QUANDO IL GIOCO SI FA DURO

qualcuno sceglie di affrontare il problema illudendosi che Putin sia un tenero.

Le riserve sono quasi esaurite, l’occidente finirà presto le armi per l’Ucraina

L’Ucraina ” consuma ” le armi più velocemente di quanto non siano prodotte

Se prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, i paesi europei incoraggiavano Kiev ed erano sicuri di far sanguinare la Russia fino alla resa, ora l’Europa e gli USA hanno già annunciato che le scorte di armi sono state esaurite o sono insufficienti alla produzione attuale. Tutto dipenderà dalle capacità di produzione dei rispettivi blocchi industriali militari, il che è molto deludente relativamente al grado di civiltà che l’occidente – che esclude ogni negoziato –  dice di avere in maniera superiore.
Che dire? Non resta che sperare che questa notizia abbia presto ancora più riscontri, in modo che le diplomazie occidentali siano indotte a fare passi concreti per un accordo e parlino meno di territori ma molto di più di persone.

Ecco la situazione nell’analisi della rivista NEO (New Eastern Outlook):

Le problematiche occidentali per una guerra prolungata contro la Russia cominciano ad emergere – Autore: Brian Berletic-Journal NEO

Dopo mesi di finta fiducia e ottimismo sia da parte dell’Occidente che da parte dei vertici militari ucraini, cominciano ad apparire le prime crepe. Durante la recente intervista rilasciata dal comandante in capo ucraino Valery Zaluzhny all’Economist, è stato palesato l’urgente bisogno dell’Ucraina di ulteriori armi e le conseguenze della mancata accettazione di questa richiesta.
La discussione ruotava attorno al disperato bisogno di risorse – ovvero di tutto, dai missili di difesa aerea ai carri armati, veicoli corazzati, pezzi di artiglieria e proiettili di artiglieria stessi – tutte cose che sia l’Occidente che ora l’Ucraina stanno ammettendo che scarseggiano nei loro arsenali e forse non possono essere fornite nel prossimo futuro o nel tempo intermedio.

“Extending Russia” della RAND Corporation

La guerra per procura di Washington contro la Russia in Ucraina è la implementazione del documento “Extending Russia” della RAND Corporation del 2019, che raccomandava ai politici statunitensi di “fornire aiuti letali all’Ucraina” sperando che espandesse le ostilità nell’Ucraina orientale e “aumentasse i costi per la Russia, equivalenti in entrambi sangue e soldi, di tenere la regione del Donbass.
Il giornale aveva sperato che le perdite russe in vite e attrezzature nel Donbass avrebbero replicato i costi subiti dall’Unione Sovietica in Afghanistan. Mentre la Federazione Russa sta effettivamente affrontando costi crescenti in Ucraina, si può facilmente sostenere che gli Stati Uniti, il resto della NATO e soprattutto la stessa Ucraina stanno soffrendo almeno altrettanto se non di più.
Quello che forse è più importante di quanto una delle due parti sta perdendo nel conflitto è quanto ciascuna di esse può permettersi di perdere a causa della rispettiva capacità dell’apparato industriale militare di rigenerare manodopera ed equipaggiamento durante gli scontri. Dopo quasi un anno di combattimenti, è chiaro che le scorte e l’esercito della Russia erano preparati per questo tipo di conflitto militare prolungato, intenso e su larga scala. L’Ucraina e i suoi sponsor occidentali non lo erano.
Il generale ucraino Zaluzhny ha condiviso con l’Economist una “lista dei desideri” di forniture di armi di cui ha affermato di aver bisogno per ripristinare i confini del 23 febbraio 2022 di quella che Kiev sostiene essere ancora il proprio territorio. L’elenco comprendeva 300 carri armati, 600-700 veicoli da combattimento di fanteria e 500 obici: numeri che la NATO non poteva fornire all’Ucraina, non importa quanto lo desiderasse.
Questa “lista dei desideri” segue l’Ucraina che spende una massiccia riserva composta da armi, veicoli e munizioni che l’Occidente collettivo ha trasferito in Ucraina prima delle cosiddette offensive di Kharkov e Kherson. Oltre a perdere più uomini nell’ordine di brigate, anche enormi quantità di equipaggiamento sono andate perse quando le forze di terra russe si sono ritirate ed hanno usato invece armi a lungo raggio per colpire le forze ucraine ora uscite fuori da difese trincerate.
I punti politici temporanei ottenuti dalle offensive ucraine conquistando il territorio, sono stati ottenuti ​​a costo di spendere la stragrande maggioranza di ciò che l’Occidente poteva permettersi di trasferire all’Ucraina.

Un numero crescente di ammissioni viene ora fatto in merito ai limiti degli aiuti occidentali all’Ucraina.

Un articolo del New York Times di novembre intitolato “USA e NATO si affrettano ad armare l’Ucraina e riempire i propri arsenali”, ammette:
La scorsa estate nella regione del Donbass, gli ucraini hanno sparato da 6.000 a 7.000 colpi di artiglieria al giorno, ha detto un alto funzionario della NATO. I russi sparavano da 40.000 a 50.000 colpi al giorno.
In confronto, gli Stati Uniti producono solo 15.000 proiettili al mese.
Quindi l’Occidente si sta affrettando a trovare attrezzature e munizioni di epoca sovietica sempre più scarse che l’Ucraina possa utilizzare ora, inclusi missili di difesa aerea S-300, carri armati T-72 e soprattutto proiettili di artiglieria di calibro sovietico.
Mentre il generale Zaluzhny vuole 300 carri armati, gli Stati Uniti sono riusciti a racimolare solo 90 carri armati T-72 che necessitano di ristrutturazione. Dovrebbero arrivare in Ucraina entro la fine dell’anno, secondo il media del governo statunitense Radio Free Europe/Radio Liberty .
I 500 obici richiesti da Zaluzhny non esistono nelle scorte NATO. Ma anche se questi quantitativi fosse ro procacciati in qualche modo, ci sarebbero ugualmente i proiettili da 155 mm che sparano. Il New York Times nel suo articolo afferma che l’Ucraina ha sparato tra i 6.000 ei 7.000 colpi al giorno contro i 40.000-50.000 della Russia, illustrando la disparità tra l’Ucraina e le scorte dei suoi sostenitori occidentali e la Russia.
I pacchetti di forniture degli Stati Uniti per l’Ucraina spesso escludono colpi aggiuntivi da 155 mm per gli M777 e altri pezzi di artiglieria che gli USA e il resto della NATO hanno fornito all’Ucraina. Questo perché le scorte si stanno esaurendo poiché gli Stati Uniti producono solo 15.000 proiettili al mese, il che equivale a circa tanti proiettili quanti ne spara l’Ucraina in genere in 2-3 giorni.
L’aumento della produzione richiederà anni. Gli Stati Uniti stanno organizzando l’approvvigionamento di armi e munizioni aggiuntive per sostituire ciò che è stato trasferito all’Ucraina. Tuttavia, questi piani di approvvigionamento sono ben lungi dal raggiungere i livelli necessari per continuare a fornire all’Ucraina ciò di cui ha bisogno per mantenere la sua attuale capacità di combattimento.
Un articolo di Breaking Defense pubblicato di recente, elenca una serie di munizioni e sistemi d’arma che gli Stati Uniti acquisteranno nel corso dei prossimi anni. Il numero di proiettili di artiglieria che saranno acquisiti attraverso questo processo di approvvigionamento pluriennale è solo di 864.000, il che equivale a circa tanti proiettili quanti ne sparerà l’Ucraina in meno di sei mesi.
Gli attuali piani di approvvigionamento degli Stati Uniti non sembrano tenere conto del sostegno per l’Ucraina a lungo termine, né sono in discussione piani di approvvigionamento che lo faranno. Mentre la Russia afferma che la “smilitarizzazione” dell’Ucraina è uno dei suoi obiettivi primari durante la sua operazione militare speciale in corso, sembra che anche gli Stati Uniti e la NATO siano – in un certo senso – smilitarizzati.

Mentre l’Ucraina si esaurisce, le armi russe continuano ad arrivare

Di fronte alle due principali offensive di caduta dell’Ucraina, le forze russe non solo hanno mantenuto la loro capacità di combattimento, ma dopo una mobilitazione parziale che ha richiamato oltre 300.000 truppe aggiuntive, la capacità di combattimento della Russia si è effettivamente ampliata. Oltre alla manodopera extra, la Russia sta anche introducendo un flusso costante di nuove armi.
Mentre gli Stati Uniti racimolano 90 carri armati T-72 restaurati, è riportato da Army Recognition che fino a 200 carri armati principali T-90 nuovi di zecca sono stati consegnati al fronte.
Mentre il New York Times discute della diminuzione del numero di armi e munizioni inviate dall’Occidente all’Ucraina, ammette (citando funzionari ucraini) che la Russia potrebbe produrre almeno 40 missili da crociera al mese, anche se il numero è probabilmente molto più alto.
Un flusso costante di droni kamikaze a lungo raggio Geran-2 continua ad “arrivare” in Ucraina anche dopo che gli analisti occidentali hanno affermato che la Russia li ha esauriti. I missili da crociera e i droni sono stati usati per prendere di mira la rete elettrica dell’Ucraina, mentre altre munizioni a lungo raggio e il fuoco di artiglieria pesante continuano a eliminare la forza lavoro e le attrezzature ucraine dal campo di battaglia.
I numeri di produzione nel vasto complesso industriale militare russo, per lo più di proprietà statale, rimangono elusivi, ma sulla base di come le scorte della Russia sono state create appositamente per un conflitto militare su larga scala, intenso e prolungato e di come anche l’esercito russo è stato configurato per condurre tale conflitto militare, è molto probabile che siano stati fatti anche ampi preparativi con anni di anticipo affinché il complesso militare-industriale della Russia producesse quanto necessario per un tale conflitto militare.
Solo il tempo dirà quanto la Russia fosse ed è preparata a sostenere operazioni di combattimento contro le risorse combinate degli Stati Uniti e dei suoi alleati della NATO. Quello che è certo è che le violente offensive dell’Ucraina si sono arrestate mentre le forze russe stanno ora nuovamente impegnando con decisione il campo di battaglia.
Vale la pena ricordare che il generale Zaluzhny ha detto durante la sua intervista all’Economist:
Ottengo quello che ottengo, ma è meno di quello di cui ho bisogno. Non è ancora il momento di fare appello ai soldati ucraini nel modo in cui Mannerheim ha fatto appello ai soldati finlandesi. Possiamo e dobbiamo prendere molto più territorio.
Il generale Zaluzhny nella speranza che l’Occidente fornisca ciò che Zaluzhny pensa di aver bisogno per vincere potrebbe non pensare che sia il momento di fare appello alle truppe ucraine riguardo alla loro resa alla Russia, come fece Mannerheim con i soldati finlandesi mentre capitolava all’Unione Sovietica. Ma è chiaro che l’Occidente non ha ciò di cui ha bisogno per vincere, né sta facendo seri preparativi per acquisirlo.
L’unica speranza – a quanto pare – risiede nell’idea che la Russia finirà le armi e le munizioni prima che le scarse scorte dell’Ucraina siano finalmente esaurite. È una speranza che viene scossa ogni volta che un nuovo missile da crociera o drone russo colpisce le infrastrutture ucraine in tutto il paese, o ogni volta che un nuovissimo carro armato T-90 entra nella regione del Donbass.

Brian Berletic è un ricercatore geopolitico e scrittore con sede a Bangkok, in particolare per la rivista online “New Eastern Outlook” .

Patrizio Ricci, qui.

Dai ragazzi, coraggio, ancora un po’ di pazienza e poi potremo brindare. Preferibilmente sul cadavere del guitto criminale cocainomane.
Nel frattempo, visto che viviamo in un mondo di matti

Se poi avete voglia di una colazione davvero speciale, gli ucraini hanno qualcosa da suggerire

Prima le avevano fatte con la scritta in ucraino,

(qui) poi hanno deciso di farsi capire meglio anche all’estero. Mi raccomando cerchiamo di tenere duro coi sacrifici che ci vengono imposti, che è per la difesa della democrazia e dei buoni e giusti.

barbara

DISTANZIAMENTO SOCIALE

È stato col covid che abbiamo sentito inaugurare questa orrida espressione. Che a me, poi, “distanziamento sociale” fa pensare cose tipo “non dare confidenza alle classi inferiori”, cosa per me impossibile dato che provengo dal sottoproletariato urbano, cioè proprio l’ultima, per cui di inferiori da tenere a distanza non ne ho. Comunque. Qualcuno a un certo momento ha stabilito che la distanza di sicurezza per non infettare e non infettarsi è di un metro, ma anche uno e mezzo, ma anche due, dipende, e ha deciso che quella (quelle) era (erano) le distanze a cui stare dalle altre persone (perché è la distanza a cui arrivano le goccioline quando si starnutisce, ci è stato spiegato. Ma voi avete mai visto persone starnutire dritto in faccia alla gente? Mah). E poi improvvisamente questa cosa che doveva essere una (presunta) distanza di sicurezza è stata ribattezzata distanziamento sociale, e non so voi, ma io ho sentito immediatamente puzza di manipolazione. Perché “sociale” ha a che fare con la società, con le persone, con i rapporti umani, non con le malattie, non con i contagi, non con la salute. E infatti la vita sociale l’hanno letteralmente annientata. A partire dalla nascita: una ragazza mi ha raccontato che aveva smesso di portare la bambina al nido: “Le educatrici senza faccia, gli altri bambini non li può abbracciare, non li può toccare, loro non possono toccare lei, non può toccare i loro giocattoli e loro non possono toccare i suoi, cioè ognuno sta nel proprio angolo a giocare da solo: che razza di socialità può sviluppare? Che razza di visione può avere dei rapporti con gli altri?” E fino alla morte: vedi le RSA, vedi i vecchi a cui non è stato mai più permesso di abbracciare, o anche solo di vedere figli e nipoti. Per il loro bene, dice. Ma qualcuno si è preoccupato di chiederlo a loro, che cosa desiderano per sé? E mi piace riportare questa testimonianza trovata su FB:

Di solito non condivido esperienze lavorative personali ma quella di oggi mi ha emozionato e mi andava di raccontarla:
Giornata di vaccinazione particolare oggi. Tra i tanti anziani perplessi e alcuni arrabbiati perché avrebbero ricevuto la prima dose Astra zeneca, mi ha emozionato un amorevole nonnino, uno di quelli ruspanti, col viso bruciato dal sole dei campi, di quelli che ancora provano un timore reverenziale nei confronti di medici, preti e autorità. Il simpatico nonnino completate le pratiche burocratiche presso la mia postazione, prima di allontanarsi per  ricevere la sua seconda dose, non senza imbarazzo, mi si è avvicinato e mi ha chiesto: “Ma adesso sono a posto”? E io,”sì ha finito è a posto può andare dall’infermiere per la puntura”. Lui a quel punto si è avvicinato ancora un po’, non contento della mia risposta e sempre più imbarazzato mi ha chiesto: “allora sono a posto? li posso riabbracciare i miei nipoti?”

Ma quelli bloccati nelle RSA, impossibilitati a spostarsi, si è preferito separarli d’autorità dai loro affetti, e per qualcuno il tempo del riabbracciarsi non è mai arrivato, condannati a morire soli come cani.

Contemporaneamente è andato sviluppandosi l’uso delle app, utilissime fino a quando usarle è una scelta, castranti quando vengono imposte come unica opzione, e resta il fatto indiscutibile che annullano i contatti umani. La scorsa estate ho dovuto rifare il passaporto perché il vecchio era scaduto e avevo in programma il viaggio in Israele. Per il precedente dieci anni fa, a Brunico, il lunedì sono andata alla polizia, dove mi hanno detto che l’ufficio passaporti era aperto il martedì e il giovedì, il giorno successivo sono tornata e mi hanno detto che cosa serviva, il giovedì sono andata a portare tutto e farmi prendere le impronte e due settimane dopo sono andata a ritirarlo. Adesso qui le informazioni si ricevono solo dal sito, per andare a portare le cose che servono bisogna prendere appuntamento e l’appuntamento si può prendere solo online, cioè il contatto tra le persone è stato ridotto al minimo possibile. Tra l’altro per prenderlo occorre avere lo spid, e per avere lo spid occorre avere lo smartphone, che io rifiuto, e quindi per poter avere l’appuntamento ho dovuto fare i salti mortali. E mi sa che il prossimo, fra altri dieci anni, non potrò averlo neanche coi salti mortali tripli avvitati carpiati scaravoltati.

E poi è arrivato il momento di partire per Israele. È stato un viaggio un po’ zingaresco, decidendo di tappa in tappa come proseguire e cercando di volta in volta dove dormire; per Tel Aviv però, dove saremmo arrivati di sera tardi, bisognava prenotare qualcosa prima. Avendo esigenze diverse, io e cdv abbiamo scelto alloggi diversi; io ho preso un monolocale in Ben Yehuda, prenotato e pagato online; poi per entrare il giorno dell’arrivo mi è stato fornito un codice con il quale aprire lo sportellino della scatoletta in cui si trovava la chiave del portone e un altro codice per recuperare la chiave dell’alloggio. Nell’edificio niente reception, niente personale, niente di niente, quindi il tutto senza vedere una sola persona. Con una persona dell’amministrazione ho dovuto parlare per telefono per la faccenda della carta di credito clonata e quindi bloccata, per cui non potevano ottenere il pagamento col numero che avevo fornito, ma senza questo intoppo i contatti sarebbero stati a zero. Ho visto anche un McDonald’s (non li frequento, ma per mettere qualcosa sotto i denti a un prezzo decente quando sono in viaggio può andare bene) in cui non c’era il banco a cui fare l’ordinazione, e magari chiedere qualche eventuale spiegazione, ma degli aggeggi tipo bancomat in cui si digitava il numero delle cose che si volevano e, immagino, qualcosa con cui identificarsi, e da lì l’ordinazione arrivava direttamente alla cucina. Me ne sono andata senza mangiare: mi rifiuto di trasformare anche i pasti in operazioni asettiche in cui non ci sia una sola faccia umana da guardare. E ieri, in un blog che frequento, l’amico WC (no, non nel senso che sia un cesso: sono le sue iniziali) ha scritto “Senza smartphone in pratica in Danimarca non puoi fare nulla. È tutto gestito da app online…” Cioè si sta sempre più andando verso l’obbligatorietà, verso la spersonalizzazione, verso la disumanizzazione. Intendiamoci, io non sono pregiudizialmente contro il progresso, ma mi rifiuto di vivere in un mondo artificialmente – e programmaticamente – privato degli umani.

C’è da dire che questo processo sembra essere allegramente sostenuto da una fetta consistente della popolazione. Penso per esempio alle persone che dopo avere convintamente accettato reclusione, coprifuoco, chiusura di ogni sorta di locali e attività e cancellazione della faccia, tuttora, col covid che, tranne che per gli ottantenni cardiopatici diabetici ipertesi ipercolesterolemici, raramente è qualcosa di più di un raffreddore, girano ancora privi di faccia. Forse sono davvero convinti di farlo per proteggersi – anche se in realtà stanno semplicemente distruggendo la propria fabbrica di anticorpi – ma la verità è che stanno cancellando il mondo intorno a sé, sono stati offerti loro gli strumenti per poterlo fare, e ci si sono avidamente buttati sopra. E penso, sempre a questo proposito, a quelli che girano costantemente con gli auricolari infilati nelle orecchie, isolati dal mondo, isolati dalla società, isolati dalla vita reale, autentici zombie oltre che bersaglio prediletto di ogni sorta di predatori, aspiranti scippatori, stupratori, o dispensatori di violenza gratuita che siano.

Restando sostanzialmente in tema, un’altra causa di autentico distanziamento sociale è la “musica” – rigorosamente fra virgolette – a palla che esplode nelle orecchie ormai nella maggior parte dei locali, bar, ristoranti, negozi, supermercati. Per quanto mi riguarda la trovo una cosa di una violenza inaudita, che rende praticamente impossibile dialogare, chiacchierare, discutere, intollerabile l’impossibilità di scegliere, di scegliere se ascoltarla o non ascoltarla, di scegliere, in caso, il tipo di musica, di scegliere il volume. Le persone per sentirsi sono costrette a gridare, obbligando le altre a gridare di più in un infinito crescendo. Quanto a me, se posso scegliere mi rifiuto categoricamente di entrare in questo genere di locali, che diventano purtroppo sempre più numerosi; se proprio sono costretta a entrarci, non riesco a fare altro che rannicchiarmi in un angolo con le mani sulle orecchie, incapace di mangiare, incapace di bere, incapace di fare qualunque cosa, con una sofferenza che mi devasta. Se è a volume basso la sopporto (se proprio devo) però mi dà ugualmente fastidio: mi disturba il fatto che mi venga imposta. Il punto è, mi fa notare l’amica Moon, che la maggior parte delle persone apprezza la musica, che il locale che la mette paga la Siae, e di sicuro non lo farebbe se i clienti non la gradissero. Cioè, per un bel po’ di gente, questa roba rappresenta un incentivo. Cioè un sacco di gente gradisce che le cose le vengano imposte. Gradisce che le vengano imposte cose che le impediscono di pensare, di comunicare, di dialogare. Secondo qualcuno il rumore è vita; no: il pensiero è vita, e il pensiero si sviluppa unicamente nel silenzio. La comunicazione è vita, e con un rumore di fondo la comunicazione è disturbata, falsata, quando non resa impossibile.

Ecco: da una parte sembrerebbe proprio, visti certi provvedimenti assurdi e controproducenti presi con la scusa del covid, e vista l’imposizione sempre più stretta di sistemi che fanno sbrigare ogni sorta di pratiche senza alcun contatto umano (anche telefonando alle carte di credito o alle compagnie telefoniche si parla in linea di massima con un robot), che si voglia cancellare dall’alto i contatti umani, ossia imporre un “distanziamento sociale” sempre più diffuso e capillare, dall’altra sempre più persone, al di là della comodità di sbrigare certe pratiche da casa con qualche clic, anche nella loro vita quotidiana abbracciano entusiasticamente questo distanziamento: escono con gli amici e passano il tempo a smanettare sullo smartphone, entrano in locali in cui si viene assordati da un frastuono che viene chiamato musica, vanno per strada con le orecchie tappate dagli auricolari, sorde e cieche alla VITA che le circonda. In poche parole, ci stiamo avviando a un mondo popolato da zombie. Che a me fa paura.

Anche se stavolta non c’entra col tema, voglio rendere omaggio a Tatiana Totmianina, 41 anni, due figli, incidentata pochissimi giorni fa (hanno dovuto portarla fuori di peso – e i segni sono ancora ben visibili) e tuttavia di nuovo in pista, rispettando gli impegni presi e il pubblico che l’aspettava. Godiamoci questo delizioso “Tenerezza”.

(L’ho già detto ma lo ridico: per un uomo con questa faccia posso fare qualunque follia. Perché col cavolo che mi distanzio, io)

barbara

QUALCHE VOCE RAGIONEVOLE

che vale la pena di ascoltare

LISTE DI PUTINIANI E VERI PROBLEMI

10 GIUGNO 2022

Chiedo scusa a tutti quelli coinvolti ma le varie e ormai famose “liste dei putiniani”, al netto delle miserie giornalistiche, sono una vera fregnaccia. Ci sono, per quanto riguarda l’informazione e la propaganda, problemi ben più seri di cui occuparsi. Faccio una premessa personale: ho scritto spesso, fino alla vigilia dell’invasione russa in Ucraina, che non ci sarebbe stata alcuna guerra. Era l’epoca in cui moltissimi, me appunto incluso, pensavano (io ancora lo penso) che una guerra sarebbe stata (anche) contro gli interessi della Russia e che per questo un leader razionale e cinico come Vladimir Putin non l’avrebbe intrapresa.  Lo scrivevo in settimane in cui a dirlo e ripeterlo, oltre a tantissimi ucraini e russi, c’erano anche osservatori più o meno insigni e, per fare solo un paio di nomi, leader politici come Macron (“Non ci sarà alcuna escalation militare”, disse il presidente francese dopo la visita a Mosca) e Volodymyr Zelensky. Previsione sbagliatissima, come si vede.
C’è però un’enorme differenza tra sbagliare una previsione e distorcere i fatti. Perché di questo dovremmo occuparci, altro che delle liste dei putiniani. Per tre mesi il sistema mediatico italiano ci ha raccontato una guerra in cui i russi, crudeli e imbecilli, non ne azzeccavano una e venivano ridicolizzati e massacrati sul campo dagli ucraini. Ci è stato detto e ripetuto che le armi occidentali avrebbero spezzato le reni ai russi. Che Putin sarebbe stato presto spodestato dalle contestazioni, da un golpe o da una malattia. Che Putin non sapeva più quale ministro (Shoigu, quello della Difesa) o comandante (quello di stato maggiore Gerasimov, quello delle operazioni sul campo Dvornikov) silurare. Che le sanzioni avrebbero ridotto la Russia a pezzi. Tutto può ancora succedere. Ma dopo tre mesi la realtà è una sola: la Russia, che PRIMA della guerra controllava (tra Crimea e Repubbliche del Donbass) il 7% del territorio ucraino, OGGI ne controlla più del 20%. Le armi occidentali stanno finendo e quelle russe no. Le sanzioni colpiranno ma per ora non bastano a fermare la Russia. Putin sembra saldo in sella. E per dirla tutta, Zelensky e i suoi sembrano invece sull’orlo della disperazione.
Altro che quattro veri o presunti putiniani. Truppa in cui peraltro ogni tanto gli zeloti in cerca di visibilità e collaborazioni provano ad arruolare a forza e a mettere nelle liste anche rispettabilissimi personaggi come Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, o Lucio Caracciolo, direttore di Limes, colpevoli solo di essere un poco più intelligenti della marmaglia. È di tutto il resto che dovremmo preoccuparci.
Ma se a pontificare su Ucraina e Russia ci sono gli stessi (e con gli stessi argomenti) che nel 2003 pontificavano su quanto fosse bella e buona l’invasione dell’Iraq, un problema ci sarà o no? Se il 95% di quelli che partecipano ai talk show non sono mai stati in Ucraina, un problema ci sarà o no? Se il 99% di quelli che ce la spiegano non sono mai stati in Ucraina negli anni Novanta, e non hanno quindi visto il nazionalismo montante a Ovest e l’eredità sovietica vivissima a Est, un problema ci sarà o no? Se il 90% di quelli che “raccontano” la Russia oggi non sono mai usciti da Mosca, e quando sono a Mosca parlano (quando va bene) solo con i circoli della borghesia liberale e occidentalizzata, è un problema o no? Se la stampa italiana per mesi ha riportato come se nulla fosse le notizie selezionate dalla stampa ucraina, cioè dai media di un Paese che già prima della guerra era al 106° posto (su 180) nella classifica della libertà di stampa, dove le Tv dell’opposizione venivano chiuse per decreto (7 in un anno e mezzo) e dove dall’inizio dell’invasione russa tutti i media (comprensibilmente) sono stati di fatto accorpati in un solo organismo alle dipendenze del Presidente e dei suoi collaboratori, un problema l’abbiamo o no? Se uno che va nel Donbass è ipso facto “putiniano” e uno che che ha passaporto americano, casa e incarichi retribuiti negli Usa è un osservatore obiettivo, un problema ce l’abbiamo o no?
Che il sistema mediatico abbia deciso di schierarsi per la vittima contro l’aggressore, per il piccolo contro il grande, insomma per l’Ucraina contro la Russia, peraltro in perfetta coincidenza con il mandato politico di un premier che fin dal primo discorso disse che l’ancoraggio agli Usa e alla Ue era per l’Italia fondamentale, ci sta pure. Ma che il risultato reale, a prescindere dagli schieramenti, sia un’inaffidabile pseudo-informazione è sotto gli occhi di tutti. Per cui, delle liste dei presunti “putiniani” bisogna altamente fregarsene. Al massimo considerarle per ciò che sotto sotto sono, cioè un modo per buttare la palla in tribuna, per parlar d’altro, per mimetizzare il clamoroso scollamento tra la realtà e la sua narrazione.
Fulvio Scaglione, qui.

Adatto a chi ama i paragoni.

L’Ucraina, la crisi globale e la propaganda di guerra

«La guerra [ucraina] sta portando a un’impennata globale dei costi alimentari ed energetici e a una massiccia distrazione dalla risoluzione dei problemi a lungo termine. Alcuni governi stanno aumentando la spesa militare e probabilmente spenderanno meno, nel breve periodo, per lo sviluppo sostenibile».
«Nel frattempo la guerra e le sanzioni potrebbero finire per provocare una stagflazione o una vera e propria crisi economica globale. Naturalmente, la distruzione in Ucraina è devastante e anche la contrazione dell’economia russa quest’ anno sarà molto dura. La chiave per superare questi costi è porre fine alla guerra attraverso negoziati in settimane, non mesi o anni». Così Jeffrey Sachs, autorevole economista della Columbia University in un’intervista a La Stampa.
Sulla guerra, un interessante osservazione di Jacob G. Hornberger pubblicato dalla Fondazione americana Future of Freedom: «Supponiamo che l’Ucraina fosse guidata da un regime filorusso. Dopo ripetuti tentativi falliti di assassinarne il leader da parte della CIA, il Pentagono decide finalmente di invadere l’Ucraina allo scopo di determinare un cambio di regime, cioè estromettere il regime filo-russo dal potere e sostituirlo con un regime filo-USA».
«Quale sarebbe la risposta dell’establishment americano, in particolare della stampa mainstream statunitense?».
«Non ci sono dubbi sulla risposta. Sarebbe tutto diverso da come oggi viene rappresentata l’invasione russa dell’Ucraina. I media avrebbero orgogliosamente supportato le forze d’invasione dell’esercito americano. I giornali più autorevoli avrebbero riferito e commentato il coraggio delle truppe statunitensi. Non si vedrebbero foto o video di civili ucraini uccisi e sarebbero tutti etichettati come “danni collaterali”».
«La Chiesa avrebbero esortato le sue congregazioni a pregare per le truppe. Gli esponenti dell’establishment [politici e media] di tutta la terra farebbero a gara per trovare qualche soldato da ringraziare per il servizio reso […] L’establishment condannerebbe i “cattivi”, cioè quegli ucraini che si permettono di sparare contro i soldati americani».
«Come sappiamo che l’establishment americano reagirebbe in questo modo a un’invasione dell’Ucraina da parte del Pentagono?».
«Due risposte: Afghanistan e Iraq. È così che hanno reagito quando è stato il Pentagono a invadere quei due paesi. Da questo sappiamo che è così che reagirebbero se fosse stato il Pentagono e non la Russia a invadere l’Ucraina».
A conferma di tale suggestione, una suggestione indiretta. L’eroina del momento in America è Liz Cheney: le sue foto campeggiano orgogliosamente su tutte le prime pagine dei giornali mainstream, i Tg inondano le case dei cittadini statunitensi con le sue immagini, le sue parole sono riferite con devoto ossequio.
L’eroina in questione è tale perché è l’esponente di punta di quel manipolo di repubblicani che da sempre fa guerra a Trump. Da quando poi ha accettato di far parte della Commissione d’inchiesta sull’assalto a Capitol Hill, conferendo a un’indagine politicamente orientata una artificiosa patina di terzietà, le sue azione solo volate alle stelle.
Liz è la figlia di Dick, che gestì la presidenza Bush in nome e per conto dei neoconservatori, organizzando l’invasione dell’Afghanistan prima e dell’Iraq poi, che autorizzò la tortura di presunti terroristi tramite waterboarding, spianando la strada gli orrori di Abu Ghraib etc etc.
Liz ha sempre difeso il padre, giustificando tutte le sue decisioni come legittime e necessarie, a iniziare dall’invasione dell’Iraq. Lei l’eroina del momento, ci ricorda appunto l’ipocrisia che si cela dietro certe rappresentazioni della realtà.
E a proposito di bizzarre rappresentazioni della realtà, ricordiamo come abbia fatto il giro del mondo, ma non sui media mainstream, la destituzione della commissaria parlamentare ucraina per i diritti umani Lyudmila Denisova da parte della Rada di Kiev.
Una decisione presa dal partito di Zelensky a motivo del suo strano attivismo, che l’aveva portata anche ad accusare i soldati russi di stuprare donne e bambini in quantità industriale. Accuse che il parlamento ucraino ha dichiarato non fondate dichiarando la suddetta inadeguata a ricoprire una carica tanto delicata (ma nonostante questo, le sue accuse sono state ugualmente rilanciate da tutti i media d’Occidente: nella propaganda di guerra non si butta niente, un po’ come si fa per il maiale).
In un’intervista a un giornale ucraino, la Denisova, pur difendendosi a spada tratta, ammette di aver “esagerato” le accuse contro la Russia. Interessante una specifica che ci riguarda da vicino: «Quando, per esempio, ho parlato alla commissione per gli affari esteri del parlamento italiano, ho sentito e visto tanta reticenza riguardo l’Ucraina, sai? Ho parlato di cose terribili per spingerli in qualche modo a prendere le decisioni di cui avevano bisogno l’Ucraina e il popolo ucraino. Lì  [in Italia – SK ] c’era un partito, i “Cinque Stelle”, che era contrario alla fornitura delle armi, ma dopo il mio intervento uno dei leader del partito ha espresso sostegno all’Ucraina e ha detto che ci avrebbe sostenuto, anche sul provvedimento riguardante le armi». Simpatico retroscena.

Ps. Riguardo il blocco del grano dai porti ucraini, questione alla quale abbiamo dedicato una nota e che rischia di affamare il mondo, una novità importante: la Francia si è detta pronta a partecipare all’operazione che potrebbe consentire lo sblocco della situazione. (Qui)

Quest’altro articolo lo dedico a quelli che sghignazzano su Putin “che si aspettava che la popolazione accogliesse i russi a braccia aperte” (testo in russo letto col traduttore automatico).

La più grande bandiera russa nella storia della città è spiegata a Mariupol

Mariupol, 12 giugno – DAN. Il tricolore russo di 2400 m² viene schierato oggi in occasione della Giornata della Russia a Mariupol, riporta il corr. Agenzia di stampa di Donetsk da una città di mare.
L’azione si è svolta in piazza Leninsky Komsomol nel distretto di Primorsky. È stato organizzato dagli attivisti della Young Guard of United Russia e dalla Volunteer Company. All’evento hanno partecipato anche i cittadini.
“Con questa azione, non solo ci siamo congratulati con i residenti per la Giornata della Russia, ma abbiamo anche sostenuto i nostri militari, che stanno partecipando a un’operazione militare speciale per proteggere il Donbass”, ha affermato Ivan Dziuban, vicepresidente della MGER.
Secondo DAN, non c’è mai stata una bandiera russa così grande in città. 

La festa è iniziata da pochi giorni nel Donbass: concerti di artisti russi si sono svolti in città e regioni, anche nel territorio liberato . In particolare, Grigory Leps, Alexander Marshal, Denis Maidanov, Olga Kormukhina, Dmitry Dyuzhev, Aglaya Shilovskaya, Viktor Rybin, Natalya Senchukova e molti altri sono venuti a congratularsi con i residenti della DPR.
Il Russia Day è un giorno festivo della DPR e della Federazione Russa. È stato celebrato nella Repubblica popolare di Donetsk dal 2019 .

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Altre notizie nel  canale DAN Telegram

Nel frattempo quell’oscena associazione a delinquere di stampo mafioso che è l’Unione Europea prosegue imperterrita coi suoi infami ricatti
Noi invece dilettiamoci con le cose meravigliose che la Russia ci regala.

barbara

QUALCHE RIFLESSIONE RACCATTATA IN GIRO

Una sulla situazione bellica.

Sull’Ucraina, non ci sto

di Cristofaro Sola

Di rado, su questo giornale, mi esprimo in prima persona. Preferisco il “noi”. Non è civetteria. E neppure un ingiustificato senso di grandezza trasfuso in un ridicolo plurale maiestatis. È piuttosto una scelta di metodo per rendere evidente il coinvolgimento del lettore nelle cose che scrivo. È un modo semplice ma diretto per onorare il patto di lealtà che si stipula tacitamente tra chi scrive e chi legge. Niente di più. Tuttavia, tale criterio non può valere sempre. Ci sono delle circostanze nelle quali è doveroso, per dirla con orrenda locuzione, “metterci la faccia”. Ciò di cui sto per dire è una di quelle.
Sono quasi cento giorni che, a proposito della crisi russo-ucraina, la grancassa dei media batte sul medesimo tasto: Vladimir Putin è il tiranno aggressore da abbattere (quelli bravi lo chiamano regime change), il popolo ucraino è eroico nel battersi per la libertà, il fronte degli occidentali è compatto nel sostenere l’Ucraina fino alla sconfitta del nemico. E poi il messaggio subliminale: resistete, resistiamo che, alla fine, vinceremo. Sì, la spunteremo noi. We shall overcome, canterebbe Joan Baez.
Ne ho piene le tasche di ascoltare castronerie. Non vedo alcuna alba radiosa all’orizzonte. E per gli ucraini, di cui all’improvviso abbiamo scoperto di essere fratelli di latte, ciò che vedo al momento è morte e distruzione. Non prendiamoci in giro e, soprattutto, non illudiamo quei poveracci che si stanno facendo massacrare in nome di un avvenire di benessere facile che l’Ovest ha mostrato loro dal buco della serratura dell’Unione europea. Nel frattempo, ci stiamo impoverendo. Stiamo tornando indietro, come europei e come italiani. Per cosa? Per dare a qualcuno ciò che non possiamo dargli? La dico dritta. Non sono un “putiniano”. Essendo cresciuto nel mito del pragmatismo bismarckiano, giudico questa guerra profondamente sbagliata. Peggio: prevedo che questa guerra porterà l’Occidente alla catastrofe. In tutti i sensi. Perciò, maledico la classe di governo che l’Occidente si ritrova sul groppone, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, per l’assoluta miopia dei suoi protagonisti, inetti e pericolosi. Compreso il nostro premier che, lasciatemelo dire, è stata una delusione cocente. Pensavo che il dottor Mario Draghi valesse di più. Mi sbagliavo.
Il graduale, ma irreversibile, assorbimento della Russia post-comunista nella sfera geopolitica e culturale dell’Europa democratica e libera avrebbe dovuto essere la stella polare per i governanti occidentali, se avessero avuto criterio. Invece, hanno fatto e stanno facendo l’esatto contrario. Puntano all’isolamento della Russia e fanno a gara per spingere Mosca tra le braccia della Cina. Che è il vero nemico dell’Occidente, perché, a differenza della Russia, non è mai stata “europea” e, negli ultimi due decenni, ha sviluppato una crescente volontà di potenza, destinata a trasferirsi dal piano strettamente finanziario-commerciale a quello geopolitico e strategico. Pechino aveva bisogno di assicurarsi un partner fedele che gli garantisse forniture illimitate di materia prima, in particolare energetica, per completare il suo progetto espansionistico, concepito sull’aggressione alle economie del mondo per il tramite delle proprie manifatture e delle proprie risorse finanziarie. Lo hanno trovato grazie agli occidentali: la grande madre Russia trasformata nel drugstore del gigante asiatico. Si può essere più stupidi? Ci stiamo accanendo contro un falso bersaglio: Putin che invade l’Europa emulando al contrario due pazzie, quelle di Napoleone Bonaparte e di Adolf Hitler, quando il nemico reale è già tra di noi? Pechino ha piazzato i suoi avamposti in Occidente grazie agli accordi per ricreare la Via della SetaBelt and Road Initiative, così si chiama il progetto di espansione globale cha anche un nostro Governo (il Conte prima versione) ha gioiosamente – e colpevolmente – sottoscritto. Dire queste cose provoca l’orticaria a quel benpensante? Pazienza, se la faccia passare con un efficace antistaminico perché non cambio idea: il sostegno all’Ucraina contro Mosca è stata ed è una monumentale fesseria. Che purtroppo pagheranno i nostri figli perché, a differenza della mediocre classe dirigente occidentale, a Pechino hanno pazienza e vista lunga.
Intanto, c’è stato un primo assaggio di ciò che avverrà in futuro. Qualche giorno fa, aerei russi e cinesi, impegnati in un’esercitazione militare congiunta sul Mar del Giappone, hanno violato lo spazio aereo nipponico nel momento in cui il presidente Usa, Joe Biden, era a Tokyo insieme al primo ministro indiano, Narendra Modi, e al neoeletto premier australiano, Anthony Albanese, per il vertice del Dialogo quadrilaterale di sicurezza (Quad) nel quadrante geopolitico dell’indopacifico. Capite che vuol dire? La più grande potenza nucleare al mondo che si salda al gigante economico e tecnologico asiatico. Russia e Cina insieme possono arrivare dove vogliono. Provare a fermarle porterà alla Terza guerra mondiale, con esiti facilmente intuibili. E pensare che c’è stato un tempo nel quale i russi le esercitazioni militari le facevano con gli italiani. Il protocollo Ioniex vi ricorda nulla? Vi rinfresco la memoria: esercitazioni bilaterali aeronavali italo-russe nel mar Ionio, nella cornice degli accordi di Pratica di Mare del 2002. Era la strada giusta da percorrere, ma l’insipienza dei governanti occidentali, che si sono succeduti negli ultimi due decenni, l’ha cancellata. E oggi se ne pagano le conseguenze. Prevengo il moto di sdegno dei “sinceri atlantisti e convinti europeisti”: darla vinta a Putin è una sconfitta per la libertà. Stupidaggini condite con dosi massicce d’ipocrisia.
E, per favore, non si tiri fuori l’abusato Winston Churchill [c’è stato addirittura chi ha avuto il coraggio di paragonarlo a Pericle, se è per quello] e la sua fermezza nel rifiutare qualsiasi cedimento a Hitler. Il primo ministro britannico, nel 1940, poté mantenere il punto con il nemico perché aveva il sostegno degli Stati Uniti ma, soprattutto, perché non era in campo avverso l’Unione Sovietica. La Storia non è fatta di “se”. Tuttavia, a titolo di puro esercizio intellettuale, qualche iperbole ce la si può concedere. Immaginate se Hitler, invece di rinnegare il patto Molotov-von Ribbentrop, siglato nell’agosto del 1939, di non aggressione tra la Germania e l’Unione Sovietica e invece d’invadere il territorio russo nel giugno del 1941 – Operazione Barbarossa – avesse convinto Stalin a fare fronte comune contro le “plutocrazie” capitalistiche occidentali aprendo la strada alle armate del Reich, attraverso il Caucaso, verso il Medio Oriente e le sue risorse petrolifere, pensate che il signor Churchill avrebbe mantenuto la stessa granitica fermezza contro Hitler? O avrebbe riconsiderato la strada del negoziato con Berlino mettendo in conto l’assoggettamento di gran parte del territorio europeo continentale al Reich? Oggi Putin sta vincendo.
All’Occidente resta una sola opzione: decidere se circoscrivere il danno. La massa d’incapaci che occupa le cancellerie occidentali farebbe bene a prendere lezioni di realpolitik da un grande vecchio che di queste cose ne capisce. Il novantanovenne Henry Kissinger lo ha detto senza giri di parole: non cercate una sconfitta devastante per la Russia in Ucraina e cercate invece di convincere Kiev a cedere una parte del suo territorio alla Russia. Questa guerra sta rimodellando l’equilibrio geopolitico mondiale. C’è ancora pochissimo tempo perché ciò non avvenga a totale danno dell’Occidente. Si obietterà: gli ucraini non ci stanno a perdere territorio. Comprensibile, ma li abbiamo chiamati eroi, allora lo siano fino in fondo. Cosa fanno gli eroi? Si sacrificano per salvare altri. Privarsi di un pezzo di territorio per ottenere in cambio una solida riappacificazione dell’Ovest con la Russia è nell’interesse anche degli ucraini. Non lo si vuole fare? Vorrà dire che è proprio vero ciò che dicevano i latini: a quelli che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione.
L’offensiva russa andrà avanti, lenta ma inarrestabile, scandita a colpi d’artiglieria e di bombardamenti missilistici. Obiettivo: la conquista dell’Oblast’ di Odessa fino al Delta del Danubio e al ricongiungimento con la Transnistria, in Moldavia. Risultato atteso da Mosca: l’acquisizione del Mar d’Azov al regime delle acque interne dello Stato russo e il pieno controllo della costa settentrionale del Mar Nero con la contestuale esclusione dell’Ucraina dai benefici economico-strategici dello sbocco al mare. E per l’Occidente? Sapere di avere un nemico giurato alle porte, lietissimo di sostenere i nuovi amici di Pechino nel progetto di fagocitare Taiwan. È la consapevolezza di tale scenario prossimo venturo che ci fa rimpiangere l’assenza sul campo non soltanto del nostro Silvio Berlusconi ma anche di Angela Merkel e di Donald Trump sull’altra sponda dell’Atlantico. Con tutti loro in sella sono certo che non si sarebbe arrivati a questo disastro. E noi italiani staremmo a goderci l’agognata ripresa economica.
(l’Opinione, 29 maggio 2022)

Una sulla questione identitaria e sociale.

Isteria antirussa, figlia di un pensiero subordinato al vassallaggio

di Karine Bechet-Golovko, una giornalista franco- russa che ha collaborato in passato con questo blog:

L‘isteria antirussa, che sta invadendo le nostre società, è preoccupante sotto diversi punti di vista, ma soprattutto per quanto riguarda la nostra civiltà, e quindi la nostra visione dell’uomo in questo mondo in decostruzione. La nostra decostruzione. Per anni abbiamo decostruito la civiltà europea, che i nostri antenati hanno impiegato secoli per stabilire, lotta dopo battaglia, nota dopo nota, frase dopo frase, prendendo deviazioni, tornando alle origini, per renderci finalmente umani.
Per renderci esseri complessi, ricchi, capaci di costruirsi per tutta la vita, di decidere cosa vogliono essere, la società in cui vogliono vivere, i valori del mondo che devono raggiungere.
Per farci un essere che ha dei sogni e un ideale, un essere vivente e che dà la vita, un essere che sa ridere, di sé stesso quanto dell’altro.
Per renderci liberi ed esigenti, impegnati e tolleranti. Vale a dire orgoglioso della nostra sostanza, pur accettando l’altro nella sua differenza.
Questo fragile equilibrio della civiltà europea è preso d’assalto da anni, a suon di trombe in primis e dell’impoverimento del discorso e dell’essere, della loro radicalizzazione: non si ride più dell’altro, ma di sé stesso (e non per tutti, i criteri razziali diventano preponderanti); non sogniamo più e non viviamo più, ma dobbiamo avere paura della morte e quindi smettere di vivere per morire comunque; non sorridiamo più, non prendiamo più le cose con umorismo, ma come quell’uomo dalla faccia rossa sul pianeta del Piccolo Principe, siamo uomini seri, abbiamo fretta; si è “tolleranti”, al punto da rinnegare se stessi.
Quest’opera di indebolimento antiumano è proseguita oggi al ritmo delle dichiarazioni guerrafondaie dei leader del verderame, avendo dimenticato da tempo cos’è l’uomo, cos’è la cultura europea, cosa ha avuto la Francia in termini di influenza culturale. Leader, che volontariamente vogliono schiacciare ciò che siamo, affinché, mai, oh mai, possiamo tornare ad essere ciò che siamo stati.
Le opere e i balletti, riscritti o deprogrammati perché troppo “razzisti”, sono attualmente sospesi perché troppo russi. Chi può, infatti, osare guardare a teatro il capolavoro che è Il lago dei cigni [1] o ascoltare Čajkovskij [2] alla radio, quando c’è un conflitto in Ucraina? Qual è la connessione? Nessuna, la bellezza senza tempo del Lago dei cigni, l’emozione insostituibile della musica di Čajkovskij non sono messe in discussione, è la ricchezza della cultura europea che lo è allora. Perché il tempo non è più per la cultura, ma per l’allineamento.
Fin dove si spingerà questa follia? Fino a negare Dostoevskij, Cechov, Puskin? Perché sono russi? In che modo la nostra identità crescerà e la arricchirà? In che modo la nostra civiltà sarà più forte e più felice?
Sembra che l’assoluta “tolleranza” portata dalla globalizzazione, che porta al culto dell’altro e alla denigrazione di sé, che l’assimilazione forzata di tutte le culture, che porti alla diluizione delle culture nazionali, che questi fenomeni globali non abbiano nulla da fare con la Russia... Ciò che è russo deve stare fuori da questo crogiolo ed è ora chiamato a stare fuori dalla nostra acculturazione globale. Il che è abbastanza buono per la cultura russa in sé, ma sottolinea l’ipocrisia del fenomeno globale.
Chi siamo dopo tutto questo? Siamo più francesi, perché rifiutiamo la cultura russa? La nostra cultura, la nostra civiltà saranno più europee se verranno amputate dalla Russia? No, semplicemente per definirsi un essere globale, per costruire questo tanto atteso “cittadino del mondo”, che non ha radici ed è perfettamente modulare e intercambiabile, non serve la cultura russa – troppo russa, troppo nazionale, frutto di un Paese che non accetta “valori” globali, che non accetta di fondersi nella globalizzazione.
Chi siamo finalmente diventati a forza di amputazioni ripetute e cumulative?
Questa tragedia che l’uomo sta vivendo in questi anni, e che si è accentuata negli ultimi mesi, mi fa pensare alle prime pagine del libro di Amin Maalouf, Les Identités assassinates [3] , di cui vorrei citarvi alcune linee:

“A volte, quando ho finito di spiegare, in mille dettagli, per quali precisi motivi rivendico in toto tutte le mie affiliazioni, qualcuno mi si avvicina per sussurrarmi mettendomi una mano sulla spalla: “Hai fatto bene a dirlo, ma nel profondo, come ti senti? “. Questa domanda insistente mi ha fatto sorridere a lungo. Oggi non sorrido più. Perché mi sembra rivelare una visione degli uomini diffusa e, ai miei occhi, pericolosa. Quando le persone mi chiedono chi sono “nel profondo di me stesso“, questo suppone che ce ne sia uno, “nel profondo” di ciascuno, un’unica appartenenza che conta, la loro “verità profonda” in un certo senso, la sua “essenza”, determinato una volta per tutte alla nascita e che non cambierà mai; come se il resto tutto il resto – la sua traiettoria di uomo libero, le sue convinzioni acquisite, le sue preferenze, la sua stessa sensibilità, le sue affinità, la sua vita insomma – non conti nulla. E quando incoraggiamo i nostri contemporanei a “affermare la loro identità”, come spesso facciamo oggi, ciò che diciamo loro è che devono trovare nel profondo di loro stessi questa cosiddetta appartenenza fondamentale (…). Chi rivendica un’identità più complessa si ritrova emarginato”.

L’era attuale non si distingue per la sua complessità, per la sottigliezza né per la ricchezza. L’epoca odierna è quella della semplificazione estrema, della caricatura. Va verso il rifiuto, al ritiro, all’oblio. Tuttavia, ogni individuo è costruito nel tempo, per diventare – o meno – questo essere complesso che chiamiamo con rispetto e talvolta invidia Uomo. Ci costruiamo sulla base del terreno in cui nasciamo, nella famiglia che ci ama e ci tiene in piedi, nella scuola, che ci modella e deforma per inserirci negli schemi della società, con le nostre letture e le nostre passioni, che prendono uscendo da questo stampo, ci evolviamo grazie a ciò che ascoltiamo, a ciò che vediamo. Ci costituiamo e allo stesso tempo costituiamo la società in cui viviamo.
Ad ogni rifiuto perdiamo una parte di noi stessi. Ad ogni amputazione diventiamo più poveri. A rischio di diventare esseri viventi, nel senso strettamente biologico del termine. Stili di vita abbastanza semplici… e in definitiva molto più facili da governare.
Abbiamo il coraggio di tornare alla complessità e di lasciare i nostri governanti al loro vassallaggio, se questo è il limite estremo del loro coraggio nazionale. I popoli hanno più in comune tra loro che con le loro élite dominanti e le minoranze radicali che manipolano.  Non lasciamo che questo legame si spezzi, in nome di interessi, che ci sono estranei, che sono estranei all’umanesimo che unisce noi.

[1] https://www.varmatin.com/culture/la-maison-pour-tous-de-montauroux-deprogramme-le-ballet-du-bolchoi-de-moscou-750469

[2] https://www.radioclassique.fr/magazine/articles/guerre-en-ukraine-le-compositeur-russe-tchaikovski-deprogramme-par-lordre-philharmonique-de-cardiff/

[3] Edizioni Grasset, 1998, p. 8-9

fonte: Russiepolitics (https://russiepolitics.blogspot.com/2022/05/billet-du-vendredi-et-si-lon-revenait.html?m=1) (Qui)

E una di strategia globale.

L’ordine globale Nato chiude le porte a qualsiasi alternativa

di Eleonora Piergallini

In un lungo articolo pubblicato sul Guardian, Thomas Meaney, ricercatore presso il Max Planck Institute di Gottinga, ripercorre la storia della Nato per evidenziarne la natura e l’interessante parabola percorsa dalla sua genesi.
Come scrive Meaney, dopo essere stata messa in discussione dall’amministrazione Trump, “la Nato è tornata, con l’invasione dell’Ucraina. Vladimir Putin ha risollevato da solo le sorti dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, riportandola in cima all’agenda della politica estera”.
Dopo la caduta del muro di Berlino, ci si è interrogati a lungo sulla natura della Nato, fino al sospetto che non fosse mai stata solo un’alleanza militare, ma un organismo più politico al servizio degli Stati Uniti, la cui supremazia al suo interno è indiscussa e indiscutibile (se un membro intende lasciare l’alleanza, ricorda Meaney, deve chiederlo al presidente degli Stati Uniti).
Come suggerisce l’articolo, l’invasione dell’Ucraina è diventata un trampolino di lancio per una nuova prospettiva della NATO. “Gli strateghi militari statunitensi”, scrive infatti Meaney, “sognano nuovamente di aprire un fronte Nato nel Pacifico, mentre i burocrati dell’UE progettano una nuova alleanza Nato per Internet […]. Il vecchio sceriffo della Guerra Fredda ha ritrovato il suo ruolo guida e, con sorpresa di molti, ha dimostrato di essere una forza straordinariamente agile ed efficiente nella lotta contro la Russia”.
Di grande interesse, la conclusione dell’articolo: “lo storico inglese EP Thompson sosteneva nel 1978 che il “Natopolitanism” era una forma di apatia estrema, una patologia avvolta in un’ideologia vuota che sapeva solo a cosa si opponeva. Ma Thompson scriveva in un momento in cui gli appelli ad abolire l’alleanza non erano ancora diventati un incantesimo stanco. Nel 1983, il posizionamento dei missili Pershing da parte della NATO in Germania occidentale poteva ancora suscitare proteste, tra le più grandi della storia tedesca del dopoguerra”.
“Ma se un tempo l’istituzionalizzazione della Nato e della strategia nucleare era considerata una mossa letale da molti cittadini degli Stati Nato, successivamente le recenti guerre della Nato in Libia e in Afghanistan sono state realizzate senza ostacoli interni, nonostante il loro abissale fallimento e nonostante abbiano palesemente reso il mondo un posto più pericoloso”.
“L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha rappresentato per la Nato il momento più pacificante possibile. Nessuno dubita dell’effettivo sostegno della Nato alla difesa del territorio ucraino, anche se la guerra non è ancora finita”.
“La domanda più difficile è se la Nato, più che garantire pace e libertà, non sia in realtà un legaccio della guerra fredda, che ha limitato la libertà dell’Occidente – e messo in pericolo le popolazioni di tutto il mondo. In un momento in cui c’è bisogno come non mai di un ordine mondiale alternativo, la Nato sembra chiudere la porta a tale possibilità. La Nato sembra essere tornata. Ma solo per issare la vecchia bandiera: ‘Non c’è nessuna alternativa’”. (Qui)

E dunque NATO delenda est e UE delenda est: non c’è alternativa.

barbara