SPIGOLATURE 3

La giusta indignazione dei buoni e miti contro i cattivi e aggressivi 

Qui.

e un granellino di buon senso

Un po’ di politica interna, che non fa mai male (anzi sì, sempre)

e un po’ di quella semi-interna e semi-estera, che fa un male cane

GRANDE ORSO, GRANDE CANE, GRANDE MERDA

Una ragionevole richiesta

e un cortese avvertimento (uomo avvisato…)

E passiamo a due temi molto seri. Il primo è l’oscenità del politicamente corretto, che stavolta riguarda Superman

Giovanni Bernardini

IDIOZIA AL POTERE

Anna Karenina e Maria Stuarda sono diventate nere.
La fatina buona di Cenerentola si è trasformata in un trans di colore.
James Bond è diventato femmina, ovviamente di colore.
Ora è la volta di Superman che diventa omosessuale o, quanto meno, bisessuale.
La “filosofia” (si fa per dire) politicamente corretta non si limita ad autoassegnarsi il monopolio della verità, della libertà e dell’etica.
Non le basta affermare che il politicamente corretto rappresenta quanto di meglio l’umana creatività abbia mai prodotto in millenni di storia. Per inciso: è possibile usare la parola “umana” o rischio l’accusa di sessismo maschilista usandola?
NO. Il politicamente corretto vuole che tutta la storia, tutta la cultura, tutta l’arte, la filosofia, la scienza, la musica, il cinema, i fumetti, le fiabe tutto insomma, ma proprio TUTTO sia riscritto in termini politicamente corretti.
Nei miei ricordi di bambino e di ragazzino superman non ha, mi pare, una moglie, né una fidanzata. E non a caso: i suoi incredibili super poteri lo condannano ad una sostanziale solitudine.
Ora NO. Ora superman si sessualizza e, naturalmente, è bisessuale. Se no sarebbe un bieco maschilista, sessista, omofobo e, naturalmente, fascista!
Sembra non esserci limite alla deriva di imbecillità totalitaria e nichilista che sta travolgendo l’occidente.

Beh, no, non proprio tutto l’occidente: solo gli imbecilli e le pecore. Che sono tanti, comunque.

Il secondo riguarda l’infinitezza dell’umana stupidità e dell’umana ignoranza.

Francesco Annunzi

Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un articolo di Focus che si chiedeva: “Nel Medioevo esisteva il cancro?”.
Dentro di me ho pensato che fosse una domanda veramente sciocchina, un po’ tipo se chiedessero se Tutankhamon avesse mai visto una zanzara o se nel neolitico esistessero già le montagne.
Curioso e sbruffoncello, vado a leggere i commenti: shock.
Tutti (e dico TUTTI) si chiedevano cosa nel Medioevo potesse causare il cancro. Mangiavano alimenti non trattati, non c’erano le sigarette, le industrie, l’amianto. Qualcuno dubitava persino della veridicità delle affermazioni riportate nell’articolo.
Ad una cena poi, ho raccontato dell’episodio ad alcuni amici che, davanti al mio sconcerto, rispondevano “Vabè, però la domanda non è così stupida. Cosa lo causava?”
Lì ho capito che c’era un problema, serio.
Il cancro è un fenomeno naturale. Quando milioni di cellule si riproducono, alcune subiscono alterazioni del materiale genetico. Queste alterazioni vengono continuamente riparate da alcuni meccanismi molecolari “salvavita” che il nostro corpo ha per impedire che queste mutazioni esitino in una proliferazione cellulare incontrollata che, nei casi più infausti, chiamiamo cancro.
Il cancro ha dei fattori di rischio, cioè degli agenti che possono aumentare statisticamente la probabilità di svilupparlo, perché riducono l’efficienza dei meccanismi riparativi del DNA o perché aumentano la frequenza delle mutazioni.
In generale, qualsiasi stimolo nocivo che spinge le cellule a riprodursi per riparare un danno aumenta la probabilità di sviluppare un tumore. Perché sì, perché è statistica. Più le cellule si riproducono più aumentano le probabilità che qualcosa possa andare storto.
Basti pensare che uno dei fattori di rischio per i tumori del cavo orale è il vizio di mordersi le labbra.
Fattori di rischio, non cause.
C’è anche la predisposizione genetica che gioca un ruolo essenziale e che, di nuovo, è un fattore di rischio, non una causa. La causa è la mutazione che non può essere riparata. Punto.
Il cancro è qualcosa che esiste perché è la vita stessa per come la conosciamo che lo implica. Ecco perché chiedersi se il cancro c’era già nel medioevo equivale a chiedersi se 3 miliardi di anni fa la terra aveva già le rocce o se gli uomini primitivi fossero già fatti di cellule.
Quella che è all’apparenza una domanda ingenua, in realtà cela una totale confusione su come funziona la vita. Confusione che poi si ripercuote su ogni aspetto che riguardi la salute. Siamo pieni di convinzioni errate che spesso sconfinano nel misticismo. Siamo incapaci di comprendere l’importanza pratica della statistica, la differenza tra aumento della probabilità e CAUSA. Come possiamo poi stupirci se le persone credono che i vaccini siano causa dell’autismo o che la vitamina C ci impedisca di prendere infezioni virali?
Ma, soprattutto, come si può, nell’ambito dell’istruzione primaria e secondaria, continuare a tralasciare la conoscenza del nostro corpo e, d’altro canto, la logica che ci serve per analizzare lucidamente anche gli argomenti in cui siamo poco ferrati, per dare invece la priorità a nozioni che, per quanto possano arricchirci umanamente, restano fini a loro stesse? Voglio dire, la Cecoslovacchia ieri c’era, oggi non c’è più ma siamo in grado di riconoscerne l’importanza e la si studia; col nostro corpo e con la nostra mente siamo certi di doverci convivere per tutta la vita. Non vale forse la pena conoscerli almeno allo stesso modo?
Spero con tutto il cuore che la pandemia e tutti i problemi di comunicazione e comprensione che questa ha portato con sé possano condurci a fare una seria riflessione sulle conoscenze di base che un essere umano dovrebbe avere su se stesso, prima ancora che su ciò che lo circonda.

L’idea che nel medioevo non potesse esserci il cancro dal momento che non c’erano fabbriche auto sigarette e la famigerata CO2, è dopotutto sorella di quella di Greta e gretini vari misti secondo cui possiamo salvare il pianeta solo tornando indietro di un millennio, con la popolazione mondiale ridotta a un ventesimo di quella attuale – i rimanenti 19/20, ci dispiace per loro, dovranno essere sacrificati – e la vita media più che dimezzata e vissuta tra fame, freddo e dolorosissime malattie non più curabili. Perché i bei tempi di una volta erano così. E toccherà che qualcuno se ne faccia una ragione.

barbara

DACCI OGGI IL NOSTRO FURBO QUOTIDIANO

È stato nel negozio di scarpe. Ero andata a comprare un paio di sandali Birkenstock, e volevo il modello che porto da un quarto di secolo, ma non c’era. Non è più in produzione, dice la commessa. Peccato, dico io, era così comodo, e, a modo suo, anche elegante. Anche il modello tale della firma talaltra, dice lei: era uno dei più venduti e lo hanno tolto dalla produzione. Difficile capire che razza di politiche ci siano dietro a certe scelte di mercato, dico io. Meglio non cercare di capire, dice lei. Come con le medicine, dico improvvidamente io: una volta c’erano le punture di glicocinnamina, qualunque bronchite in tre giorni spariva (e talmente poco dolorose, aggiungo adesso, che riuscivo a farmele da sola senza alcuna difficoltà). Eh, dice lei (sorrisino furbetto, occhiatina ammiccante), se no come farebbero a vendere i farmaci? (No, un momento, perché le punture di cui parlavo io cosa sarebbero, nanetti da giardino?) No no, continua (sorrisino furbetto, occhiatina ammiccante), meglio non cercare di capire. Per esempio (sorrisino furbetto, occhiatina ammiccante), ogni anno vengono fuori diecimila nuovi ceppi di influenza: e da dove vengono fuori? (sorrisino furbetto, occhiatina ammiccante) Credono davvero che siamo tutti scemi? (sorrisino furbetto, occhiatina ammiccante). In effetti no, non siamo tutti scemi per fortuna. Per nostra fortuna ogni mattina c’è un furbo che si sveglia e sa che deve correre se vuole raggiungere il leone che sa che deve correre se vuole mangiare la gazzella che sa che deve correre se vuole sopravvivere, per avvertirlo di guardarsi dalla kattivissima multinazionale del farmako che magari gli ha modificato geneticamente la gazzella per i suoi loschissimi scopi.
E tu, che furbo non sei – e infatti sei qui a leggere e non nella savana a correre – vai a leggerti qui e qui.

barbara