NEL REGNO DI UTOPIA

Quel meraviglioso mondo perfetto in cui siamo tutti uguali e tutti fratelli, in cui abbiamo cancellato frontiere e stati, eliminato paradiso e inferno, abolito le religioni, in cui non c’è niente per cui valga la pena di morire, vivendo unicamente per l’oggi… Da qualche parte tutto questo è già realtà.

Lorenzo Capellini Mion

Svezia, Absurdistan

Per il rapimento e la violenza carnale di due adolescenti, che secondo le forze dell’ordine sarebbero stati scelti a caso, sono stati arrestati due “pacifici” maschi adulti sulla ventina entrambi noti alla polizia e con una lunga lista di precedenti condanne penali.
Forse il rapimento, lo stupro e la tortura di due ragazzini troppo giovani per essere nominati, salvati da alcuni passanti che li hanno trovati nudi e seppelliti vivi in un cimitero di Solna, meriterebbe una riflessione. Invece nemmeno una riga.
È vietato parlare della certificazione del fallimento del multiculturalismo che ha distrutto la società svedese, è vietato persino esprimere solidarietà alle vittime offerte sull’altare del globalismo ideologico.
In questo mondo al contrario sembrano tutti troppo impegnati a difendere i violenti e gli stupratori, per loro ci si inginocchia e non si gioca a basket.
Intanto le pagine che rompono il silenzio vengono censurate o hanno le ore contate.
La guerra è pace.
La verità è odio.

La colonizzazione inversa della Francia

di Guy Millière
28 agosto 2020

Lione, la terza città più grande della Francia, 20 luglio, alle 3 del mattino. Un quartiere borghese. Una giovane donna cammina con il suo cane in una strada tranquilla. Un’auto arriva ad alta velocità e travolge il cane. Il conducente dell’autovettura si ferma, fa marcia indietro e travolge anche la giovane. L’uomo prosegue la folle corsa e trascina il suo cadavere per più di 800 metri. Le persone svegliate dal rumore annotano il numero di targa. Gli agenti di polizia accorsi sul posto sono inorriditi. Il corpo della giovane donna è stato smembrato. Una gamba è stata ritrovata su un lato della strada; il resto del corpo era a brandelli. Un braccio era vicino al corpo del cane. L’altro teneva ancora il guinzaglio dell’animale. Si chiamava Axelle Dorier. Era un’infermiera e aveva solo 23 anni.
Il Dipartimento di Giustizia francese ha chiesto alla polizia di non divulgare il nome dell’assassino. Un poliziotto anonimo lo ha comunque rivelato su un sito di social network. Il nome del killer è Youssef T. Guidava in stato di ebbrezza, senza patente. Il pubblico ministero lo ha accusato di “omicidio colposo”. È in prigione in attesa di processo. Rischia una pena massima di dieci anni. Gli abitanti di Lione volevano organizzare una marcia pacifica per rendere omaggio alla giovane infermiera. Hanno chiesto al governo di essere inflessibile nei confronti della criminalità. I parenti della giovane donna hanno disapprovato la marcia, affermando che “non nutrono odio” nei confronti dell’assassino.

Questo non è l’unico atto di barbarie perpetrato in Francia nel mese di luglio. Il 4 luglio, in una stradina di Lot-et-Garonne, nella parte sudoccidentale della Francia, una giovane gendarme, Mélanie Lemée, 25 anni, ha cercato di fermare Yassine E., un conducente di un’auto che andava a velocità eccessiva. L’uomo ha accelerato e l’ha intenzionalmente travolta. La giovane donna è morta sul colpo. Gli altri gendarmi accorsi sul posto hanno rintracciato rapidamente il conducente dell’auto. Un poliziotto ha fornito il suo nome a un giornalista: si chiama Yassine E. Anche lui guidava in stato di ebbrezza, senza patente. I familiari di Mélanie Lemée hanno acconsentito a una marcia pacifica, affermando però di “non nutrire odio” nei confronti dell’assassino. Hanno anche aggiunto di aver avuto compassione di lui, perché “la sua vita è distrutta”.

Un terzo atto barbarico è avvenuto il 5 luglio a Bayonne, una cittadina dei Paesi Baschi francesi. Un autista di un bus, Philippe Monguillot, 59 anni, si è rifiutato di consentire a due giovani di salire a bordo senza biglietto e senza mascherina. I due hanno iniziato a colpirlo con violenza, costringendolo a scendere dall’autobus. Altri due giovani si sono uniti agli aggressori e hanno cominciato a picchiarlo. L’uomo è stato lasciato coperto di sangue e agonizzante sul marciapiede. In ospedale, gli è stata diagnosticata la morte cerebrale. I familiari hanno detto che il suo viso era completamente distrutto. Due giorni dopo, l’uomo è morto. I quattro aggressori sono stati identificati e si trovano in prigione. I giornalisti conoscevano i loro nomi, ma hanno deciso di non pubblicarli. Agenti di polizia li hanno comunque resi noti. Si tratta di Mohamed C., Mohammed A., Moussa B. e Selim Z. È stata organizzata una marcia pacifica. La moglie di Philippe Monguillot ha affermato che la sua vita è distrutta e dubita che i tribunali faranno il loro lavoro.

Episodi di violenza altrettanto orribili, e sempre più numerosi, si verificano quotidianamente in Francia da anni. I perpetratori sono in genere giovani poco più che adolescenti o ventenni. Sono tutti immigrati dal mondo musulmano. Non sono islamisti e non hanno motivazioni politiche o religiose. Di solito, non mostrano segni di pentimento.
Vengono descritti dagli psichiatri che li esaminano come “individui che esercitano atti di violenza gratuita“: una violenza il cui unico scopo è quello di godere nell’infliggerla. Sembrano non avere alcun rispetto per la vita umana o per le leggi.
Maurice Berger, uno psichiatra incaricato di trattare giovani con questi problemi, ha di recente pubblicato un libroSur la violence gratuite en France (Sulla violenza gratuita in Francia). “La violenza gratuita”, scrive Berger, ora può scoppiare sempre, ovunque e può colpire chiunque. “In Francia,” egli osserva, “si registra un episodio di violenza gratuita ogni 44 secondi. (…) Ogni cittadino potrebbe doverla affrontare. Per non compromettere le possibilità di sopravvivenza, occorre sottomettersi, abbassare gli occhi, accettare l’umiliazione”.
A volte, come nel caso di Axelle Dorier, sottomettersi non è possibile: la giovane donna non aveva avuto alcun contatto con il suo assassino fino al momento in cui lui l’ha travolta con l’auto. Talvolta, se si è, ad esempio, un conducente di autobus o se si fa parte della polizia, questo tipo di professione non consente alcun tipo di sottomissione.
Ma i familiari delle vittime possono sottomettersi e spesso lo fanno, per poi essere sommersi da messaggi di congratulazione da parte delle autorità politiche e dei media. Alcuni giorni dopo l’attacco terroristico al Teatro Bataclan di Parigi, nel 2015, Antoine Leiris, marito di una donna orribilmente torturata e uccisa all’interno della sala concerti, ha postato su Facebook una lettera aperta ai terroristi, in cui l’uomo affermava di aver compreso le loro motivazioni e di non odiarli. Leiris ha aggiunto che non era arrabbiato e che doveva continuare a vivere la propria vita. La lettera è stata immediatamente condivisa da centinaia di migliaia di persone sui social media. Una casa editrice ha chiesto all’uomo di trasformare la missiva in un libro poi pubblicato col titolo Non avrete il mio odio, che è diventato subito un best-seller.

Le autorità giudiziarie abbassano lo sguardo e si sottomettono: è quello che fanno. Chiedere alla polizia e ai media di non rendere noti i nomi degli assassini è un tentativo di nascondere la verità e impedire all’opinione pubblica di sapere esattamente chi in Francia perpetra quegli atti. Nascondere il nome mostra un desiderio di rabbonire quei criminali: quando un assassino ha un nome, quel nome viene immediatamente sbattuto in prima pagina. Nascondere l’identità mostra di aver paura delle comunità a cui appartengono gli assassini e dei sentimenti di rabbia nel resto della popolazione francese.

Le autorità politiche si comportano allo stesso modo. Sanno che i voti dei musulmani contano più che mai. Commentando le uccisioni di Axelle Dorier, Mélanie Lemée e di Philippe Monguillot, il presidente Emmanuel Macron ha parlato di atti di “inciviltà” e ha definito “deplorevoli” questi episodi di violenza, per poi rapidamente passare a un altro argomento. Il neo-ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, un avvocato, ha risposto a un giornalista che gli aveva chiesto cosa ne pensasse di chi invitava il governo a essere inflessibile nei confronti della criminalità dicendo che “la giustizia deve essere garante della pace sociale”. Il suo compito più importante in questo momento, egli ha aggiunto, è quello di garantire il rimpatrio in Francia dei jihadisti francesi imprigionati in Siria e in Iraq, “perché sono cittadini francesi ed è dovere della Francia assicurarsi che evitino la pena di morte”.
Soltanto Marine Le Pen, leader del Rassemblement National , è sembrata più ferma:

“Quale livello di barbarie dobbiamo raggiungere perché il popolo francese dica basta a questa crescente ferocia nella nostra società? Quanti poliziotti, gendarmi, conducenti di autobus, giovani donne e ragazzi massacrati ci vogliono?”

I media mainstream l’hanno immediatamente accusata di gettare benzina sul fuoco e di essere un’estremista irresponsabile.

“La Francia sta subendo una colonizzazione inversa” ,” ha commentato in televisione il giornalista Éric Zemmour.
“Le popolazioni provenienti principalmente da Paesi precedentemente colonizzati dalla Francia si sono stabilite in Francia senza alcuna intenzione di integrarsi. La maggior parte di loro vive in quartieri dove le leggi dell’Islam ora regnano e dove gli imam diffondono l’odio verso la Francia. I governi che si sono susseguiti hanno permesso a questi quartieri di crescere nella convinzione che l’odio contro la Francia e i francesi non sarebbe uscito da questi quartieri.
“L’odio per la Francia e per i francesi è venuto fuori e ha preso forma di rivolte e di terrorismo. Ora assume la forma di aggressioni e di omicidi: un’espressione generalizzata di odio verso la Francia e i francesi. E in un gesto di sottomissione, le autorità francesi affermano che l’odio non proviene da chi uccide, ma da chi vuole reagire e dice che bisogna porre fine alle aggressioni e agli omicidi. È un atteggiamento suicida.”
“La Francia è in una fase di coma e di morte avanzata”, ha detto in un’intervista lo scrittore e filosofo Michel Onfray. Il segno principale, egli ha affermato è stata la scomparsa del Cristianesimo, su cui si fondano i valori e l’etica che da secoli hanno pervaso il Paese. Onfray ha osservato che le chiese sono vuote, le cattedrali vengono bruciate e che è in atto la profanazione dei luoghi di culto cristiani, e si moltiplica di fronte all’indifferenza generale. “Il Cristianesimo sta svanendo rapidamente”, egli ha aggiunto. “Siamo in una civiltà esaurita. Amiamo solo ciò che ci odia, tutto ciò che ci distrugge è percepito come qualcosa di formidabile. Si vuole distruggere la verità, la storia”. Il filosofo ha rilevato la radice della distruzione: “Noi non insegniamo più la storia della Francia e non diciamo più ciò che la nostra civiltà ha realizzato. Parliamo solo della nostra civiltà per disprezzarla”.
Onfray ha arguito di non credere in un risveglio, ma di essere determinato a lottare sino alla fine: “Occorre resistere, opporsi”.
Negli ultimi anni, è aumentato il numero degli atti anti-ebraici perpetrati in Francia. Decine di migliaia di ebrei hanno lasciato il Paese, un’ondata migratoria che sta gradualmente svuotando la Francia della sua popolazione ebraica. Molti ebrei che ancora risiedono nel Paese hanno abbandonato le città e i quartieri in cui vivevano e si sono trasferiti in zone temporaneamente più sicure. Nelle no-go zones, i cristiani francesi vengono considerati infedeli dagli imam e sono anche facili prede di giovani uomini pervasi da sentimenti di odio per la Francia e per i francesi, giovani che non sono certamente dissuasi dall’atteggiamento sottomesso delle autorità.

Il 30 maggio scorso, a Parigi, si è tenuta una manifestazione di solidarietà a favore degli immigrati irregolari, provenienti principalmente dall’Africa del Nord e subsahariana. Sebbene la marcia fosse stata vietata dal governo, alla polizia è stato ordinato di non intervenire. Anche se tutti i manifestanti violavano la legge, ne sono stati fermati solo 92 – e poi rapidamente rilasciati. Due settimane dopo, sempre a Parigi, si è svolta un’altra manifestazione a sostegno della famiglia di Adama Traoré, un giovane di origine africana morto nel 2016 durante il suo movimentato arresto. Anche quella manifestazione è stata vietata dal governo e alla polizia è stato ordinato di non intervenire. “Morte alla Francia”, gridavano i manifestanti e, a volte, “Sporchi ebrei“. Ma né il governo né i media mainstream sono rimasti sconcertati. I giovani francesi appartenenti alla Génération Identitaire (Generazione identitaria), un movimento per la difesa della Francia e della civiltà occidentale, sono saliti su un tetto e hanno sventolato uno striscione con la scritta “Giustizia per le vittime del razzismo anti-bianco”. Un uomo si è arrampicato sul tetto dell’edificio con l’evidente intento di sollevare lo striscione. Durante le interviste trasmesse dalle emittenti televisive è stato descritto per giorni come un eroe della “lotta al fascismo”. Nel frattempo, i giovani francesi che mostravano lo striscione sono stati arrestati e accusati di “incitamento all’odio”.

Dal 16 al 18 giugno, a Digione (una città di 156 mila abitanti), capoluogo della Borgogna, la lotta tra bande ha visto contrapporsi una banda di trafficanti di droga ceceni e una di trafficanti arabi. Sono state utilizzate armi di tipo militare – questo accade in un Paese senza diritto costituzionale di portare armi. Il governo ha chiesto ancora una volta alla polizia di non intervenire. Il conflitto è stato alla fine risolto in una moschea, sotto la supervisione degli imam. La polizia ha chiesto agli abitanti di Digione di non uscire di casa e di fare molta attenzione sino alla fine di questa guerra tra bande. Sono stati effettuati alcuni arresti, ma solo dopo la fine degli scontri.

Il 26 luglio scorso, è stata organizzata una cerimonia a Saint-Étienne-du-Rouvray, un piccolo villaggio della Normandia dove, quattro anni fa, l’86enne don Jacques Hamel venne assassinato da due giovani islamisti mentre stava celebrando la Messa. Quest’anno, il ministro dell’Interno Gerard Darmanin ha pronunciato un discorso di condanna della “barbarie islamica”. “Uccidere un prete in chiesa”, egli ha affermato, “è tentare di assassinare una parte dell’anima nazionale”. Darmanin non ha però detto che al momento dell’omicidio la chiesa era semivuota, con solo quattro anziani fedeli che hanno assistito impotenti all’omicidio. Tuttavia, il ministro ha aggiunto di essere soddisfatto che i francesi non si siano arresi alla rabbia, scegliendo piuttosto la “pace”. (qui)

Ma anche nel momento in cui tutto fosse davvero perduto, rassegnarsi, rinunciare a lottare, sarebbe l’errore più grave.

barbara

SOROS, IL MONDO E NOI. E ISRAELE

Ancora uno splendido pezzo di Niram Ferretti

Palindromo filantropico

ottobre 21, 2018

di Niram Ferretti  

Nei suoi Tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Vladimir Sergeevič Solov’ëv presenta il filus perditionis come un grande filantropo venuto per unificare i popoli e instaurare una Chiesa universale, abbattendo divisioni, particolarismi e settarismi. George Soros, non è, naturalmente, l’Anticristo, ma è, come il protagonista del libro di Solov’ev, un filantropo e come tale si presenta sulla scena nella veste di guerriero del progresso che può plasmare demiurgicamente la realtà, i fatti, in virtù dell’enorme ricchezza di cui dispone. L’uomo, d’altronde, ha di sé una opinione molto alta, “diventare la coscienza del mondo” e non a caso, il suo biografo, ha intitolato il libro a lui dedicato The Life and Times of a Messianic Billionare. Di sicuro il messianismo di Soros è, come tutti i messianismi, improntato a redimere l’umano, se non dalle sue contraddizioni esistenziali sicuramente da quelle storiche sociali. A questo scopo, nel 2017, ha dirottato diciotto miliardi di dollari delle sue sostanze alla Open Society Foundations, la grande organizzazione creata allo scopo di promuovere un futuro più democratico in linea con ciò che per lui significano democrazia e progresso.
“Società aperta” è una definizione prelevata da Karl Popper che, a sua volta l’aveva mutuata da Henri Bergson, ed è, ancora una volta, uno di quegli splendidi trucchi lessicali dal sapore umanitario di cui la nostra epoca va ghiotta. Perché dichiararsi a favore di una società aperta evoca immediatamente un’immagine di maggiore libertà e tolleranza, di circolazione delle idee, di pluralismo, di altruismo, in contrasto con quella di una società chiusa ed egoista, nemica della diversità, razzista.
Solo che poi la teoria deve farsi prassi, l’idea deve incarnarsi nel concreto ed è a questo punto che l’agenda umanitaria e universalista di Soros si rivela essere radicalmente in opposizione con ogni idea di tradizione, di ordinamento consolidato, di consistenza etnica e nazionale. Per il magnate ungherese di origine ebrea nazionalizzato americano, nato Schwartz e poi trasformato in Soros da un padre innamorato dell’Esperanto,  totalitario non è solo ogni regime che come quello nazista o comunista, confischi la libertà riducendo gli uomini a meri epifenomeni di un’unica volontà collettiva superiore, ma ogni confine, ogni identità di popolo, ogni rivendicazione culturale forte da parte di una civiltà e di una nazione.
In questo senso il sentire di Soros è perfettamente allineato a quello maggioritario europeo attuale, allo scollamento identitario di cui l’Europa è portatrice, ed è altresì allineato alla teologia dell’immigrazione come destino ineludibile, di conseguenza ferocemente avverso a tutto ciò che vi si oppone. Tutti i dubbiosi o i non allineati sono nemici del progresso. Il meccanismo è sempre quello. E il progresso si dispiega in una pletora di organizzazioni non governative che nella loro diversità, tuttavia hanno tutte un comune denominatore, come sottolinea Caroline Glick:
“Cosa ha a che fare il cambiamento climatico con l’immigrazione illegale africana in Israele? Cosa ha a che fare Occupy Wall Street con le politiche immigrazioniste greche? Il fatto è che I progetti appoggiati da Soros condividono una base di attributi comuni.
Operano tutti nell’indebolire le autorità nazionali e locali all’interno delle democrazie finalizzate a sostenere le leggi e i valori delle loro nazioni e comunità. Operano tutte per danneggiare i liberi mercati, sia che essi siano finanziari, ideologici, politici o scientifici. Lo fanno in nome della democrazia, dei diritti umani, della giustizia economica, razziale e sessuale e di altri termini nobili”[1].
Lo fanno in nome di. E’ fondamentale che sia così. Il Bene va annunciato e promosso come lo scopo da perseguire, cosa comporti effettivamente perseguirlo è un altro paio di maniche. Lo sottolinea Douglas Murray:
“Nel 2015 il finanziere miliardario George Soros ha speso considerevoli somme di denaro per finanziare gruppi di pressione e istituzioni promuoventi i confine aperti e il libero movimento dei migranti dentro e intorno all’Europa. Insieme a un sito internet chiamato Welcome2EU, la sua Open Society Foundations ha pubblicato milioni di volantini allo scopo di informare i migranti su cosa fare. I volantini li informavano su come arrivare in Europa, quali fossero i loro diritti una volta lì e cosa potessero fare e non fare le autorità. I gruppi sostenevano apertamente la ‘resistenza contro il regime europeo dei confini’”[2]
Lo sfondamento dei confini, dei bordi, il loro oltrepassamento, non è solo un auspicio concreto, una precisa direttiva politica, chiaramente esplicitata da un sodale di Soros, come il defunto grand commis della UE, Peter Sutherland, “Chiederò ai governi di cooperare, di riconoscere che la sovranità è una illusione, che la sovranità è una illusione totale che deve essere messa alle nostre spalle. Il tempo del nascondersi dietro i confini e i cancelli se ne è andato da molto tempo”[3], ma è una drammatica metafora di un crepuscolo, e di una orfanità imposte.
Nella stessa intervista in cui faceva questa dichiarazione, Sutherland aggiungeva emblematicamente a conclusione del suo pensiero, “Dobbiamo lavorare insieme e cooperare insieme per rendere il mondo migliore. E ciò significa affrontare alcune delle vecchie parole d’ordine e delle vecchie memorie storiche e immagini dei nostri paesi e riconoscere che siamo parte dell’umanità“[4] (corsivi miei).
Vino vecchio in otri nuovi. Saint Simon e Auguste Comte precedono Peter Sutherland e George Soros, si stagliano alle loro spalle. Soprattutto Comte il quale si considerava “fondateur de la religion de l’humanitè”. Il progetto è sicuramente ambizioso, ma proprio per questo vale la pena intraprenderlo.
In Underwriting Democracy il suo libro del 1991, Soros non fa mistero di “avere portato con me fin dall’infanzia delle fantasie messianiche piuttosto potenti”[5].
Rifare il mondo, raddrizzarlo è una costante gnostica sempre presente in quelle che sono le sue declinazioni filosofiche politiche moderne come ha mostrato impareggiabilmente Eric Voegelin nel corso della sua monumentale opera, “La conoscenza, gnosis del metodo di alterare l’essere è la principale preoccupazione dello gnostico…La costruzione di una formula per la propria salvezza e per quella del mondo, insieme alla disponibilità dello gnostico nel presentarsi come un profeta il quale annuncerà il suo sapere a proposito della salvezza dell’umanità[6]“. E Soros il suo “sapere” lo ha annunciato senza sosta, soprattutto agendolo attraverso la Open Society Foundations, il suo lascito perenne per il manifestarsi del progresso.
L’umanità, al posto dei popoli e delle nazioni, delle memorie condivise, delle proprie radici, questa astrazione radicale figliata dall’Illuminismo radicalizzato e poi trasfusa nel positivismo e trapassata nel marxismo, questa finta essenza che nega il fatto empirico in base al quale, al di là di una comunanza umana ontologica, il fatto umano non è mai stato puro ma si è sempre declinato in una appartenenza a vincoli sociali e culturali, a tradizioni, memorie condivise, fedeltà, legami.
Nel mondo senza confini di George Soros, quello dell’Umanità, sogno rivoluzionario realizzato, poiché, “Nella prospettiva del futuro conta solo la liberazione globale e definitiva”[7], Israele è un altro ostacolo che deve essere superato insieme al grande agente del male sulla terra, gli Stati Uniti. E deve esserlo perché (come gli Stati Uniti) è uno Stato nazione e come tale è fondato su una forte coscienza di sé, su una decisa appartenenza identitaria, su una fondamentale condivisione di storia e di memoria. Nella post-histoire del “filosofo fallito” (come Soros stesso si è definito), poi diventato uno dei giocatori politico-economici più influenti del pianeta, Israele, così com’è, non ha alcun diritto di cittadinanza. Di nuovo Caroline Glick:
“Per quanto concerne Israele, Soros ha sostenuto organizzazioni finalizzate a delegittimare ogni aspetto della società israeliana come razzista e illegittimo. I palestinesi sono un punto focale dei suoi attacchi. Li usa per affermare che Israele è uno stato razzista. Soros finanzia gruppi di sinistra moderata, gruppi di estrema sinistra, gruppi di arabi israeliani e gruppi palestinesi. In vari modi complementari, questi gruppi dicono ai loro pubblico mirato che Israele non ha alcun diritto di difendere se stesso o applicare le sue leggi nei confronti di cittadini non ebrei”[8].
La recente Legge Base passata alla Knesset, che ha semplicemente certificato una tautologia, che Israele è lo Stato degli ebrei, e il clamore che ha suscitato venendo accusata di discriminazione e razzismo nei confronti delle altre minoranze, nello specifico la più cospicua, quella araba, rappresenta una ulteriore conferma della potenza pervasiva della narrativa egemone, quella che vola sulle ali dello Spirito del Tempo e che Soros promuove attraverso la sua tentacolare fondazione.
L’attacco politico-mediatico alla legge Base sullo Stato ebraico fa parte della medesima Weltanschauung secondo cui, come dichiarò Peter Sutherland in una delle sue ultime interviste, il “vecchio” deve lasciare il posto al nuovo, perché il vecchio è il male e il nuovo è il bene.
L’essenza del futuro, del progresso, non può essere che morale. Bisogna fare bene attenzione a questo imperativo, esso è un dogma, e come tutti i dogmi, chiunque osi metterlo in discussione è sospinto a forza nel regno delle tenebre della contro-reazione, di chi si oppone al cambiamento, perché il cambiamento è sempre necessariamente buono. Così, Vickor Orbán, il premier magiaro che nel 2015 critica pubblicamente Soros per “appoggiare qualsiasi cosa che indebolisca gli stati nazione”[9] e che lo ha costantemente preso di mira accusandolo di promuovere a più non posso l’immigrazione musulmana in Ungheria, diventa automaticamente, a tutti gli effetti, uno dei simboli irriducibili del male.
Il nazionalismo messianico che ha dominato gli Stati europei dall’inizio del Novecento ed è stato uno dei motori delle due grandi guerre che hanno insanguinato il “secolo breve”, si è trasformato progressivamente nel messianismo dell’Unione Europea e nel fondamentalismo post nazionalista di chi, come Soros, Sutherland e altri vorrebbe il futuro del continente ma anche quello degli Stati Uniti e di Israele, uniformato ad un unico modello di società.
Una società senza identità specifica, ibrida in cui le irriducibili differenze dei vari popoli si fonderebbero in un unico melting pot all’interno del quale dovrebbe prevalere una utopica armonia. Questo progetto essenzialmente gnostico (abolizione dei confini, delle differenze, delle autonomie e delle essenze culturali, distruzione dello “spirito” dei popoli), come sempre, con ogni progetto gnostico, al posto della realtà di primo livello (quella concreta, empirica), sostituisce una realtà di secondo livello (astratta, mentale).
Esso si fonda sulla speranza (ragionevolmente fondata) che l’Occidente dissolva la propria identità, non tenendo assolutamente conto che l’Islam, diversamente da quanto l’Occidente ha fatto, è rimasto per 1400 anni essenzialmente fedele alla propria vocazione teopolitica, cioè quella di essere un grande progetto totalizzante di società e mondo, fondato su quei presupposti identitari forti che l’Occidente ha progressivamente perso, e che Soros e i “progressisti”, sulla sua scia vorrebbero perdesse definitivamente.

[1] Caroline Glick, Soros Campaign of Global Chaos, Frontpage Magazine, 23 agosto 2016.
2 Douglas Murray, The Strange Death of Europe, Immigration, Identity, Islam, Bloomsbury, 2017, p. 184.
3 UN News Centre, “Refugees are the responsibility of the world… Proximity doesn’t define responsibility”, Intervista con Peter Sutherland, 2 ottobre 2015.
4 Ibid.
5 George Soros, Underwriting Democracy, Pubblic Affairs 1991, p.103.
6 Eric Voegelin, Science, Politics & Gnosticism, ISI Books, 2004, p.65.
7 Leszek Kolakowski, Lo spirito rivoluzionario, La radice apocalittico-religiosa del pensiero politico moderno, PGRECO Edizioni, 2013, p.15.
8 Caroline Glick, Art. cit.
9 Viktor Orbàn citato da Douglas Murray in The Strange Death of Europe, Bloombsbury, 2017, p.185

Un mondo così, insomma. E in più il fatto che purtroppo, suo malgrado – molto malgrado – Soros è ebreo. Non di religione, ma questo per qualcuno non conta: il sangue, per i nazisti, non si lava, e tanto basta per gridare al complotto ebraico. E per dare – paradosso dei paradossi – dell’antisemita a chi lo critica. Mala tempora currunt.

barbara

NON SOLO IO, PER FORTUNA

imagine
Per fortuna non sono solo io a trovare, da sempre, allucinante, simile a un incubo dei peggiori, il mondo “paradisiaco” prospettato dal testo di questa canzone. In particolare trovo sconvolgente il verso nothing to […] die for: un mondo in cui non ci sia niente per cui morire, nessun valore per cui valga la pena di battersi, niente che meriti di essere difeso fino – se necessario – alla morte. Si riesce a immaginare, in un mondo simile, qualcosa per cui possa valere la pena di vivere?
Per inciso. Uno degli argomenti più gettonati dei crociati anti-religione è che “non c’è religione che non imponga limitazioni” (mentre quelli più fighi optano per “le religioni monoteiste sono limitanti”, come il mio cugino vegano, irretito dagli arancioni, di professione guaritore, che se sua madre novantenne ha bisogno di aiuto per togliere le erbacce dal giardino deve prima chiedere l’autorizzazione al suo guru, il quale, tra l’altro, gli telefona tutte le sere alle dieci per comunicargli il programma di lavoro del giorno dopo, e fino a quel momento non può dire a sua madre se il giorno dopo potrà o no accompagnarla da qualche parte. A cinquant’anni suonati). Ecco, io chiedo: esiste una qualsiasi convinzione, o scelta di vita, di qualunque genere, in qualunque campo, che non imponga limitazioni? Se amate una persona che odia il fumo, non rinunciate a fumare almeno in casa? Dite che quella è una vostra libera scelta? Anche quella dell’ebreo che non mangia gamberetti o del cristiano che rinuncia a scopare prima del matrimonio è una libera scelta (quella del musulmano no: se lo beccano a mangiare a ramadan viene sprangato di santa ragione. Ma, come detto ripetutamente in altre sedi, considerare l’islam semplicemente una religione come il cristianesimo o come il buddismo, è il più tragico – e gravido di catastrofiche conseguenze – degli errori).

OK: ora aprite pure i cancelli e fate entrare i leoni

barbara