che fa eco al coraggio mostrato dai brasiliani rimasti in patria
E poi ci sono gli iraniani, che da due mesi stanno eroicamente sfidando uno dei regimi più oppressivi del mondo dopo l’uccisione di Mahsa Amini, assassinata dai “guardiani della virtù” a causa del velo portato in maniera non corretta. Anche i calciatori presenti in Qatar hanno deciso di fare la loro parte, rifiutandosi di cantare l’inno nazionale.
Poi, evidentemente, le minacce si sono fatte più pesanti, più concrete (ognuno di loro, non va dimenticato, ha una famiglia in Iran, che sarebbe la prima a pagare il prezzo della sfida: chiunque ha il diritto di mettere in gioco la propria vita in nome di un principio che ritiene valido – e in questo caso sicuramente lo è -; un po’ meno ha il diritto di mettere in mano al carnefice quella degli altri) e alla partita successiva hanno cantato
E tuttavia non considero questo un cedimento, né un fallimento: il mondo intero ha avuto modo di vedere il coraggio da una parte, la fierezza, la dignità, l’idealismo, la solidarietà, e dall’altra la barbarie, l’intimidazione, la violenza, la forza bruta. Che prima o poi sarà sconfitta. E per l’occasione sono disposta anche ad ascoltare e postare una canzone che detesto per l’uso strumentale e fazioso che ne è stato fatto da più parti: in questa versione in farsi registrata due mesi fa in onore di Mahsa
e quest’altra in italiano di 13 anni fa, in occasione di una delle tante ondate di proteste iraniane, regolarmente soffocate nel sangue nella cinica indifferenza di un mondo sempre pronto a inginocchiarsi per i peggiori criminali, purché del colore giusto e supportati dai regimi giusti.
C’è quella che racconta di essersi tolta il chador di fronte a Khomeini e proprio in quel momento, tu guarda la sfiga, a nessuno dei fotografi presenti è venuto in mente di immortalare l’eroico quanto inaudito gesto con uno scatto che sicuramente avrebbe potuto vendere a un prezzo stratosferico
E c’è quella che se lo toglie davvero. E si assicura che il gesto venga ripreso.
Questa è Gohar Eshghi, 80 anni, madre di Sattar Beheshti, il blogger iraniano torturato e ucciso in carcere nel 2012 per aver osato criticare apertamente il regime di Khamenei. È comparsa in un video, in breve diventato virale in tutto il mondo, nel quale si toglie il velo come gesto estremo di protesta e invita tutti a non piegarsi, mostrando la foto del figlio. “A 80 anni” dice, “mi tolgo l’hijab contro una religione che uccide le persone”. Lei che per una protesta simile l’anno scorso era già stata picchiata dagli sgherri del regime. È persino difficile commentare tanto coraggio senza sentirsi di colpo piccolissimi, inermi, impotenti.” @lorenzotosa#wearedreamers#tommassinivirtualfamily
(Però anche le nostre femministe che si sono tagliate una ciocca di capelli, dai, hanno mostrato un bel po’ di coraggio…)
Atteso da 23 33 anni, finalmente è arrivato, ponendo qualche inevitabile domanda – domande che a qualcuno suggeriscono risposte bizzarre assai, ma chissà se oltre che bizzarre saranno anche infondate – ma partiamo dalle domande. Preciso, per chi non lo sapesse, che il musulmano che uccide una persona colpita da fatwa (esattamente come chi uccide un ebreo, uno qualsiasi) ha il paradiso garantito, per cui su un miliardo e mezzo di musulmani, fra cui diciamo circa mezzo miliardo di molto molto religiosi e almeno un centinaio di milioni di fanatici, con l’aggiunta di oltre tre miliardi di dollari di taglia, non dovrebbe essere irragionevole aspettarsi che qualcuno ci provi, e altrettanto ragionevole sembrerebbe che si avesse l’accortezza di prevedere qualche misura di protezione, soprattutto considerando che finora non era ancora successo perché sempre sotto scorta – e i primi dieci anni rinunciando praticamente a vivere – e ricordando che un traduttore è stato ucciso e un altro traduttore e un editore sono sopravvissuti a un attentato, e invece no: nessunissima protezione. Come mai? Seconda domanda: l’attentatore, prima di essere fermato, ha avuto il tempo di infliggergli 15 coltellate, di cui alcune profonde, al punto di raggiungere, a quanto pare, il fegato: come mai così tanto tempo?
Le risposte bizzarre che ho trovato in un sito che non voglio nominare, sono che l’attentato sarebbe in relazione all’accordo con l’Iran sul nucleare che Obama era riuscito a concludere e che il malefico Trump aveva poi “stracciato”: adesso l’accordo era finalmente di nuovo in dirittura d’arrivo e allora qualcuno che non lo voleva avrebbe ordito l’attentato a Rushdie in modo da far ricadere la colpa sull’Iran e quindi aumentare l’odio anti iraniano e rendere impossibile a Biden approvare l’accordo. Cioè Rushdie sarebbe la vittima sacrificale di un affaire tutto interno al partito repubblicano degli Stati Uniti. Ipotesi piuttosto azzardata, di sapore discretamente complottista, ma che potrebbe anche rispondere alle domande sulla mancata sorveglianza – un po’ meno forse sul tempo eccessivo per fermare l’attentatore, dato che dubito che questo possa essere organizzato dall’alto. A screditare però almeno in parte l’articolo in questione sono alcune imprecisioni piuttosto gravi: innanzitutto la considerazione che il ragazzo è troppo giovane per sapere che la fatwa è stata annullata: primo, non solo non è vero che è stata annullata ma, al contrario, è stata ripetutamente confermata (qui diversi dettagli), secondo, se è troppo giovane per sapere che nel 1998 sarebbe stata annullata, tanto più dovrebbe essere troppo giovane per sapere che era stata pronunciata nove anni prima. Decisamente controcorrente poi i mass media secondo cui sarebbe sconosciuto il movente dell’aggressione (come suggerisce l’amico myollnir, forse gli aveva rigato la fiancata dell’auto) e che presentano l’aggressore come un ragazzo del New Jersey senza altre precisazioni, ossia senza che niente rimandi all’Iran. E concludo con l’ennesima domanda: avremo mai delle risposte vere a tutte queste incongruenze? A noi, non resta che augurare a Rushdie di farcela, se non altro per ricacciare in gola alle autorità iraniane i canti di gioia per il riuscito compimento della fatwa, documentati nell’articolo sopra linkato.
Golfo. Due vittime nella battaglia navale tra Iran e Israele
di Farian Sabahi (giornalista iraniana, anche se probabilmente non ci sarebbe bisogno di precisarlo) E partiamo dal titolo: battaglia navale? Quanti colpi ha sparato la nave israeliana? Quante navi iraniane ha colpito? Quante vittime ha fatto?
Uccisi da un drone iraniano due membri dell’equipaggio di una petroliera israeliana, un britannico e un rumeno. Prosegue così lo scontro a distanza tra i due paesi, scontro: fra due combattenti. Mi sfugge quale fosse il secondo combattente.
mentre Teheran si prepara al passaggio di poteri tra il moderato Rohani quasi mezzo migliaio di condanne a morte nel primo anno di presidenza
e il conservatore Raisi Israele accusa l’Iran di essere dietro all’attacco di giovedì scorso a una petroliera certo: Israele accusa, ma va’ a sapere se l’accusa sia giustificata, perché diciamolo: chi di noi non ha un paio di droni iraniani in cantina da tirare quando vediamo passare una nave israeliana! Senza contare che anche l’Inghilterra, direttamente interessata alla vicenda, non ha dubbi nell’attribuire le responsabilità dell’attacco (attacco, NON scontro)
in cui hanno perso la vita un cittadino britannico e uno rumeno, membri dell’equipaggio. Senza carico, la petroliera MV Mercer Street stava procedendo da Dar es Salaam (Tanzania) nell’Oceano indiano settentrionale in direzione degli Emirati arabi. Si trovava nei pressi dell’isola omanita di Masirah, al largo delle coste dell’Oman, nel mare Arabico. Di proprietà giapponese, batte bandiera liberiana e le sue operazioni sono gestite dalla società Zodiac Maritime con sede a Londra e di proprietà del magnate israeliano dei trasporti Eyal Ofer. L’autorità navale britannica sta facendo luce sull’incidente e rende noto che «le forze della coalizione» stanno garantendo la sicurezza della nave che si sta spostando verso un porto sicuro. Venerdì il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, ha puntato il dito contro «il terrorismo iraniano» e ha aggiunto che «l’Iran non è solo un problema di Israele, il mondo non deve essere silenzioso». Ora, Israele sta facendo pressione affinché vi sia un’azione internazionale nei confronti dell’Iran. In particolare, Yair Lapid ha scritto su Twitter: «Ho dato indicazioni alle ambasciate a Washington, Londra e presso l’Onu di lavorare con i loro interlocutori al governo e le rilevanti delegazioni al quartier generale del Palazzo di Vetro a New York». Intanto, un’emittente televisiva iraniana in lingua araba avanza l’ipotesi che si sia trattato della vendetta di Teheran in seguito a un attacco israeliano a un aeroporto in Siria, alleata dell’Iran. Più che alleata, militarmente occupata dall’Iran con basi dalle quali colpire Israele, come ripetutamente ha fatto, e chissà mai che cosa Israele sarà andato a colpire in quell’aeroporto siriano.
Da anni, Israele e Iran si stanno facendo la guerra con varie modalità. In questi anni il Mossad è riuscito a uccidere una serie di scienziati nucleari di Teheran. L’ultima vittima era stato Mohsen Fakhrizadeh lo scorso novembre. Scienziati nucleari, quelli che da un paio di decenni stanno lavorando allo scopo dichiarato di distruggere Israele
Più di recente, a metà aprile 2021, i servizi segreti dello Stato ebraico avevano messo in atto un attacco informatico che aveva fatto saltare la corrente nello stabilimento nucleare di Natanz, destinato all’arricchimento dell’uranio. Finalizzato allo scopo di cui sopra.
E sono stati numerosi i bombardamenti dell’aviazione israeliana verso postazioni militari iraniane in Siria. E chissà che cosa ci faranno mai queste postazioni militari iraniane a 2000 chilometri da casa
Gli iraniani hanno ovviamente risorse decisamente inferiori rispetto alle forniture militari made in the Usa in possesso all’esercito israeliano. Ecco, precisiamolo: l’Iran non ce la fa a distruggere Israele per via delle armi USA, altrimenti ne avrebbero già fatto polpette!
Ma se gli iraniani si erano finora dimostrati succubi della forza militare israeliana, notare la scelta delle parole: gli iraniani succubi della forza militare israeliana, l’innocente Iran che subisce attacchi incomprensibili e ingiustificati da parte del feroce nemico israeliano determinato a distruggerlo, povero povero caro
pare che in questo caso siano riusciti a colpire davvero, grazie ai droni. cioè, mi faccia capire, signora Sabahi: hanno colpito o non hanno colpito? I morti ci sono stati o non ci sono stati? E a colpire è stato l’Iran o è solo un’accusa israeliana, come dice più sopra? Guardi che non è mica più una ragazzina: con tutti questi salti mortali avvitati carpiati rischia di rompersi l’osso del collo.
Sarebbe stato proprio uno di questi droni esplosivi ad avere ucciso i due membri dell’equipaggio sulla petroliera MV Mercer Street. Il risultato di questo ennesimo attacco è l’escalation in una regione già caldissima. Nella pericolosa battaglia navale in corso in questi ultimi anni tra Iran e Israele, cioè, quante navi iraniane esattamente ha colpito Israele in questi ultimi anni? E con quanti morti, visto che si tratta di una battaglia pericolosa?
finora c’erano stati diversi incidenti quanti provocati dall’Iran e quanti da Israele?
ma senza vittime. Ah, niente vittime? Allora pericolosa in che senso?
Si era trattato di scaramucce, ? Pericolosa battaglia navale o scaramucce? Dovrebbe decidersi signora: sta facendo informazione o giocando a boccette?
seguite da reciproche accuse. Ora, invece, c’è scappato il morto, anzi due. Il morto che «conta» davvero pare essere il cittadino britannico. Intanto, sul fronte interno gli iraniani si preparano al passaggio di testimone alla presidenza tra il moderato Hassan Rohani vedi sopra
e l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, ultraassassino signora: le cose vanno chiamate col loro nome
previsto per il 3 agosto. Si teme il peggio, ma c’è comunque una buona notizia: il leader supremo ha concesso la grazia a 2.825 prigionieri in occasione di due commemorazioni religiose. IHHHH, com’è buono! Quasi quasi mi commuovo guardi. Ero in Somalia quando, nella stessa ricorrenza, sono stati “graziati” centinaia di prigionieri (a fronte di una popolazione venti volte inferiore), «Ma – mi è stato spiegato – naturalmente non quelli contro la religione o contro lo stato!». In pratica erano stati liberati un po’ di ladruncoli i quali, non avendo altre risorse che il furto, nel giro di un paio di mesi, esattamente come ogni anno, sono stati tutti ripresi e risbattuti in galera (probabilmente anche quello che mi ha strappato la borsa e io, in una scena definita spettacolare dai testimoni, con scatto da centometrista mi sono buttata all’inseguimento gridando al ladro al ladro e poi quattro ragazzotti gli hanno tagliato la strada e lui ha mollato la borsa – chiavi di casa salve – e poi hanno continuato a braccarlo finché non ha mollato anche il portafogli). Non ho il minimo dubbio sul fatto che le cose in Iran vadano allo stesso identico modo. Quello che mi sfugge però è che cosa abbia a che fare la grazia ai prigionieri con le masse iraniane che protestano perché prive di acqua – e no solo quella.
Il 21 luglio ricorreva Eid al-Adha, la festa del sacrificio celebrata da tutti i musulmani. E giovedì scorso gli sciiti hanno celebrato Eid al-Ghadir ricordando il giorno in cui il profeta Maometto aveva designato suo erede il cugino e genero Ali. Non è la prima volta che l’Ayatollah Khamenei dimostra clemenza nei confronti dei carcerati: in occasione dell’anniversario della nascita dell’Imam Reza aveva dato ordine di liberare 5mila prigionieri. Da questo gesto restano però esclusi i prigionieri politici. Ah ecco, avevo visto giusto. Però dai, diciamolo: quanto sono buoni questi Ayatollah! Sicuramente Israele dovrà perdonarli per l’attacco alla propria nave e gli inglesi per avergli fatto fuori un loro cittadino.
Va aggiunto che la signora Sabahi l’avevamo già incontrata qui; e in precedenza aveva pubblicato un’intervista ad Abraham Yehoshua in cui gli metteva in bocca la frase “l’Iran non è un pericolo per Israele”. Emanuel Segre Amar, sconcertato da questa affermazione, aveva interpellato direttamente Yehoshua, il quale ha risposto di aver detto che l’Iran non è un pericolo solo per Israele.Giusto per misurare l’onestà della signora in questione. Quanto alla risposta israeliana, e in particolare alla dichiarazione di Bennett, “In ogni caso, sappiamo come inviare un messaggio all’Iran a modo nostro., faccio mio il commento di Fulvio Del Deo: “È da stupidi fare proclami. Le cose vanno fatte, non dette. Israele ha imboccato una brutta strada. Non avrei mai immaginato di avere così presto nostalgia di Bibi.” Tranne l’ultima frase: io l’ho pensato subito che quei due avrebbero fatto amaramente rimpiangere Netanyahu.
Sayyid Ebrahim Raisi è un mostro. Fa parte dello stesso clan di Sayyid Khomeini, Sayyid Ali Khamenei, Sayyid Nasrallah. Tutti discendenti di Ali e Fatima. Arabi Sciiti, non persiani. Sono in 2mln solo in Iran e hanno preso il controllo di tutto il potere. Sono fanatici, armano terroristi fondamentalisti, sciiti e sunniti. L’Europa presto capirà chi sono. Stanno destabilizzando paesi dell’ex USSR come ad esempio il Tajikistan e l’Uzbekistan. Hanno un network potente e sparso su tutta la terra. Per loro chi non è musulmano e religioso, è un infedele da sottomettere ed uccidere. Le purghe e uccisioni del 1988 guidate da Sayyid Raisi furono contro intellettuali comunisti atei. Sayyid Ebrahim Raisi è colui che ha ordinato l’impiccagione degli studenti iraniani che protestavano contro il regime teocratico. Sono ad un passo dall’arma nucleare. Devono essere fermati. Vogliono seminare guerre religiose e Jihad. Sayid Abdulloh Nuri, leader del partito Islamico del Tajikistan cercò di rovesciare il governo diverse volte. Tentò di instaurare in regime teocratico su modello iraniano. È anche l’anello che collega Bin Laden all’intelligence iraniana. Prima del 9/11 volevano pianificare insieme un attacco contro gli USA. I Sayyid in Afghanistan sono svariati milioni e appoggiavano Al Qaeda e Bin Laden. Chi ispirò la lotta armata di Bin Laden è un Sayyid egiziano, colui che trasformò la Fratellanza Musulmana. Si chiamava Sayyid Qutb. Scrisse un libro che è l’equivalente del Mein Kampf hitleriano, Fi Zalal al-Koran. Ogni fanatico islamico lo legge. Sono discendenti del Profeta Maometto tramite Ali e Fatima. Non c’è nulla da aggiungere. Michael Levi
Perché Khamenei ha scelto Reisi come presidente del suo regime!? Reisi ha iniziato a lavorare presso il Tribunale Rivoluzionario di Masjed Soleyman all’età di diciotto anni e da allora ha mostrato il suo genio nell’uccidere i combattenti per la libertà. All’età di 20 anni, come procuratore di Karaj, ha consegnato molti dissidenti alla squadra dell’esecuzione e ha continuato questo lavoro a Kermanshah, Lorestan e Hamedan. Nel 1985 continuò i suoi crimini come vice procuratore di Teheran, finché nel 1987, come membro dello squadrone della morte, quasi 30 mille dissidenti politici furono giustiziati in prigione. Per dieci anni, dal 1993 al 2003 è stato capo dell’organismo di ispezione generale e vice capo della magistratura dal 2003 al 2013. Ha anche inviato i giovani iraniani a tortura e alla morte con tutte le sue forze negli anni e 2017 e 2019! Nel frattempo, è il genero di Alam al-Huda, l’Imam del venerdì di Mashhad! Quindi dobbiamo sapere ora perché è diventato presidente!
Tra esecuzioni di massa e elezioni farsa ora sarà corsa senza freni all’atomica
Il nuovo leader, che disprezza l’Occidente e vuole la morte di Israele, promette al mondo guai e bugie. E pugno di ferro a casa
di Fiamma Nirenstein
Dunque l’Iran ha da ieri il suo nuovo presidente dopo aver vissuto ancora la farsa che ogni quattro anni mette in scena di fronte al mondo: una cosa che il regime chiama «elezioni» e che la gente schiva per la grande maggioranza. Ebrahim Raisi era sin dall’inizio «il presidente eletto», dato che così aveva deciso Alì Khamenei, il leader supremo. Dei 500 candidati che si erano presentati per la selezione, incluse 40 donne, ne erano rimasti nel setaccio del comitato che scelgono i personaggi possibili solo 7, di cui solo 4 realmente eleggibili. Si dice di lui che è un «ultraconservatore»: ma è una definizione che lascia spazio all’idea che altrove dei riformatori aspettino il loro turno. Non è così. Solo la gente sarebbe la grande riformatrice del Paese, ed è messa a tacere con la forza a regolari puntate. Cerca di dimostrare il suo scontento non venendo a votare per quel che può, e così ha fatto anche stavolta. Il pane in Iran costa 40 dollari al chilo, il salario minimo è di 215 dollari al mese. Spesso i lavoratori non vengono pagati per mesi, l’obbedienza al regime è un obbligo che si paga con la vita, la libertà di opinione e di manifestazione è una barzelletta che finisce sempre in lacrime. Ebrahim Raisi, 60 anni, nei suoi vari ruoli determinanti nel sistema giudiziario iraniano è il diretto responsabile di migliaia di condanne a morte per i più svariati crimini di violazione delle sacre leggi del regime degli Ayatollah, quindi di violatore seriale di diritti umani. Questo dovrebbe creare un serio imbarazzo internazionale, anche adesso durante le trattative di Vienna cui gli Stati Uniti sembrano tenere tanto per il rinnovo del Jcpoa, l’accordo nucleare del 2015 per cercare, del tutto inutilmente di bloccare il progetto della bomba iraniana. Illusione. L’Iran infatti, dopo aver firmato l’accordo che poi il presidente Trump ha cancellato, ha seguitato a perseguire il suo piano di diventare una potenza atomica devota prima di tutto alla distruzione fisica di Israele e poi di tutto l’Occidente, secondo le prove asportate in faldoni originali di migliaia di pagine dal Mossad e anche secondo le difficoltose verifiche dell’Iaea, l’agenzia atomica internazionale sempre impedita nei movimenti dal regime. Intanto, al comando del generale Qasem Soleimani guerreggiava ovunque, Libano, Siria, Iraq, Yemen, Gaza nel grande disegno imperialista di occupazione del Medio Oriente. Ora che è stato eliminato, il regime prosegue nel suo disegno. Così farà Raisi. Raisi sarà un altro presidente della serie: negli anni 90 Rafsanjani che probabilmente approvò l’esplosione del centro ebraico di Buenos Aires, è stato dipinto come una colomba; Mohammad Khatami, sospettato di essere moderato, fu rapidamente sostituito con l’invasato Mahmoud Ahmadinejad. Poi Hassan Rouhani e il suo ministro degli esteri sempre sorridente Javad Zarif diventarono grandi amici di Obama e anche dell’Unione Europea mentre programmavano il migliore imbroglio del secolo, l’accordo nucleare, e seguitavano a usare il terrorismo internazionale e la persecuzione interna come armi preferite del regime. Per la gente, le cose sono seguitate a cambiare in peggio. Ne ha goduto, nel tempo la crescita del rapporto con Russia e Cina. E si è anche consolidata l’amicizia con tutta la falce islamista estrema anche sunnita, da Erdogan a Hamas, regolarmente ospite di Teheran. Quali garanzie di mantenere la parola data sia sulla questione atomica che su qualsiasi altro patto con un Occidente disprezzato e vilipeso da Raisi, un «guardiano» professo del sistema «velayat-e faqih», che determina la struttura giuridica e morale del mondo interiore ed esterno cui si ispira l’Iran odierno, è certo una domanda che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il resto del mondo si sta ponendo in queste ore. Il popolo iraniano sa la risposta, ed è certamente triste. (il Giornale, 20 giugno 2021)
Indignados di tutto il mondo, cosa dite sul nuovo presidente dell’Iran che torturava donne incinte?
Ebrahim Raisi è stato nominato nuovo presidente dell’Iran. Noto come “il macellaio” per aver giustiziato migliaia di dissidenti dell’opposizione nel 1988 mentre prestava servizio come vice procuratore di Teheran, Raisi avrebbe ordinato anche la tortura di donne incinte, rivela il Mail on Sunday. Si ritiene che 30.000 prigionieri siano stati messi a morte – impiccati da gru edili o fucilati – durante l’epurazione. L’ayatollah-dissidente Hossein Ali Montazeri lo ha definito “il più grande crimine nella storia della Repubblica Islamica” quando uscì la notizia che l’Iran stava ripulendo e cancellando le fosse comuni dove aveva sepolto le vittime di quel massacro. Farideh Goudarzi, che è stata incarcerata per far parte di un gruppo politico vietato, ha raccontato al Mail di come Raisi l’abbia fatta torturare durante la gravidanza e costretta a partorire in prigione. Allo stesso modo Mahmoud Royaee, un altro prigioniero politico interrogato da Raisi durante le esecuzioni del 1988, ha affermato che ha emesso una condanna a morte di un detenuto che era nel bel mezzo di un attacco epilettico. “Sono stata arrestata con mio marito e mio fratello nell’estate del 1983” ha raccontato Goudarzi. “Ero incinta al momento dell’arresto e mi restava poco tempo prima della nascita del mio bambino. Nonostante le mie condizioni, mi hanno portato nella stanza delle torture subito dopo il mio arresto. Era una stanza buia con una panca nel mezzo e una varietà di cavi elettrici. Una delle persone che era presente durante la mia tortura era Ebrahim Raisi, allora procuratore capo di Hamedan e uno dei membri del ‘comitato della morte’. Dopo la nascita di mio figlio, ci trasferirono in isolamento. Sono stati giorni così orribili in quanto ho dovuto subire diversi interrogatori ogni giorno con il mio bambino appena nato…”. Mahmoud Royaee ha raccontato al Sun della propria tortura per mano di Raisi. Royaee ha trascorso dieci anni in prigione dove ha subito torture dopo che gli è stata offerta la possibilità di fare una confessione televisiva, ma ha rifiutato. Mahmoud fu così dichiarato colpevole di essere in “guerra con Dio” e gli fu detto che “meritava di essere ucciso”. “Raisi picchiava i prigionieri con un cavo elettrico” ha raccontato Royaee. “La prima volta che sono stato picchiato sulla pianta dei piedi ho provato a contare ma il dolore lo ha reso impossibile. Era anche uno dei pochi giudici che firmava una sentenza religiosa per qualcuno che veniva gettato da un dirupo”. Di cosa sia capace questa gente è purtroppo storia nota. Come ormai certa ipocrisia in Occidente. Dove sono legioni di indignados che da un anno accusano l’Occidente di essere iniquo, malvagio e razzista, abbattendo statue e nomi? Dove sono le piazze che hanno protestato contro Donald Trump? Dove le marce arcobaleno? Dov’è l’Onu, che era pronto a mandare ispettori in Italia per fare inchieste sul nostro famigerato razzismo? Ah, l’Onu. Ha appena eletto il paese di Raisi nella Commissione per i diritti delle donne. Abbiamo capito, sì?
Colgo l’occasione per ricordare anche la martire Zahra Kazemi. E a proposito del moderato Khatami
Senza dimenticare che nel frattempo… Cosa del resto ampiamente prevista con l’ascesa al potere del presidente abusivo Joe Biden, che continua a restare presidente nonostante le continue nuove prove di brogli che continuano a emergere. Tempi bui ci aspettano. Per l’Iran, per Israele, per l’umanità intera.
Questo titolo mostra bene come le parole sono spesso il problema. E in un mondo dove bisogna stare attenti a non usare parole sbagliate per definire qualcuno, sorprendono questi gravi errori che si ripetono da decenni. “Conservatori” erano Churchill, Reagan o Margaret Thatcher. Gente eletta democraticamente. Non il giudice di un regime teocratico che ha fatto carriera sul sangue di tanti innocenti e ha vinto elezioni truccate. E già, le elezioni farsa infatti (come previsto nel precedente post) sono diventate elezioni e basta. Possiamo chiamarla ancora informazione, quando si ribalta la realtà e si trasforma un criminale fanatico eletto in elezioni truffa in un “conservatore”? Aveva ragione Mark Twain quando diceva: “Se non hai letto il giornale non sei informato. Se hai letto il giornale sei informato male.”
Questo è Majid. un manifestante iraniano aggredito dalla polizia. Dove? A Tehran? In US? NO. Ad Amburgo in Germania, davanti ambasciata del regime. Polizia tedesca ha attaccato manifestanti e aggredito tante persone come Majid che manifestavano contro il regime islAmico in Iran. Dove siete per inginocchiarvi? Scendete in piazza ?
Rabbini aggrediti, monumenti alla Shoah profanati, parole di morte contro gli ebrei in Europa
di Giulio Meotti
ROMA – Domenica, mentre dal Canada arrivava il video di un ebreo picchiato da manifestanti filopalestinesi, un rabbino veniva aggredito a Londra. La sinagoga ortodossa di Chigwell, fuori dalla capitale, ha fatto sapere che il rabbino Rafi Goodwin è stato colpito alla testa e agli occhi mentre gli urlavano slogan antisemiti. Intanto un convoglio di auto con bandiere palestinesi e megafoni appariva nelle aree ebraiche del nord di Londra, la strada che attraversa Hampstead e Golders Green. Nel video gli abitanti si sentono ansimare di paura mentre per strada gridano “F**k gli ebrei, violentate le loro figlie”. In risposta al convoglio, il premier Boris Johnson ha detto: “Non c’è posto per l’antisemitismo nella nostra società”. E mentre la sinagoga Adat Yeshua a Norwich veniva profanata e un ufficiale della sicurezza ebraica di Londra suggeriva che gli ebrei non dovessero andare da soli alla sinagoga, la polizia doveva impedire ai manifestanti di raggiungere l’ambasciata israeliana, punto di arrivo di una marcia iniziata a Hyde Park e che gli organizzatori dicono abbia visto la partecipazione di 100 mila persone. C’era anche un enorme manichino raffigurante Israele come un ebreo degno di Der Stürmer, completo di naso adunco, lineamenti sinistri e corna. Si è marciato al grido di “Khaybar, khaybar ya yahud, jaish Muhammad saya’ud”. La traduzione è “Khaybar, Khaybar, o ebrei, l’armata di Maometto ritornerà”. Khaybar è il nome dell’oasi abitata da ebrei che Maometto conquistò nel 628. Il luogo ha assunto un significato leggendario nella prospettiva islamista di una sottomissione finale e violenta degli ebrei. Lo stesso grido usato da Hamas nella sua guerra contro Israele oggi risuona da Bruxelles a Vienna. Ad Amsterdam il motto della manifestazione, condannata dal premier Mark Rutte, è stato “dal mare al fiume, la Palestina sarà liberata”, evoluzione del vecchio “gettare gli ebrei in mare” che equivale alla distruzione di Israele. A Stoccolma cori per “schiacciare il sionismo”. A Parigi, dove le autorità hanno vietato le manifestazioni per non veder ripetere le scene del 2014 con gli assalti alle sinagoghe (la peggior ondata di antisemitismo dalla Seconda guerra mondiale), manifestanti hanno marciato sopra le bandiere israeliane, come si fa in Iran. Un reporter del quotidiano berlinese B.Z. ha seguìto la manifestazione nella capitale tedesca. “Ho sentito una canzone terribile ma purtroppo molto popolare nel mondo arabo: ‘Udrub Udrub Tal Abib’ (bombardiamo, bombardiamo Tel Aviv)”. Uno striscione chiedeva una “Palestina libera dal fiume Giordano al Mediterraneo”, senza Israele. “Molti immigrati musulmani e un milieu di sinistra condividono la convinzione che gli israeliani in qualche modo meritino gli attacchi missilistici”, ha scritto sulla Welt Jacques Schuster, capo degli editorialisti del celebre quotidiano tedesco. “A una folla urlante è permesso di salire sulle barricate di fronte alle sinagoghe, esplodere di odio per gli ebrei, bruciare le stelle di David e tutto questo senza conseguenze”. Bandiere algerine, palestinesi e turche e duecento manifestanti davanti alla sinagoga di Gelsenkirchen al grido di “ebrei di merda”. Una bandiera israeliana issata sul municipio della città di Solingen è stata data alle fiamme, riferisce la Bild, con Tim Kurzbach, socialdemocratico e sindaco di Solingen, che parla di “atto vergognoso”. La città di Hagen alla fine ha rimosso la bandiera israeliana per non offendere parte della popolazione. A Berlino, una bandiera israeliana rubata dall’ufficio della Cdu della cancelliera Angela Merkel. Manifestanti hanno dato alle fiamme il memoriale della Grande sinagoga di Düsseldorf, distrutta dai nazisti nel 1938 durante la “Notte dei cristalli”. Un’altra bandiera israeliana bruciata a Münster fuori da una sinagoga. L’ex premier francese e socialista Manuel Valls domenica ha detto che c’è una parte della sinistra filo Hamas, mentre a Milano abbiamo sentito in piazza Duomo “Allahu Akbar”. “Questo incontro tra islamismo radicale ed estrema sinistra è potenzialmente esplosivo”, ha detto ieri in televisione Bernard-Henri Lévy. Nessun cittadino di colore è inseguito per le strade di Londra e picchiato. Gli ebrei sì. Ma sono invisibili alla doppia morale dell’antirazzismo che, in nome della Palestina, flirta con l’antisemitismo. Surreale, si rifiutano di condividere una piattaforma con le femministe che pensano che il sesso biologico sia reale, ma marciano assieme a chi invoca l’uccisione degli ebrei. Il Foglio, 18 maggio 2021)
Capito? Antisionisti, solo antisionisti, nient’altro che antisionisti, e non azzardatevi a insinuare che siano antisemiti. Ora un’analisi della situazione e un interessante suggerimento.
Issacharoff: “Sul fuoco da Gaza ci vuole tolleranza zero o scoppierà un nuovo conflitto”
di Sharon Nizza
TEL AVIV — Israele è nel pieno di una “Fauda” su tutti i fronti. Ne parliamo con Avi Issacharoff, coautore della serie israeliana di successo, giornalista di punta sulle questioni palestinesi prima per Haaretz e oggi per Walla!
– Issacharoff, come siamo arrivati a questa situazione? «Hamas ha iniziato questo conflitto lanciando sei razzi su Gerusalemme per stabilire una nuova equazione che va inquadrata nell’ambito degli interessi interni palestinesi. Nel momento in cui Abu Mazen ha annullato le elezioni, precludendo ad Hamas la possibilità di rilegittimarsi in Cisgiordania, Hamas ha intrapreso un’operazione ambiziosa per presentarsi come il vero padrone di casa in Cisgiordania, a Gerusalemme e persino tra gli arabi israeliani. Gli è riuscito solo in parte, ma ha dimostrando che ha il potenziale per farlo e questa è la sua vittoria strategica».
– Che cosa si aspetta succeda? «Credo che si andrà verso una tregua a stretto giro. A Israele non rimangono molte opzioni: la maggior parte degli obiettivi operativi sono stati raggiunti, ha inferto alcuni duri colpi a Hamas, ma la vittoria rimane sul livello tattico e nel frattempo pagano il prezzo i civili».
– Netanyahu dice che durerà a lungo. «Senza farne cospirazioni, in un certo senso c’è una coalizione informale tra Netanyahu e Hamas: si salvano a vicenda. I missili di Hamas hanno congelato i negoziati politici israeliani, mentre Netanyahu negli ultimi 12 anni ha lasciato che Hamas si rafforzasse militarmente, permettendo che producesse missili non stop, facendo entrare i milioni dal Qatar, concedendo agevolazioni umanitarie ed economiche che sperava avrebbero comprato la quiete. Allo stesso tempo indebolendo Abu Mazen, che non è detto potrà o avrà l’interesse di mantenere l’ordine ancora per molto in Cisgiordania. Se l’operazione a Gaza si dovesse prolungare, c’è il rischio di una nuova intifada».
– Le immagini di interi palazzi distrutti, compresi sedi di media, e il coinvolgimento di vittime civili, giustificano il colpo che Israele vuole infliggere a Hamas? «Nella mia valutazione, tutto è dettato dal modus operandi di Hamas: se lanci razzi da una zona abitata, vuoi che Israele reagisca colpendo innocenti e fare sì che tutti condannino gli israeliani. Ma Israele ha il dovere di agire contro le rampe di lancio, i tunnel e i terroristi. Immaginiamo che un’organizzazione da un territorio limitrofo lanci razzi su Roma, qualcuno si porrebbe domande su come reagire? Stiamo parlando di un’organizzazione terroristica che sfrutta la propria popolazione nella maniera più cinica possibile: perché Hamas se ne sta sottoterra mentre i civili non sanno dove andare? Pochi giorni fa il ministero degli Interni di Hamas a Gaza ha mandato un sms a tutti i cittadini avvertendo di non pubblicare video di lanci di razzi. Gli interessa che non venga svelato dove sono i lanciarazzi, perché sanno bene che sparano da quartieri densamente popolati».
– Che cosa deve succedere perché le cose cambino? «Israele deve cambiare la sua politica: significa contemplare anche mosse offensive nei momenti di apparente tranquillità, appena parte un solo razzo. Zero tolleranza verso l’arricchimento dell’arsenale di Hamas. O ci ritroveremo in un nuovo scontro a breve». (la Repubblica, 17 maggio 2021)
Ripesco un vecchissimo articolo, inviatomi all’epoca dall’amico Toni (dove sei, grande Toni?)
Ma cosa dovrebbe fare Israele per difendersi?
Da un articolo di Evelyn Gordon su Jerusalem Post, 20 febbraio 2001
Esiste una qualunque misura che Israele potrebbe adottare per difendere la propria popolazione dagli attacchi palestinesi e che sia considerata legittima da governi e osservatori occidentali? Nel corso degli ultimi mesi, di fonte alla vera e propria guerra di attrito che i palestinesi hanno scatenato in risposta a offerte negoziali senza precedenti, Israele ha tentato tutta una serie di tattiche diverse che sono state invariabilmente condannate, anche in Europa e negli Stati Uniti. All’inizio il governo israeliano adottò la tattica più semplice di tutte: disse semplicemente ai suoi soldati di rispondere al fuoco quando erano presi di mira. Ma, dal momento che i miliziani palestinesi adottarono sistematicamente la pratica di sparare dal bel mezzo di folle di civili più o meno aggressive, questa tattica si tradusse in un alto numero di vittime tra la popolazione, e non solo tra i miliziani armati. Ne seguì una condanna universale della “ferocia” d’Israele, con una sorta di invito implicito ai soldati israeliani a lasciarsi bersagliare senza reagire. Israele decise poi di colpire le proprietà anziché le persone. In risposta ai più gravi attacchi palestinesi, venne dato l’ordine di distruggere edifici appartenenti alle organizzazioni responsabili, dopo averne avvertito gli occupanti e aver dato loro il tempo per mettersi al sicuro. Per garantire la minore quantità possibile di danni collaterali si fece ricorso a sistemi d’arma sofisticati, come gli elicotteri da combattimento. Risultato: condanna universale di Israele, questa volta per aver fatto uso di armi tecnologiche, benché fosse evidente che il loro utilizzo mirava proprio a evitare vittime civili. Israele ha anche tentato la leva della pressione economica, una tattica cui spesso le nazioni fanno ricorso in caso di conflitti a bassa intensità come strumento alternativo allo scontro violento. Sembrava ovvio che Israele avesse il diritto di sospendere il trasferimento all’Autorità Palestinese dei fondi coi quali essa si procura le armi da guerra che poi vengono usate contro militari e civili israeliani, o finanzia le campagne di istigazione all’odio che poi scatenano attentati e violenze contro Israele. Impedire alla popolazione del campo avverso d’attraversare il confine e congelare i beni patrimoniali del nemico sono comportamenti assolutamente normali in caso di conflitto. Ma evidentemente non è così nel caso di Israele, criticato da tutti anche per queste misure di semplice prevenzione. Infine, il governo israeliano ha optato per la tattica più difficile, quella di cercare di arrestare e, quando non è possibile, uccidere con precisione soltanto gli individui che si rendono responsabili di attacchi e violenze. Una tattica che non comporta danni né vittime tra la popolazione inerme perché le Forze di Difesa israeliane possono scegliere il momento e il luogo per colpire, quando non ci sono civili innocenti nei paraggi. Questo in genere significa sorprendere i terroristi mentre non sono concretamente impegnati in attività violente. In teoria, non ci sarebbe nulla di sbagliato: cogliere il nemico di sorpresa è una delle regole più ovvie della tattica militare. Nessuno si aspetta da un esercito in guerra che, in ogni singola occasione, prima di sparare aspetti che sia il nemico ad aprire il fuoco. Ma anche qui, sembra che le regole normali non valgano per Israele. E così una tattica che punta, a costo di maggiori rischi per i soldati israeliani, a colpire in modo mirato i responsabili evitando il più possibile vittime civili è stata condannata come una forma di brutale assassinio. A questo punto sarebbe legittimo domandare a politici e osservatori occidentali secondo loro quale tattica sarebbe mai concessa a Israele, a parte quella di lasciare che i suoi cittadini, militari e non, vengano bersagliati senza muovere un dito per difenderli. Non c’è governo israeliano che non userebbe molto volentieri tattiche di difesa gradite all’occidente, se solo queste tattiche esistessero. Ma se, come pare, non esiste strumento di difesa che Israele possa adottare senza incorrere nella condanna universale, allora il governo israeliano – qualunque governo israeliano – non potrà fare altro che ignorare l’opinione pubblica internazionale e comportarsi come ritiene necessario. Giacché nessun governo israeliano, come nessun altro governo del mondo, può stare con le mani in mano mentre ogni giorno i suoi cittadini vengono aggrediti e minacciati di linciaggio.
l’altro giorno, ad Aosta, un centinaio di attivisti Lgbt ha organizzato un flash mob a sostegno del ddl Zan contro l’omofobia ma anche a difesa dl Hamas che, a Gaza, perseguita i gay considerando l’omosessualità un crimine. In pratica, hanno manifestato per gli omosessuali e, nello stesso momento, per i loro carnefici.
Infermieri!
Hanno il cervello liquefatto, e non se ne accorgono. Vi lascio con due immagini: chi, in casa nostra, fa il tifo per il terrorismo
e da dove parte tutto questo
Pienamente prevedibile, del resto, e previsto, già dal momento in cui una certa signora ha pubblicamente dichiarato: “Biden sarà presidente, qualunque sia il conteggio finale” e il citato signore, in uno dei suoi molti momenti di scarsa lucidità e conseguente scarso autocontrollo si è lasciato andare ad annunciare che “abbiamo messo in piedi la più straordinaria macchina di brogli elettorali della storia”.
Iniziamo con questa gustosa miscellanea di alcuni dei suoi momenti top
E passiamo alla recente conferenza stampa, chiamiamola così, con alcune annotazioni dell’amico Myollnir
ho appena visto la cd Conferenza stampa di Biden, la prima da quando è in carica. Penosa. E’ la prima volta che vedo qualcuno leggere le risposte ad un conferenza stampa (guai a pensare che le domande fossero concordate con la stampa amica…)
E subito dopo
Ci sono sviluppi. Guarda qua: fra gli “appunti” c’è la scheda dei (pochi) giornalisti ammessi, con la foto per non sbagliarsi e con evidenziati quelli da ammettere alla domanda, con il numero d’ordine con cui chiamarli. Allucinante. E nessuno dei presenti ha nulla da obiettare. https://nypost.com/2021/03/25/biden-used-cheat-sheet-during-his-first-press-conference/
E perfino così riesce a incasinarsi, come potete vedere nel video che trovate al link. Qui alcune interessanti riflessioni, a cui aggiungo alcune considerazioni di
Ad ogni conferenza stampa il Presidente Trump si trovava di fronte dei pitbull ringhianti e dei lupi ululanti. Il Presidente Biden si è trovato degli agnellini scelti accuratamente che ponevano domande pre concordate. Dopo due mesi e mezzo senza concedersi alla stampa per un confronto teoricamente senza filtri è apparso stanco, senza verve, con poche idee e spesso confuse. Fatti zero, a parte lamentarsi e addossare colpe all’amministrazione precedente, persino per il disastro da lui creato al confine sud. The blame game a cui gioca da 48 anni. Ha ammesso di non poter sapere se i bambini migranti separati dai genitori alla frontiera siano davvero i loro figli. E ha ammesso che in larga parte siano maschi prossimi alla maggiore età, cioè quella militare. Dovranno tornare alle politiche di Trump se non vogliono la guerra civile, prima del previsto. Timidissimo sulla Cina vago su tutto il resto, dando l’impressione che senza appunti sarebbe stato perso. E in effetti non è riuscito a completare più di qualche concetto. Alla domanda sul controllo delle armi, e quindi sul secondo emendamento, ha risposto dettagliatamente riguardo al piano per le infrastrutture. Senza che nessuno lo incalzasse, come si confà con i dittatori, mi ha ricordato l’ultimo Breznev. I nemici degli Stati Uniti e del mondo libero si saranno goduti lo spettacolo, compresi quelli che vivono alla Casa Bianca. E sono tanti. In una parola è stato avvilente.
E infatti i terroristi hanno immediatamente ripreso a colpire, la Corea del Nord ha ripreso a lanciare missili, la Cina sbertuccia l’America di santa ragione, l’Iran si è reimpossessato del manico del coltello e, giusto per chiarire chi stabilisce le regole del gioco, ha bombardato due navi israeliane nel giro di tre settimane, ma niente sembra scalfire l’amore cieco di Biden per i macellai iraniani, al cui altare appare pronto a sacrificare gli accordi di Abramo, ossia la pace del Medio Oriente, che se decade trasformerà l’intero Medio Oriente in una macelleria, in aggiunta alle numerose macellerie create da Obama con le cosiddette primavere arabe, le cui vittime si contano – per ora – in centinaia di migliaia (quando si dice “mani grondanti di sangue”), da far scomparire, per numero di vittime ottenute, i successi di Arafat, per non parlare di pidocchietti quali Totò Riina e Tano Badalamenti. E poi i bambini nelle gabbie, già, che nessuno può visitare. Ma si sa che poche cose sono veramente impossibili se uno è davvero determinato ad arrivarci. E infatti
Quanto al ritornello che gli stragisti in America siano “per la grande maggioranza bianchi” queste sono le foto segnaletiche di tutti i responsabili di attentati o sparatorie in cui sono rimaste uccise almeno 4 persone per singolo episodio dal 2019 a oggi.
E infine la nave incagliata, che apprendo ora essere di Taiwan ma con carico cinese. Nel momento stesso in cui ho appreso la notizia mi sono chiesta: ma sarà stato davvero un incidente? A quanto pare non sono stata l’unica a pormi la domanda, e qualcuno si è preso la briga di tracciare il percorso della nave prima di andarsi a incagliare: lo potete vedere qui. Tuttavia, anche se le navi bloccate sono centinaia e non si prevede quando la situazione potrà essere sbloccata e nel frattempo il prezzo del greggio sale vertiginosamente, io non sarei poi così pessimista
Lunedì, l’Iran ha testato un nuovo razzo . Il razzo Zuljanah è un razzo a tre stadi di 25 metri (82 piedi) con un motore a combustibile solido per i primi due stadi e un razzo a combustibile liquido per il terzo stadio. Può trasportare un carico utile di 225 kg (496 libbre). La spinta dello Zuljanah è di 75 kilotoni, che è molto più di quanto richiesto per lanciare il satellite in orbita. La grande spinta rende lo Zuljanah più paragonabile a un missile balistico intercontinentale che a un veicolo di lancio spaziale. L’ICBM terrestre statunitense LGM-30G Minuteman-III, ad esempio, ha una spinta di 90 kilotoni. Lo Zuljanah può raggiungere un’altezza di 500 chilometri per l’orbita terrestre bassa o, se lanciato come un missile, la sua portata è di 5.000 chilometri (3.100 miglia), abbastanza lontano per raggiungere la Gran Bretagna dall’Iran. Esperti missilistici israeliani stimano che l’Iran abbia pagato 250 milioni di dollari per sviluppare il progetto Zuljanah. Il solo lancio del razzo di lunedì è costato probabilmente decine di milioni di dollari. L’Iran è oggi in profonda difficoltà economica. Tra la recessione globale del COVID-19, la corruzione e la cattiva gestione endemiche dell’Iran e le sanzioni economiche statunitensi, il 35% degli iraniani oggi vive in condizioni di estrema povertà. Il rial iraniano ha perso l’80% del suo valore negli ultimi quattro anni. I dati ufficiali collocano il tasso di disoccupazione al 25%, ma si ritiene che il numero sia molto più alto. L’anno scorso l’inflazione è stata complessivamente del 44%. I prezzi del cibo sono aumentati del 59%. Se visto nel contesto dell’impoverimento dell’Iran, l’investimento del governo in un programma di missili balistici intercontinentali è ancora più rivelatore. Con il 35% della popolazione che vive in condizioni di estrema povertà e il prezzo del cibo in forte aumento, il regime ha scelto i missili balistici intercontinentali anziché nutrire la sua gente. La maggior parte della copertura mediatica del lancio di Zuljanah non ha registrato l’importanza del progetto sia per quanto riguarda le capacità dell’Iran sia per ciò che rivela sulle intenzioni del regime. Invece, la copertura si è concentrata sulla tempistica del test. Gli iraniani hanno condotto il test mentre violano clamorosamente i limiti delle loro attività nucleari che hanno accettato quando hanno sottoscritto l’accordo nucleare del 2015. Gli iraniani stanno ora arricchendo l’uranio al 20% di purezza, ben oltre il 3,67% consentito dal cosiddetto Piano d’azione globale comune (JCPOA). Stanno usando centrifughe avanzate proibite per l’arricchimento a cascata nel loro impianto nucleare di Natanz. Stanno iniziando le cascate di uranio con centrifughe di sesta generazione nel loro reattore nucleare sotterraneo di Fordo in totale sfida al JCPOA. Stanno accumulando scorte di uranio giallo ben oltre le quantità consentite dall’accordo. Stanno producendo uranio metallico in violazione dell’accordo. E stanno facendo lanci di prova con razzi che possono essere facilmente convertiti in missili balistici intercontinentali nucleari. Il reportage sul nucleare aggressivo iraniano lo ha presentato nel contesto della nuova amministrazione Biden a Washington. Si sostiene che l’Iran stia adottando questi passi aggressivi per fare pressione sull’amministrazione Biden affinché mantenga la sua parola di far tornare gli Stati Uniti al JCPOA e abrogare le sanzioni economiche contro l’Iran. Nel 2018, l’allora presidente Donald Trump ha abbandonato il JCPOA e ha reintrodotto le sanzioni economiche che erano state abrogate nel 2015 con l’attuazione dell’accordo. L’idea dell’Iran è che per paura dei suoi rapidi progressi nucleari, il team di Biden si precipiterà a compiacere l’Iran. In particolare, il test di Zuljanah ha messo in luce la follia strategica al centro dell’accordo, che è stato concepito, portato avanti e concluso dall’allora presidente Barack Obama e dai suoi consiglieri. Il principale presupposto strategico che ha guidato Obama ei suoi consiglieri era che l’Iran fosse una potenza stabile e responsabile e dovesse essere visto come parte della soluzione – o “la soluzione” – piuttosto che del problema in Medio Oriente. La sponsorizzazione del terrorismo da parte dell’Iran, le sue guerre per procura e il suo programma nucleare, secondo Obama, erano spiacevoli conseguenze di un equilibrio di potere regionale che metteva troppo potere nelle mani degli alleati degli Stati Uniti – in primo luogo Israele e Arabia Saudita – e troppo poco nelle mani dell’Iran. Per stabilizzare il Medio Oriente, sosteneva Obama, occorreva potenziare l’Iran e indebolire gli alleati degli Stati Uniti. Come disse l’allora vicepresidente Joe Biden nel 2013, “Il nostro problema più grande erano i nostri alleati”. Un nuovo equilibrio di potere, sosteneva Obama, rispetterebbe le “azioni” dell’Iran in Siria, Iraq, Libano e Yemen. Quanto al programma nucleare, che era illegale ai sensi del Trattato di non proliferazione nucleare, firmato dall’Iran, era del tutto comprensibile: dato che Pakistan, India e presumibilmente Israele hanno arsenali nucleari, hanno detto i consiglieri di Obama, il desiderio dell’Iran di costruirsene uno era ragionevole. Con questa prospettiva che informa i suoi negoziatori, la legittimazione da parte del JCPOA del programma nucleare iraniano ha un senso. Lo scopo dell’accordo non era impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare, bensì “bilanciare” Israele delegittimando qualsiasi azione israeliana per impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare. Mentre Israele e gli altri alleati dell’America sarebbero stati gravemente danneggiati da questo nuovo equilibrio di potere, Obama ei suoi partner europei hanno valutato che sarebbero stati più sicuri. Erano convinti che una volta al sicuro nella sua posizione di egemone regionale, l’Iran li avrebbe lasciati in pace. [Indubbiamente: lasciamogli rimilitarizzare la Ruhr e lui ci lascerà in pace, lasciamogli prendere l’Austria e lui ci lascerà in pace, lasciamogli prendere mezza Cecoslovacchia e lui ci lascerà in pace, lasciamogli prendere l’altra mezza Cecoslovacchia e lui ci lascerà in pace… E mi raccomando: che non ci venga in mente di voler morire per Danzica] L’accordo rifletteva questa visione. Una clausola non vincolante del JCPOA chiedeva all’Iran di limitare la portata dei suoi missili balistici a 2.000 chilometri (1.240 miglia), che teneva gli Stati Uniti e la maggior parte dell’Europa fuori portata. Molti commentatori considerano l’amministrazione Biden nient’altro che il terzo mandato di Obama. E dal punto di vista delle sue politiche iraniane, questo è certamente il caso. La politica iraniana del presidente Joe Biden è stata concepita e viene attuata dalle stesse persone che hanno negoziato il JCPOA sotto Obama. A parte lo stesso Obama, il funzionario più responsabile del JCPOA è stato Rob Malley, che ha guidato i negoziati con l’Iran. In un articolo dell’ottobre 2019 su Affari esteri, Malley ha illustrato come dovrebbe essere la politica iraniana della prossima amministrazione democratica [Nell’ottobre 2019, mesi prima della comparsa del covid che ha indebolito la posizione di Trump, era talmente sicuro che la prossima amministrazione sarebbe stata democratica da prepararci addirittura dei programmi? Senti senti…]. Ha affermato che la strategia di massima pressione di Trump stava portando la regione sull’orlo della guerra perché si basava sul potenziamento degli alleati degli Stati Uniti – in primo luogo Israele e Arabia Saudita – per combattere l’aggressione regionale dell’Iran e il suo programma nucleare. In altre parole, si basava sul ripristino e sul rafforzamento dell’equilibrio di potere regionale che Obama si era prefissato di minare a vantaggio dell’Iran e a scapito degli alleati regionali dell’America. Malley ha scritto che l’unico modo per prevenire la guerra era tornare al JCPOA e alla politica di Obama di rafforzare l’Iran a spese degli alleati degli Stati Uniti – in particolare Israele e Arabia Saudita. Il test di Zuljanah lunedì ha dimostrato che l’Iran non condivide il punto di vista di Malley sulla sua posizione. Non ha speso $ 250 milioni per un razzo/missile che può colpire l’Europa perché ha paura di Israele e dell’Arabia Saudita. Ha sviluppato la Zuljanah perché vuole la capacità di attaccare l’Europa. E vuole attaccare l’Europa perché non è un regime stabile, bensì rivoluzionario, che cerca il dominio globale, non la stabilità regionale. Per quanto riguarda i tempi, lo Zuljanah è stato testato nel febbraio 2021 anziché nell’ottobre 2020 perché l’Iran è stato scoraggiato da Trump e dalla sua strategia di massima pressione ed è autorizzato da Biden e dalla sua strategia di massimo appeasement. La prospettiva di una guerra è diminuita sotto Trump. Ora aumenta con ogni dichiarazione fatta dal Segretario di Stato americano Anthony Blinken e dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Negli ultimi giorni, entrambi gli alti funzionari hanno avvertito che l’Iran si sta avvicinando pericolosamente a capacità nucleari militari indipendenti. Ed entrambi hanno chiarito che per affrontare il problema, l’amministrazione intende tornare al JCPOA. Questa politica è irrazionale anche se valutata all’interno del circolo cognitivo chiuso del team Biden/Obama. Intendono fare una concessione irrevocabile all’Iran: miliardi di dollari di entrate che confluiranno nelle sue casse una volta rimosse le sanzioni. E in cambio chiedono all’Iran di fare un gesto revocabile. L’Iran ha ripristinato il suo arricchimento nucleare a Fordo e innalzato il suo livello di arricchimento al 20% a Natanz in un batter d’occhio. Se spegne gli interruttori per ottenere lo sgravio delle sanzioni, può riaccenderli subito dopo che il denaro avrà iniziato a fluire. Ciò avverrà quasi sicuramente al più tardi a giugno. Il 18 giugno l’Iran terrà le elezioni presidenziali. Il presidente Hassan Rouhani e il ministro degli Esteri Javad Zarif lasceranno entrambi l’incarico. Tutti gli attuali candidati possibili provengono dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie e si può garantire che abbandoneranno il JCPOA. Quindi, nella migliore delle ipotesi, la durata in vita del JCPOA è di quattro mesi. Biden, Blinken, Sullivan, Malley e i loro colleghi devono tutti essere consapevoli che questo è ciò che succederà. Il fatto che stiano andando avanti con la loro strategia fallita indica comunque che sono ideologicamente impegnati nel loro piano e si atterranno ad esso anche se porterà la regione alla guerra. Questo ci porta in Israele. Durante gli anni di Trump, Israele e Stati Uniti sono stati pienamente coordinati nelle loro azioni sia congiunte che separate per minare il programma nucleare iraniano e le sue operazioni in Siria e Iraq. Come ha spiegato di recente un alto funzionario del Consiglio di sicurezza nazionale di Trump: “Lavorando insieme, le agenzie di intelligence di entrambi i paesi sono state in grado di realizzare più di quanto avrebbero potuto da sole”. Ovviamente quei giorni adesso sono finiti. E mentre la squadra di Biden fa sentire pienamente la sua presenza, le opzioni di Israele per impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare stanno diminuendo. Quando il capo di stato maggiore dell’IDF, il tenente generale Aviv Kochavi, ha annunciato il mese scorso di aver ordinato ai relativi comandanti dell’IDF di preparare piani operativi per colpire le installazioni nucleari iraniane, la maggior parte dei commentatori ha ritenuto che il destinatario fosse il regime iraniano. Altri hanno ipotizzato un avvertimento all’amministrazione Biden. I primi ritengono che abbia cercato di far retrocedere l’Iran dal baratro nucleare. Gli altri sostengono che stava chiedendo all’amministrazione Biden di prendere sul serio le posizioni di Israele prima di procedere con l’abrogazione delle sanzioni. Ma di fronte al fanatismo strategico della squadra di Biden e alla corsa dell’Iran al traguardo nucleare, è almeno altrettanto probabile che il destinatario di Kochavi non fossero né gli iraniani né gli americani. Potrebbe invece aver avvertito gli israeliani di essere preparati per ciò che sta arrivando. E potrebbe anche aver detto ai partner regionali di Israele che il momento per un’azione comune è adesso. Caroline Glick, 02/05/2021, qui (traduttore automatico con correzioni e aggiustamenti miei)
Quindi, se vedete qualcuno avvicinarsi alla vostra casa con una tanica di benzina e un accendino, la cosa migliore che possiate fare per salvarvi è regalargli un carro di paglia. Parola di Obiden e Harrinton. In ogni caso prepariamoci tutti, perché quando inizia una guerra, nessuno può sentirsi al sicuro, soprattutto se chi la scatena usa tutti i propri capitali per finanziare il terrorismo internazionale.
I probabili riflessi negativi della vittoria di Biden sulla situazione del Medio Oriente
Dal 20 gennaio del 2021, per quattro anni, sul palcoscenico della politica americana reciteranno [forse!] due nuovi attori principali, il presidente Joe Biden e la vice-presidente Kamala Harris. Il suggeritore sarà Barack Obama. Questo è ciò che si profila dopo le elezioni presidenziali del 3 novembre, che hanno visto la sconfitta [forse!] di Donald Trump: una sconfitta che mette in pericolo tutti i risultati politici raggiunti da Trump nell’arena mediorientale. È per questa ragione che i nemici dell’ex presidente americano presenti nel Medio Oriente pregustano un cambio di rotta radicale nella politica americana verso la regione. Il regime di Teheran, durante i quattro anni trascorsi, era stato sottoposto a una politica stringente, sul piano politico ed economico, da parte dell’Amministrazione repubblicana. In primo luogo, Trump aveva ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare, il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), firmato dall’Iran, dall’Unione Europea, dai paesi componenti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti), un accordo fortemente voluto dallo stesso Obama, ma che si era rivelato ben presto una cortina fumogena dietro la quale Teheran aveva continuato a sviluppare il suo progetto nucleare, come più volte denunciato da Netanyahu. A tutto ciò si erano aggiunte, da parte di Trump, sanzioni economiche sempre più pesanti al regime degli ayatollah, sanzioni che avevano messo in ginocchio Teheran e fortemente ridimensionato il peso della sua presenza politica nel Medio Oriente. Quest’operazione aveva rappresentato la base di partenza di una politica ad ampio raggio verso i paesi arabi sunniti, desiderosi di avere una protezione significativa contro le ambizioni egemoniche del regime sciita iraniano nel Medio Oriente. Tuttavia, questa politica aveva una prospettiva di ben più vaste finalità. Il coordinamento tra Netanyahu e Trump ha avuto lo scopo di raccogliere e sviluppare le aperture che il mondo arabo sunnita aveva mostrato di essere disposto a condividere con Israele. Da ciò è scaturita una fitta serie di incontri ad alto livello tra i rappresentanti di Israele e quelli dei paesi arabi, con la regia di Mike Pompeo, Segretario di Stato di Trump, gli Accordi di Abramo, firmati da Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, oltre alla volontà di altri Stati arabi di unirsi ad essi. La mappa del Medio Oriente stava, così, subendo una trasformazione epocale, foriera di una vera pacificazione della regione su basi stabili di collaborazione economica e politica. Ora, con l’avvento dei democratici alla Casa Bianca, questa situazione potrà subire mutamenti molto importanti, gravidi di conseguenze di segno opposto rispetto agli esiti fin qui raggiunti. La ragione di tutto questo sta nella molto probabile formazione di un governo democratico alla Casa Bianca caratterizzato da una visione politica di sinistra. Il fatto stesso che un personaggio come Kamala Harris sia ora vice-presidente degli Stati Uniti, su suggerimento di Obama, sta a dimostrare la tendenza che potrà assumere il nuovo governo democratico sui problemi del Medio Oriente. Ma, dietro la figura di Harris, vi è tutto un mondo politico democratico che tende a influenzare, in modo diretto o indiretto, le decisioni di Biden nei suoi rapporti con Israele, con i palestinesi e con l’intero mondo arabo della regione in una direzione opposta rispetto ai risultati raggiunti dall’Amministrazione Trump. In primo luogo, con l’Iran. Il regime di Teheran nutre la speranza – fondata – che l’Amministrazione Biden reinserisca nuovamente gli Stati Uniti nel Jcpoa e azzeri le sanzioni economiche nei suoi confronti. Le conseguenze, in questo caso, sarebbero molto gravi. Il regime degli ayatollah riacquisterebbe fiducia nei suoi progetti regionali, oltre al fatto che il miglioramento progressivo delle condizioni economiche del paese potrebbe tacitare l’opposizione interna e ottenere di nuovo il sostegno della popolazione. In secondo luogo, il problema palestinese riacquisterebbe una centralità che potrebbe avere ripercussioni sui rapporti tra Israele e il mondo arabo sunnita. Infine, la Russia e la Cina, soddisfatti dai risultati elettorali americani, potrebbero avere spazi di manovra più ampi nel Medio Oriente, a danno dell’attuale posizione di Gerusalemme. Antonio Donno, qui.
Va aggiunto il fatto che un Iran non più sottoposto a sanzioni, oltre a procedere ancora più speditamente verso l’atomica, vedrà migliorare la propria situazione economica, ed è altamente probabile che grazie a questo torni ai livelli precedenti il finanziamento del terrorismo internazionale. Forse gli accordi già stabiliti con Israele da Emirati Arabi Uniti, Barhain e Sudan resisteranno (forse), ma quanti, fra quelli che stavano meditando di seguire l’esempio – a cominciare dal Libano, tuttora sotto la pesante tutela della Siria che è a sua volta legata a doppio filo con l’Iran – avranno il coraggio di sfidare un Iran di nuovo potente?
Abbas spera che Joe Biden abbia la memoria corta
È successo quattro anni fa. E’ martedì 8 marzo del 2016. Joe Biden, allora vicepresidente degli Stati Uniti in tournée nella regione, è appena arrivato in Israele e si reca direttamente al Centro per la Pace Shimon Peres, situato a Jaffa, per abbracciare calorosamente il suo venerabile fondatore. A poche centinaia di metri da lì, la folla si accalca sul lungomare nonostante la tensione per la sicurezza; due altri attentati terroristici avevano già marchiato quella mattina, uno a Gerusalemme e l’altro a Petah Tikvah. Bashar Masalha, un palestinese di ventidue anni che si trovava illegalmente in Israele, tira fuori un grosso coltello e inizia a colpire alla cieca i passanti. Prima di essere ucciso dalle forze dell’ordine, accoltella quattro turisti russi tra cui una donna incinta, un arabo che riesce a schivare il colpo e a fuggire, sei israeliani – uno di loro si salva colpendo violentemente l’aggressore con la sua chitarra – e Taylor Allen Force, uno studente americano di 29 anni che muore per le ferite riportate. Sui social network arabi si diffonde una vera e propria esplosione di gioia. Canti patriottici e foto dell’ “eroe” Masalha sono trasmessi in continuazione dalla televisione di Hamas a Gaza. La stampa mondiale, già mobilitata per la visita del vicepresidente, dà ampia copertura all’attacco e in particolare alla morte del giovane americano, che ha combattuto per il suo Paese in Iraq e Afghanistan. Il giorno successivo, Joe Biden va a Ramallah. Spera che Abu Mazen condanni l’attacco di Giaffa. Ma non è così. Il Presidente dell’Autorità Palestinese si accontenta di porgergli le sue condoglianze per la morte del giovane americano e di lui solo, mentre contemporaneamente la televisione ufficiale della suddetta Autorità trasmette un commovente omaggio all'”eroico Bashar Masalha” che ha dato la sua vita per la suprema gloria di Allah. Colui che era allora solo il vicepresidente di Barak Obama, rilascia una ferma dichiarazione, in cui esige che la leadership palestinese condanni gli attacchi terroristici contro degli israeliani e in particolare l’attentato del giorno prima, aggiungendo: “Lasciatemi dire con la massima fermezza che gli Stati Uniti condannano questi atti e condannano la mancata condanna di questi atti.” Ma le autorità di Ramallah respingono recisamente la sua richiesta. Quattro anni dopo, a Ramallah non è cambiato nulla: Abbas continua a incoraggiare ed a ricompensare il terrorismo. Il Politecnico di Palestina è stato appena dotato di un portale monumentale inneggiante alla gloria del terrorista Salah Khalaf, meglio conosciuto con il nome di Abu Iyad, il fondatore di Settembre Nero e il responsabile del massacro di undici atleti israeliani durante il Giochi Olimpici di Monaco nel 1972. Situata non lontano da Hebron, questa istituzione, che conta più di 6.000 studenti, ha lo scopo di formare l’élite dei giovani palestinesi e i leader di domani. Nel frattempo a Washington, Joe Biden che aveva affermato con tanta forza la propria determinazione e quella americana, è in procinto di diventare Presidente. Tuttavia Mahmoud Abbas probabilmente non ha nulla da temere. La signora Kamala Harris, pronta ad assumere la carica di vicepresidente se la vittoria di Biden viene confermata, il 31 ottobre scorso ha dichiarato in un’intervista al settimanale bilingue “The Arab American News” che la nuova amministrazione americana sarebbe pronta a riannodare, immediatamente e senza condizioni, i rapporti con i palestinesi e a fornire loro, senza indugio, assistenza economica e umanitaria. Ricordiamoci che in memoria del giovane americano assassinato, il Congresso americano ha approvato il Taylor Force Act che pone fine a qualsiasi aiuto americano all’Autorità Palestinese fintanto che quest’ultima continuerà a pagare gli individui colpevoli di terrorismo e le famiglie dei terroristi uccisi. La legge è entrata in vigore dopo essere stata firmata dal Presidente Trump il 23 marzo del 2018. Michelle Mazel (qui)
Aggiungo un paio di cose extra. La prima relativa alle chiacchiere da mercato del pesce che continuano a diffondersi senza sosta.
È stata smentita la notizia della #CNN secondo la quale il consigliere di #Trump Jared #Kushner l’avrebbe consigliato di accettare la sconfitta, il contrario è vero, l’aveva consigliato di procedere in ogni Stato dove ci sarebbero brogli elettorali. Altre fake news che i media progressiste difendono senza alcuna fonte, che Melania sta contando i giorni per il divorzio… E a proposito del “distacco” di Melania dal marito, del suo dissenso nei confronti della decisione di smascherare i brogli, dei propositi di divorzio:
La seconda sugli amori giovanili, e mai rinnegati, del signor Biden.
Nel 2007, Biden, nel suo libro Promesse da mantenere scriveva: ”Dal 1945 al 1980, Josip Broz Tito ha governato la Jugoslavia con personalità, determinazione e un’efficiente polizia segreta. L’astuto vecchio comunista mantenne insieme una federazione etnicamente e religiosamente mista”. E ancora: “Ci è voluto un certo genio per tenere insieme quella federazione multietnica e quel genio in particolare era Tito”. (qui)
La terza sull’ennesima colossale porcata messa in atto per non rischiare di offrire un vantaggio a Trump – e pazienza se per questo ritardo dovrà morire qualche americano in più.
Ma che strano, l’annuncio di un probabile vaccino contro il Covid 19, fatto dall’americana Pfizer e dalla tedesca Biontech, efficace, dicono, al 90%, giunge proprio adesso che Joe Biden risulta il vincitore delle presidenziali 2020. Una settimana fa brancolavano nel buio, e poi, puff, improvvisamente, è giunto il risultato, proprio ora, nell’era escatologica che si inaugura con Joe Biden. Questo è il segno tangibile che è davvero cominciata. Chissà se l’annuncio, fatto una settimana fa, avrebbe modificato l’esito del voto? Ma la storia, lo sappiamo, non si fa con i se.
La quarta la aggiungo io: ma tutti quei begli spiriti che gridavano inorriditi indignati disgustati per l’immorale arrivo alla Camera di Mara Carfagna grazie, si diceva, ai pompelmi offerti a Berlusconi, sulla sfolgorante carriera politica di una totalmente sconosciuta, fino all’altro ieri, Kamala Harris, nessun moralista ha qualcosa da ridire?
Con qualche commento. E iniziamo con la cronaca estera, partendo dall’Iran
Hananya Naftali
Ecco come il regime islamico in Iran ha a che fare con i manifestanti – o sparategli sul posto o eseguirli più tardi.
Dov’è l’ONU? Dove sono le organizzazioni per i diritti umani? Questi giovani non sono ancora stati giustiziati. Hanno bisogno della nostra voce. Gli iraniani hanno bisogno della nostra voce.
Proseguendo con la solita, immancabile Cina e la collaborazionista Botteri,
continuando col Libano
e approdando infine a New York, dove qualcuno giustamente si preoccupa
E veniamo in casa nostra, col sindaco più simpatico ed efficiente del pianeta
Sembra una foto del 2010 e invece è di oggi dal Cavone sopra piazza Dante.
Grazie sindaco, scegliendo una decoratrice di dolci come capo di Asia stiamo vedendo degli ottimi risultati soprattutto adesso in emergenza Covid, con la città piena di immondizia, i negozi che non riaprono e i turisti che non tornano più. Sei il fenomeno della politica che Napoli meritava dopo l’eruzione del Vesuvio e il colera. Grazie per questi splendidi anni!
passando per l’attivista più simpatico della galassia che guida gli squamo-pinnati più simpatici della galassia
Sui canali delle Sardine è stato postato il video dell’arresto di un ‘innocuo’ ragazzo con una ricostruzione non verificata: fermato da 5 agenti perché di colore e senza mascherina. (nell’immagine vedete le scritte)
Era una #FakeNews.
La realtà è diversa: il 25enne del Mali aveva scavalcato i tornelli urlando e spaventando i passeggeri, con sé aveva un coltello e permesso di soggiorno scaduto da un anno.
Grazie alle Forze dell’Ordine, sono intervenute con prontezza, non contro ad una persona per il colore della pelle ma perché identificato come fonte di pericolo verso gli altri.
per arrivare al presidente del consiglio più simpatico ed efficiente e geniale di tutte le galassie
(clic per leggere l’articolo)
e con questa sconfiniamo con la cosiddetta emergenza, molto cosiddetta
(clic)
Ricordando che Zangrillo è uno dei pochissimi che i medici considerano attendibile, dal momento che non è uno che sta chiuso dei laboratori e va poi in televisione a fare la bella statuina, bensì un medico che è stato in prima linea come loro, e oltre a quello che dice lui ci sarebbe anche questo
e questo
che è comunque quello che da oltre due mesi stiamo vedendo tutti noi coi nostri occhi, ma lui, il primo ministro bello ed elegante e affascinante che fa tremare il culo a un sacco di donne e io, lasciatemelo dire, le donne non le capirò mai, non demorde, figuriamoci se demorde, perché le sue risorse sono infinite.
Nel frattempo in giro per il Paese
ma lui non può occuparsi di queste scemenzine perché ha ben altri progetti, lui, ben altre priorità
(clic)
Aggiungo questa cosa che non c’entra niente, che ho visto per caso qualche ora fa, per la quale mi mancano le parole per commentare. Si riferisce a un evento tenuto alla fine dello scorso anno in memoria di Giancarlo Siani:
Il prefetto di Napoli, Carmela Pagano, ha letto invece un messaggio del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese: “Oggi avrebbe 60 anni e di sicuro sarebbe un giornalista affermato e ascoltato. Il suo sacrificio sia esempio ai giovani”.
Cioè, per un ragazzo che, sapendo perfettamente che cosa stava rischiando, ha continuato a denunciare i crimini della camorra facendo nomi e cognomi, ed è stato per questo assassinato a 26 anni, questo essere per il quale non trovo aggettivi sufficienti a descrivere il livello di cloachitudine, tutto quello che trova da dire è che avrebbe 60 anni e sarebbe un giornalista affermato. Meriterebbe xxx xxxxxx xx xxxxxxx x xxxxx xxxxxx xxx xxxxxxxxxx, xxxxxxxxxxx.
E chiudo con la rubrica “chi la fa l’aspetti”: l’ortottero dedica alla signora Mezzidiametri un sonetto in cui mostra scarso apprezzamento per i romani,
e i romani lo ripagano come merita
Qualcuno ha detto che sì, lui ci è andato pesante ma loro hanno sbagliato. Beh, a me sembra proprio l’esatto contrario: lui ha colpito indiscriminatamente quasi tre milioni di persone che non conosce, loro hanno colpito due persone per fatti specifici e reali, e la vittima sarebbe lui?! Ah già, che stupida, me lo dimentico sempre: è Caino quello che non si deve toccare, Abele si fotta pure.