CIÒ CHE I VAMPIRI NON POTRANNO MAI CAPIRE

Non prima, perché quando sono in crisi d’astinenza non capiscono niente, e non dopo perché, una volta ottenuta la loro dose quotidiana di sangue, si adagiano appagati e non si interessano più a niente.

In difesa del “superfluo”: perché è pericoloso lasciare che il governo decida cosa è “essenziale” e cosa no

La richiesta di rinuncia al “superfluo” sembra ragionevole, perché si innesta su una narrazione moralistica della vita a cui siamo stati da sempre sottoposti. Ma ciò che sfugge è che il nostro “superfluo” è l’”essenziale” di altri: per il ristoratore, i suoi camerieri, gli insegnanti di fitness, gli albergatori o gli attori, quel nostro “superfluo” è la vita

Certo, che “brutto”, che “sconveniente” sentire la mancanza dell’aperitivo o della sessione in palestra. E come appaiono “sensati”, “ragionevoli”, “morali” gli appelli a rinunciare al “vizio” e agli “sfizi” in questa fase così seria dell’emergenza Covid.
Per quanto il sostanziale divieto delle “attività non essenziali” rappresenti una discriminazione drammatica tra i cittadini, che aggrava il divario di status tra “garantiti” e “non garantiti”, ci sono buone possibilità che venga digerito senza proteste eccessive. L’argomentazione portata dal governo appare, almeno superficialmente, alta e incontrovertibile: come si può mettere questo o quel “capriccio” davanti alla “salute”?
Il fatto è che la richiesta della rinuncia al “superfluo” è tutto sommato “agevole” perché si innesta su una narrazione moralistica della vita a cui siamo stati da sempre sottoposti – e che quindi in larga misura, anche inconsciamente, abbiamo recepito.
L’anatema nei confronti del “consumo” e del “lusso” è stato, per molti versi, un punto di incontro tra la cultura socialista, quella ambientalista e quella cattolica e qualsiasi intellettuale che si rispetti ha da sempre stigmatizzato gli usi e i costumi decadenti della società moderna.
Certo, abbiamo continuato a consumare e a desiderare quanto andava oltre l’essenziale, ma in ogni occasione ci è stato spiegato che per lo meno dovevamo farlo provando “senso di colpa”.
Insomma, da ben prima del coronavirus, ci sono biblioteche piene di libri e prolifici filoni di “opinionismo” che ci spiegano come il mondo sarebbe migliore se solo recuperassimo gli stili di vita più morigerati di un imprecisato passato, in cui certo non si spendevano soldi in costosi divertimenti.
La tipica argomentazione dei “bacchettoni” è che quanto di più cerchiamo per noi, quanto più togliamo agli altri – e dunque la via maestra per l’equità sociale passa dall’accontentarci di poco.
In realtà, però, le cose vanno non solo in maniera diversa, ma addirittura opposta. Il nostro “superfluo” non solo non toglie niente agli altri, ma anzi, è l’”essenziale” di altri. Perché tutto sommato noi possiamo anche rinunciare ad andare al ristorante, in palestra, sulle piste da sci o a teatro – e magari questo ci aiuta a sentirci più “morali”.
Ma per il ristoratore, i suoi camerieri, gli insegnanti di fitness, gli albergatori di montagna o gli attori – e per moltissime persone anche meno visibili che lavorano come indotto delle attività “di prima linea” vietate – quel nostro “superfluo” è la vita. È la possibilità di portare a casa la pagnotta per sé e per i propri figli.
In qualche modo la “ricerca del superfluo” da parte di chi può permetterselo è un potente veicolo di ridistribuzione della ricchezza, in quanto conferisce ad una platea più ampia di persone l’accesso al lavoro e quindi al guadagno.
Un mondo “senza superfluo” è un mondo a bassissima domanda e quindi con pochissime possibilità di impiego. È, in definitiva, un mondo incapace di produrre livelli minimi di ricchezza per parte importante della sua popolazione – o comunque destinato a regredire verso un’economia sostanzialmente di sussistenza.
Per di più, il venir meno di interi settori dell’economia va a ridurre la nostra capacità di finanziare individualmente e collettivamente anche i settori considerati “primari”, a cominciare da quello della sanità.
Per quanto a molti non risulti chiaro, meno aperitivi e meno discoteche vuol dire meno medici, meno infermieri, meno macchinari sanitari, meno soldi alla ricerca contro il cancro, meno possibilità per tante persone di pagarsi un esame medico che potrebbe risultare decisivo.
La verità è che in un’economia interdipendente e complessa come quella in cui ci muoviamo, semplicemente non esiste il “superfluo”. Non esistono attività “non essenziali”. Se non lo comprenderemo alla svelta – se non comprendiamo le dinamiche di causa-effetto che sono alla base della creazione di ricchezza – ci sveglieremo presto fuori dal “primo mondo”, senza nemmeno esserci resi conto di cosa è accaduto.

Marco Faraci, 27 Ott 2020, qui.

Un governo sfiduciato dal Paese

Ora anche la sinistra ha capito che l’esecutivo Conte è inadeguato. Stiamo in piedi solo grazie alla Bce, ma fino a quando?

Tra i tanti che hanno sbagliato a fare delle previsioni, ci siamo anche noi. La nostra copertina di giugno “Fase 4. Avanti un altro” si è rivelata un wishful thinking, un pio desiderio, un’illusione e niente più. D’altronde, eravamo noi stessi i primi a sapere che questo esecutivo ce lo saremmo tenuti a lungo, più per mancanza d’alternative che per suoi meriti. Però, ora come allora, la domanda che ponemmo rimane attuale: «Per gestire la più grande crisi dal Dopoguerra serve un governo all’altezza del compito. Ce l’abbiamo?».
L’interrogativo inizia a fare capolino anche nelle analisi degli osservatori di sinistra. E non stiamo parlando solo di Walter Veltroni che si arrabbia per le chiusure di cinema e teatri o di Matteo Renzi che gioca la solita partita da guastatore, ma anche degli articoli che ormai da un po’ di tempo vengono pubblicati su Repubblica Corriere della Sera, dove osservatori come Stefano Folli, Paolo Mieli e Antonio Polito non risparmiamo critiche a Conte e ministri. Scriveva Polito ieri sul Corriere che la situazione di confusione ingenerata dagli ultimi provvedimenti «ci stanno facendo perdere fiducia nella capacità del guidatore di tenere la strada». [Perché, sei mesi fa, quattro mesi fa, due mesi fa avevate l’impressione che ce l’avesse? Siamo svegli forte, eh ragazzi?]
Non è il solo. Sul Domani, Stefano Feltri ha intitolato così l’editoriale di apertura del suo giornale: “Questo governo non può continuare a gestire il virus”. Le critiche di Massimo Cacciari si fanno ogni giorno più pungenti, soprattutto sul «delirio normativo» introdotto con i Dpcm. E potremmo continuare a lungo, ma avete capito la solfa.

Cosa è stato fatto?

C’è una brutta aria nel paese, come si vede dalle proteste di piazza. Ma non è solo una questione che riguarda qualche facinoroso (prontamente bollato come «fascista» o «no mask» dalle solite anime belle), ma larghi strati della popolazione, quei ceti produttivi che prima si sono sentiti dire che dovevano chiudere, poi riaprire ma solo secondo norme, e ora – dopo aver speso quattrini per adeguarsi – chiudere comunque.
L’altro giorno, Italia Oggi riportava uno studio Istat secondo cui «più della metà delle Pmi italiane prevede una mancanza di liquidità almeno fino alla fine dell’anno, e il 38 per cento delle aziende italiane segnala rischi operativi e di sostenibilità della propria attività, cioè il rischio di chiusura, particolarmente grave per le microimprese (da 3 a 9 addetti), anche perché il 48,7 per cento di esse ha sospeso l’attività durante il lockdown, contro il 14,5 per cento delle grandi».
È normale che questa gente sia arrabbiata. La pandemia ha aperto una frattura sociale tra «garantiti» e «non garantiti»: per questo ultimi il lockdown (o simil-lockdown, come l’attuale) non è una alternativa, ma un modo per arrivare alla medesima infausta conclusione cui ci porterà il virus letale. Che dunque il governo sia inadeguato a gestire la situazione è una cosa che capiscono tutti: lo si è visto in questi mesi perdersi dietro a chiacchiere inutili e non preparare nulla per affrontare la situazione. Scuole, trasporti, medicina territoriale: cosa è stato fatto? È chiaro che ci troviamo di fronte a una situazione inedita e che non esiste la soluzione perfetta, ma avere come unica strategia “chiudere tutto e distribuire soldi” non è una strategia: è una resa.

Fino a quando durerà?

L’unica cosa che c’è davvero di nuovo è che il paese non si fida più di Conte. Se a marzo e aprile ne aveva accettato, sin troppo supinamente, i comandi, ora giustamente chiede cosa si è fatto da allora a oggi. Promettere una nuova infornata di aiuti (ora si chiamano “ristori”) sa di presa in giro, ed è normale che nessuno ci creda, visto anche come è andata la prima volta.
E, poi, quali soldi? Ci si accapiglia sul Mes – tema economico – per nascondere il tema politico: la credibilità del nostro presidente del Consiglio sullo scenario nazionale e internazionale. Fosse credibile e avesse messo sul piatto interno e europeo una serie di misure che davano prospettiva e slancio al paese, il problema non si porrebbe nei termini odierni. Secondo voi, se oggi il nostro premier fosse Mario Draghi, l’Europa ci guarderebbe così in cagnesco? Invece abbiamo Conte e quel che Conte può fare è tergiversare, poco altro. Se oggi può ancora fare melina sul Mes è solo perché la Bce sta “drogando” la situazione comprando a carrettate i nostri titoli di Stato. Fino a quando durerà? La credibilità per un governo è tutto e questo l’ha persa. Il dramma è che non abbiamo alternative. [Ecco, sulla conclusione mi permetto di dissentire fortemente]
Emanuele Boffi 28 ottobre 2020, qui.

Aggiungo una considerazione. Si continua a ripetere da ogni parte il mantra della “più grande crisi dal Dopoguerra” (e chissà perché maiuscolo). E i 20.000 morti della spaziale nel 1968? E i 30.000  dell’asiatica nel 1957 su una popolazione di 49 milioni di abitanti? E le Brigate Rosse (arrivate a colpire addirittura i vertici dello stato) e tutta la galassia intorno a loro – compresi vari settori del terrorismo palestinese – più l’analoga galassia nera, il terrorismo, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Italicus, Bologna, Ustica, Fiumicino 1, Fiumicino 2 – e potrei continuare fino a domani – ? Tutto sparito? Mai successo niente prima del covid? Ma andate a catramare le zucche, va’.
Sì, lo so, sono mostruosamente cinica, con tutta la povera gente che continua a morire DI COVID!

Angelo Michele Imbriani

I morti di Covid.

All’ospedale Moscati di Avellino viene ricoverato un uomo di 71 anni per frattura del femore. Gli fanno il tampone, come da protocollo, e risulta positivo. Ma il suo problema, quello che lo ha portato in ospedale, è il femore, non certo il Covid. Viene operato. Muore. Purtroppo le complicazioni fatali delle operazioni al femore sono molto frequenti (e non solo nei pazienti anziani: pochi anni fa morì dopo l’operazione un mio collega sessantenne): pare che la mortalità entro un mese dall’intervento sia addirittura del 10%. Ma il pover’uomo passa, sui giornali locali e nel computo nazionale, come vittima del Covid.
Bisognerebbe incominciare con le denunce per procurato allarme. [Mi permetto una correzione: “procurato allarme” si configura quando viene richiesto l’intervento delle autorità addette al Pubblico Servizio: grido “Al fuoco” e faccio uscire i pompieri, per esempio. Penso che anche questo terrorismo psicologico configuri un qualche reato, ma non questo]

Aggiungo una nota personale. Io sono assolutamente refrattaria alle infezioni cutanee: graffi tagli escoriazioni, squarci, in mezzo alla terra, in mezzo all’asfalto, con chiodi arrugginiti: niente, non mi infetto. E sapete perché? Per un motivo tanto semplice quanto logico: non mi sono mai, in tutta la mia vita mai una volta, disinfettata. Graffi tagli escoriazioni, squarci, in mezzo alla terra, in mezzo all’asfalto, con chiodi arrugginiti: mai disinfettata. E neanche lavata, tranne il caso che sotto alla pelle, in mezzo al sangue, ci siano terra o pezzi di asfalto o altri materiali estranei. Mi sono fatta un tale esercito di anticorpi che appena si affaccia il solito plotoncino di batteri, gli fanno il culo quadro. Una volta, in realtà, ho fatto infezione. È stato in Somalia: trasportando un mobile mi sono graffiata un polpaccio; come al solito non ci ho fatto caso, e qualche giorno dopo, quando per caso mi è capitato di guardarlo, ho trovato che avevo la gamba gialla di infezione per una buona ventina di centimetri (fortuna che sono un chirurgo di prim’ordine e me la cavo anche adattando strumenti improvvisati: ho tagliato la pelle, perché trattandosi di un semplice graffio si era completamente richiusa, sono entrata a pulire bene tutta l’infezione sotto la pelle, e dopo una settimana non si vedeva neanche più la cicatrice). Il motivo? Ovvio: lì c’erano altri batteri, per i quali non avevo anticorpi. Per la stessa ragione lì ho sempre – unica fra tutti i miei colleghi – mangiato verdura cruda, e per giunta lavata non con l’acqua bollita ma sotto il rubinetto. E fra tutti sono stata quella che ha avuto meno problemi intestinali, sempre per lo stesso ovvio motivo: qualche schifezzina mi sarà sicuramente entrata, e quando è capitato che arrivasse qualche schifezzona più grossa ha trovato gli anticorpi pronti a farle il culo e a limitare i danni. Gli altri, quando, cosa inevitabile anche per chi si tiene sotto una campana di vetro, incontravano il batterietto, si facevano trovare del tutto disarmati, e giù scagotti a non finire. Tutto questo discorso lo sto facendo per via dell’allucinante delirio dell’igienizzazione che ha ormai investito l’intera umanità – o almeno quella italiana: gel igienizzante prima di toccare una matita, gel igienizzante dopo avere toccato una matita, igienizzazione della maniglia della porta, igienizzazione della borsa della spesa, igienizzazione del tavolo su cui è stata posata la borsa della spesa, igienizzazione di tutte le confezioni dopo averle tirate fuori dalla borsa della spesa… OOOOOHHHHH, SVEGLIA! Ma vi rendete conto, gente, che vi state scavando la fossa? Vi rendete conto che dopo mesi di sterilizzazione, il primo batterio o virus che vi attraversa la strada vi fa secchi? E che non solo, se continuate così, creperete trent’anni prima del dovuto, ma creperete senza neppure avere vissuto in tutti gli ultimi mesi della vostra vita, senza avere avuto il conforto di un abbraccio, il calore di una stretta di mano, adattati alla buffonata del gomito, il tutto per paura di prendere una malattia che novantanove su cento, oggi come oggi, vi procurerà al massimo un po’ di tosse e mal di gola, o, mal che vada, se non avete novant’anni diabete ipertensione colesterolo alle stelle ed enfisema polmonare, qualche giorno di ospedale. E senza magari concedervi neanche qualche sana scopata, perché vi hanno detto che è pericolosissimo, peggio di AIDS e sifilide e peste e colera messi insieme.

Ancora due parole sulla teppaglia che sta devastando alcune città – e molte altre sicuramente ne devasterà. Io la vedo più o meno come le patologie opportunistiche dell’AIDS: il virus annienta le difese immunitarie e il sarcoma di kaposi ne approfitta per infilarsi nel vostro organismo e distruggerlo. Mi sembra un’analogia perfetta: il virus HIV è il governo, che ha annientato e ridotto alla fame la classe lavoratrice, la quale giustamente tenta di far sentire le proprie ragioni; il governo però non ne vuole sapere, si rifiuta di ascoltare, anzi, aggrava ulteriormente la situazione, costringendoli a protestare (sì lo so, le concordanze sono tutte a senso e a volte anche con poco senso, e non solo qui, e dovrete farvele andare bene così). E a questo punto il sarkoma ne approfitta e fa irruzione, devastando tutto. Sarkoma che, non dimentichiamolo, è in buona parte un elemento esterno, fatto entrare da un altro ramo del governo, ed è coadiuvato da bande che stanno dalla stessa parte politica del governo. Loro sono indiscutibilmente e pienamente responsabili delle proprie azioni, ma se il governo non avesse messo in ginocchio la classe lavoratrice (e per giunta senza alcun vantaggio, perché le persone non si contagiano al ristorante, non si contagiano al bar, non si contagiano in piscina, non si contagiano in palestra al cinema o a teatro, quindi tutta questa ecatombe di sacrifici umani che il governo ha messo in atto per placare il dio covid, non servirà a nulla se non a far morire decine di migliaia di persone per altre patologie), la classe lavoratrice non avrebbe dovuto scendere in piazza e loro non avrebbero avuto spazi in cui infiltrarsi. IL VIRUS È IL GOVERNO. Adesso ci manca solo che come antiretrovirale ci mandi l’esercito, e saremo al gran completo.

Comunque almeno una consolazione ve la posso dare: alla Camera stanno lavorando per voi.

barbara

POST SCRIPTUM
Me n’ero completamente dimenticata e mi è tornato in mente dopo avere pubblicato: la nostra ineffabile ministressa dell’Interno, signora Lamorgese, ha rivolto un appello ai dimostranti pacifici: “Isolate le frange violente”. Cioè, li avete privati del lavoro, li avete costretti a spendere cifre enormi per permettergli di tornare a lavorare, guadagnando comunque un quarto di prima, non hanno neanche fatto in tempo a cominciare a respirare che li avete nuovamente privati del lavoro, e chiedete a loro di farsi carico del contenimento di bande violente e armate che distruggono tutto quello che trovano davanti a sé?! Non scriverò quello che d’istinto mi verrebbe da scrivere di questa signora perché mi dispiacerebbe offendere delle oneste signorine che si guadagnano il loro onesto pane su un onesto marciapiede.
E il signor HIV, che cosa dice il signor HIV? “Se rispettiamo le norme abbiamo buone chance di affrontare dicembre con serenità, in caso contrario ci sarà il lockdown”. Cioè: chiude tutte le attività che NON SONO FONTI DI CONTAGIO, di conseguenza il contagio non diminuirà perché è materialmente impossibile che lo faccia, e quindi ci sbatterà nuovamente in galera. Ho cominciato a dirlo molti mesi fa e continuerò a ripeterlo con sempre maggiore convinzione: l’unica soluzione è la lotta armata.