MISCELLANEA 2

Molto mista e molto sparsa.

La signora Ilhan Omar, tanto per cominciare. Ne avrete sicuramente sentito parlare: è quella bellissima signora somala
Ilhan Omar
(quello somalo è oggettivamente uno dei popoli più belli del mondo) eletta nelle file del partito democratico, negli Stati Uniti. Viene definita afroamericana, ma il termine è abbastanza improprio, in quanto si riferisce normalmente ai discendenti degli schiavi africani mentre in realtà, esattamente come per Obama, col piffero che l’avrebbero eletta se fosse discendente di schiavi. È nata a Mogadiscio, e magari l’avrò anche vista, bimbetta di cinque-sei anni, nel corso dei miei due semestri lì. Magari potrebbe anche essere stata figlia di qualche mia studentessa. Per inciso c’è un dettaglio interessante nella sua biografia: quando aveva dieci anni, in Somalia è iniziata la terribile guerra civile che per molti anni ha devastato l’intero Paese, che ancora da quella tragedia non si è ripreso. È iniziata la guerra, dicevo, e la sua famiglia è scappata e si è rifugiata in un campo profughi in Kenia, ossia appena passato il confine. Perché chi scappa dalla guerra, chi scappa veramente dalla guerra, non si sposta di diecimila chilometri, non attraversa mari e deserti: chi scappa veramente dalla guerra passa il confine e si ferma lì. Ma non è di questo che volevo parlare. Il motivo per cui la signora Ilhan Omar è salita agli onori della cronaca è il fatto che un giorno sì e l’altro pure si lancia in poderose invettive anti israeliane e antisemite. E succede che a qualcuno sia venuta l’idea di volerla criticare, e qui arrivo al punto, al motivo per cui mi sono messa a parlare di lei: lo sapete perché la criticano? Scommetto di no, e quindi ve lo dico io: la criticano perché è donna, nera e musulmana. Unicamente per questo; a lei, per lo meno, sembra non venire in mente nessun altro motivo per cui a qualcuno potrebbe venire la bizzarra idea di volerla criticare.

Poi c’è Martina Navratilova, la famosa ex tennista, omosessuale dichiarata da decenni, sposata da alcuni anni con la sua compagna storica. Ha detto che non è giusto che i trans competano come donne dato che, qualunque cambiamento abbiano operato sulle forme del loro corpo, restano geneticamente uomini, con muscolatura da uomini, con forza da uomini, e quindi le “altre” donne sono automaticamente destinate a essere sconfitte. Riuscite a trovare qualcosa di sbagliato in queste parole? No, eh? Beh, si è scatenato un finimondo planetario ed è stata cacciata dall’associazione pro-lgbt. E non può non venire in mente la mitica Loretta.

Poi c’è Padre Antonio César Fernández,
Antonio Cesar Fernandez
salesiano spagnolo ucciso dai jihadisti in Burkina Faso. A parte le pubblicazioni religiose, ne ha parlato unicamente Libero.

Poi c’è la TAV che è meglio non farla perché se no lo stato ci rimette le accise sulla benzina. Per cui giustamente
accise
Poi c’è il presidente tedesco Steinmeier che si congratula con l’Iran per i 40 della Rivoluzione islamica.
Steinmeier
Pisciando allegramente su esecuzioni di massa, torture, persecuzione delle donne e delle minoranze, drammatica riduzione della comunità ebraica passata da 65.000 a 8.000 persone, persecuzione dei cristiani, forche per i gay, uccisione di centinaia di dissidenti e scrittori anche all’estero, negazione dell’Olocausto (niente, la Germania il vizio non lo perderà mai).

Poi ci sono i partigiani, quelli che settantacinque anni fa combattevano in montana per liberare l’Italia dal nazifascismo (poi magari c’erano anche quelli che si occupavano piuttosto di far fuori i partigiani cattolici e quelli monarchici, ma non è il caso di sottilizzare: Porzus dopotutto è uno sputo di paesucolo di ventisei abitanti, perché mai ce ne dovremmo ricordare?) e che baldi e indomiti, oggi come allora combattono per liberare l’Italia
partigiani
(dagli italiani?).

Poi c’è l’antisemitismo che cresce a manetta
antisem-Francia
antisem-Germania
antisem-UK
e che sta facendo fuggire gli ebrei dall’Europa a decine di migliaia: dove? In Israele, soprattutto. Non è fantastico? Più si accaniscono sugli ebrei col pretesto di Israele, e più arricchiscono Israele di braccia e di cervelli!

E poi c’è Finkielkraut,
Finkielkraut aggredito 1
il cui caso dimostra come non mai quanto sia vero che l’abito non fa il monaco. Perché sarà pur vero che indossano, i suoi aggressori, i gilet gialli, ma il fatto è che quelli che gli urlano “sporco ebreo” e “la Francia è nostra” sono inequivocabilmente arabi. E musulmani. Girando per la rete però ho scoperto una verità che a noi sprovveduti era sfuggita, ma che a quelli che tengono sempre gli occhi ben aperti è risultata subito chiara: “L’ATTACCO” CONTRO ALAIN FINKIELKRAUT RIVELA IL NOCCIOLO DURO DEL POTERE SIONISTA IN FRANCIA (no, il link non ve lo metto, perché non voglio regalargli clic). Il nesso per la verità mi sfugge un pelino, ma dev’essere una faccenda più o meno come quella della Shoah che non è mai esistita e comunque se la sono fatta gli ebrei da soli per i loro loschi fini. E dunque più gli ebrei vengono attaccati, più si dimostra irrefutabilmente la loro luciferina potenza. Prima di chiudere il discorso vorrei soffermarmi ancora un momento su questa immagine di Finkielkraut al momento dell’attacco,
Finkielkraut aggredito 2
che mi ricorda in modo impressionante l’ultima immagine di questo video, già una volta proposto in passato.

Tremate, tremate, le belve son tornate.

barbara

QUELLA FACCIA DA RAGAZZINO

Quella faccia da ragazzino, che in uno stato di zen assoluto canta il proprio inno nazionale sapendo che nessun microfono lo catturerà, ma sapendo anche che tutte le telecamere disponibili ne guarderanno il labiale. Ecco un’immagine che ha qualcosa di iconico, e allo stesso tempo di assurdo. Il video di Tal Flicker ha fatto il giro del mondo nel fine settimana: lui sta in piedi sul podio più alto del Gran Slam di Abu Dhabi senza bandiera e perfino senza le iniziali ISR sulla maglietta, con il commentatore sportivo che dice che Tal gareggia per la Federazione (e non invece per Israele), e poi esita un attimo e annuncia l’inno della Federazione che parte fuori tempo. Il tutto è già ridicolo fin qui. Ma quando le telecamere comunque inquadrano il vincitore con la medaglia d’oro al petto, che sta chiaramente cantando qualcos’altro, e cioè l’Ha-Tikva, l’effetto è un assurdo che nessun Jonesco e nessun Beckett avrebbero mai potuto allestire. Come se Israele non stesse per compiere settant’anni (fra poco più di sei mesi). Come se non fosse mai nata. Come se quel ragazzino dalla faccia zen non fosse in potenza una quarta generazione, nata nello Stato ebraico. Con la sua sola presenza lì, a quella gara, scardina tutta la messa in scena fatta per annullare la sua nazionalità. Ma gli Emirati Uniti preferiscono coprirsi di ridicolo con una sceneggiata che va contro il tempo e contro la ragione, per non dire contro la diplomazia internazionale e contro la stessa International Judo Federation che aveva richiesto che i contendenti israeliani fossero trattati egualmente, e quindi secondo la loro nazionalità, anche sul podio. Ma sorpresa, in barba agli Emirati i social media lo hanno premiato, probabilmente anche per la compostezza. Ha fatto di più una faccia zen di mille comunicati ufficiali allarmati, insultati, offesi. Questo Tal Flicker farà strada, dopo il Judo sarebbe bello vederlo al ministero degli esteri che non è ai suoi massimi storici.
Daniela Fubini, Tel Aviv (Moked, 30 ottobre 2017)

La battaglia della Turchia che ha tentato in tutti i modi di non fare ammettere Israele, la battaglia di Abu Dhabi che l’ha fatta gareggiare ma mascherata, mimetizzata e silenziata, la battaglia di tutto il mondo arabo che da sempre esclude Israele da ogni competizione raccogliendo succube obbedienza in varie parti del mondo, Italia compresa, è la sorella gemella della battaglia di Stan:

barbara