L’interno
Il Centro Visitatori Vidor si trova nel deserto dell’Aravà. Quella che si vede in questa immagine
è una grande sala che riassume le attività delle varie aziende sorte nel cuore del deserto, sperimentazioni comprese. Sulla sinistra si vedono tre porte: aprendole si entra in altrettante “case”: appena aperta la porta parte un video in cui tre persone raccontano la propria esperienza di vita nel deserto, i propri ideali, le proprie motivazioni, il senso, per ognuno di loro, del dedicare la propria vita al deserto, al farlo fiorire, al far nascere e crescere la vita, come auspicava Ben Gurion, in un luogo che della vita sembra la negazione assoluta.
E questo angolo,
che con poche immagini e poche spiegazioni mostra nel modo più chiaro e semplice che cosa c’è dietro al (apparentemente) banale gesto di girare un rubinetto e vederne scorrere l’acqua.
In fondo le vetrine e gli acquari, di cui vi parlerò fra poco, e in mezzo delle installazioni interattive, in cui toccando un dettaglio delle immagini rappresentate si ottengono informazioni particolareggiate e approfondite sul dettaglio stesso.
Ma la cosa più spettacolare è questa installazione
che si trova subito all’ingresso della sala: affondando una mano nella sabbia e scavandovi una piccola fossa, si crea una pianura verde, o una valle, cambiando l’aspetto geomorfologico; tenendo una mano sospesa sopra l’installazione si fa piovere, modificando anche in questo caso l’aspetto del terreno.
Vetrine e acquari, dicevo. Le vetrine mostrano le varie coltivazioni sperimentali, ossia con gli studi, per esempio, sugli antiparassitari migliori, cioè più efficaci, più naturali, meno invasivi e con meno effetti collaterali.
Gli acquari illustrano l’altra incredibile specialità di questo deserto: l’itticoltura, sia per il pesce commestibile (circa l’80% del pesce consumato in Israele viene prodotto qui), sia per quello da acquario. Il pesce pagliaccio, in particolare, ha visto aumentare esponenzialmente le richieste dopo il successo del film Nemo, ed è quindi intensamente allevato qui, non solo per rispondere alla domanda, ma anche per non rischiarne l’estinzione nel suo ambiente naturale.
barbara