente chiamano “muro” per sottolineare come i “poveri palestinesi” sarebbero vittimizzati da Israele.
In uno splendido articolo del 2009, John R. Bolton, il nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Donald Trump scriveva:
“Credono, (gli europei) di essere messi in pericolo da quelle nazioni che fino ad oggi hanno deciso di non potersi permettere di finire preda dei falsi sogni di riuscire a districarsi dai pericoli del mondo restando in uno stato di torpore o inginocchiandosi al cospetto di un attacco“.
Le nazioni a cui si riferiva Bolton sono Israele e gli Stati Uniti.
Israele non si inginocchia e non apre i propri confini ai terroristi, non consente che chi vuole da settanta anni cancellarlo dalla mappa del Medioriente sia in grado di farlo.
John Bolton, grande estimatore di Israele, vede la debolezza dell’Europa, immersa nella convinzione che, in nome dei “diritti umani”, questa formula affatturante, si debba subordinare ad essa la propria sicurezza.
Israele tutela la propria minoranza araba, 1,700,000 arabi israeliani come non lo sa fare nessuno stato arabo, consentendo loro di partecipare alla vita democratica del paese, ma c’è chi, come Hamas e non nascondiamocelo, la parte maggioritaria di Fatah, che vorrebbe gli arabi sotto esclusiva tutela musulmana. In altre parole, come gli abitanti di Gaza, sotto un potere coercitivo, autoritario e barbaro, o come, nei territori della Cisgiordania amministrata dall’Autorità Palestinese, sotto una cosca mafiosa e corrotta fino al midollo.
I soldati dell’IDF che l’altro ieri hanno ucciso dieci terroristi di Hamas, non solo servivano la maggioranza ebraica del paese ma anche la minoranza musulmana e le altre minoranze.
Onore a loro, protettori della democrazia e dei migliori valori occidentali.
E vediamoli, dunque, questi pacifici manifestanti, che nei giorni della Pasqua ebraica, come loro consuetudine, si dedicano alle manifestazioni pacifiche: qui vestiti da passeggio,
qui mentre preparano il fuoco per il barbecue,
qui il cuoco che si appresta a tagliare la carne da cucinare alla brace.
E questi sono i poveri innocenti uccisi dall’esercito israeliano.
Poi vediamo qualche video. Il primo in cui, come in tutte le scampagnate che si rispettino si dedicano al canto corale; quello che sentiamo qui è un canto millenario, che dice
“Khaybar*, Khaybar ya yahud, jaish Muhammad saya’ud”: Khaybar, Khaybar, o ebrei, l’esercito di Maometto tornerà.
Qualcuno ci ha fatto caso? È identico a quello di Milano un paio di mesi fa.
Qui invece si trastullano con giochi di vario genere per passare il tempo
E questo è un resoconto della portavoce dell’esercito israeliano (si noti il passaggio in cui parla della bambina di sette anni spinta dalla madre contro la recinzione nella speranza di procurare ai manifestanti il cadavere bambino da offrire alle telecamere politicamente corrette, esattamente come quest’altro premuroso genitore).
Nel frattempo il solito signor Vauro sembra dimenticare che Gesù era un tantino ebreo, e si cimenta in un’opera d’arte degna della sua eccelsa fama.
E per concludere, imperativo categorico, leggere questo post, a proposito della famigerata “risposta sproporzionata”, scritto nel corso delle operazioni a Gaza di dicembre 2008-gennaio 2009 (io mi trovavo lì in quel periodo) da un tizio sinistrosissimo, rifondarolo per la precisione, e non vi dico cosa non si è scatenato nel blog, frequentato in genere da sinistrorsi suoi pari, quando lo ha pubblicato. Magari scaricatelo e conservatelo, che prima o poi viene sempre utile. Buona lettura. parole in libertà
*Khaybar: oasi nella regione nord-occidentale della penisola araba, abitata prevalentemente da ebrei, conquistata da Maometto nel 628