IL BAMBINO CON I PETALI IN TASCA

Esiste l’inferno? Sì, esiste; non in un qualche eventuale, possibile, ipotetico aldilà bensì in un fin troppo concreto aldiqua. Nel caso di questo – molto realistico – romanzo di tratta di Bombay, ma potrebbe essere qualunque altro posto dove gli “scarti” della società tentano di sopravvivere destreggiandosi tra regole del gioco non stabilite da loro ma da chi meglio degli altri ha saputo annientare in se stesso ogni residuo di coscienza e di sentimenti umani. Ed ecco dunque questa folla di reietti, bambini che mendicano e rubacchiano, quelli più grandi che rubano e spiano e a fine giornata versano al capo tutto il ricavato del loro “lavoro”. Tentare di imbrogliare costa caro: un occhio (non in senso metaforico), un pezzo di lingua, un orecchio, uno squarcio su tutta la faccia, o magari anche di peggio. Tutti laceri e sporchi, tranne il bambino bello, sempre pulito e ben vestito, che viene portato al “lavoro” in auto, e sempre in auto riportato poi alla base, dove si accascia sfinito coi pantaloni macchiati di sangue. E una cosa è chiara fin dall’inizio, fin dal momento in cui un nuovo dannato vi inciampa dentro: non esistono uscite. Non esiste la possibilità, neppure teorica, di uscirne. Non esiste la speranza di uscirne, di andare altrove, di cambiare vita.
Buio assoluto, dunque, senza un barlume di luce, senza riscatto? Forse no. Forse, dopotutto, no.

Anosh Irani, Il bambino con i petali in tasca, Piemme
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barbara