VI RICORDATE LA GUERRA DEI SEI GIORNI?

Per la precisione, vi ricordate come è cominciata? Tralascio tutte le premesse, gli anni di feroci attentati terroristici a cui Israele aveva accuratamente evitato di rispondere in maniera troppo forte per non rischiare di scatenare una guerra (eh sì, non sempre le narrative corrispondono alla realtà) e vengo unicamente agli ultimi eventi. È dunque successo che ad un certo momento l’Egitto, che aveva come consiglieri e consulenti una miriade di criminali nazisti rifugiatisi lì come in altri Paesi arabi per sfuggire alla giustizia come responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità (in aggiunta ai circa 70.000 fatti arrivare in Sudamerica da Vaticano e Croce Rossa), ha avuto la brillante idea di chiudere alle navi israeliane gli stretti di Tiran. Ora, la chiusura di un passaggio internazionalmente riconosciuto è, a tutti gli effetti, un atto di guerra, e Israele sarebbe stato pienamente legittimato a dichiarare immediatamente guerra all’Egitto, ma ha preferito non farlo, perché non sempre le narrative corrispondono alla realtà, e non sempre gli stati raccontati come guerrafondai lo sono realmente e, soprattutto, non sempre gli stati realmente guerrafondai sono quelli raccontati come tali. La guerra, però, aveva tutta l’intenzione di farla – non necessariamente dichiararla – l’Egitto, che aveva però un ostacolo: i Caschi Blu dell’Onu schierati nel Sinai allo scopo, appunto, di evitare un contatto diretto fra Egitto e Israele. Ma gli ostacoli sono fatti apposta per essere rimossi, quando si è persone di carattere: detto fatto, Nasser intima all’Onu di levarglieli di mezzo perché deve andare a distruggere Israele e ributtare a mare i sionisti e l’Onu, nella persona del segretario generale U Thant, obbedisce istantaneamente, e 48 ore dopo dei Caschi Blu nel Sinai non rimane più neanche l’ombra. Il resto è storia nota, e le conseguenze di quella sciagurata decisione (di quellE sciaguratE decisionI, dell’Egitto e dell’Onu), in termini di morte e distruzione e molto altro ancora, le stiamo vedendo purtroppo ancora oggi, cinquantacinque anni dopo.
E veniamo all’attualità, in cui vediamo un bel giorno la Lituania, patria dei più spietati, insieme agli ucraini, collaborazionisti dei nazisti negli stermini di massa degli ebrei, chiudere alla Russia il passaggio dal territorio metropolitano a quello di un’enclave separata, ossia a compiere un vero e proprio atto di guerra, oltre a una trappola micidiale. La Russia avrebbe potuto, legittimamente, dichiarare guerra alla Lituania, e qui sta la trappola perché, essendo la Lituania un Paese NATO, la NATO sarebbe intervenuta in sua difesa, e trovandosi contro la NATO tutta intera, Putin non avrebbe avuto alternative, per uscirne, di ricorrere al nucleare, scatenando analoga risposta dalla controparte. Stavolta per fortuna le cose sono andate diversamente dal 1967, e come la catastrofe del blocco egiziano di Tiran ha avuto per padrini due demoni, Nasser e l’Onu, così la salvezza dal blocco lituano di Kaliningrad, ha avuto due angeli custodi, Putin, che la guerra non l’ha fatta ma si è limitato a mettere in guardia da quello che sarebbe stato costretto a fare se la situazione non si fosse sbloccata (più o meno come a suo tempo Golda Meir,
qui alla fine del discorso di Begin, ma se avete tre minuti leggete anche quello, che ne vale la pena) e la ragionevole, per una volta almeno nel corso della sua storia, Unione Europea, bastarda sì ma non quanto l’Onu, che ha intimato ai lituani di smetterla di fare i coglioni. Confronti e parallelismi fateli voi.
E ora, dopo le considerazioni mie, vediamone qualcuna d’autore.

Il fallito blocco di Kaliningrad da parte della Lituania è una sconfitta per gli USA

Il chiarimento della Commissione Europea, secondo cui le sue sanzioni antirusse non dovrebbero essere interpretate dalla Lituania come un via libera al blocco di Kaliningrad, suggerisce fortemente che il blocco non è a suo agio con l’influenza destabilizzante che gli Stati Uniti sono sospettati di esercitare sul Paese baltico. L’interpretazione unilaterale di Vilnius di queste restrizioni preventive come pretesto per tagliare i collegamenti stradali e ferroviari con l’exclave russa è stata più una provocazione politica orchestrata da Washington e finalizzata a manipolare le menti degli occidentali che un tentativo di peggiorare gli standard di vita della popolazione della regione, come l’autore ha spiegato a suo tempo qui. La decisione di assecondare Bruxelles in questo senso è quindi una sconfitta per l’egemone unipolare in declino, per di più inaspettata.
Gli Stati Uniti sono riusciti a riaffermare con successo la loro egemonia sull’UE con un pretesto antirusso all’inizio dell’operazione militare speciale di Mosca in Ucraina, inducendo persino i suoi vassalli europei a sanzionare in modo controproducente il loro principale fornitore di risorse grezze e innescando così una crisi economica assolutamente evitabile che ha portato l’euro alla parità con il dollaro per la prima volta in due decenni. Se alcune aziende europee finiranno per fallire nel prossimo futuro, i loro concorrenti nordamericani e britannici ne beneficeranno. Tutto sommato, gli Stati Uniti hanno un controllo quasi totale sull’UE al momento, ma alla fine hanno oltrepassato il limite convincendo la Lituania a bloccare Kaliningrad, provocando così una grave crisi tra la Russia e il blocco.
Questo è stato troppo per i “Tre Grandi” (Francia, Germania e Italia), che sono prontamente intervenuti attraverso le istituzioni europee per riaffermare la loro egemonia molto più diretta sul Paese baltico, chiarendo che le sue sanzioni non possono essere sfruttate per tagliare il transito ferroviario di prodotti civili verso l’exclave russa. Anche se la Lituania è uno Stato vassallo degli USA, è molto più europeo quando si trova a dover fare i conti, come è successo di recente. Vilnius non poteva sfidare la Commissione Europea, quindi si è conformata ai suoi chiarimenti politici, andando contro la volontà di Washington. L’unica ragione per cui ciò è accaduto è che i “Tre Grandi” hanno ritenuto inaccettabile provocare la Russia in modo così sfacciato, il che a sua volta dimostra la loro posizione relativamente più pragmatica nei confronti del conflitto ucraino.
Tuttavia, nessuno deve cadere nella falsa ipotesi che questo sviluppo implichi una spaccatura transatlantica tra l’UE e gli USA, poiché non si sta verificando nulla di simile. Piuttosto, è successo che l’UE ha inaspettatamente reagito contro gli Stati Uniti dopo che questi ultimi hanno oltrepassato il limite provocando una grave crisi tra la Russia e il blocco attraverso lo sfruttamento della Lituania a tal fine. Questo dimostra che i più grandi vassalli europei degli Stati Uniti accetteranno praticamente tutto ciò che il loro padrone chiederà loro, tranne se questo rischia di scatenare un conflitto diretto con la Russia nel peggiore dei casi, come alcuni temevano che il blocco di Kaliningrad orchestrato dagli Stati Uniti minacciasse di fare la Lituania. In questi casi, i “Tre Grandi” hanno dimostrato di avere la volontà politica di intervenire con decisione contro la volontà di Washington.
Sono cinque gli elementi che si possono trarre da questo incidente. In primo luogo, gli Stati Uniti sfrutteranno i loro vassalli più piccoli e russofobi dell’UE per provocare una crisi tra la Russia e il blocco. In secondo luogo, se i responsabili politici dei “Tre Grandi” ritengono che la crisi rischi un conflitto diretto con la Russia nel peggiore dei casi, allora interverranno con decisione per evitarlo. In terzo luogo, questo intervento assume la forma di riaffermare la propria egemonia su qualunque vassallo statunitense sia stato sfruttato per provocare la crisi. In quarto luogo, non ci si aspetta che gli Stati Uniti litighino con l’UE ogni volta che ciò accade, perché così facendo rischiano di spaccare l’unità del blocco e quindi di indebolire la piattaforma più ampia che è stata sfruttata per “contenere” la Russia. Infine, queste inaspettate differenze tra UE e USA non devono essere interpretate come una frattura tra loro.
(Articolo pubblicato in inglese su One World)
Andrew Korybko, 17 Luglio 2022, qui.

Poi ci sono le centrali nucleari, prima quelle bombardate dai russi che non era vero niente ma lo raccontavano tutti lo stesso, adesso quelle bombardate dagli ucraini per davvero, che metà non lo dicono e l’altra metà lo dice però “ma lì dentro ci stanno i russi!”, ecchecc. E – a parte che non è vero – non è un bijou questa cosa che se i russi bombardano un quartier generale installato in un edificio civile sono criminali di guerra ma se gli ucraini bombardano addirittura una centrale nucleare una scusa si trova sempre, un po’ come quello che citava sempre Enzo Biagi, che aveva sì messo incinta la fidanzata, ma appena appena. Comunque leggiamo.

L’Ucraina ha bombardato la centrale nucleare di Zaporozhyze

L‘Ucraina ha preso di mira le centrali nucleari situate sui territori non più sotto il proprio controllo. Il 18 luglio le forze ucraine (APU) hanno effettuato 4 attacchi con droni sulla centrale nucleare di Zaporozhyze a Energodar.

A seguito incidente 11 tecnici sono rimasti feriti, di cui 4 gravemente.
La notizia è stata ripresa da parecchie pubblicazioni russe, tra cui Izvestia (uno dei quotidiani di più antica fondazione in Russia, nonché uno dei più diffusi e famosi):
Il 20 luglio, gli UAV delle forze armate ucraine (AFU) hanno attaccato quattro volte la centrale nucleare di Zaporozhye (NPP). Lo ha annunciato il 20 luglio il servizio stampa dell’amministrazione della città di Energodar, dove ha sede questa impresa.
“Quattro volte UAV ucraini hanno attaccato oggi la centrale nucleare di Zaporozhye. L’ultimo attacco è stato registrato alle 16:01 ora di Mosca “, RIA Novosti cita il comunicato stampa delle autorità locali. (fonte)

Altre fonti confermano l’attacco:

… scoppiato dopo un attacco di droni ucraini alla centrale nucleare di Zaporozhye. Questo è stato affermato nell’amministrazione militare-civile. Ricordiamo che l’incendio è scoppiato mercoledì sera, subito dopo l’attacco delle Forze armate ucraine.
A seguito dell’impatto, 11 dipendenti della centrale nucleare sono rimasti feriti. Quattro operai sono in condizioni critiche. È noto che sono stati utilizzati droni kamikaze. L’ultimo attacco è avvenuto alle 16:01 ora di Mosca. In totale, le forze di sicurezza ucraine hanno effettuato quattro attacchi. La parte del reattore della stazione non è stata danneggiata. – https://www.osnmedia.ru/proisshestviya/pozhar-na-zaporozhskoj-aes-potushen/

Il governo ucraino ha intenzione di provocare un disastro nucleare?
No, anche se lo volesse non potrebbe riuscirci. Vediamo perché dalla fonte Cont.ws:
La centrale nucleare di Energodar, situata sulle rive del bacino idrico di Kakhovka, è la più grande centrale elettrica d’Europa. Oggi, il territorio della centrale nucleare è stato attaccato da droni kamikaze ucraini. Secondo le prime informazioni, 11 persone sono rimaste ferite. Naturalmente, la centrale nucleare è un’infrastruttura molto gustosa che è passata sotto il controllo della Russia; gli ex specialisti ucraini ci lavorano ancora. La disabilitazione della stazione è sicuramente uno degli obiettivi principali di Kiev. Ma è noto da tempo che qualsiasi centrale nucleare sovietica è stata progettata per resistere al colpo diretto di una bomba atomica. Pertanto, oggi l’Ucraina non dispone di armi in grado di renderla inabile.
 La domanda allora sorge spontanea: perché allora è stato sferrato questo attacco?
Tutto è molto semplice: le autorità ucraine stanno cercando di intimidire, instillare panico e persino uccidere i loro cittadini rimasti nei territori liberati per destabilizzare la situazione e quindi interrompere il funzionamento di infrastrutture civili critiche. Probabilmente la stessa cosa sarà ripetuta in futuro. L’obiettivo è disseminare panico in masse sempre più grandi di persone. 
Zaporozhye NPP alimenta ancora un quinto dei territori dell’ex Ucraina. E, secondo i dati disponibili, già quest’anno hanno in programma di trasferire la stazione alla rete elettrica russa, quindi creare un anello energetico attorno ai territori liberati del Mar d’Azov e della Crimea.
fine citazione
Secondo il ​​servizio stampa del municipio di Energodar, non è la prima volta che l’esercito ucraino attacca una centrale nucleare. Il 12 luglio, sono stati sparati dalle forze ucraine  diversi proiettili da 120 mm contro un edificio vicino alla centrale elettrica, danneggiando il tetto e le finestre.
Sembra molto chiaro che queste pratiche andrebbero censurate da parte occidentale, perché sono vere e proprie azioni di terrorismo contro installazioni civili sensibili. Gli attacchi sulle centrali nucleari sono vietati dagli organismi internazionali.
Sebbene il reattore è blindato e messo in sicurezza da sistemi passivi di protezione, è pur vero che le condutture e tutta la linea di produzione potrebbe tramutarsi in una bomba sporca con fuoriuscita di radioattività. Ci sono molte variabili impreviste in una centrale nucleare anche senza il bisogno di bombardamenti, specialmente quando trattasi di centrali con decine di anni di servizio.
by Patrizio Ricci, WPNews,  21 Luglio 2022, qui, con video e foto.

Poi volendo ci sarebbe anche quella cosa buffa dell’oro, che a febbraio il deposito della Banca Centrale ammontava a 27 tonnellate e da allora ne hanno vendute 138 tonnellate – roba tipo pani e pesci insomma. E infine c’è la Lettonia.

Lettera da Mosca

RUSSI DI LETTONIA, ATTENTI ! – I russi con doppia cittadinanza che vivono in Lettonia e che sostengono le azioni della Russia in Ucraina potrebbero essere privati ​​del passaporto lettone. Lo ha detto il presidente Egils Levits in un’intervista Tv. Secondo Levits, nella situazione attuale, una posizione neutrale è impossibile. “Tra i russi lettoni c’è una parte chiaramente filoucraina, e c’è ancora chi non ha ancora capito cosa sta succedendo, e si sta progressivamente muovendo nella giusta direzione. Poi c’è una parte – una minoranza – che sostiene la posizione russa. E questo significa che sono al di fuori della democrazia”.
Il Presidente ha aggiunto che questi russi lettoni potrebbero essere privati del passaporto lettone. I dati sul supporto dell’operazione speciale da parte di una persona saranno raccolti dalle agenzie di sicurezza dello Stato. Il Parlamento lettone ha approvato emendamenti alla legge sulla cittadinanza, che prevedono la privazione della cittadinanza delle persone che sostengono l’aggressione militare di alcuni Stati contro altri, nonché il genocidio e i crimini di guerra. Per “supporto” la legge intende contributi finanziari o materiali, di propaganda, tecnologici o di altro tipo fornito a individui e Paesi che hanno “commesso crimini contro la pace”.

Cioè, chi non la pensa come vuole il governo è fuori dalla democrazia, ossia fuori legge. Diventerà apolide. Persone nate lì da genitori nati lì da nonni nati lì, sempre vissute lì, che non hanno un altro posto in cui andare perché la loro casa è quella e nessun’altra, diventeranno stranieri in patria (tipo quelli che si chiamavano Levi o Coen? Anche se fino al giorno prima Trenta secoli di storia ci permett[eva]no di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr’Alpe, sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura, con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto. (Acclamazioni altissime) Figuriamoci quest’altri che di secoli di storia non ne hanno né trenta né venti né dieci e si mettono a scimmiottare l’Inquisizione per sapere che cosa pensa la gente). Cosa che potrebbe anche, se non essere legittima, avere almeno qualche attenuante SE la Lettonia fosse in guerra con la Russia, ma non lo è, quindi è proprio solo odio etnico – vogliamo chiamarlo razzismo? – allo stato puro, accompagnato da pesante ritardo mentale. E il dittatore erede di Hitler e Stalin sarebbe Putin, rendiamoci conto. Di questa gente ho paura io, altro che di Putin.
E dopo tanta pesantezza, proviamo a risollevarci per un momento con questi due corpi letteralmente senza peso.

barbara

ORA CHE IL GIOCO SI FA SEMPRE PIÙ DURO

l’unica speranza di sopravvivenza della specie umana sul pianeta Terra è che Putin cominci a giocare duro sul serio, e sbaragli in una botta sola Ucraina, NATO e UE: dopodiché vivremo sicuramente in un mondo migliore.

Il sostegno incondizionato all’Ucraina semina dubbi

La Nato mostra i muscoli e al vertice di Madrid ridisegna la sua strategia volta al confronto con la Russia, mentre gli Stati Uniti inviano più forze in Europa. L’Ucraina “sarà sostenuta per tutto il tempo necessario“, è lo slogan che rimbalza sui giornali, che se, da una parte, appare una nuova dichiarazione di supporto senza limiti, dall’altra interpella.

Necessario a cosa? A raggiungere gli obiettivi della Nato, ovviamente, cioè degli Stati Uniti che ne sono i dominus, obiettivi che potrebbero essere diversi da quelli di Kiev, anche in maniera drammatica, come si sta vedendo sui campo di battaglia, dove gli ucraini sono mandati al macello – mille soldati spazzati via dal campo di battaglia al giorno – per erodere le forze della Russia.
Tale impegno “necessario” è stato deciso dai governi d’Occidente, meglio: dall’apparato militar-industriale americano e dai suoi attaché nell’amministrazione e nel Congresso Usa, contro le necessità dei popoli che essi governano e delle moltitudini del mondo, costrette a sopportare le sempre più gravi conseguenze economiche del conflitto e delle sanzioni annesse.
Così Jordan Schachtel in un articolo di The Dossier rilanciato dal Ron Paul Institute: “Le prospettive della guerra in Ucraina, finanziata dagli Stati Uniti e dalla UE, sono del tutto insostenibili, e il sostegno dato a una fazione di questa guerra tra popoli slavi sta bruciando denaro a una velocità tale da far sembrare l’avventura in Afghanistan una cosa di bassa lega”.
“L’amministrazione guidata da Volodymr Zelensky – prosegue Schachtel  – ha chiesto adesso oltre 5 miliardi di dollari al mese solo per coprire i costi del suo governo, nel quale lavorano molti burocrati, e gli stipendi dei dipendenti del governo. Si tratta di oltre 60 miliardi di dollari all’anno solo per finanziare i costi operativi del governo di Kiev, che è stato classificato negli anni passati come il più corrotto di tutta Europa” (lo scriveva anche Thomas Friedman sul New York Times del 6 maggio scorso: “L’Ucraina era, ed è ancora, un paese affondato nella corruzione”).
“Quest’ultima richiesta si aggiunge ai 100 miliardi di dollari  […] già stanziati per sostenere il suo esercito al collasso”. Tutto ciò, continua Schachtel , va considerato nell’ottica fotografata da una stupenda osservazione di Ron Paul, “gli aiuti esteri si concretizzano nel prendere soldi dai poveri del nostro paese per darli ai ricchi dei paesi poveri” (vale non solo per l’America).
“L’Ucraina sta diventando l’Afghanistan 2.0 e il suo governo dovrà affrontare la stessa sorte del governo appoggiato dagli Stati Uniti a Kabul se continuerà su questa strada costellata di spese irrecuperabili. Tutti i soldi e le forniture di armi non sembra che possano  compensare gli squilibri di un esercito scarsamente addestrato e di un paese mal governato che, ogni giorno che passa, vede approssimarsi la prospettiva di una resa incondizionata invero umiliante”.
Forse tale conclusione è troppo tranchant, ma iniziano a essere tanti a reputare che il conflitto non riservi prospettive rosee per l’Ucraina, vittima sacrificale di questa guerra per procura della Nato contro la Russia.
Tra questi, David Ignatius, che ha dato questo titolo a un articolo pubblicato sul Washington Post di oggi: “La NATO è unita sull’Ucraina. Bene, ma tante cose potrebbero ancora andare storte”.
Nella nota riprende temi consueti, cioè come il mondo stia subendo la stretta delle conseguenze economiche della guerra e come tale situazione potrebbe incrinare l’unità della Nato (peraltro garantita dalla coercizione di Washington e non da una sincera adesione a tale linea, che per l’Europa è semplicemente suicida… a proposito dello slogan in voga sulla lotta tra Paesi liberi contro Paesi autoritari).
E spiega come la Nato difetti in strategia, tanto che tutto questo sforzo potrebbe non avere un esito positivo. Infatti, “gli alleati dell’Ucraina potrebbero concludere di aver sperperato i loro attuali vantaggi e finire per perdere questo conflitto”.
Nella nota, in ogni caso consegnata alla necessità di fare di questo conflitto una guerra infinita, dettaglia problemi logistici e strategici da risolvere per evitare la disfatta. Ma non è detto che possano essere risolti.
Ancora più importante quanto scrive sulla recente crisi di Kaliningrad: “Un modo per perdere le guerre è quello di prodursi in provocazioni poco sagge. La recente decisione della Lituania di bloccare il transito verso la vicina enclave russa di Kaliningrad aveva lo scopo di far rispettare le sanzioni dell’UE, ma era ragionevole? Diversi funzionari europei e statunitensi mi hanno confidato dubbi al riguardo, dal momento che la mossa potrebbe provocare un contrattacco russo e poi un’invocazione della Lituania del patto di mutua difesa proprio dell’articolo 5 della NATO” (sul punto vedi anche American Conservative: “La Lituania Vuole Iniziare Una Guerra Con La Russia?”).
Più che probabile, se non certo, che la Lituania ha agito su suggerimento altrui, ché da sola non poteva neanche immaginare una simile boutade.
Ma al di là dello specifico, resta che il blocco di Kaliningrad non è la prima né sarà l’ultima provocazione “poco saggia” di questa guerra, che offre agli ambiti consegnati alla follia delle guerre infinite – che stanno gestendo quasi tutto il potere d’Occidente – grandi spazi di manovra, a tutti i livelli e a tutto campo. Anche per questo urge chiudere questa pazzia intraprendendo quanto prima la via del negoziato, come chiesto più volte da Kissinger. (Qui)

Tenendo però presente che Kissinger, come ha precisato il giorno successivo a quell’intervento, intende che il completo ritiro della Russia sia condizione preliminare al negoziato.
Quanto al merito della questione, è chiaro che non ci sono alternative alla resa incondizionata dell’Ucraina. E, conseguentemente di NATO e UE, che dopo la disfatta e la totale sconfessione dei loro infami progetti, dovrebbero ragionevolmente scomparire.
A proposito di Lituania e Kaliningrad, propongo un altro pezzo lucido e interessante.

Lituania e Zelensky decidono tutto? Anche no

Nel frenetico scambio di lettere tra la Commissione Europea e il Governo della Lituania, l’ultima proposta pare sia questa: la Ue farebbe un’eccezione alle sanzioni e permetterebbe alla Russia di continuare a rifornire l’exclave di Kaliningrad attraverso i 90 chilometri di territorio lituano tra la Bielorussia e, appunto, Kaliningrad, a patto che la Russia non aumenti il volume delle merci attualmente trasportate verso l’exclave. L’idea è di evitare, in questo modo, che il porto di Kaliningrad diventi lo strumento del Cremlino per importare ed esportare e alleviare il peso della guerra economica decretata da Usa e Ue. Il timore è invece che la Russia a un certo punto si stufi e, d’accordo con la Bielorussia, occupi il cosiddetto “corridoio di Suwalki”, interrompendo il confine di terra dei Paesi Baltici con il resto d’Europa e mettendo la Nato, nell’ipotesi più estrema, nella condizione di scegliere (per dirla brutalmente) se affrontare una guerra mondiale per difendere la Lituania (6 milioni di abitanti).
Al di là delle soluzioni ipotizzate di quelle che verranno eventualmente adottate per risolvere questa crisi, una cosa è chiara: piaccia o no ai saputelli dei neo-atlantismo estremo, è chiaro che l’iniziativa della Lituania di bloccare il 50% delle merci dirette verso Kaliningrad NON era stata concordata con i vertici Ue. Josep Borrell, alto rappresentante Ue per la politica estera e di difesa dell’Unione, la “coprì” subito, com’era politicamente giusto fare dal punto di vista della Ue (soprattutto di questa Ue sempre più succursale della Nato). Ma le trattative e le lettere tra Ue e Lituania (per non parlare dei borbottii della Germania, che ha registrato il suo primo deficit commerciale trimestrale degli ultimi trent’anni) dimostrano che a Bruxelles non hanno gradito, e sono preoccupati.
La domanda quindi è: la Lituania ha deciso da sola? Se così fosse, dovremmo davvero cominciare a tremare: vorrebbe dire che una minuscola porzione umana e politica dell’Unione Europea si sente in diritto di intervenire a piedi uniti (e per me in maniera sconsiderata) in una crisi che già minaccia di far saltare in aria l’Europa. Se non è così, invece, cioè se la Lituania ha agito in base a qualche “suggerimento” (per esempio degli Usa, che sono in crisi per ragioni interne, non certo perché quanto avviene in Europa li preoccupi più di tanto, o del Regno Unito, che accarezza l’idea di minare la Ue e sostituirla con altre alleanze), peggio ancora: vuol dire che nella Ue ci sono Paesi che rispondono a politiche e influenze che non sono quelle di Bruxelles. Per la verità lo sapevamo già, ma quando si gioca alla terza guerra mondiale le cose cambiano un po’.
Tutto questo sta dentro una retorica di finta umanità ma di vera dismissione delle responsabilità che nella Ue impera, anche a proposito dell’invasione russa e della guerra in Ucraina. Ogni giorno ci sentiamo dire che l’Ucraina è Europa e che questa guerra maledetta si svolge in Europa. Giusto. Ma allora perché per otto anni (dal Maidan al Donbass, dal 2014 al 2022) l’Europa non ha saputo far nulla per disinnescare un problema che col tempo poteva solo incancrenire? Perché Francia e Germania, allora spina dorsale della Ue e garanti degli Accordi di Minsk, hanno concluso così poco? Davvero ci raccontiamo che in tutto questo c’entrano solo la cattiva volontà e la perfidia di Vladimir Putin?
Ma non basta. Da mesi, di nuovo con cadenza quotidiana, sentiamo dire che devono essere gli ucraini a decidere se e quando dire basta, che dev’essere il presidente Zelensky a stabilire la condizioni della pace. Vien da chiedersi se i vari leader politici parlino sul serio. Ci diciamo che la guerra in Ucraina sta provocando una crisi mondiale, che rischia di mandare in tilt i Paesi sviluppati e ridurre alla fame quelli in via di sviluppo, parliamo spessissimo di allargamento possibile del conflitto e di bombe atomiche, e davvero pensiamo di affidare le sorti del pianeta a Zelensky e i suoi? L’Ucraina è vittima, d’accordo, ma stiamo pur sempre parlando di un Presidente che, nel caso qualcuno l’avesse dimenticato, prima della guerra aveva in patria un indice di gradimento del 20%? Se noi europei non siamo capaci di prendere in mano il nostro destino, almeno cerchiamo di smetterla con una retorica che sta diventando uno dei più insidiosi fattori di rischio di questo dramma epocale.
Fulvio Scaglione, 4 luglio 2022, qui.

Leggo che gli stati baltici sono convinti che se l’Ucraina dovesse cadere, il prossimo obiettivo saranno loro, dato che hanno anch’essi minoranze russofone; a questo rispondo con una domanda: anche loro stanno da anni opprimendo massacrando bombardando affamando e assetando le minoranze russofone? Se la risposta è sì, hanno sicuramente ragione di temere un’invasione russa, e Putin avrà dieci volte ragione a farla; se la risposta è no, evidentemente si nutrono di seghe mentali, che quasi sempre sono molto ma molto più pericolose di quelle carnali (e accecano almeno altrettanto). In ogni caso c’è da ricordare che ucraini e lituani sono sempre stati in prima fila nel fare per i tedeschi la maggior parte del lavoro sporco con gli ebrei: non stupisce che anche in quest’altra guerra si sentano così uniti.
Aggiungo questa riflessione, che mi sento di condividere in toto.

Andrea Zhok

Quando l’Ucraina sarà un deserto di rovine, smembrato tra Russia e Polonia, con milioni di profughi, mentre la recessione distruggerà quel che resta del welfare europeo e la nuova cortina di ferro sul mar Baltico ci costringerà a tempo indefinito a spendere le ultime risorse in armamenti, quel giorno e in tutti gli anni a venire, per piacere, ricordatevi di tutta la compagine di politici, opinionisti e giornalisti che nel febbraio scorso vi spiegavano come fosse un affronto inaccettabile per l’Ucraina sovrana rinunciare all’adesione alla Nato e accettare gli accordi di Minsk, che aveva sottoscritto.
Ricordatevi di quelli che hanno lavorato indefessamente giorno dopo giorno per rendere ogni trattativa impossibile, che hanno nutrito ad arte un’ondata russofobica, che vi hanno descritto con tinte lugubri la pazzia / malattia di Putin, che vi hanno spiegato come l’Europa ne sarebbe uscita più forte di prima, che vi hanno raccontato che la via della pace passava attraverso la consegna di tutte le armi disponibili, che hanno incensato un servo di scena costruito in studio come un prode condottiero del suo popolo.
Se 5 mesi fa non avessero avuto la meglio queste voci miserabili, se l’Ucraina non fosse stata incoraggiata in ogni modo a “tenere il punto” con la Russia (che tanto garantivamo noi, l’Occidente democratico), l’Ucraina oggi sarebbe un paese cuscinetto, neutrale, tra Nato e Russia – con tutti i vantaggi dei paesi neutrali che sono contesi commercialmente da tutte le direzioni – un paese pacifico dove si starebbe raccogliendo il grano, e che non piangerebbe decine di migliaia di morti (né piangerebbero i loro morti le madri russe).
Ma, mosso dal consueto amore per un bene superiore, dai propri celebri principi non negoziabili e incorruttibili, il blocco politico-mediatico occidentale ha condotto la popolazione ucraina al macello e i popoli europei all’immiserimento e ad una subordinazione terminale.
Non si pretende che reagiate, figuriamoci, ma almeno, per piacere, non dimenticate.

Assolutamente da leggere, e meditare, e magari imparare a memoria, questo articolo.

Guido Guastalla

Io non ho certezze e non esprimo giudizi morali che inevitabilmente sarebbero moralistici.
Sottopongo però questa analisi a tutti coloro che vogliono cercare di capire e non avere la verità in tasca, senza nulla concedere a chi la pensa diversamente o ha comunque dubbi!

Putin: “l’inizio della transizione verso un mondo multipolare”

L’ex comandante della NATO Philip Breedlove ha esortato l’Ucraina a far saltare in aria il ponte di Crimea. Secondo il generale, il ponte sarebbe un obiettivo legittimo per l’Ucraina. E forse non è un caso che il periodico tedesco Stern dia notizia che due soldati tedeschi avrebbero rubato armi ed equipaggiamento da alcune caserme per pianificare di far saltare in aria proprio il ponte di Crimea.
Nel frattempo le ostilità nei confronti di Mosca proseguono anche in ambito diplomatico. A Bali i ministri degli Esteri dei paesi del G20 non avrebbero scattato la tradizionale foto congiunta a causa del rifiuto di alcuni diplomatici, tra cui lo statunitense Blinken, di ritrarsi con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che dal canto suo ha fatto sapere di non essere interessato a correre dietro agli Stati Uniti per chiedere incontri: “Se non vogliono parlare, sono affari loro e se l’Occidente non vuole negoziati, ma la vittoria dell’Ucraina sulla Russia sul campo di battaglia, allora non c’è nulla di cui parlare”, ha detto secco Lavrov affermando invece che la Russia sarebbe pronta per i negoziati con Kiev e Ankara sulla questione del grano. “Se l’Occidente desidera davvero fare uscire dall’Ucraina il grano, tutto ciò che serve è costringere gli ucraini a liberare i porti del Mar Nero dalle mine e consentire alle navi di attraversare le acque territoriali dell’Ucraina. Nelle acque internazionali la Russia, con l’aiuto della Turchia, è pronta a garantire la sicurezza di tali convogli verso il Bosforo”. Il capo della diplomazia russa ha poi abbandonato la sezione del G20 senza attendere il discorso del ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock.
Nel frattempo l’Euro per la prima volta in 20 anni scende al di sotto di $ 1,01 [nel 2008 era arrivato a 1,6038, ndb]. Il che significa che se anche le materie prime perdono valore sul mercato, con il crollo dell’euro il prezzo pagato per gli europei continua ad essere alto e l’Unione rischia di importare inflazione in una possibile situazione di recessione globale.
Per Putin anche questo è l’inizio della transizione verso un mondo multipolare. Queste le parole del capo del Cremlino: ”Se l’Occidente voleva provocare il conflitto per passare a una nuova tappa della guerra contro la Russia, allora si può dire che c’è riuscito, la guerra è stata scatenata e le sanzioni sono state introdotte. In condizioni normali sarebbe stato difficile farlo. Ma ciò su cui vorrei porre l’attenzione è che l’Occidente doveva capire che avrebbe perso sin dall’inizio della nostra operazione militare speciale, perché l’inizio dell’operazione significa anche l’inizio della rottura cardinale dell’ordine mondiale impostato all’americana. Questo è l’inizio del passaggio dall’egocentrismo liberale globalista americano al mondo davvero multipolare, un mondo fondato non sulle regole egoistiche, inventate da qualcuno per se stesso e dietro le quali non c’è niente, tranne l’aspirazione all’egemonia, un mondo fondato non sugli ipocriti doppi standard, ma sul diritto internazionale, sulla vera sovranità dei popoli e delle civiltà, sulla loro volontà di vivere secondo i propri valori e tradizioni, di costruire una collaborazione sulla base della democrazia, sulla giustizia e sull’uguaglianza. A causa della politica occidentale è avvenuta la demolizione dell’ordine mondiale e bisogna capire che fermare adesso questo processo non è più possibile. Il corso della storia è spietato e i tentativi dell’Occidente collettivo di imporre al mondo il suo nuovo ordine mondiale sono tentativi condannati al fallimento. Perciò voglio dire e sottolineare: noi abbiamo tanti sostenitori, negli stessi Stati Uniti, in Europa e a maggior ragione in altri continenti e paesi, e ce ne saranno sempre di più, su questo non c’è alcun dubbio. Ripeto, anche nei paesi che sono ancora satelliti degli Stati Uniti, cresce la comprensione del fatto che la cieca obbedienza delle élite governanti al “signore supremo” non corrisponde agli interessi nazionali, anzi, molto spesso li contraddice radicalmente. Alla fine tutti dovranno fare i conti con la crescita di questi umori nella società di questi paesi satelliti degli USA. L’Occidente, che un tempo proclamava i principi di democrazia, quali la libertà di parola, il pluralismo, il rispetto delle altre opinioni, oggi sta degenerando nell’esatto opposto: nel totalitarismo. Ha messo in moto la censura, ha chiuso i mezzi di informazione di massa, usa il sopruso e la prepotenza verso i giornalisti, i personaggi pubblici. Nonostante tutto ciò, noi non rifiutiamo le trattative pacifiche, ma coloro che le rifiutano devono sapere che più avanti si va, più difficile sarà mettersi d’accordo con noi”.

Che non posso commentare che con un convinto: Grande Putin!
E, connesso con le considerazioni di questo articolo, vorrei riproporre un brano che avevo già postato tre mesi e mezzo fa, e che mi sembra diventare sempre più attuale.

VIETNAM
di Max Hastings. È un malloppone di oltre 1000 pagine ma vale la pena di leggerlo, e comunque scorre via bene. E vale anche la pena di ricordare un paio di cose. La prima è che in quella che è passata alla storia come la sporca guerra del Vietnam di Nixon boia, l’escalation è stata iniziata da John Kennedy, democratico, e portata poi avanti dal suo vice, diventato poi presidente, Lyndon Johnson, democratico. Richard Nixon, repubblicano, quello rozzo, quello antipatico, quello col mascellone da duro, quello da cui nessuno avrebbe comprato un’auto usata, è stato quello che la guerra l’ha fatta finire. Il bilancio finale è stato di oltre 58.000 soldati statunitensi uccisi e più di 153.000 feriti. Il calcolo dei morti vietnamiti va da almeno mezzo milione fino a 4 milioni. La guerra è costata quasi 150 miliardi di dollari. I termini del trattato che ha posto fine a dieci anni di guerra sanguinosissima e alla carneficina da entrambe le parti sono gli stessi abbozzati da La Pira e Ho Chi Minh già otto anni prima. La seconda è che tutto è cominciato con l’invio di soldi, tanti tanti soldi, per sostenere governi amici, non importa quanto corrotti, poi anche armi, poi colpi di stato, anche cruenti, per sostituire i governi quando non erano più utili (il burattino Zelensky, socio e complice di Hunter Biden nei suoi sporchissimi affari e a conoscenza di tanti segreti che potrebbero renderlo scomodo, farebbe bene a ricordarsene. Sempre che lo abbia mai saputo. E sicuramente a ricordarglielo non sarà che gli scrive quei bellissimi e tanto commoventi copioni da recitare di fronte ai parlamenti mondiali). Meditate gente, meditate.

Qui, in realtà, quattro mesi e mezzo fa sarebbe potuta finire allo stesso modo, ma oggi no: prima che tutto questo cominciasse, la Russia si sarebbe accontentata del rispetto degli accordi di Minsk, che l’Ucraina ha firmato e mai rispettato; alla vigilia della guerra o a guerra appena iniziata si sarebbe potuta accontentare del riconoscimento della Crimea come appartenente alla Russia e dell’autonomia del Donbass: ma oggi? Dopo che NATO e Ucraina l’hanno costretta a mesi di guerra? A migliaia di morti? A enormi spese? Dopo che a questo prezzo ha conquistato il 20% dell’Ucraina dovrebbe accontentarsi dello stesso pezzo di pane che prima sarebbe stato gratis? Oltre a raccontarvi che è pazzo, adesso pretendete che sia anche scemo? E a proposito di chi è scemo, guardate un po’ questa:

E dopo tanto nerume, risolleviamoci un po’ lo spirito con un po’ di biancore (e con una piccola magia)

Fantasia d’inverno, Balletto Igor Moiseiev,

barbara