LA TERZA GUERRA MONDIALE È PROPRIO INIZIATA

Ovvero “83 anni più tardi…

Nessuno si faccia illusioni. (Ho preso il testo del traduttore automatico, che mi sembra eccellente, inserendo solo qualche correzione e aggiustamento) L’articolo è lungo, ma va letto tutto, perché spiega in modo chiaro ed esauriente come si è arrivati dove si è arrivati, ossia alla terza guerra mondiale sostanzialmente in atto.

Gli architetti del nostro presente disastro

La politica estera americana sta cedendo alle sue stesse contraddizioni. Non abbiamo più il lusso della decadenza.

Di Benjamin Braddock

14 marzo 2022

Girando e girando nel vortice allargato Il falco non può sentire il falconiere; Le cose non andarono a buon fine; il centro non può reggere; La mera anarchia si scatena sul mondo, la marea offuscata dal sangue si scatena, e dappertutto  la cerimonia dell’innocenza è annegata; I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori  sono pieni di appassionata intensità.

—William Butler Yeats, “La seconda venuta”

Il centro non regge, le cose stanno andando in pezzi. Siamo passati dalla psicosi di massa per i vaccini alla psicosi di massa per l’urgente necessità di entrare in guerra con la Russia.
Le sanzioni sono già abbastanza gravi; le prime ricadute economiche che ne derivano stanno già causando dolore ai lavoratori e alla classe media americana. Ma abbiamo fatto sanzioni la scorsa settimana, il pubblico chiede di più. Fai qualcosa, anche se quella cosa è orribile nelle sue implicazioni. Due anni di rabbia dissociata repressa vengono incanalati e reindirizzati verso un obiettivo esterno dalle stesse persone responsabili della risposta al COVID-19, tra le peggiori atrocità della storia americana.
Gli americani di origine russa – la stragrande maggioranza dei quali non ha alcuna associazione con Putin o con lo stato russo, non che il loro maltrattamento sarebbe giustificato se lo facessero – stanno sopportando il peso maggiore di una campagna particolarmente feroce di odio razziale e attacchi. Piuttosto il contrasto con i primi giorni del COVID, quando i liberali inciampavano su se stessi per raggiungere il ristorante cinese più vicino per dimostrare che il razzismo era il vero virus. Joe Biden non ha trovato il tempo nel suo discorso sullo stato dell’Unione per menzionare i 13 americani uccisi in Afghanistan, ma ha trovato il tempo per celebrare l’idea dei pensionati ucraini che si gettano sotto le tracce dei carri armati russi. È difficile immaginare una fine più ignominiosa della Pax Americana.

La Pax Americana è morta e l’abbiamo uccisa.

Non doveva essere così. Mi viene in mente una citazione di Condoleezza Rice sulla mattina dell’11 settembre. Sapeva che le forze statunitensi che sarebbero andate a DEFCON-3 avrebbero innescato un’escalation simile da parte della Russia, quindi ha chiamato il presidente Putin e gli ha detto che i nostri militari sarebbero stati in allerta. Le disse che lo sapeva e che aveva ordinato alle sue forze di ritirarsi. Poi ha chiesto se c’era qualcosa che poteva fare per aiutare. La Rice ha raccontato di aver avuto un momento di riflessione: “La Guerra Fredda è davvero finita”.

La lacrima”, memoriale per le vittime dell’11 settembre donato dalla Russia agli Stati Uniti. Per quanto riguardava la Russia, la Guerra Fredda era veramente finita (immagini inserite da me).

Ma le scelte fatte all’indomani di quel giorno da persone come lei hanno scatenato uno zeitgeist distruttivo nella politica estera di Washington che ci ha portato a questo punto in cui lo spettro della guerra nucleare è ora sospeso nell’aria come durante i momenti più tesi della Guerra Fredda.
Gli attacchi dell’11 settembre 2001 sono stati l’inizio della fine per la finestra di opportunità che avevamo per stringere una partnership con la Russia. Solo un anno prima, il presidente Putin aveva espresso interesse ad entrare a far parte della NATO durante la visita del presidente Clinton a Mosca. La risposta esatta di Clinton non è stata riportata pubblicamente ma non è stata affermativa. In retrospettiva, era esattamente la partnership di cui l’Occidente aveva bisogno per contrastare l’ascesa della Cina. Ma Washington aveva passato il decennio precedente a trattare la Russia come un vassallo colonizzato, c’era scarso interesse nel permettere a un paese così arretrato e umiliato di entrare nelle sale dorate della NATO.
La Russia negli anni ’90 era un relitto. Sulla scia della caduta dell’Unione Sovietica, il governo russo divenne uno stato fantoccio dell’America e dell’Occidente e la sua economia fu un disastro monumentale. Le persone hanno smesso di essere pagate, l’inflazione mensile era a due cifre, i risparmi di una vita sono scomparsi dall’oggi al domani, le banche sono scomparse dall’oggi al domani. Il tasso di fertilità è crollato, insieme all’aspettativa di vita, con oltre cinque milioni di morti in eccesso registrate nel decennio, principalmente per morti per disperazione. Durante la privatizzazione post-sovietica, le grandi imprese statali venivano vendute per pochi penny sul rublo a persone politicamente ben collegate, ed è così che la maggior parte degli oligarchi ha acquisito le proprie fortune. E anche gli americani politicamente ben collegati hanno fatto fortuna in Russia.
Wayne Merry, un funzionario statunitense presso l’ambasciata a Mosca negli anni ’90, ha dichiarato in seguito: “Abbiamo creato un negozio virtuale aperto per il furto a livello nazionale e per la fuga di capitali in termini di centinaia di miliardi di dollari, e lo stupro di risorse naturali e industrie su una scala che dubito abbia mai avuto luogo nella storia umana”. Fu in questo contesto che Putin salì al potere. Abbastanza divertente, quando Boris Eltsin scelse Putin come suo successore presidenziale, chiamò Bill Clinton per ottenere l’approvazione. Putin è salito al potere con un desiderio ardente: rendere di nuovo grande la Russia e impedirle di essere umiliata come era nel suo decennio perduto.
Mentre Putin ricostruiva la Russia, l’America stava portando avanti progetti di rimodellamento nazionale in Iraq e Afghanistan che erano stati abbandonati appena dopo la fase di demolizione. L’idea era quella di diffondere i “valori” americani e il nostro “modo di vivere”, non importa quanto terribili fossero le conseguenze per le persone coinvolte. Il mio amico Sam Finlay ha descritto la situazione come quella in cui le azioni aggressive di un paese normale sono come quelle di un lupo: uccide per mangiare. L’aggressione serve in qualche modo gli interessi materiali di quel paese. Ma la politica estera americana è come un grosso cane stupido, cattura un coniglio per divertimento, lo uccide nel frattempo, e poi perde interesse e torna dentro a mangiare crocchette.

Esportare la democrazia

Durante tutta la sua carriera politica, Vladimir Putin ha assistito alla politica estera americana che si è scatenata nel mondo come un toro in un negozio di porcellane. Ha imparato come operano i nostri leader e comprende il tradimento di cui sono capaci. La Libia è un buon esempio. Il colonnello Gheddafi aveva collaborato con gli Stati Uniti. Interruppe il suo programma nucleare, rinunciò alle sue armi di distruzione di massa e iniziò ad aprire il suo paese e la sua economia al mondo. Verso il 2008, i leader militari statunitensi chiamavano la Libia uno dei principali alleati degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo transnazionale. Gheddafi permise l’apertura di un’ambasciata americana e, prima ancora che la vernice si asciugasse, i diplomatici e le spie appostate stavano già lavorando al suo rovesciamento. Hanno collaborato con ONG e fondazioni statunitensi e transnazionali per formare attivisti “pro-democrazia” e fondare un movimento di opposizione.
Quando è scoppiata la Primavera Araba nel 2011, in Libia sono scoppiate violente proteste, guidate da gruppi radicali armati di nascosto dagli Stati Uniti e dai loro alleati, e il governo ha cercato di sedare la ribellione e ristabilire l’ordine. Il ripristino dell’ordine è stato ritenuto pesante dagli Stati Uniti e dalla NATO e quindi è stato stabilito il pretesto per l’intervento. La NATO ha iniziato l’intervento istituendo una no-fly zone sulla Libia, che si è rapidamente trasformata in una campagna di bombardamenti e missili da crociera contro installazioni militari e infrastrutture civili.
La ricompensa del colonnello Gheddafi per aver collaborato con il governo americano è stata di essere sodomizzato con una baionetta sulla strada per la sua esecuzione sommaria. Piuttosto che esprimere rammarico o addirittura rispondere con un minimo di discrezione, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha cantato: “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto “. Il vicepresidente Joe Biden ha fatto eco ai suoi sentimenti, “Che sia vivo o morto, se n’è andato. Il popolo libico si è sbarazzato di un dittatore. La NATO ci ha azzeccato”. Sulla scia dell’omicidio di Gheddafi, la Libia si è trasformata in una totale anarchia con mercati degli schiavi dove si poteva comprare un essere umano per $ 40 e una guerra civile che è durata fino al 2020. Il paese è diventato un vivaio di terroristi. Il regime di Gheddafi si era fermato tra l’Italia e l’Africa subsahariana. Con lui fuori dai giochi, l’Italia e il resto dell’UE sono stati rapidamente invasi da immigrati illegali.
Il messaggio che l’episodio della Libia ha inviato ai governi di tutto il mondo è stato chiaro: puoi fare tutto ciò che gli americani chiedono, ma c’è ancora un’ottima possibilità che ti piantino un coltello nella schiena. Divenne dolorosamente ovvio che la politica estera americana era stata completamente separata da qualsiasi obiettivo razionale. Da quel momento in poi, Putin ha iniziato a lavorare attivamente contro l’interventismo americano, in particolare in Siria con il suo sostegno al governo del presidente Assad nella sua lotta contro ribelli e gruppi terroristici come l’ISIS, molti dei quali sono stati addestrati e armati dal governo degli Stati Uniti. Man mano che la Russia si allontanava ulteriormente dall’Occidente, l’antagonismo del governo statunitense nei confronti della Russia aumentò ulteriormente. Il prossimo obiettivo di una rivoluzione colorata sarebbe l’Ucraina.
Nel novembre 2013, un movimento di protesta noto come Maidan è iniziato nella piazza centrale di Kiev dopo che il presidente Yanukovich ha rifiutato una proposta di associazione politica e accordo di libero scambio con l’Unione europea. L’accordo avrebbe aperto i mercati dell’Ucraina alle importazioni europee mantenendo i mercati dell’UE chiusi alle merci ucraine. Le proteste sono continuate per mesi e le richieste dei manifestanti sono cambiate da un appello a firmare l’accordo a una richiesta di dimissioni di Yanukovich e del suo governo. Queste proteste sono state esplicitamente sostenute dallo stesso governo degli Stati Uniti e dalle sue ONG partner. Centinaia di milioni di dollari sono stati versati in Ucraina da questi gruppi, tra cui l’Open Societies Institute di George Soros, la Freedom House e il National Endowment for Democracy finanziato dai contribuenti statunitensi.
La persona di riferimento per gli sforzi del Dipartimento di Stato americano per rovesciare il governo Yanukovich è stata Victoria Nuland, un’ex consigliera di Dick Cheney che ha servito come portavoce del Segretario Clinton prima di essere promossa a Assistente Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici. Ha visitato i manifestanti con l’ambasciatore statunitense Pyatt, annunciando “Siamo dall’America” ​​alla folla che non parla inglese e offrendo pezzi di pane da un sudicio sacchetto di plastica della spesa (i manifestanti sembravano disorientati e la maggior parte non ha preso il pane). In seguito si è vantata che gli Stati Uniti avevano speso cinque miliardi di dollari per “promuovere la democrazia” in Ucraina.
È trapelata una telefonata intercettata in cui Nuland e Pyatt hanno discusso i loro piani per chi avrebbe guidato un nuovo governo in caso di cacciata di Yanukovich, già una conclusione scontata a giudicare dal tono della conversazione . Da notare: Nuland dichiara “Penso che Yats sia il ragazzo che ha l’esperienza economica, l’esperienza di governo. Ciò di cui ha bisogno sono Klitschko e Tyahnybok all’esterno”, riferendosi ad Arseniy Yatsenyuk, Vitali Klitschko e Oleh Tyahnybok; Pyatt ha detto “vogliamo cercare di convincere qualcuno con una personalità internazionale a venire qui e aiutare a fare l’ostetrica in questa cosa” e Nuland ha risposto che Joe Biden era disposto; così come Nuland che dichiara “F-k l’UE”.
Il 20 febbraio 2014, i cecchini di Maidan hanno aperto il fuoco . Quando finalmente il fumo si è diradato, 48 manifestanti e quattro poliziotti giacevano morti nella piazza. La narrazione prese rapidamente piede secondo cui furono i paramilitari del governo a compiere il massacro. Quando il processo per il massacro si è finalmente tenuto anni dopo, la maggior parte dei sopravvissuti feriti ha testimoniato di essere stati uccisi dagli edifici tenuti da Maidan lungo la piazza o di aver visto cecchini posizionati in quegli edifici. L’ex capo dei servizi di sicurezza ucraini, Aleksandr Yakimenko, ha affermato che si trattava di mercenari portati da coloro che complottavano per abbattere Yanukovich. Erano lì tutti i giorni”.
L’operazione ha raggiunto il suo obiettivo. Il 21 febbraio Yanukovich, in un ultimo disperato tentativo di prevenire ulteriori violenze, ha firmato un piano mediato franco-tedesco-polacco per accettare poteri ridotti e ha chiesto elezioni anticipate in modo da poter essere rimosso dal potere. Il 22 febbraio, Right Sektor e le milizie neonaziste hanno preso d’assalto gli edifici governativi e hanno costretto Yanukovich e molti funzionari a fuggire da Kiev. Nuland ha disposto una procedura incostituzionale in parlamento per togliere la presidenza a Yanukovich. Arseniy Yatsenyuk, il “ragazzo” di Nuland, è stato nominato primo ministro e le potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti lo hanno immediatamente dichiarato legittimo. L’80° tentativo di colpo di stato americano dal 1953 è stato un successo.
La base politica di Yanukovich ha reagito rapidamente, tenendo referendum per l’indipendenza dall’Ucraina; prima in Crimea, poi nella regione del Donbass, con la formazione della Repubblica popolare di Luhansk e della Repubblica popolare di Donetsk. Inizialmente, la Russia ha accettato il referendum in Crimea – dopotutto, la Marina russa ha mantenuto un porto fin dai tempi di Nicola II – ma era riluttante quando si trattava del Donbass. Fu solo quando il governo di Kiev inviò milizie neonaziste a svolgere operazioni di “antiterrorismo” a Donetsk e Luhansk che la Russia iniziò a prestare un tacito sostegno ai separatisti, anche se a volte li ostacolavano direttamente.
I separatisti hanno quasi preso Mariupol durante la controffensiva dell’agosto 2014. L’esercito ucraino è fuggito dalla città ed era aperta alla presa. Con la presa di questa importante città industriale, l’indipendenza del Donbass sarebbe stata un fatto compiuto . Ma la Russia li ha fermati, minacciando di chiudere il confine ed espellere i familiari dei miliziani che avevano cercato rifugio in Russia. I miliziani indietreggiarono e l’esercito ucraino riconquistò la città. Da quel momento in poi, il conflitto è rimasto in gran parte congelato.
Un mio conoscente russo si offrì volontario per combattere per la “Repubblica popolare di Donetsk”. Dal modo in cui ha parlato delle condizioni lì, ho pensato che fosse una causa persa, ma come meridionale, sono un fanatico delle cause perse. Il mio amico temeva che fosse un uomo segnato, che se mai fosse tornato in Russia potesse essere arrestato per la sua partecipazione. Privo di uomini, denutriti e disarmati, lui e i suoi compagni patrioti hanno resistito durante una guerra brutale che imperversa dal 2014, con numerose atrocità perpetrate sia dal governo ucraino che dai “battaglioni punitori” neonazisti contro la popolazione civile di Donetsk e Luhansk.
In una di queste atrocità, un uomo fu inchiodato a una croce imbevuta di benzina e bruciato vivo. In un altro, un uomo e una donna incinta avevano delle corde legate al collo, le corde passavano su una traversa sospesa tra due alberi e legata al retro di un’auto. L’auto è stata lentamente spinta in avanti e le due vittime sono state lentamente sollevate in aria e strangolate a morte. Le forze ucraine hanno bombardato a intermittenza gli abitanti di Luhansk e Donetsk, anche con munizioni al fosforo bianco contro obiettivi civili.
Complessivamente, la guerra nel Donbass è costata almeno 14.000 vittime, ne ha ferite altre decine di migliaia e ha sottoposto la popolazione di oltre 2,3 milioni di persone a Donetsk e Luhansk alle difficoltà della vita in una zona di guerra. Questo è stato un osso nella gola di molti russi, che vedono gli abitanti etnicamente russi di Donetsk e Luhansk come loro parenti. Ma fino a questo punto Putin ha scelto di non essere coinvolto militarmente in modo significativo. Il punto di svolta per l’invasione non è stata la sopravvivenza del Donbass, ma la sopravvivenza della stessa Russia.

Nato in espansione

Per decenni, la Russia ha chiarito che considera l’espansione verso est della NATO verso i suoi confini come una minaccia esistenziale. E i migliori diplomatici ed esperti di politica estera americani hanno compreso questa posizione. Il segretario di Stato James Baker ha dato alla Russia una “garanzia di ferro” che la NATO non si sarebbe espansa “di un pollice a est” della Germania se i russi avessero collaborato sulla questione della riunificazione tedesca. George Kennan, architetto della strategia statunitense della Guerra Fredda, ha definito l’espansione della NATO un “tragico errore”. Henry Kissinger ha affermato che, a causa della sua storia unica con la Russia, “l’Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO”. John Mearsheimer ha avvertito: “L’Occidente sta guidando l’Ucraina lungo il sentiero delle primule e il risultato finale è che l’Ucraina andrà in rovina… Quello che stiamo facendo è infatti incoraggiare quel risultato.
Ma il governo degli Stati Uniti ha portato avanti la sua agenda espansionistica della NATO. È ciò che ha portato alla prima grande frattura nelle relazioni USA-Russia nel 2008, quando l’amministrazione del presidente George W. Bush ha spinto con successo l’alleanza ad affermare alla conferenza di Bucarest che Georgia e Ucraina sarebbero diventate membri della NATO. Ciò ha portato a una rottura delle relazioni diplomatiche tra Russia e Georgia e allo scoppio della guerra russo-georgiana. Ciò avrebbe dovuto inviare un chiaro messaggio all’Occidente che la Russia era seriamente intenzionata a non accettare l’espansione della NATO alle sue porte. Era per la Georgia, che ha ritirato la sua offerta della NATO e da allora è stata in pace con la Russia.
L’establishment della politica estera statunitense o non ha recepito il messaggio della Russia, o l’ha fatto, e ora sta deliberatamente tentando di farci entrare in guerra con la Russia. È un pensiero inquietante ma in linea con il loro comportamento provocatorio.
Quando Hillary Clinton era in corsa per la presidenza, sostenne una no-fly-zone sulla Siria contro l’aviazione russa, che stava assistendo il presidente Assad nella sua lotta contro una conflagrazione di ribelli e terroristi armati e sostenuti da una serie di interessi esterni. Se la Clinton fosse stata eletta, la sua intenzione dichiarata era di incaricare l’aviazione degli Stati Uniti di abbattere i piloti russi e condurre attacchi aerei contro le unità di difesa aerea russe. L’elezione di Donald Trump ha impedito che quello scenario si verificasse. Invece, le forze armate statunitensi e russe hanno collaborato nel teatro siriano per portare a termine la distruzione dell’ISIS. Con il presidente Trump in carica, i peggiori eccessi dei Chickenhawks sono stati frenati, ma mentre le foto presidenziali negli uffici del Dipartimento di Stato e del Pentagono erano cambiate, non lo erano le persone che in quegli uffici lavoravano.
Nel 2019, il segretario di Stato Mike Pompeo sembrava cercare un ripristino diplomatico con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che aveva legami di lunga data con la Russia ma cercava anche relazioni con l’Occidente per evitare una dipendenza unilaterale da Mosca. Un accordo per le spedizioni di petrolio dagli Stati Uniti è stato concordato senza condizioni politiche. Ma durante la pandemia di COVID-19, Lukashenko è stato oggetto di aspre critiche dai media occidentali per essersi rifiutato di imporre restrizioni ai suoi cittadini, consigliando invece di praticare sport, bere vodka, recarsi regolarmente in sauna e lavorare nei campi per mantenersi in salute. Ha respinto le misure adottate da quasi tutti gli altri paesi definendole “psicosi”. Le sue azioni lo hanno reso una specie di paria tra i tecnocrati globali. In una telefonata con Lukashenko, il Fondo monetario internazionale ha offerto miliardi di dollari in finanziamenti alla Bielorussia, se il paese avesse implementato restrizioni di quarantena, isolamento e coprifuoco. Lukashenko ha rifiutato.
È stato in questo contesto che le relazioni tra l’Occidente e la Bielorussia, che si stavano risacaldando, hanno preso una svolta gelida. Più di un mese prima delle elezioni presidenziali, il Consiglio Atlantico ha pubblicato un post intitolato “Minsk Maidan?” che ipotizzava che Lukashenko sarebbe stato “cacciato via da una rivolta del potere popolare in stile Maidan simile alle rivoluzioni ucraine del 2004 e del 2014”. Prima che fosse espresso il primo voto, i media occidentali sostenevano già che qualsiasi vittoria di Lukashenko sarebbe stata necessariamente il risultato di una frode elettorale. Ma non importa, il  Time ha dichiarato: “Le battaglie di Lukashenko non finiranno con la sua vittoria quasi certa in elezioni fraudolente”. E avevano ragione. Lukashenko vinse facilmente il voto e poi trascorse le settimane successive combattendo una rivoluzione colorata sostenuta dagli Stati Uniti. Il funzionario del Dipartimento di Stato che sedeva nella sezione della Bielorussia? George Kent, un “esperto di rivoluzione colorata” che era stato coinvolto nella rivoluzione colorata del 2014 in Ucraina e ha testimoniato contro il presidente Trump nel suo primo processo di impeachment.
La rivoluzione colorata bielorussa del 2020 è stata un fallimento. Lukashenko ha mantenuto il potere in gran parte grazie all’attiva assistenza russa nel contrastare le tattiche occidentali. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno risposto con sanzioni e il rifiuto di riconoscere la legittimità di Lukashenko. Le aperture di Lukashenko all’Occidente sono state accolte con uno schiaffo in faccia. Da allora, è stato al passo con i russi, consentendo ai loro militari di attaccare l’Ucraina dal territorio del suo paese e inviando unità dell’esercito bielorusso in loro aiuto. Ma mentre gli Stati Uniti non sono riusciti a rovesciare l’ultimo uomo forte d’Europa, hanno avuto la possibilità di affinare il loro playbook della rivoluzione dei colori. Il prossimo non si svolgerà nell’Europa dell’Est, ma proprio qui negli Stati Uniti.

Il Deep State al Dipartimento di Stato

Nell’agosto 2020, il Washington Post ha pubblicato un articolo d’opinione , “Quello che gli americani dovrebbero imparare dalla Bielorussia” come parte di una raffica di articoli in cui si affermava che Trump era destinato a perdere le elezioni e che avrebbe tentato di prendere il potere con mezzi autoritari quando ciò fosse accaduto. Ha tracciato direttamente parallelismi tra le proteste del BLM e le proteste bielorusse e le ha correttamente identificate come lo stesso fenomeno. Non è stato detto che nessuno dei due movimenti era organico, ma in realtà erano manifestazioni di terrorismo sponsorizzato da élite contro le norme democratiche di ordinati processi politici e civili.
Un mese dopo, il giornalista investigativo Darren Beattie ha pubblicato un’indagine in cui avverte che la stessa costellazione di ONG e apparatchik di Washington che hanno coordinato le rivoluzioni colorate all’estero ne stavano attivamente pianificando una proprio qui a casa. Venne la notte delle elezioni e accadde: il famigerato arresto del conteggio dei voti; la dichiarazione coordinata dei media secondo cui Biden era stato eletto presidente prima del completamento del conteggio dei voti. Poi è arrivata l’immediata messa al bando sui social media di chiunque pubblicasse prove di frode elettorale. È stato un momento surreale nella storia americana. Chiunque mettesse in dubbio i dettagli o sottolineasse la natura coordinata di questa operazione è stato bollato come un teorico della cospirazione o addirittura come un traditore che tentava di sovvertire la democrazia.
Mesi dopo, il Time ha pubblicato un articolo intitolato “La storia segreta della campagna ombra che ha salvato le elezioni del 2020”. Ha spiegato: “C’era una cospirazione che si stava svolgendo dietro le quinte, che ha ridotto le proteste e coordinato la resistenza degli amministratori delegati. Entrambe le sorprese sono state il risultato di un’alleanza informale tra attivisti di sinistra e titani degli affari” e hanno descritto “una vasta campagna interpartigiana per proteggere le elezioni”. Ecco quanto sono sfacciate le persone che lo stanno facendo. Accendono a gas chiunque si accorga di quello che stanno facendo mentre lo stanno facendo, e poi si girano e si vantano di quello che hanno fatto dopo il fatto.
Il successo del rovesciamento della presidenza Trump ha riportato al potere lo stesso cast di personaggi che aveva portato avanti la rivoluzione colorata in Ucraina nel 2014. Joe Biden, che come vicepresidente aveva guidato l’accordo per istituire un regime fantoccio in Ucraina è ora presidente. Victoria Nuland è tornata come sottosegretario di Stato per gli affari politici. Jen Psaki, che ha servito come portavoce della propaganda per il Dipartimento di Stato durante l’amministrazione Obama, è ora il portavoce della propaganda per la Casa Bianca di Biden. Biden ha dichiarato al suo insediamento: “L’America è tornata”, il che è vero solo se si definisce l’America come un governo gestito da pazzi pagliacci cleptocratici le cui capacità di risoluzione dei problemi equivalgono a quelle di un contadino che dà fuoco ai suoi campi di cotone per scacciare i punteruoli.
Queste sono persone che pensano di essere abbastanza intelligenti da affrontare potenti paesi stranieri gestiti da persone sane. Non lo sono, e quelle potenze straniere ne hanno preso atto. Il tipo di americani che il mondo teme o rispetta è stato espulso dal governo e dalla leadership militare e sostituito da un serraglio di pazienti in case di cura, donne delle risorse umane, assunzioni di azioni affermative, degenerati sessuali e generali obesi a quattro stelle che cercano posti nel prossimo consiglio di amministrazione di Theranos. Il giorno della resa dei conti è arrivato. Leader come Putin, Xi e Mohammed bin Salman non sono più suscettibili di essere presi in giro e moralmente perseguitati dai fanatici del circo che costituiscono il governo degli Stati Uniti.
La cabala di Washington ha a lungo trattato l’Ucraina come il proprio parco giochi personale. Dalle avventure di Hunter Biden con Burisma ai laboratori di armi biologiche finanziati dagli Stati Uniti allo status dell’Ucraina come principale paese di origine per le donazioni della Fondazione Clinton e per i bambini schiavi del sesso, il posto è una base per l’élite occidentale più corrotta. Non vogliono lasciarlo andare, che è in parte il motivo per cui hanno propagandato l’intero mondo occidentale in una mania frenetica per un’operazione militare che finora ha evitato la popolazione civile in misura molto maggiore rispetto alle passate operazioni della NATO in Libia e Jugoslavia.

Una terza guerra mondiale

Siamo già entrati funzionalmente in una qualche versione di una terza guerra mondiale. Finora, sia Biden che Putin hanno evitato un conflitto militare diretto, ma resta il pericolo che la logica degli eventi possa degenerare in una guerra disastrosa tra Russia e NATO. I repubblicani del Senato stanno facendo pressioni su Biden per alzare la posta fornendo all’Ucraina aerei da combattimento. I politici di entrambe le parti chiedono una no-fly zone, che, se ricorderete l’esempio della Libia, è il primo passo verso una guerra generale. Anche senza un coinvolgimento militare diretto ci troviamo già di fronte a ricadute economiche paragonabili a quelle di una guerra mondiale.
Le sanzioni contro l’economia russa stanno già reagendo contro il nostro stesso popolo. Attualmente, questo è sotto forma di aumento dei prezzi alla pompa di benzina e presto quei prezzi del gas influiranno sul costo dei generi alimentari e di altri beni. Ciò aumenterà i pericoli inflazionistici di cui avevo avvertito alla fine dell’anno scorso . La Russia ha anche sospeso l’esportazione di alcune materie prime chiave verso “paesi non amici” che porteranno a dolorose carenze globali, la più allarmante dei fertilizzanti, di cui la Russia produce oltre la metà della fornitura globale. È probabile che ciò porti a una resa dei raccolti significativamente inferiore, che porterà a una carenza di cibo per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. L’instabilità geopolitica che ciò causerà avrà conseguenze disastrose per il mondo.
Non ci siano dubbi: questo non è un momento transitorio ma l’ingresso in un nuovo paradigma geopolitico. Invece di tornare alla normalità come ci era stato promesso, l’emergenza COVID è stata sostituita con l’ennesima emergenza, mentre il COVID stesso continua a permanere e mutare attraverso la nostra popolazione. Siamo in un momento straordinario che rappresenterebbe una sfida per i leader più competenti. Al momento non ne abbiamo nessuno a portata di mano, ma forse lo avremo abbastanza presto.
L’impero americano sta cedendo alle sue stesse contraddizioni. Non abbiamo più il lusso della decadenza. Gli uomini deboli hanno creato tempi difficili, ma i tempi difficili creeranno uomini forti e, con uomini forti, il cambio di regime potrebbe finalmente essere alla nostra portata. (Qui, con tutti i link, che non mi è stato possibile inserire)

Ma dopo quanti morti e quanta distruzione e quanta miseria?

barbara

IL PREZZO DELLA (FORSE) LIBERAZIONE

Per 18 famiglie la vita, per l’Italia ennesima umiliazione: la foto di Conte con il capo dei sequestratori

Oramai ci siamo piuttosto abituati: nei casi di sequestri internazionali, una gioia, una festa per le famiglie e per noi italiani, sapere che dei nostri connazionali rapiti possono tornare a casa e riabbracciare i loro cari, per il Paese si trasforma puntualmente in una cocente umiliazione, una netta perdita di credibilità. Vuoi perché i rapitori sono riusciti a ottenere quello che volevano, il più delle volte soldi che useranno per mettere in pericolo altre vite umane; vuoi perché i nostri governi si sono piegati a spettacoli indecorosi, come nell’ultimo caso prima di questo, il ritorno di Silvia Romano.
Non solo furono pagati milioni ai terroristi islamici di al Shabaab, affiliati ad al Qaeda e tra i più sanguinari, autori in Africa di stragi orrende di uomini, donne e bambini. Il nostro premier e il nostro ministro degli esteri si prestarono anche alla propaganda jihadista: l’immagine della ragazza, convertita all’islam durante la prigionia, mentre scendeva dall’aereo ricoperta dalla testa ai piedi con un lenzuolo verde, la tunica indossata dalle donne somale islamizzate, fu di per sé un spot politico senza prezzo per al Shabaab.
Ma veniamo a ieri, al caso dei 18 pescatori di Mazara del Vallo da 108 giorni rinchiusi a Bengasi, il sequestro più lungo per mano libica che l’Italia ricordi.
Conte e Di Maio non sono riusciti a farsi fotografare con gli ostaggi liberati, che non hanno nemmeno potuto incontrare. La photo opportunity l’hanno avuta – un inedito assoluto – con il capo dei sequestratori, il generale Khalifa Haftar. Non ci eravamo ancora mai abbassati a tanto.
È come, per intenderci, se Craxi, oltre a impedire agli americani di catturare Abu Abbas, il regista del sequestro della nave Achille Lauro, si fosse fatto fotografare con il terrorista palestinese a bordo della pista di Sigonella.
Superfluo sottolineare la vittoria politica di Haftar, il cui peso internazionale si era considerevolmente ridotto dopo la sconfitta della campagna di Tripoli. Anche molti dei suoi sponsor negli ultimi mesi avevano preso le distanze. Costringendo premier e ministro degli esteri italiani alle foto, alle strette di mano e ad un colloquio politico (“il governo continua a sostenere con fermezza il processo di stabilizzazione della Libia, è ciò che io e il presidente Giuseppe Conte abbiamo ribadito oggi stesso ad Haftar, durante il nostro colloquio a Bengasi”, ha dichiarato Di Maio), pur di riavere indietro gli ostaggi, ha ottenuto un nuovo riconoscimento come attore di peso, comunque non trascurabile, nello scenario libico. E lo ha ottenuto proprio da coloro che tre mesi fa avevano osato snobbarlo.
Come ricordava ieri Mauro Indelicato su InsideOver, infatti, il sequestro dei pescherecci Medinea Antartide e dei loro equipaggi, il primo settembre scorso, avveniva proprio mentre il nostro ministro degli esteri si trovava in viaggio di ritorno verso Roma dopo una visita in Libia, prima a Tripoli poi in Cirenaica. Dove però aveva deciso di non incontrare il generale Haftar, da poco ritiratosi dalla Tripolitania, bensì il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, ritenuto “l’uomo nuovo della Cirenaica” dopo il fato avverso che aveva colpito il generale. Comunque un “affronto” inaccettabile per Haftar. In quelle ore probabilmente prendeva corpo l’idea del sequestro, concluso con la “riparazione” in termini di riconoscimento politico pretesa, e ieri ottenuta, da Roma.
Un errore non averlo incontrato a settembre? Può darsi, ma una scelta che aveva una sua logica e che andava difesa. Invece, abbiamo calato le brache. E non è nemmeno detto che quello politico sia stato l’unico riscatto pagato al generale.
La contropartita potrebbe essere stata integrata con denaro o con la liberazione di qualche tagliagole libico dalle nostre carceri. Era nota, infatti, la richiesta di Haftar di liberare cinque libici detenuti nel nostro Paese dopo essere stati condannati per tratta di esseri umani e per l’omicidio di 49 migranti.
In ogni caso, l’ennesima capitolazione che mette ancor più a rischio gli italiani che si trovano all’estero, per lavoro o per turismo.
L’aspetto patetico della vicenda è che magari Conte e Di Maio hanno persino pensato ad un ritorno di immagine, a ridosso del Natale e in un momento particolarmente delicato per il governo. Ma diversamente dal rientro di Silvia Romano, stavolta la foto l’hanno fatta con il capo dei rapitori, non con i rapiti tornati in Italia.
Ma esistevano delle alternative per riportare a casa sani e salvi i 18 pescatori? Certamente: potevamo liberarli con la forza militare. Abbiamo una delle marine militari più potenti del Mediterraneo e corpi d’elite di assoluta eccellenza, ma non li usiamo. Un’operazione ad un tiro di schioppo. Sapevamo persino dove sono rimasti rinchiusi gli ostaggi per tutti i 108 giorni di prigionia (nella palazzina dell’amministrazione portuale di Bengasi).
Forse, sarebbe bastata la sola minaccia, una dichiarazione credibile che l’opzione sarebbe rimasta sul tavolo e che chiunque rapisca un cittadino italiano diventa un legittimo bersaglio militare. Non è solo una questione di attributi della nostra classe politica, ma di mancanza della minima cognizione dell’interesse e della dignità nazionali. A quanto pare, la massima aspirazione dei nostri governanti in politica estera sono le onorificenze della Repubblica francese…
Resta un altro particolare umiliante. Come detto, Conte e Di Maio non hanno potuto farsi fotografare con i 18 pescatori, perché non li hanno potuti incontrare. Né quindi se li sono riportati con loro in Italia in aereo, come sarebbe stato lecito attendersi. No, dovranno tornare via mare a bordo dei loro pescherecci. I cui motori, guarda caso, sono in panne, non si avviano. Dunque, ancora nessun rientro, nessun abbraccio con i famigliari, ancora attesa. E chissà che dopo l’umiliazione politica di ieri, non arrivi anche la vera e propria sòla, come si dice a Roma…

Federico Punzi, 18 Dic 2020, qui.

Cedere ai ricatti è sempre il primo passo verso l’abisso. I pescatori dovevano essere liberati dalle forze armate e Silvia-Aisha, le Simone, la Sgrena e tutte le altre incoscienti – per non dire di peggio – andavano lasciate lì, punto.

E poi ditemi se non dobbiamo mandare a casa questa manica di parassiti dannosi, pericolosi e maledettamente costosi – e non ditemi che costosi lo sono tutti i politici: nessun altro ci ha caricato sul groppone 450+300 parassiti supplementari per svolgere il lavoro per il quale sono pagati loro (decurtando contemporaneamente la rappresentanza parlamentare di 300 unità perché “dobbiamo risparmiare”)

barbara

BOTTA E RISPOSTA


Mauro Munari 

Ciao “fratello” razzista
Vuoi sapere perché i migranti non vogliono essere riportati in Libia?
Ok
Ti risponderò con delle domande
Ti è mai capitato di violentare tua madre perché qualcuno ha il fucile puntato contro di te e contro di lei?
Ti è mai capitato di violentare tua sorella e di vedere nascere tuo figlio dalla pancia di tua sorella?
Sai quanti figli di scafisti abbiamo in Europa?
Cioè sai quante donne hanno partorito al loro arrivo dei bambini non voluti?
Sai cosa significa mangiare un pezzo di pane in 24 ore e vedere un pezzo di formaggino come fosse oro?
Ti è mai capitato di fare i tuoi bisogni dentro un secchio e davanti agli occhi di centinaia di persone?
Ti è mai capitato di avere le mestruazioni e non poterti lavare per settimane o mesi?
Ti è mai capitato di essere messo all’asta e venduto come uno schiavo nel 2020?
Ti è mai capitato di nutrire tuo figlio con the zuccherato e spacciarlo per latte?
Ti è mai capitato di essere picchiato a sangue perché chiedi l’intervento di un medico?
Ti è mai capitato d’essere fucilato per colpa di uno sguardo di troppo?
Ti è mai capitato di svegliarti con le urine versate in faccia?
Ti è capitato che qualcuno ti aprisse il corpo con un coltello e mettesse subito dopo del sale per sentire maggiormente le tue urla?
Per tutti questi motivi…caro razzista…ti posso classificare tra i criminali che hanno accettato un secondo Holocausto
-Nawal Soufi-

E figuriamoci se poteva mancare il mantra dell’olocausto. A questa ammucchiata di idiozie risponde da par suo Giovanni Bernardini.

Giovanni Bernardini 

RISPOSTA AD UNA DEMAGOGA

Val la pena di fare un piccolo sforzo e leggere questa “lettera aperta” ad un “fratello razzista”. L’autrice sostiene in sostanza che la Libia è un enorme mattatoio dove è in corso un nuovo (ennesimo) genocidio. Pertanto, logica conclusione, dobbiamo aprire le porte ai “profughi” ed accoglierli tutti, senza se e senza ma.
Vediamo di capirci qualcosa.
Procedo per punti al fine di essere sintetico.
1) In gran maggioranza coloro che arrivano dalla Libia NON sono libici. In Libia ci sono entrati. Non mi risulta che molti ebrei entrassero nella Germania nazista, neppure a scopo di transito.
2) La Libia è nella commissione ONU per i diritti umani, la stessa che condanna un giorno sì e l’altro pure Israele per i suoi (molto) presunti “crimini”, fra gli applausi di chi sostiene che dobbiamo accogliere tutti coloro che dalla Libia “fuggono”.
3) Nel mondo esistono miliardi di persone che soffrono angherie di vario tipo e la fame. Che fare? Si devono trasferire tutte in Europa, meglio, in Italia? È serio, è realistico spopolare enormi aree del mondo ed affollarne altre sino all’inverosimile? Una politica simile risolve i problemi dei paesi poveri? O non ha come conseguenza la rovina sia dei paesi poveri che di quelli relativamente ricchi? Basta fare la domanda per avere la risposta.
4) Anche se sono leciti i dubbi dò per scontato tutto ciò che la lettera descrive. In Africa ci sono regimi immondi che commettono crimini orribili, è vero. Ma non sarebbe bene combatterli, questi regimi? La fuga di massa contribuisce forse alla fine delle tirannie corrotte?
5) Anche la più corrotta delle tirannie ha bisogno di un certo consenso di massa per non collassare. In Libia è in corso una guerra civile. Le parti in lotta non godono di alcun sostegno di massa? Non direi. I vari governi africani tirannici e corrotti non godono di alcun sostegno popolare? È ridicolo il solo pensarlo. Si pone allora la domanda: CHI arriva qui da noi? Le vittime o i sostenitori di certi governi? O non arrivano più semplicemente giovanotti che sperano in una vita migliore qui da noi?
6) La stragrande maggioranza di chi sbarca in Italia è costituita da musulmani. Nell’Islam, lo sanno tutti, sono reati da punire anche con la morte l’adulterio, l’omosessualità, la apostasia, la bestemmia. CHI sbarca in Italia proveniente dalla Libia? Adultere che fuggono dalla lapidazione? Gay, apostati, bestemmiatori, liberi pensatori che cercano di salvarsi dal capestro? O non arrivano invece persone che ritengono “normale” lapidare o frustare una adultera, impiccare un gay, decapitare un apostata o un libero pensatore? Di nuovo, basta fare la domanda per avere la risposta.
7) Qualcuno si ricorda di Asia Bibi? Una cristiana pakistana condannata A MORTE per aver “bestemmiato”. In realtà non aveva bestemmiato, fu assolta, dopo 10 ANNI di carcere. Mezzo Pakistan si riversò sulle strade chiedendo la sua impiccagione. Moltissimi musulmani risiedenti in Gran Bretagna chiesero che alla poveretta NON venisse concesso asilo politico. Val la pena di ripetere la domanda: CHI, oltre ai giovanottoni in cerca di una vita migliore, arriva, in maggioranza, da noi? I perseguitati o i persecutori? Risponda la demagoga che ha compilato la “lettera aperta al fratello razzista”.
Tanto basta.

Riporto una seconda risposta.

Milena Todesco 

Caro immigrato che prendi il barcone ed entri a casa mia senza chiedere il permesso, ho sentito una sfracca di volte certi ‘ben pensanti’ paragonare la tua situazione a quell’ATROCITA’ che il mio Popolo ha vissuto in passato. Li ho sentiti darmi in continuazione della fascista/nazista – solo perché non voglio essere invasa.
Lascia che spieghi a loro e te perché certi paragoni mi hanno rotto le palle e perché NON ACCETTO di essere chiamata ‘fascista’.
———————————————————————————-
Al tempo in cui c’erano Hitler e Mussolini, la mia gente non veniva da lontano, come te, e non cercava in alcun modo di soppiantare le tradizioni cristiane dell’Europa, con le nostre. Eravamo normali cittadini tedeschi, italiani, polacchi, francesi, spagnoli con una religione diversa dalla maggioranza, ma sempre rispettosi della Patria. Operosi. Grandi lavoratori.
Siamo stati traditi spesso dal vicino di casa cristiano, quello che ci salutava ogni mattina, con un sorriso.
Ci hanno tolto ogni libertà, del lavoro, del diritto allo studio, del pensiero politico. Ci hanno impedito di spostarci, hanno controllato chi frequentavamo. E tutto questo solo perché esistevamo.
Poi ci hanno presi, con la forza dalle nostre case, mandati in carcere da innocenti, stipati come acciughe su carri bestiame, privati di ogni dignità umana e perfino del nome. ERAVAMO NUMERI. E poi uccisi, nei modi peggiori, che non ti voglio dire, caro immigrato con l’i-phone nuovo. Ci odiavano perché eravamo nati.
———————————————————————————-
Io non ti odio perché hai un colore di pelle diverso dal mio.
Non ti odio perché chiami D-o con un altro nome.
Non ti odio perché sei nato.
Non voglio strapparti la dignità, la libertà di movimento, né il nome.
Se venissi in pace, saresti mio fratello.
Ma visto che vieni a portare caos, distruzione, illegalità, violenza, misoginia, terrore, maleducazione… Userei ogni mezzo per cacciarti da casa mia.
Ti prego, caro immigrato, di non osare paragonarti mai più agli ebrei… NO!
Shalom e addio. L’Italia è casa mia, non è il tuo porcile.

E due parole le voglio dire anch’io, tra le righe.

Ciao “fratello” razzista – Ciao cara. Spero che non ti offenderai se non ti chiamo sorella.
Vuoi sapere perché i migranti – clandestini ragazza, si chiamano clandestini – non vogliono essere riportati in Libia?
Ok
Ti risponderò con delle domande
Ti è mai capitato di violentare tua madre perché qualcuno ha il fucile puntato contro di te e contro di lei? Uno che è pronto a violentare sua madre per essere lasciato vivere un po’ più a lungo dovrebbe suscitare la mia solidarietà?
Ti è mai capitato di violentare tua sorella e di vedere nascere tuo figlio dalla pancia di tua sorella?
Sai quanti figli di scafisti abbiamo in Europa? – Cioè stai dicendo che le donne che arrivano sono tutte sorelle degli scafisti?
Cioè sai quante donne hanno partorito al loro arrivo dei bambini non voluti? – Nove mesi per attraversare il Mediterraneo?! Ellamiseria!
Sai cosa significa mangiare un pezzo di pane in 24 ore e vedere un pezzo di formaggino come fosse oro? – Ho controllato: una scatola di Bel Paese Galbani da otto formaggini costa 1,49€, cioè un formaggino 18 centesimi, un pezzo di formaggino, facciamo un terzo di formaggino, diciamo 6 centesimi: e uno che ha speso migliaia di euro per pagare la traversata vede come oro una roba da 6 centesimi?
Ti è mai capitato di fare i tuoi bisogni dentro un secchio e davanti agli occhi di centinaia di persone?
Ti è mai capitato di avere le mestruazioni e non poterti lavare per settimane o mesi? – In effetti no, non ho mai avuto mestruazioni durate settimane o addirittura mesi.
Ti è mai capitato di essere messo all’asta e venduto come uno schiavo nel 2020? – No: non vivo in una popolazione musulmana, io!
Ti è mai capitato di nutrire tuo figlio con the zuccherato e spacciarlo per latte? – Nel senso che raccontano al figlio che quello è latte e il figlio – neonato, suppongo, visto che viene nutrito col latte – crede che sia latte. O che altro?
Ti è mai capitato di essere picchiato a sangue perché chiedi l’intervento di un medico? – Qualche caso concreto?
Ti è mai capitato d’essere fucilato per colpa di uno sguardo di troppo? – Sinceramente non credo che ci siano in circolazione molte persone in grado di raccontare di essere state fucilate. Tu lo sei stata?
Ti è mai capitato di svegliarti con le urine versate in faccia?
Ti è capitato che qualcuno ti aprisse il corpo con un coltello e mettesse subito dopo del sale per sentire maggiormente le tue urla? – Scusa cara, ma se in Libia fanno tutte queste cose orrende, mi spieghi perché diavolo ci vanno?
Per tutti questi motivi…caro razzista…ti posso classificare tra i criminali che hanno accettato un secondo Holocausto – Cioè, quelli scelgono di andare in Libia, in Libia gli fanno tutto sto po po di roba, e i criminali saremmo noi?! Ma tu hai il baco nel cervello ragazza mia. Curati, che sei messa male ma proprio male forte.

Poi c’è giustamente anche chi commenta che

Quella del tozzo di pane e del formaggino è epica: quando arrivano in Italia succede questo. Qui ci metto solo questa immagine, giusto per gradire,

ma se cliccate ne trovate anche delle altre. Poi direi che ci sta bene anche questa osservazione,

e sono anch’io convinta che

barbara

INSOMMA, IO BISOGNA CHE LO DICA

e poi sarà quel che sarà: cicciobello “guardate-quanto-sono-figo”
BHL
Bernard-Henry Lévy è un mastodontico pezzo di merda e una mastodontica testa di cazzo. Ecco, adesso mi sento decisamente meglio. Ho cominciato a pensarlo quando ha aderito a JCall, filiale europea di JStreet, organizzazioni sedicenti filoisraeliane, fautrici del BDS, finanziate, tra gli altri, da Richard Abdoo, membro dell’Arab American Institute, da Genevieve Lynch, membro del National Iranian American Council, dall’avvocato Nancy Dutton, già rappresentante dell’ambasciata saudita a Washington, dal National Iranian American [informazioni prese qui] e – sorpresa sorpresa – dal signor Soros [informazione presa qui]. Ho continuato a pensarlo in numerose occasioni nel corso degli anni.  Ne ho avuto la conferma definitiva, se mai ne avessi avuto bisogno, quando ho letto che è andato provocatoriamente in mezzo ai jihadisti libici che, inaspettatamente, gli hanno detto brutte parole come sporco ebreo, che veramente chi mai avrebbe potuto immaginare che facessero una cosa simile, povero cicciobello. Potrebbe bastare? A me sì, a cicciobello no, e così ha la brillante idea di venire a dare lezioni di democrazia in casa nostra. Al governo che ha avocato a sé tutti i poteri, che ha licenziato il Parlamento, cancellato la Costituzione, legiferato per decreto personale come, se non peggio, le peggiori dittature, che ha messo in galera 60 milioni di cittadini innocenti e stabilito multe, per una passeggiata solitaria sulla battigia o una vogata altrettanto solitaria a centinaia di metri dalla riva, multe, dicevo, degne di un’aggressione a mano armata? Ma neanche per sogno! Con l’opposizione, se l’è presa, all’opposizione ha spudoratamente impartito lezioncine di democrazia, il marxista ammiratore del ripugnante pedofilo Sartre, all’opposizione che vorrebbe quelle democratiche elezioni che il governo da un anno impedisce con tutte le proprie forze. E non dovrei dire che è un mastodontico pezzo di merda? Non dovrei dire che è una mastodontica testa di cazzo? Glielo dico sì che glielo dico, e lo mando anche affanculo. E poi gli faccio dire un paio di cosine anche da quest’altro signore.

Quell’arrogante francese che ci offende in diretta tv

Che il virus renda folli, come recita l’ultimo pamphlet del filosofo francese Bernard-Henri Lévy, ce l’ha fatto ben capire il suo autore protagonista – lunedì sera – di un borioso testa a testa con Matteo Salvini nel corso del programma di Nicola Porro Quarta Repubblica su Rete4. Reduce da un viaggio in Libia dove è stato accolto al grido di «uccidi il cane ebreo» e salutato con festose raffiche di kalashnikov ad altezza d’uomo il filosofo ha preferito però concentrarsi su «xenofobia, nazionalismo e sovranismo» mettendo sotto accusa i «barbari» italiani colpevoli di dar la caccia ai migranti «diventati i principali untori del coronavirus». Insomma per l’ex nouveau philosophe il principale problema non è il contenimento di un morbo responsabile della morte di 35mila nostri concittadini, ma la protervia «sovranista» di chi vorrebbe bloccare i migranti infetti bollandoli come possibile causa di una seconda ondata di contagi. In preda a un delirio auto-referenziale il cui unico obiettivo sembrava la conquista delle fila anti-salviniane [che però sarebbero file: le fila sono un’altra cosa. Abbiate pazienza, ma l’italianista che è in me, a questi obbrobri reagisce sempre con acuti crampi allo stomaco] e la vendita di qualche copia in più Henri Lévy è arrivato a liquidare come «terribili ignobili e vergognose» le parole del sindaco di Lampedusa Totò Martello, già simbolo dell’accoglienza solidale e progressista. La colpa imperdonabile del povero Totò, trasformato in icona della peggior xenofobia, è quella di spiegare come i pescatori tunisini, oltre a traghettare migranti a pagamento, gettino le reti nelle acque territoriali di Lampedusa sottraendo pesci e proventi ai loro colleghi italiani. Una verità chiaramente illustrata nel reportage della brava Lodovica Bulian sottotitolato in francese per renderlo comprensibile anche all’ospite francese. Ma per l’indispettito Lévy quelle riprese non contano nulla. Anzi è «vergognoso mostrare immagini di questo genere come se rappresentassero l’opinione del popolo italiano». [perché lui lo sa qual è l’opinione del popolo italiano, urca se lo sa!] Insomma per il presunto campione del pensiero liberale d’oltralpe sarebbe meglio non far vedere – ovvero censurare – un servizio colpevole di «stigmatizzare e individuare come problema qualche barchetta che viene a pescare al largo delle coste italiane». Che quelle barchette abbiano scaricato un terzo dei 12mila migranti arrivati quest’anno – dopo i 600mila sbarcati dalla fine del 2013 – è ça va sans dire irrilevante. I veri problemi degli italiani li conosce un filosofo pronto a dipingere l’Italia come un Paese piegato da mafia e terrorismo e pronto a vendersi a Putin. Un Paese che – come ripete Lévy rivolgendosi a Salvini – «senza l’Europa sparirebbe dalla mappa dell’Europa e dell’economia». «Voce del sen fuggita» – verrebbe da dire visto che l’Italia durante il contagio ha subito il blocco delle forniture sanitarie e ha dovuto attendere cinque mesi per veder abbozzata la promessa, ancora virtuale, del Recovery Fund. Ma per sfortuna degli spettatori di Quarta Repubblica, abituati a dibattiti più pertinenti e informati, la performance del filosofo francese non si ferma là. La vera ciliegina arriva alla fine quando il «filosofo» spiega sotto gli sguardi sconcertati di Porro, che soltanto grazie ai migranti potremo trovare cure e vaccino contro il Covid 19. «Senza immigrazione maghrebina e africana non c’è ricerca e non si troverà mai un vaccino o una cura contro il Covid» ripete l’invasato Lévy citando l’infettivologo di Marsiglia Didier Raoult più famoso, in verità, per aver curato il Covid con la clorochina. «Quindi – conclude – se in Francia o in Italia si troverà un vaccino bisognerà dire grazie ai migranti». A quel punto Henry Lévy avrà anche conquistato qualche lettore anti-salviniano, ma Salvini, in compenso, ha moltiplicato i propri voti.

Gian Micalessin, qui.

Peccato che non l’abbia spiegata quella cosa del vaccino grazie al maghrebini e agli africani: sicuramente migliaia di scienziati, ma che dico migliaia, centinaia di migliaia di milioni di miliardi di scienziati sarebbero accorsi a pendere dalle sue turgide labbra sensuali per riceverne il Verbo. E rivaffanculo, va’.

Quanto al sovranismo, non sarebbe male ricordare che dal 1861 l’Italia è uno STATO SOVRANO, e fino a quando non verremo commissariati, o colonizzati da una potenza straniera, continuiamo a essere uno STATO SOVRANO, con confini internazionalmente riconosciuti e il sacrosanto diritto di difenderli. Alla faccia di chi sputa parole a vanvera.

barbara

I PARAGONI DI GAD LERNER

Il pezzo che segue è di nove anni fa. È firmato da Emanuel Segre Amar, ma si tratta in realtà di un lavoro a quattro mani: essendo stato inizialmente concepito come articolo per Informazione Corretta, la mia firma non poteva comparire, pena il cestinamento automatico dell’articolo. Precauzione inutile, come leggerete subito sotto.

LETTERA APERTA A GAD LERNER

Questa lettera aperta avreste dovuto leggerla nella home page di Informazione Corretta, ma per decisione unanime dell’Unico Signore e Padrone di Informazione Corretta, è stata prima censurata, poi, dopo robusta presa di posizione dell’autore, pubblicata nel ripostiglio, ben nascosta in mezzo a un’ammucchiata di altre lettere con tutt’altro destinatario, scompaginata e priva di link. Quindi l’unica versione integrale e fedele all’originale attualmente reperibile è quella che avete davanti agli occhi.

Signor Gad Lerner,
ho letto il suo articolo “L’Exodus rovesciato” – con grande patimento a causa del suo contenuto. Sono riuscito comunque ad arrivare alla fine, e vorrei commentare alcune (solo le più gravi, perché altrimenti questa lettera non finirebbe più) sue affermazioni.
Cominciando dal titolo: “Exodus rovesciato”, che mi induce a rivolgerle una domanda: lei sa che cos’era l’Exodus, signor Lerner? Ne conosce la storia? Perché se la conoscesse saprebbe che Exodus rovesciato sarebbe stato se Israele avesse impedito agli abitanti di Gaza di andarsene da quel paese martoriato dai terroristi di Hamas. Ma sulle navi, ed in particolare su quella ricoperta da una grande bandiera turca, vi erano dei terroristi armati, e non dei profughi in fuga. Sull’Exodus c’erano ebrei sopravvissuti dai campi di sterminio, sulla Mavi Marmara vi erano terroristi intenzionati a fare sterminio di ebrei: capisce la differenza?
Passiamo ora all’incipit: “proviamo un senso di vergogna”. No, signor Lerner: nessuno le ha dato mandato di parlare a nome degli ebrei, quindi, per favore, se ha opinioni da esprimere o posizioni da prendere, lo faccia in prima persona. Prima persona singolare, intendo dire.
E proseguiamo. “Arrembaggio dilettantesco… una delle pagine più oscure nella storia di Tzahal”, scrive subito dopo, tentando di spacciare un’opinione di parte per un dato di fatto. Ma le cose non stanno affatto così. Questa azione condotta da Tzahal, al contrario, resterà nelle pagine della moralità dello Stato di Israele che, coerentemente con gli altissimi valori etici che da sempre guidano le sue azioni e le sue scelte, ha ordinato ai primi uomini di scendere disarmati, pur conoscendo i gravissimi pericoli cui li esponeva. Se colpe si devono imputare a chi ha organizzato l’operazione, sono caso mai queste, non certo quelle per le quali lei sembra avere già deciso la sentenza, senza neppure avere la decenza di ascoltare, prima, tutte le parti in causa.
“Sconfitta morale”? “Senso di colpa”? Ero in Israele, in questi giorni, e tra la gente non ho trovato traccia di questi sentimenti: lei dove è andato a scovarli?
Andiamo avanti. Lei scrive che questa azione “spezza l’equilibrio strategico mediorientale in cui la Turchia rivestiva una funzione di stabilità”. No, signor Lerner: la Turchia ha smesso di avere quel ruolo e quella funzione da quando al governo è arrivato il partito islamico, e ha scelto di avere, al contrario, una funzione destabilizzante da quando il presidente Obama ha iniziato a fare di tutto per spingerla in quella direzione. Dica, signor Lerner, non le viene il dubbio che la scelta turca di appoggiare questo attacco militare in piena regola contro Israele non sia propriamente una dimostrazione di equilibrio strategico? E non è sfiorato dal sospetto che sull’attuale situazione di squilibrio e di crisi possa avere giocato un qualche ruolo l’Iran?
E poi mi spieghi, per favore: perché, per criticare il ministro Ayalon, incaricato di dare spiegazioni, non trova di meglio che rievocare un episodio di cinque mesi fa? Forse perché non ha argomenti migliori? Io, per esempio, l’ho incontrato proprio martedì scorso, e le impressioni che ne ho ricavato sono totalmente opposte alle sue.
E poi: “la Freedom Flottilla dei pacifisti” e “l’iniziativa umanitaria”; ma lei li ha visti, signor Lerner? Ha visto le foto delle armi? Ha visto i filmati del selvaggio attacco ai soldati israeliani, disarmati o quasi, con bastoni, spranghe di ferro, biglie d’acciaio, bottiglie rotte, coltelli? Ha visto i lanci di granate? Ha visto il soldato scaraventato giù dal ponte? Li ha visti intonare, il giorno prima, il grido di battaglia con l’incitazione ad ammazzare gli ebrei? E li chiama pacifisti? Ma lei ha un’idea, signor Lerner, di che cosa significhi la parola pace? Ed è al corrente della proposta del padre di Gilad Shalit di appoggiare la loro azione in cambio di una loro richiesta di far visitare Gilad dalla Croce Rossa? Non ha chiesto loro di liberarlo, signor Lerner, non ha chiesto che pretendessero di incontrarlo, non ha preteso, in cambio del proprio appoggio, che ottenessero di farlo visitare dalla Croce Rossa: ha proposto che lo chiedessero. Hanno risposto di no. Le ripropongo la domanda: lei ha un’idea di che cosa significhi la parola pace? E, mi permetto di aggiungere: ha un’idea di che cosa sia la decenza? Dovrebbe vergognarsi, signor Lerner, altro che dare lezioni di moralità a Israele!
Ancora: la “fragile” leadership di Netanyahu, l'”angoscioso senso d’accerchiamento vissuto dagli israeliani”… Ma con chi diavolo si incontra, lei? È sicuro di essere stato in Israele? È sicuro di avere parlato con degli israeliani?
E mi dica, signor Lerner, lei che è grande stratega, lei che ha la soluzione in pronta consegna chiavi in mano, lei che a differenza dello “sprovveduto” Ehud Barak sa perfettamente che bastava “limitarsi a bloccare fuori dalle acque territoriali il convoglio ostile”, perché non è andato a dirglielo, magari spiegandogli anche come si fa a  mettere in atto questa soluzione così semplice – perché lei lo sa, vero, come si fa a bloccare fuori dalle acque territoriali un “convoglio ostile” pieno di gente armata fino ai denti e pronta a battersi all’ultimo sangue…?
Ma ancora, dopo tutte queste perle, ancora tuona Gad Lerner, ancora non è contento*, vuole salire ancora più in alto, vuole toccare l’empireo e allora eccolo parlare dei “troppi simboli dolorosi nel paese che coltiva la memoria dei sopravvissuti alla Shoah quasi alla stregua di una religione civile”, e a questo punto le dico, con tutta tranquillità: lasci perdere questo argomento che dimostra di non aver compreso. Mi limito a ricordarle che in Israele solo il suo amico Barenboim ha osato suonare Wagner che avrebbe dovuto restare tabù, nonostante la sua grandezza artistica, almeno fino alla morte dell’ultimo sopravvissuto. Lei, come Barenboim, dimostra di non comprendere questo dramma collettivo. Capisco, signor Lerner, che la sensibilità, se uno non ce l’ha, non se la può dare, ma il rispetto, almeno il rispetto, credo si possa chiedere a chiunque. E rispetto, in certe circostanze, significa una cosa sola: SILENZIO. Se ancora non lo ha  imparato, sarebbe ora che cominciasse a provvedere.

Quasi tutta l’ultima parte è dedicata al suo incontro con gli “ebrei d’origine italiana” scrivendo, con evidente autocompiacimento, di non essere stato attaccato da loro. Non sospetta quale possa esserne il motivo? Glielo rivelerò io, signor Lerner: gli ebrei che più amano Israele non vengono ad ascoltarla perché sanno già, parola per parola, quello che lei dirà, e quelle parole non hanno alcuna voglia di ascoltarle, perché hanno già infinite occasioni di sentirle, identiche, da tutti i branchi di odiatori di Israele e di  antisemiti che popolano l’intero pianeta: non muoiono dalla voglia di scomodarsi a uscire di casa per sentirne delle altre. Quindi, per favore, non spacci il comportamento di chi è venuto a sentirla per la posizione tipica degli ebrei italiani che vivono in Israele: non lo è, e noi sappiamo perfettamente che non lo è. La verità è piuttosto che lei, come coloro che hanno creato J call e J street, è uno di quegli ebrei, che sempre, purtroppo, ci sono stati, che alzano la voce per portare divisioni, alla lunga sempre funeste. Ma non siete moderati, non siete sionisti, se, pur di fare mucchio, accettate le firme di personaggi inqualificabili per qualsiasi persona di buon senso (vuole dei nomi? Non credo che sia necessario…).
E tutti insieme non avete capito nulla di quanto succede in Medio Oriente, non avete capito che gli arabi non vogliono uno stato di Palestina accanto alla stato di Israele (Arafat 1988 le dice qualcosa? Se non le dice nulla, cerchi di capire il significato di tutte quelle carte che mostrano una Palestina dal Giordano al mare. Cerchi di capire il significato delle trasmissioni “culturali”, di quelle per bambini e ragazzi, che la moderata televisione del pacifista Abu Mazen trasmette regolarmente. E se le rimane qualche minuto libero, cerchi di dare un’occhiata alla costituzione di al Fatah, in cui sono tuttora presenti tutti gli articoli che dichiarano la distruzione di Israele obiettivo primario e  irrinunciabile). Le assicuro che, se non capisce, sono pronto a venire da lei a spiegarglielo personalmente. A quel punto capirà che non è stato commesso da Israele nessun “crimine marittimo”, e forse capirà anche che parlare di Intifada come “rivolta interna degli arabi col passaporto israeliano” è un non senso storico. Anzi, se preferisce, glielo faccio spiegare da qualche suo collega arabo israeliano, come Khaled Abu Toameh, che certamente avrà l’onestà di spiegare ai suoi ascoltatori quella verità del Medio Oriente che da decenni lei e i suoi compagni continuate pervicacemente a negare. E a quel punto spero che avrà la correttezza di ammettere che Israele non “degrada nel disonore”, e che “l’epopea dell’Exodus” non sta “facendo naufragio”.
E per concludere, un’ultima domanda, al “democratico” Lerner: gli USA “auspicano un ricambio di maggioranza politica” in Israele? È questo, secondo lei, il modo corretto di  gestire i rapporti tra stati amici ed indipendenti? Non pensa che, se  davvero così stanno le cose, il popolo israeliano e tutti coloro che hanno a cuore la sua sorte avrebbero tutti i motivi per essere indignati e arrabbiati? Che cos’è Israele, uno stato sotto tutela? È questo il suo concetto di democrazia, signor Lerner?
Emanuel Segre Amar

*

Incorreggibile recidivo, Gad Lerner, nella sua pretesa di parlare a nome degli ebrei tutti. Lo aveva già fatto – ricordate? – nella lettera aperta a Magdi Allam che, nel suo “Viva Israele” celebrava, tra l’altro, l’ebreo finalmente, grazie allo stato di Israele, capace di difendersi e di sfuggire al destino che altri vorrebbero cucirgli addosso. In quell’occasione il Nostro rivendicava orgogliosamente, a nome degli ebrei, il diritto di continuare a farsi portare come pecore al macello. E ora, investendosi di un mandato che nessuno gli ha dato, continua, a nome degli ebrei, a sputare veleno su Israele con lo stesso rabbioso livore con cui sputa veleno su suo padre. Ma stia attento, signor Lerner: a sputare controvento – contro il proprio vento – c’è il rischio di ritrovarsi spiacevolmente imbrattati.

Del paragone attuale si occupa invece Giovanni Bernardini.

PARAGONI INDECENTI

In Libia è in corso una nuova Shoah, dice Gad Lerner.
Certo, non passerei le mie vacanze in Libia. Del resto sono decenni, se non secoli, che l’Islam è traversato da continue guerre civili, e non per colpa dell’occidente.
Ma qualsiasi tipo di paragone con la Shoah è semplicemente INDECENTE.
Ormai è di moda banalizzare tutto, paragonare cose non paragonabili, definire “genocidio” qualsiasi episodio di guerra. La Libia ha un governo riconosciuto dalla comunità internazionale, un governo con cui anche Minniti ha trattato e firmato accordi. Era complice di un genocidio?
Ma, a parte ogni altra considerazione, qualcuno riesce ad immaginare che gli ebrei nel 1943 ENTRASSERO in Germania, o in Polonia?
Qualcuno riesce ad immaginare che durante la dittatura di Pol Pot ENTRASSERO in Cambogia centinaia di migliaia di persone provenienti da altri paesi asiatici?
Riusciamo ad immaginare gente che ENTRASSE nella Russia di Stalin o nella Cina di Mao, sia pure a scopo di transito?
In Libia arrivano “profughi” da mezza africa e dal medio oriente. Vanno proprio là dove sarebbe in corso un genocidio. E, stranamente, una volta entrati in Libia partono alla volta dell’Italia e dell’Europa. E’ in corso un genocidio ma nessuno impedisce alle vittime di andarsene tranquillamente. Esattamente lo stesso comportamento di Hitler, di Stalin, di Pol Pot, di Mao. Lo sanno tutti: dalla Germania nazista era facilissimo fuggire, come dalla URSS staliniana, dalla Cambogia dei Kmer rossi o dalla Cina di Mao. Per inciso, a suo tempo Gad Lerner fu ammiratore della Cina di Mao. Oggi vede un genocidio in Libia, NON VIDE il massacro di milioni di contadini cinesi.
Anche avere la faccia tosta è un diritto, ma tutti i diritti andrebbero esercitati con moderazione.

Io ho un’unica definizione per Gad Lerner: una brutta persona. E non mi si venga a dire che ogni essere umano merita rispetto: col piffero che rispetto quello là.

barbara

LE MORTI IN MARE

Chiariamo una cosa. La morte in mare di emigranti non è causata dalla chiusura dei porti italiani disposta da Salvini. È causata dal tentativo degli scafisti di farglieli riaprire.
Basta una semplice constatazione. Gli scafisti prendono 5.000 euro da ogni persona che mettono sui gommoni. Nell’anno di punta, in Italia sono entrati 180.000 clandestini. A 5.000 euro a testa, fanno 900 MILIONI DI EURO ALL’ANNO.
(E ha poco senso obiettare che qualcuno paga SOLO 3.000 euro. Si tratta comunque di non meno di mezzo miliardo l’anno. E al calcolo sfuggono gli “sbarchi fantasma”).
Di fronte a una misura che da un momento all’altro azzera i suoi vertiginosi guadagni, pensate che la mafia degli scafisti si ritiri in buon ordine? Che faccia spallucce e rinunci ad accumulare miliardi? Se lo pensate, non continuate a leggere. Il vostro livello intellettuale è quello di un’ameba, non potreste capire.
Se invece avete un’intelligenza superiore a quella di un’ameba, capirete che l’unica risposta possibile alle domande precedenti è NO.
Che cosa possono fare gli scafisti per riavviare il loro lucroso commercio di schiavi? Semplice, fare leva sull’arma più efficace a loro disposizione: il ricatto morale. Un’arma usata dai sequestratori, dai terroristi e da tante altre personcine ammodo.
Il trucco è elementare: si aumentano i morti in mare, così l’opinione pubblica, che subisce ogni giorno un profondo e capillare lavaggio del cervello da parte di chi, a sua volta, ricava ingenti vantaggi dall’invasione africana, mette in relazione i morti con la chiusura dei porti. Chiudono i porti, aumentano gli annegati: quindi la chiusura dei porti fa annegare la gente. Post hoc, ergo propter hoc.
I naufragi avvengono a 6 chilometri dalle coste libiche e a 450 chilometri da quelle italiane. Solo un imbecille potrebbe mettere in relazione diretta di causa-effetto i due eventi sopra richiamati. Se i gommoni sono in difficoltà appena partiti dalla Libia, perché dovrebbero essere portati a 450 miglia di distanza? E da chi, poi? Le acque territoriali libiche sono giustamente pattugliate dalle motovedette libiche, che ovviamente, dovendo mettere in salvo persone, li portano sulla costa più vicina, quella libica.
Ma questo elementare ragionamento è troppo difficile per i cervelletti sinistri, pieni di segatura centrifugata dalla propaganda di chi è in combutta morale e materiale con gli scafisti.
A costoro sfugge la verità lapalissiana: un naufragio a 6 chilometri dalla costa non è un evento casuale, dovuto alla sfortuna, e che possa essere prevenuto solo allineando navi ONG davanti alla Libia. È un evento voluto e accuratamente preparato. Si mettono in mare gommoni da 50 posti, stipati con 400 persone, e per giunta si lasciano nei loro serbatoi due gocce di benzina. I morti sono cercati, sono programmati, in quanto necessari al compimento del piano criminoso degli scafisti. Quei morti servono a esercitare un ricatto morale: “Ah, vuoi rovinarci chiudendo i porti? E noi ammazziamo sempre più gente per addossartene la colpa. Alla fine dovrai cedere, dovrai riaprire i porti e farci riprendere i nostri traffici di carne umana da un miliardo l’anno”.
Il cinico e spietato calcolo poggia sulla dabbenaggine, sull’immensa stupidità di chi è abituato a bersi tutte le panzane del Pensiero Unico di sinistra, da anni divulgato dalla dittatura dell’informazione, che ha fatto fuori dalle TV tutti i giornalisti non allineati.
È troppo difficile, per chi da tempo immemorabile ha rinunciato a esercitare il benché minimo spirito critico, rendersi conto che gli scafisti trattano i trasportati come merce. Gli agricoltori, quando il prezzo delle arance crolla, ne mandano tonnellate al macero: così le rimanenti acquistano valore. Gli scafisti si comportano allo stesso modo: la loro merce umana non rende più? Ne ammazzano qualche decina di migliaia di capi, per riaprire il mercato; e per giunta fabbricano foto taroccate con bambolotti bianchi spacciati per bambini africani; con gente a faccia in giù nell’acqua, che dovrebbe essere annegata, ma muove braccia e gambe perché non sa fare il morto a galla. Tutta l’industria del falso foto-cinematografico (ben nota col soprannome di PALLYWOOD) viene messa in moto. E immancabilmente ci sono persone che abboccano come pesci all’amo. Non si tratta solo di stupidi. Magari sono anche in gamba nel loro lavoro, ma quando si tratta di propaganda politica, fosse anche la più marcia e inverosimile, perdono la ragione. E li vedi sospirare e lacrimare per finti morti. E li vedi puntare il dito su chi viene ricattato, mai sul ricattatore.
Supponiamo (è come fare un disegnino, per farlo capire a chi proprio non ce la fa) che un delinquente sequestri un bambino e venga da te puntando una pistola alla tempia del bambino; e poi ti dica: “Se non mi dai un milione di euro, faccio saltare il cervello al bambino”. Tu non gli dai il milione, e lui spara. Di chi è la colpa della morte del bambino? Secondo la logica della sinistra è tua, perché non hai ceduto al ricatto morale del delinquente. Si rifiutano di riconoscere che l’unico colpevole è il sequestratore assassino. Sono incapaci di riflettere che, quand’anche tu avessi ceduto al ricatto, il giorno dopo sarebbero arrivati due rapitori con due bambini e due pistole, e il giorno dopo ancora ne sarebbero arrivati quattro. Fino a spogliarti di ogni avere, fossi pure l’uomo più ricco del mondo. Nel frattempo avrebbero comunque ammazzato qualche bambino, per metterti pressione.
Per la sinistra è colpevole chi non cede al ricatto, non chi ricatta. Con la stessa logica, dovrebbero dire che chi non paga il pizzo è un assassino, se la mafia gli ammazza il fratello.
Con la logica della sinistra, non è colpevole chi fa un traffico schifoso, immondo, di carne umana. Non è colpevole lo scafista, né la ONG, che collabora con gli scafisti, organizzando il trasbordo degli schiavi, né le Onlus che prendono 5 miliardi all’anno dallo Stato italiano per arricchirsi sulla pelle dei clandestini. Meno che mai, poi, è colpevole il PD, che a partire dall’operazione Mare Nostrum ha moltiplicato per 10 questa migrazione di massa.
Questa incoerenza logica ha la sua radice nell’ipocrisia più verminosa di un PD assetato di potere. Dato che gli italiani non lo votano più, allora sostituiamoli con gli africani, che per riconoscenza lo voteranno, appena sarà loro regalata la cittadinanza. Che poi gli italiani siano costretti a vedere bivacchi ovunque, che non si sentano più sicuri di uscire di casa per non incappare in qualcuno che li rapina, li stupra, li accoltella, li uccide; o per paura di trovare la casa occupata da chi pensa che ormai l’Italia è roba sua; tutto questo non ha alcuna importanza. Gli italiani possono crepare, tanto non votano più PD.
Per smascherare gli sciacalli, come si vede, basta fare due più due. Lo possono fare tutti. Ma gli sciacalli continueranno a diffondere le loro proterve menzogne. Loro, i veri schiavisti e razzisti. Perché da decenni hanno in mano le leve per manipolare l’opinione pubblica. Che, se apre gli occhi, non è perché qualcuno l’abbia fatta ragionare. È perché ha sbattuto il muso sulla realtà, si è fatta male, e da allora crede più ai propri lividi che alle panzane.”

Enrico Casaburi (che non ho idea di chi sia, ma di sicuro è uno che sa far funzionare la testa)

Concludo con questo delizioso video

(traduco riassumendo dalla nota che accompagna il video) Siamo davanti alla costa libica, e la guardia costiera libica si accinge a “salvare” gli occupanti di un gommone. Guardateli: tutti uomini, e il gommone fermo, non tenta neppure di muoversi, semplicemente aspettano di venire recuperati da una delle due navi di una Ong spagnola che fino a poco prima (prima che arrivasse la guardia costiera libica) erano state nelle vicinanze pronte a raccoglierli.

Di sicuro nessuno può immaginare che quella gente abbia pensato per un solo momento di accingersi ad attraversare il Mediterraneo.

barbara

QUELLO CHE SOPRATTUTTO SORPRENDE

A proposito del post sulla denuncia dei crimini palestinesi da parte di un palestinese, la cosa che stupisce è che lo abbiano lasciato parlare.

Qualcuno ricorderà sicuramente la vicenda del medico palestinese Ashraf El Hagog e delle cinque infermiere bulgare accusati in Libia di avere infettato col virus HIV 426 bambini, incarcerati per otto anni durante i quali sono stati sottoposti a torture e a maltrattamenti di ogni genere e infine processati e condannati a morte – vicenda sulla quale anche l’immarcescibile Massimo D’Alema, l’equivicino per antonomasia, all’epoca ministro degli Affari Esteri, ha voluto dire la sua. Sospesa la pena ed espulsi i “reprobi”, nell’aprile del 2009, durante una riunione del solito UN human rights council presieduta – tenetevi forte – dalla Libia, il consueto osservatore per UNwatch Hillel Neuer, esattamente come nel caso di Mosab Hassan Yousef, cede il posto a qualcun altro: al medico Ashraf El Hagog che, trattandosi di una seduta finalizzata alla denuncia di violazioni dei diritti umani, incarcerazioni arbitrarie, torture eccetera, è sicuramente il più titolato a parlare. E questo è ciò che succede (NOTA: anche in questo video, come nel precedente, quello che è importante capire si capisce perfettamente anche senza capire una sola parola di inglese):

Pur penalizzato da un inglese piuttosto incerto, è riuscito bene o male a dire quello che aveva da dire, ma con quanta fatica! Quanti sforzi sono stati fatti per fermarlo! Evidentemente le violazioni dei diritti umani vanno denunciate, ma non se a perpetrarle è un Paese arabo; i palestinesi godono di tutti i diritti e di tutta la comprensione di questo mondo, ma non se parlano per denunciare qualcuno che non sia Israele. Per questo mi sorprende che Mosab Hassan Yousef sia stato lasciato parlare fino alla fine. Chissà, forse sarà stato il travolgente crescendo rossiniano a bloccarli. O forse non c’era la Libia a presiedere la seduta.

barbara

OGGI AVRESTI COMPIUTO 70 ANNI

 e invece è più di un quarto di secolo che te ne sei andato.

(se la vuoi leggere, vai qui)

Poi bisogna assolutamente leggere questa

NEW YORK 1987

Lettera aperta al Colonnello Gheddafi letta a New York in occasione del 10′ Convegno Internazionale degli Ebrei di Libia

Ci sono paesi disamati dalla storia. Incapaci di offrire ai loro popoli, contro un misero presente, la consolazione di un glorioso passato. Incapaci perfino di trarre profitto dalle loro disgrazie, di trasformare gli oltraggi subiti in leggende esportabili. Paesi che, privi di un fiume per benedire le loro terre, di un eroe per difenderle, di un poeta per cantarle, sono affetti da anonimato cronico.
Il paese in cui son nato è fra questi. Prima che il suo nome fosse propulso nel cielo dei media, dai capricci congiunti del petrolio e di un tiranno, quest’immenso territorio non è stato, per 2.000 anni, che una fabbrica di dune. Uno zero, un’amnesia, un sacco di sabbia sventrato e disperso su 1.759.000 chilometri quadrati di mancanza d’ispirazione del Creatore, una sala d’aspetto immemorabile dove non ha mai degnato fermarsi il treno di un’epopea, un vuoto, soffocante e torrido che separava, come una punizione, l’Egitto della Tunisia. Oggi ancora, benché l’afflusso di petrodollari gli abbia permesso di passare dall’oscurità all’oscurantismo, questo paese resta, agli occhi del mondo, l’anticamera delle Piramidi, il retrobottega dei gelsomini. Culturalmente parlando: il parente povero dell’Islam.
Il Colonnello lo sa. Anzi ne è così conscio che dopo aver importato i migliori architetti d’Occidente per tracciare audaci prospettive in questo gigantesco piatto di couscous spazzato dai venti e centinaia di artigiani dall’Oriente per ornarne i volumi ancora freschi di bassorilievi, rosoni, mosaici e vetrate – ha tentato di appropriarsi della storia dei suoi vicini, con proposte di matrimonio di un’insistenza patetica, generalmente rifiutate, o seguite da immediati divorzi.
Arrenditi all’evidenza, Colonnello. Né la tua bella faccia da antagonista, né il pennacchio dei tuoi pozzi, né le scie dei tuoi “mirage” in cieli non tuoi, né il tuo vivaio di terroristi riescono a trattenere a lungo l’attenzione del nostro mondo distratto. Una forza centrifuga maledetta fa svaporare il beneficio dei tuoi misfatti, come l’acqua dei tuoi “wadi”, impedendo alla tua periferia di trasformarsi in centro. Malgrado i tuoi sforzi, questo paese resta senza viso, come i tuoi sicari, e senza voce, come in passato.
A volte, quando il tuo sorriso gallonato mi sorprende, appeso ad un’edicola, mi congratulo con te, da lontano, per aver saputo una volta ancora risorgere dal sabbioso oblio al quale ti condanna il destino. E, forse per smussare il tuo perforante sguardo, o l’interminabile diga dei tuoi denti, mentre mi compro con 2.000 lire la tua testa da adulto, ti immagino bambino, sì, m’invento nostalgie da fratello maggiore e ti vedo, lupacchiotto di quattordici anni, disteso, la sera nella tua stanzetta, con l’orecchio al transistor, che ascolti esaltato la voce di Nasser, il cui carisma saturato ti arrivava dal Cairo, e ti sento esclamare, fra due incitazioni del Rais alla guerra santa “anch’io, un giorno, come lui!”
Il tuo sogno: aggiungere un nuovo capitolo, a tuo nome, nel Grande Libro dell’Islam. Ma Allah è grande, caro cugino, e nella sua immensa saggezza, deve aver deciso che era meglio riservare al tuo paese, che fu un tempo il mio, il ruolo esaltante di “antiporta”, cioè la pagina bianca che precede il testo, e che tale resta, se una dedica non viene ad abitarla
L’unico inconveniente è che tutte le popolazioni che vi hanno vissuto, nei secoli, hanno subito lo stesso destino di “cancellazione”. Cominciando dalle minoranze etniche o religiose, berbere, cristiane ed ebraiche, che chiamaste “dhimmi”, cioè cittadini “protetti”. Delicato eufemismo per dire ostaggi in attesa di conversione. Essere l’oppresso di un potente offre a volte vantaggi culturali: catene d’oro, tempo per piangere, ecc. Essere l’oppresso di un oppresso, nessuno. Ebrei di un paese senza luce, fummo gli ebrei più spenti del Mediterraneo.
Privi di quel prestigio di riflesso di cui godono, di solito, i domestici dei grandi Principi, e di cui godettero, almeno una volta durante il loro esilio, tutte le altre comunità. La nostra storia fu così negata, sepolta, per tanti secoli, che senza il libro dello storico Renzo De Felice, Ebrei in un paese arabo, un libro splendido, voluto con tenacia quasi mistica da un fratello della nostra comunità, di questa non resterebbe più, oggi, traccia, né, domani, ricordo. Infatti, dopo aver assaggiato come tutte le consorelle un menù di umiliazioni di una varietà squisita: massacro alla romana, alla mussulmana, alla spagnola, segregazione alla maltese, all’ottomana, leggi razziali nazi-fasciste, e per finire, pogrom post-bellici, compiuti dai nostri fratelli arabi sotto l’occhio dei nostri tanto attesi liberatori britannici, la mia comunità fu pregata di lasciare il paese l’indomani della Guerra dei sei giorni, meno i suoi morti, trattenuti per portare il loro contributo alla Rivoluzione, mediante ossa e lapidi le quali, debitamente frantumate dai bulldozer, sono servite da base a un’importantissima autostrada costruita d’urgenza per collegare il nulla al nulla, e a due giganteschi alberghi per un turismo tuttora inesistente. Così, io, Ebreo senza più radici né memoria, ho aperto il libro ed ho scoperto

  • che la nostra presenza in Libia risaliva a più di 2.170 anni;
  • che precedeva quindi non solo l’invasione araba, ma anche quella romana;
  • che, bellicosi e fedeli al nostro Dio, contro l’esercito romano ci eravamo sollevati, appena avuta notizia della caduta del tempio di Gerusalemme;
  • che quella sommossa ci era valsa decine di migliaia di vittime, ma anche una lapide in latino che riferisce il fatto, e senza la quale non sapremmo che fummo una così antica e coraggiosa comunità

Ma questa è storia, dicevo girando le pagine, storia che fonda la mia legittimità, ma non basta, io voglio di più, io… io non sapevo cosa volessi, ma lo trovai. A pagina 41.
Un censimento della popolazione ebraica di Tripoli.
Il primo della nostra storia. Effettuato da Giuseppe Toledano, capo della comunità, nel 1861, e miracolosamente scampato ai falò del Colonnello. E cominciarono a sfilare sotto i miei occhi, debitamente numerati:

  • 1 Rabbino capo
  • 17 Rabbini
  • 11 Studenti, e poi tornitori, droghieri, tavernieri, sterratori, sarti, macellai, scrivani, chiromanti, levatrici, facchini, donne e bambine, malati e mendicanti, in tutto: 4.500 abitanti.

Che il professar De Felice sia ringraziato per questo documento. Avevo finalmente sotto gli occhi la prova, inconfutabile che gente del mio sangue era effettivamente vissuta, lì, fra le dune e il mare, colmando, di generazione in generazione, la mitica voragine che separava nostro padre Abramo da mio nonno, Abramo anche lui. Certo non erano i poeti matematici filosofi e medici che fiorivano i giardini della Spagna mussulmana, e curavano i mal di testa dei califfi illuminati, ma era pur sempre la mia famiglia, o perlomeno il perimetro sociale entro il quale senza dubbio alcuno, si era mossa. Mi misi dunque a trascrivere questa lista a mano, sicuro che uno dei miei sarebbe passato, presto o tardi, sotto la mia penna. E questo modesto rito bastò a far sì che il vapore dei ricordi si condensasse dietro ai miei occhiali, che si mettesse a piovere, a distanza, su quella striscia di asfalto dove i miei morti giacevano prigionieri, che questa scoppiasse, che un albero ne uscisse, coronato di foglie, popolato di uccelli.
Il mio albero genealogico, per approssimazione.
Chi potrà più dire l’odore delle pelli e la loro lucentezza, ai tempi in cui il sapone si chiamava olio di mandorle? La magrezza indiana dei bambini, il carbone dei loro sguardi, quel modo così arabo di essere ebrei che avevano gli ebrei di Trablous. Donne prosperose o gracili, vestite di sete rigate, cangianti, la vita cinta in quadroni d’argento, le teste avvolte nei foulards i quali, scivolando cento volte al giorno sulle loro spalle, scoprivano capigliature corvine o rosso hanna, e ondulate come il mare visto dai terrazzi Odore di cammun, di felfel, di atar e gelsomino, fiori e febbri, spezie e sudori, correnti d’aria fritta o di orina nei cortiletti di quel dedalo scalcinato che era la Hara, il nostro ghetto [Hara, in arabo, significa merda, ndb]. E i turbini di mosche intorno agli occhi degli asini fatalisti, la polvere di loukhoum sul naso dei bambini buoni, e i capretti appesi nei giorni di mercato, le montagne di cipolle viola, di datteri lucenti, di peperoni dai colori fluorescenti; e i polli che venivano comprati vivi, e portati via tenuti dalle zampe, come mazzi di fiori, per essere uccisi in casa, secondo le regole, in fondo ai giardinetti miseri, – due gerani, un ramoscello di menta, un oleandro, la cui acida linfa, ad ogni fiore colto, vi si attaccava alle dita
Chi potrà più raccontare la severità, la misericordia, dei nostri vecchi barbuti, in turbante, Fez, Bertila o Arrakyia, secondo l’epoca, dottori della legge dalle mani nodose, dalle unghie di corno, dalla pelle scavata dal tempo, ceppi della fede giudaica ancorati, loro malgrado, in questa terra tanto più amata e tanto più esiliante che somigliava troppo alla patria perduta: come una lacrima a una goccia di pioggia.
Divina monotonia del cielo azzurro; stesse palme trionfali cariche di munizioni d’oro, stessi tramonti rapidi, che insanguinavano di sole morente i talleth dei nostri padri, riuniti a dieci per la preghiera della sera, sui balconi; stesse notti crivellate di stelle, stelle così vicine che il canto dei grilli sembrava la loro voce; notti di rugiada, che facevano gonfiare i cocomeri a scatti, imitando il gracidare dei ranocchi; albe di madreperla che li vedevano già in piedi, i nostri vecchi, con gli occhi di uva passa, a volte di uva verde, volti a Gerusalemme, per rendere grazie al Signore di questo nuovo giorno, che autorizzava loro a sperarne un altro e un altro ancora fino al giorno tanto atteso del ritorno alla Terra promessa; sposando, giudicando, benedicendo e morendo in quell’attesa, – mai completamente però, perché i loro figli, messi al mondo in quantità prodigiose (se non sono io, saranno loro, se sono tanti, uno vivrà, se sopravvive avrà dei figli e dagli occhi di uno di loro, finalmente, vedrò il muro. Paradossalmente, questa razza di individualisti non si considera come alberi di una foresta, ma come foglie di un medesimo albero, e, precisamente, la palma: ogni foglia è figlia e madre del tronco, ed è grazie a quelle che muoiono che l’albero cresce) perché i loro figli, dicevo, messi al mondo in quantità prodigiose, davano loro il cambio, prendevano cioè lo scialle e il Libro e si mettevano a vivere, pregare, procreare e morire a loro volta in attesa della partenza. Ma di cosa si lamenta? Dirà il Colonnello sotto la sua tenda. Voleva partire, l’abbiamo lasciato partire. Certo, ci hai perfino incoraggiati a farlo, spogliando i pochi pazzi, ancora attaccati alla loro terra, dei loro beni e dei loro diritti. Ma stai tranquillo, non è per nostalgia che ti scrivo. Non faccio parte di quei poveri infelici che per rivivere la loro infanzia tripolina vanno a passare le vacanze a Tunisi. Perché se c’è qualcosa che rifiuto di assumere, è proprio la catastrofica illusione della somiglianza, cioè, quella distanza, infima eppur vertiginosa, che separa la lacrima dalla goccia di pioggia, esattamente come quando, perduto in un souk, cerchi tua madre, la vedi, urli il suo nome, si gira e non è lei. lo, quando la chiamo, si gira ed è sempre lei: Gerusalemme, e quando voglio, ci vado.
Se ti scrivo, è per dirti che la nostra comunità è viva, che cresce e prospera, che si è rifatta, hamdullah. Perché avendo perso tutto non aveva altra scelta se non avanzare. Noi siamo come le api, Colonnello, se il padrone del campo ci ruba il miele a Settembre, lo rifacciamo in fretta, prima dell’inverno, e se continuiamo a punzecchiarti con le nostre richieste di risarcimenti è meno per interesse che per dignità, per ricordarti il tuo debito ma soprattutto la tua perdita. Siamo produttori di beni, materiali e morali, lo siamo sempre stati e tu lo sai, perché il lavoro non ci fa paura, perché il lavoro per noi non è mai stato punizione, bensì espressione, anzi, benedizione. La prova, dopo un mese nei campi-profughi di Latina e Capua, i nostri hanno abbandonato le baracche e sono partiti in cerca di lavoro, e l’Italia, che dandoci rifugio e cittadinanza ha creduto di farci la carità, si è ben presto accorta di aver fatto un investimento. Tu invece, come tutti i governanti del nuovo mondo arabo, hai voluto lavar via gli ebrei dal tuo tessuto sociale. Ne hai corroso le fibre: commercio, artigianato, agricoltura, professioni liberali, tutto si è dissolto, è volato via come sabbia nel Ghibli e tutta l’esperienza che comprate all’Occidente non potrà sostituire l’esperienza antica che avevamo noi di voi, noi, la cui vocazione è stata, da sempre, la comunicazione: fra gli esseri, i gruppi, le etnie, le discipline, i principi, gli stati, le civiltà. Vocazione che fu indispensabile alla grandezza dell’islam, dell’impero russo, di quello ottomano, della Germania prenazista, e che avrebbe potuto fare la tua, se tu l’avessi voluto. Pensa, cugino, era nato perfino un trovatore su questo pezzo d’inferno che governi. Con l’amore inspiegabile, quasi perverso degli ebrei per le terre matrigne che li hanno adottati, avrebbe potuto fabbricare ali ai tuoi re, ai tuoi eroi, ai tuoi santi e martiri per mandarli a dire al mondo che il tuo paese esiste. Avrebbe potuto cantarlo, il tuo deserto, con parole che avrebbero fatto cadere in petali questa rosa delle sabbie che hai al posto del cuore.
Ma Allah, che è grande e vede lontano, ha voluto, per tua mano, farci partire, affinché io andassi a cantare i miei canti sotto altri cieli, e che la tua nazione potesse proseguire, come in passato, il suo esaltante compito: essere la pagina vuota del Grande Libro dell’Islam.

Shalom ve Salam

Herbert Avraham Haggiag Pagani

E infine la Lettera ai fratelli, ultimo suo atto pubblico prima della morte.

barbara

CARMINE PASCIÀ (CHE NACQUE BUTTERO E MORÌ BEDUINO)

Tre anni dopo, il fante Carmine Iorio era ancora lì. A chiedersi quanto tempo ancora sarebbe passato prima che il regio esercito italiano, che non gli aveva mai dato una licenza («Mai, signor tenente!») per tornare da sua madre e da Lorenzina, lo liberasse finalmente dal giogo che lo teneva schiavo «come il bove è schiavo dell’aratro». A domandarsi che senso c’era a stare lì, dopo avere amaramente scoperto che la Libia era sabbia, sabbia, sabbia. E non era affatto «la terra promessa» con «mezzo milione di chilometri quadrati coltivabili» e «grano che matura tre o quattro volte l’anno».
Se lo ricordava bene, il giorno in cui a Verona il sergente Gagliasso, un acceso nazionalista cuneese, aveva tirato fuori di tasca un giornale ritagliato: «Sentite cosa scrive il grande Giuseppe Bevione. Sentite cosa scrive, della Libia: “Ho veduto gelsi grandi come faggi, ulivi più colossali che le querce. L’erba medica può essere tagliata dodici volte all’anno. Gli alberi da frutta prendono uno sviluppo spettacoloso. Il grano e la meliga danno, negli anni medi, tre o quattro volte il raccolto dei migliori terreni d’Europa coltivati razionalmente. L’orzo è il migliore che si conosca ed è accaparrato dall’Inghilterra per la sua birra. Il bestiame prospera, e anche nello spaventoso abbandono odierno, è esportato a centinaia di migliaia di capi per Malta e l’Egitto. La vigna dà grappoli di due o tre chili l’uno. I poponi crescono a grandezze incredibili, a venti e trenta chili per frutto. I datteri sono i più dolci e opimi che l’Africa produca!”. Oh, dico, lo scrive Bevione! Mica uno qualsiasi! Bevione! Della “Stampa” di Torino! Che penna! Che penna!».

È un gioiello, come tutto ciò che esce dalle mani di Gian Antonio Stella, siano saggi storici o denunce degli immani sprechi della pubblica amministrazione, critiche ai politici (sia di destra che di sinistra: Stella non guarda in faccia nessuno, quando c’è da tirar bastonate) o articoli,  romanzi o racconti. Questa di “Carmine Pascià” è la storia vera, leggermente romanzata ma rigorosamente documentata, di Carmine Iorio,
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buttero analfabeta del profondo Sud, mandato a conquistare la Libia per la gloria dell’Italia, una vita semplice travolta e stravolta da una politica di cui niente sapeva e niente capiva. E se non lo avete letto, secondo me dovreste provvedere. Sul serio.
Post scriptum: anch’io, se fossi stata lì a quel tempo, sarei stata dalla parte di Omar al-Mukhtar.
carmine-pascia
Gian Antonio Stella, Carmine Pascià (che nacque buttero e morì beduino), Rizzoli

barbara

ONU VERSUS ISRAELE

La notizia l’abbiamo letta venerdì: l’Onu (sorpresa sorpresa!) condanna Israele. E non solo condanna, ma addirittura invoca il boicottaggio. Vero che vi suona nuova? Vero che una cosa così non ve la sareste mai aspettata? Beh, è successo, fatevene una ragione. Poi magari, se oltre che una ragione, volete farvene anche un’idea, andate a leggere questo. E poi guardatevi questo articolo di sei anni e mezzo fa che ho ripescato fuori per voi: ne vale la pena, ve lo garantisco.

La campagna dell’Onu contro Israele
intervista a Hillel Neuer, presidente di UN Watch
Testata: Agenzia Radicale
Data: 18 giugno 2007
Pagina: 1
Autore: Elena Lattes
Titolo: «UN Watch per monitorare l’ONU»
Da AGENZIA RADICALE del 18 giugno 2007:

A prima vista può sembrare un ragazzino poco più che ventenne, ma quando lo si sente parlare ci si accorge di tutta la sua competenza e maturità; Hillel Neuer è il presidente dell’associazione UN Watch, una ong, creata nel 1993 da Morris Abram – già rappresentante statunitense all’Onu e vecchio collaboratore di Martin Luther King – con sede a Ginevra, il cui scopo è monitorare l’operato delle Nazioni Unite e denunciarne le ingiustizie commesse, raccontando ai mass media cosa succede all’interno delle sessioni e obbligando i funzionari a rendere conto del loro operato.
In occasione di una sua visita a Roma, l’abbiamo incontrato per capire cosa non va e perché.
Neuer parte dagli anni ‘70 quando i Paesi arabi, all’indomani della sconfitta nella Guerra del Kippur, si resero conto del loro fallimento nel conquistare Israele militarmente e decisero quindi di spostare la guerra sul piano diplomatico e propagandistico.
Non a caso, infatti, nel 1975 fu approvata dall’Assemblea Generale la risoluzione che equiparava il Sionismo al razzismo. Sebbene sia stata poi abolita nel 1991, lo spirito permane tuttora ed il Sionismo rimane l’unico movimento di autodeterminazione di un popolo ad essere discriminato.
La Commissione dei Diritti Umani è la sezione che più risente di doppiopesismo, essendo formata da 53 Paesi, tra cui alcune delle peggiori dittature presenti oggi nel mondo: Cuba, Sudan, Cina, Arabia Saudita. Basti pensare che ogni anno si riunisce per emanare 10 risoluzioni di condanna di cui 5 soltanto per Israele, mentre le altre vengono dedicate a cinque dittature, tra le quali naturalmente non figura nessun Paese arabo.
Ogni ordine del giorno presenta principalmente due punti, il primo riguarda la violazione dei diritti umani in 192 Paesi, il secondo la violazione dei diritti umani “nei Territori Occupati”, laddove non si tratta del Tibet occupato dai cinesi, dei protettorati delle ex colonie europee, del Kashmir o di qualunque altra zona del mondo che rivendica la propria autonomia, ma soltanto di quelli palestinesi.
In poche parole, quindi, questa Commissione sorvola brevemente su tutti i Paesi, focalizzando la sua attenzione soltanto su Israele e ignorando oculatamente tutte le aggressioni da parte araba e palestinese.
Due anni fa Kofi Annan decise che la Commissione non funzionava e la trasformò in un Consiglio, le cui caratteristiche negative, però, permangono tuttora. I due relatori speciali, lo svizzero Jean Ziegler e il sudafricano John Dugard non hanno mai mancato l’occasione di attaccare Israele.
Il primo in tutto il 2004 visitò soltanto i Territori sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, ignorando gli altri 800 milioni di affamati nel mondo e nel 2005 in un rally propalestinese a Ginevra paragonò Gaza ad un campo di concentramento e gli israeliani ai nazisti.
In un’altra occasione affermò che gli Stati Uniti “sono una dittatura imperialista colpevole di genocidio a Cuba” per aver imposto l’embargo.
Nel 1989 collaborò col dittatore libico nell’istituire il “Premio Muhammar Gheddafi per i diritti umani” in contrasto con il Premio Nobel per la pace, considerato da lui troppo occidentale e nel 2002 lo vinse insieme al negazionista francese Garaudy.
Gli altri vincitori, neanche a dirlo, sono Chavez, Fidel Castro, il capomafia Mahadi Mohammad, Farrakhan.
Quando l’estate scorsa Hamas, entrando in Israele da Gaza, rapì Gilad Shalit, uccidendo anche altri soldati, John Dugard cominciò il suo discorso esprimendo la sua simpatia per il rapito. Per un istante tutti si meravigliarono, finché egli non aggiunse che esprimeva quella sua simpatia per tutti i giovani “costretti a servire uno Stato di apartheid”.
Grazie alle denunce di Un Watch nel 2003 Ziegler fu indagato per la prima volta. Naturalmente non ne uscì nessuna condanna, grazie alla maggioranza dei Paesi che lo difesero, ma per un anno almeno, fu costretto a comportarsi meno scorrettamente. E perfino Kofi Annan si vide obbligato a prendere le distanze dalle sue affermazioni. Era la prima volta che l’Onu metteva in discussione un suo esperto.
La responsabilità di tutte le ingiustizie ovviamente non ricadono soltanto su questi due esponenti, se si pensa che nel marzo scorso lo stesso Hillel Neuer fu minacciato dal presidente della Commissione, Luis Alfonso de Alba di non essere più ammesso a parlare perché aveva osato far notare che nel mondo c’erano tragedie ben più grandi dell’“occupazione israeliana”, compresa la guerra intrapalestinese che allora era solo all’inizio, ma che già aveva causato diverse decine di morti in un tempo assai breve [qui video e trascrizione della seduta in questione, ndb].
Purtroppo la serata è stata breve e Neuer non ha avuto la possibilità di illustrarci altri esempi, ma per chi fosse interessato può consultare il sito dell’organizzazione.

Poi eventualmente, giusto per tenere la memoria in esercizio, si può ridare un’occhiata qui e qui.
nientedinuovo
barbara