QUEL NONNO GIOVANILE DI CUI AVEVA BISOGNO L’AMERICA

Come l’ha definito Beppe Severgnini, l’intelligente, l’acuto, il perspicace, il fine osservatore politico, quello che capisce tutto: guardatelo e ascoltatelo in tutta la sua brillantezza! Biden. Il demente. Il pedofilo. Quello della corruzione in grado di fare concorrenza a quella di Hillary Clinton. Quello degli affari sporchi (molto sporchi) con l’Ucraina. Quello che si addormenta e russa mentre l’interlocutore parla. Quello che scorreggia negli incontri ufficiali. Quello che ha distrutto il confine meridionale e fatto invadere gli Stati Uniti da clandestini, spesso affetti da covid. Quello che ha fatto affondare l’economia provocando un’inflazione da record e un picco di disoccupazione. Quello del disastro afghano. E se la maggior parte delle cose che ho ricordato sono venute dopo, la demenza, caro Severgnini, c’era anche prima. La pedofilia, caro Severgnini, c’era anche prima. La corruzione, caro Severgnini, c’era anche prima. Gli affari sporchi in Ucraina, caro Severgnini, c’erano anche prima.
E ora vediamo un altro paio di cosette.

Svelati i legami della famiglia Biden con la Cina.

Sean Hannity ha elogiato l’ultimo libro di Peter Schweizer, “Red-Handed: How American Elites Get Rich Helping China Win” come “fenomenale” e “da leggere assolutamente” durante un’intervista con l’autore nell’edizione di martedì del suo omonimo show radiofonico.
Hannity ha detto che avrebbe fatto una “serie di interviste” con Peter Schweizer, presidente del  Government Accountability Institute ed ospite del Drill Down oltre ad essere un collaboratore  senior  di  Breitbart News, “per arrivare in fondo a tutta” la documentazione del libro che espone la corruzione delle élite americane rispetto al Partito Comunista Cinese (PCC).
Red-Handed esamina come la strategia del governo cinese della “cattura dell’élite” prenda di mira figure di spicco degli Stati Uniti nel mondo degli affari, dello spettacolo, della politica e della tecnologia. Il PCC si procura influenza e complicità con tali figure attraverso lo sviluppo di relazioni finanziarie.
Il libro di Schweizer documenta un caso di un membro dell’élite del PCC che “se la ride” per il compromesso del governo cinese con Joe Biden.
Hannity ha dichiarato: “Tu parli di una scena. Tu fornisci anche una data. Era il 28 novembre 2020, solo poche settimane dopo le elezioni presidenziali americane, e di come apertamente parlino dell’accesso che ora hanno ai più alti livelli del governo degli Stati Uniti, e letteralmente, i membri del politburo [e] gli ambasciatori stanno quasi ridendo del fatto che – fondamentalmente – hanno compromesso il più alto funzionario eletto degli Stati Uniti d’America“.
Schweizer ha risposto:
“Questo è stato in un incontro a Pechino che si è tenuto poco dopo le elezioni. Un accademico, che è stato anche coinvolto in alcune operazioni di influenza straniera negli Stati Uniti a Washington, D.C., si è alzato di fronte a questo gruppo [di élite cinesi] ed ha parlato di tutti gli amici che Pechino ha ora negli Stati Uniti, ed ha parlato di Wall Street – e naturalmente ho un capitolo nel libro sui titani di Wall Street che sono intimi amici di Pechino – ma a due terzi del discorso dice: “Oh, e abbiamo il figlio del nuovo presidenteHunter Biden, che ha avviato tutte queste imprese. Chi lo ha aiutato ad avviare tutte queste attività?”
“È una scena incredibile, perché questa grande folla di centinaia di alti dirigenti cinesi e funzionari governativi inizia a ridere. Sanno la risposta, ed è davvero straordinario.”
“Questo non è un libro [potremmo] arrivare in fondo [se gli] dessimo tutte le tre ore del nostro show”, ha detto Hannity del nuovo libro di Peter Schweizer Red-Handed.
Schweizer: “Pechino ha potere” sulla famiglia Biden – “Questo richiede un’indagine.
Il collaboratore senior di Breitbart News Peter Schweizer ha detto martedì ad “Hannity” della Fox News che la Cina, la Russia e l’Ucraina hanno anche “assolutamente” informazioni compromettenti  sulla  famiglia  di Joe Biden.
Schweizer ha detto: “Quello che abbiamo scoperto è che circa 31 milioni di dollari sono stati dati alla famiglia Biden da cinque individui provenienti dalla Cina“.
Ha continuato: “Questi individui hanno tutti legami con i più alti livelli dell’intelligence cinese. Così quella che è stata una storia di corruzione e clientelismo è sempre più una storia di spionaggio, spionaggio e di sicurezza nazionale”.
Schweizer ha aggiunto: “Questo richiede un’indagine. Non si tratta solo di politici che ricevono denaro dal loro ufficio”.
Sean Hannity ha chiesto: “Questo dossier su Hunter, e sapevano essere un tossicodipendente. Gli piaceva assumere donne lavoratrici della notte – Lo diremo in questo modo. Lei crede che con tutta probabilità, e che le possibilità siano molto alte, per cui la Cina, la Russia, l’Ucraina, e molti di questi paesi abbiano  compromesso la famiglia Biden?
Schweizer ha detto: “Ohassolutamentenon c’è dubbio. Guarda, se il ministero cinese per la sicurezza dello stato sta cercando di impegnarsi nella ‘cattura dell’élite‘, come la chiamano loro, con i Biden e sono stati forniti 31 milioni di dollari, lo vedrebbero come un fallimento catastrofico dell’intelligence se non avessero ottenuto almeno una leva sulla famiglia Biden. Questo è ciò che rende questo così preoccupante e che richiede un’indagine, perché se non lo facciamo, il presidente sta per basare le decisioni sui suoi interessi finanziari familiari, e sul fatto che Pechino abbia una leva sulla sua famiglia“.
Il collaboratore senior di Breitbart News Peter Schweizer ha poi detto, sempre martedì a “Stinchfield“, un programma di Newsmax TV, che “ogni singolo accordo” che la famiglia di Joe Biden ha ottenuto in Cina è stato fatto con funzionari che erano collegati ai più alti livelli dell’intelligence cinese.
Il conduttore Grant Stinchfield ha chiesto: “Una domanda per te, se puoi, molto veloce. Ci sono accuse impressionanti e fatti realmente accaduti in questo libro. Ce n’è uno che ti colpisce che non potevi credere quando l’hai scoperto?
Schweizer ha detto: “La cosa che mi ha colpito di più sono state le informazioni sui Biden. Ho trovato questa storia sul loro coinvolgimento commerciale con la Cina nel 2018.”
E ha continuato: “Quello che abbiamo fatto in questo libro è stato usare il portatile di Hunter Biden, usando le email che abbiamo ottenuto da uno dei partner commerciali di Hunter Biden. Siamo risaliti a come sono avvenuti quegli affari. E quello che abbiamo scoperto è che ogni singolo affare che i Biden hanno condotto– ed il totale è di circa 31 milioni di dollari – ogni singolo affare che hanno condotto è venuto da un funzionario in Cina che era collegato ai più alti livelli dell’intelligence cinese. Ciò che voglio dire è che erano partner di persone come il viceministro della sicurezza dello stato, le cui responsabilità includono il reclutamento di stranieri, quindi questa è stata la più grande rivelazione per me”.
Schweizer ha aggiunto: “Ecco perché credo che dobbiamo fare la domanda e indagare se i Biden sono compromessi“.
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L’elefantino, qui.

E dopo la distruzione della sicurezza statunitense, passiamo alla distruzione dell’approvvigionamento energetico.

Joe Biden è entrato in carica e, un anno dopo, abbiamo visto un 4% di surplus di produzione interna di petrolio e gas passare a ad un 4% di deficit.

Tratto e tradotto da un articolo di Stephen Moore per Fox Business.

Una volta, durante un incontro con l’allora candidato alla presidenza Donald Trump all’interno della Trump Tower sulla Fifth Avenue a New York, abbiamo discusso di politica energetica. Dissi a Trump che se ci fossimo dati da fare per produrre delle abbondanti riserve di petrolio, gas e carbone per l’America, gli Stati Uniti avrebbero potuto essere indipendenti dal punto di vista energetico in quattro anni.
Trump mi guardò da dietro la sua scrivania e scosse la testa: “Non voglio che l’America sia solo indipendente dal punto di vista energetico. Voglio che l’America sia dominante dal punto di vista energetico”.
Ci sono poche questioni in cui il presidente Donald Trump e Joe Biden abbiano differito più profondamente nelle proprie rispettive politiche come sulla produzione di energia.
Donald Trump è andato a tutta velocità sulla produzione di combustibili fossili. Ha eliminato le restrizioni alle trivellazioni, specialmente in stati come l’Alaska e sulle terre federali negli stati continentali. Ha dato il via libera ad oleodotti di vitale importanza. Ha bloccato nuovi regolamenti ambientali estremisti che avevano solamente lo scopo di soffocare le nostre forniture di petrolio e di gas. Ha riconosciuto la rivoluzione del petrolio e del gas di scisto come un’opportunità senza precedenti per ridurre la dipendenza dal petrolio straniero.
La politica energetica di Trump è stata una sorprendente storia di successo economico. Nel gennaio del 2021, esattamente un anno fa e l’ultimo mese di Trump in carica, per la prima volta da quasi 50 anni, gli Stati Uniti producevano più petrolio di quanto ne consumassero. Non eravamo più un importatore netto di petrolio dall’Arabia Saudita e dalle nazioni del cartello OPEC. Stavamo anche producendo più petrolio e gas dei russi e degli arabi.
Da quando Joe Biden è entrato in carica, un anno dopo, abbiamo visto un 4% di surplus di produzione interna di petrolio e gas scendere ad un 4% di deficit di petrolio e gas. Siamo passati dall’indipendenza energetica alla dipendenza energetica. Questo perché Biden ha dichiarato guerra all’energia americana.
Ha chiuso gli oleodotti ed ha invertito quasi tutte le politiche pro-trivellazioni di Trump. All’inizio di gennaio, Biden ha fermato le trivellazioni in centinaia di migliaia di siti petroliferi potenzialmente eccellenti in Alaska. È ossessionato dal cambiamento climatico, quindi ama l’energia eolica e solare e le auto elettriche che non consumano la benzina. Ma anche nelle ipotesi più ottimistiche, otterremo comunque la maggior parte della nostra energia elettrica, del carburante per i riscaldamenti e del carburante per i trasporti dai combustibili fossili per almeno i prossimi 25-30 anni.
L’unica domanda è se utilizzeremo i nostri combustibili fossili per tenere le luci accese e le auto in funzione da stati come Texas, Oklahoma, Nord Dakota, Wyoming, Pennsylvania, West Virginia e Ohio, oppure se li otterremo dagli arabi, dai russi, dagli iraniani e dai messicani. Dato che gli Stati Uniti hanno degli standard ambientali molto più severi di queste altre nazioni produttrici di petrolio, qualsiasi mossa per abbassare la produzione statunitense ed importare i combustibili dall’estero andrebbe ad aumentare le emissioni di gas serra. È una pessima politica economica, un pericolo per la nostra sicurezza nazionale e non è nemmeno “verde”.
Il costo economico dell’allontanamento dall’indipendenza energetica è già stimato in circa 1 miliardo di dollari di perdita di produzione economica ogni settimana e di circa 50 miliardi di dollari all’anno in meno.
La cosa peggiore di tutte (e una pietosa ed imbarazzante svolta degli eventi) ora che la produzione di petrolio è scesa a causa degli editti di Joe Biden, questo presidente va dai sauditi e dalle nazioni dell’OPEC e li prega di aumentare la loro produzione. È un occhio nero per l’America. Ci fa sembrare deboli, e ci ha reso più deboli.
I due maggiori vincitori della guerra di Biden all’energia americana sono stati il presidente cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin. Questi leader di nazioni che sono chiaramente nemiche degli Stati Uniti non possono credere alla loro fortuna di essersi trovati Joe Biden come presidente. Ha reso l’Europa occidentale e settentrionale dipendente da Putin per le forniture costanti di energia. Nel frattempo, in Cina, Xi dà una pacca sulla testa a Biden e promette che ridurrà i livelli di inquinamento cinese nel mentre costruisce decine di nuove centrali a carbone che bruciano carbone sporco, non pulito.
C’è qualcosa di tutto questo che abbia anche solo un briciolo di senso? Questa strategia mette l’America al primo posto? E a proposito, i numeri dell’indice dei prezzi al consumo sono appena stati rilasciati per il primo anno di mandato di Biden. I prezzi della benzina alla pompa sono aumentati del 52% in 12 mesi.
GrazieJoe.
FoxBusiness.com
Luca Maragna, qui.

E infine ci sarebbe quella piccola faccenda dell’Ucraina, che il demente e la serva Europa di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province ma bordello vogliono attirare nella NATO, ossia imporre alla Russia una potenza nemica sui suoi confini, provocando l’inevitabile – e comprensibile – reazione russa, e offrendosi poi di proteggere l’Ucraina dall’aggressore russo, e a quanto pare sta già inviando forze militari in loco. E se continua così, riuscirà davvero a far scoppiare la guerra. E i primi ad allarmarsi sono proprio gli ucraini.

Giovanni Bernardini

Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha invitato Joe Biden a smetterla di seminare panico strillando che la guerra è alle porte.
E’ un particolare che la dice lunga sulla natura del presidente americano, la cui elezione, alquanto, diciamo così… sospetta, venne salutata come “il 25 aprile del mondo” da alcuni “giornalisti”, si fa per dire, di casa nostra…

Fulvio Del Deo

UCRAINA – Lo “scoop” di ieri della Reuters (la Russia sta ammassando rifornimenti di sangue e medicinali in vista dell’invasione) è stato smentito dalla vice ministra ucraina della Difesa Anna Malyar che ha detto che “il proposito di simili notizie è seminare il panico nella nostra società”. (Notizia completa qui, attivare traduttore automatico)

E anche qualcun altro comincia a preoccuparsi e mobilitarsi.

Fulvio Del Deo

CROAZIA – Il presidente Milanovic insiste: “Per l’Ucraina non c’è posto nella Nato. La situazione al confine russo-ucraino è grave e risponde principalmente agli interessi della politica interna americana e di Joe Biden. In materia di sicurezza internazionale, Washington si comporta in modo contraddittorio e incoerente”.

E d’altra parte l’abbiamo sempre saputo che Biden alla presidenza avrebbe significato guerra; e così, dopo i quattro anni dell’unico fra l’ultima mezza dozzina di presidenti che non solo non ha cominciato nessuna guerra, ma è riuscito a portare al tavolo della pace stati che erano in guerra da sempre, abbiamo quello che riuscirà a far fare la guerra a due stati che, pur fra varie tensioni e conflitti passati, ad entrare in guerra in questo momento non ci pensavano proprio.

barbara

A UN ANNO DA QUEL FAMOSO TERRIBILE SEI GENNAIO

In cui i crimini di Donald Trump hanno ampiamente superato quelli di Eichmann e Mengele e Idi Amin Dada messi insieme. Due interessanti articoli che, a un anno di distanza, fanno il punto della situazione.

Tucker Carlson: La fissazione dei Democratici sul 6 gennaio rivela quale sarà la loro strategia per le midterm

Perché i Repubblicani non dicono nulla in contrario?

Questo articolo è adattato dal commento di apertura di Tucker Carlson dell’edizione del 5 Gennaio 2022 di “Tucker Carlson Tonight”.

Oggi è il 5 gennaio – o, come verrà d’ora in avanti conosciuto da tutti i popoli civilizzati del mondo, il 6 gennaio. Stasera, a mezzanotte, tra poche ore, inizieremo la prima delle tante commemorazioni annuali delle orribili atrocità che hanno avuto luogo esattamente un anno fa al Campidoglio degli Stati Uniti.
Come si commemora una cosa del genere – un evento che cambia la storia, orribile da pensare, ma così significativo nella vita del paese? Il conteggio dei morti è la tradizionale unità di misura.
Quando la nazione è stata colpita da perdite inimmaginabili negli anni passati, è così che le ricordiamo: 40.000 vittime a Gettysburg2.400 morti Pearl Harbor. Quasi 3.000 americani morti l’11 settembre.
Ma questo è un nuovo tempo, un’epoca diversa. Quelle metriche antiquate non funzionano più mentre osserviamo un minuto di silenzio per i caduti del 6 gennaio.
Il 6 gennaio quanti ne abbiamo avuti… beh, vediamo, in realtà c’è stata solo Ashli Babbitt. Ashli Babbitt non era un soldato dell’Unione, o un marinaio della corazzata Arizona, o un eroico pompiere che si è precipitato in una torre di uffici che stava crollando. Era solo un’elettrice di TrumpEra disarmata. È stata colpita a morte senza preavviso da un agente di polizia di Capitol Hill in una storia ben documentata di quello che è stato un comportamento sconsiderato. Ashli Babbitt è stata la vittima del 6 gennaio.
Ma, onestamente, e quindi? Non si tratta di numeri, vero? Non si tratta di quante persone sono state uccise il 6 gennaio. Infatti, la lista di coloro che non sono stati uccisi quel giorno è piuttosto lunga. Include tutti i 535 membri del Congresso, così come il loro staff e l’intera stampa che era al seguito. Nessuno di loro è morto. Sono tutti ancora in giro. Ma, di nuovo, a chi importa? Non si tratta di contare i cadaveri.
Si tratta di sentimenti – di come si sentono i sopravvissutispecialmente dei reporter che sono sopravvissuti. I sentimenti dei reporter di Washington contano molto in America. Certamente contano molto di più di come vi sentite voi in questo momento. Come vi sentite voi, come probabilmente avrete già capito, è totalmente irrilevante per chiunque. Non importa a nessuno. Ma i giornalisti di Capitol Hill? A loro importaE sono sconvoltiMolti non si sono ancora ripresi da quello che hanno visto quel giorno. Quando si coricano per dormire la notte, le orribili immagini si ripetono in loop dietro le loro palpebre: Il tuono assordante delle raffiche di cannone. Il fumo del fuoco d’artiglieria spietato che oscura il sole. Le urla dei feriti che chiamano i loro cari, che riecheggiano come una colonna sonora demoniaca contro le pareti della hall della Speaker. L’inferno in un posto molto ristretto.
A meno che non siate stati lì, non potete capire come sia stato. Immaginate l’offensiva del Tet, più Falluja, più la notte prima del Ringraziamento al Whole Foods. Il 6 gennaio, non potevi dire chi fosse il nemico, a meno che non abbassavi lo sguardo e vedevi che aveva comprato le scarpe in un Walmart. Allora lo sapevi. Ma per il resto, era la nebbia della guerraamici miei.
Kasie Hunt era lì quel giorno. La Hunt è ora qualcosa che si chiama “capo analista degli affari nazionali” alla CNN. Come veterana dell’assedio del Campidoglio, la Hunt ha preso il suo profilo Twitter per dare speranza ai suoi compagni sopravvissuti. “Domani sarà dura per quelli di noi che erano lì o avevano i loro cari nell’edificio. Pensando a tutti voi e trovando la forza di sapere che non sono sola in questo….#6gennaio”
Questo è solo un tweet. Ma un giorno, bisogna che lo sappiate, perché questo è un paese pieno di speranza, la Hunt e i suoi compagni sopravvissuti al massacro insurrezionale del 6 gennaio si riuniranno in qualche modo più formale: Riunioni annuali, tenute all’ombra di un memoriale sul 6 gennaio di Washington, quello che costruiranno una volta abbattuto il Washington Monument per costruirlo. La Hunt e i grigi veterani del Washington Post e di Bloomberg News, di POLITICO, del The Daily Beast e dell’Atlantic Magazine alzeranno i loro artigli bianchi come una cosa sola, e ricorderanno come hanno ingannato la morte quel terribile giorno.
Okci fermiamo. È troppo imbarazzante. Proviamo vergogna anche solo a prenderci in giro. E infatti, come questione politica, l’anniversario del 6 gennaio non è uno scherzoÈ una cosa molto seriaFingere che una protesta sia stata in realtà un colpo di stato fallito è l’intera strategia del Partito Democratico per vincere le elezioni di midterm di quest’anno. A questo punto, è tutto ciò che hannoGovernare non ha funzionato. Ecco perché il procuratore generale degli Stati Uniti, uno degli uomini più politici di Washington, ha annunciato che il Dipartimento di Giustizia continuerà a molestare e ad arrestare le persone che hanno votato per Donald Trump.
MERRICK GARLAND“Il Dipartimento di Giustizia rimane impegnato a ritenere tutti i perpetratori del 6 gennaio, a qualsiasi livello, responsabili secondo la legge – sia che fossero presenti quel giorno o che fossero altrimenti penalmente responsabili dell’assalto alla nostra democrazia. Seguiremo i fatti ovunque ci condurranno”.
Tutti i responsabili“. Il Dipartimento di Giustizia ha già avuto la sua più grande caccia all’uomo nella storia. John Dillinger (un famigerato gangster americano degli anni venti, n.d.r.) starà ridendo dalla sua fossa all’inferno. Quella sul 6 gennaio sorpassa nettamente quella a Dillingere batte anche la caccia all’uomo dopo l’11 settembreSupera tutte le cacce all’uomo. Così la gente che stava lì a scattare foto con il telefonino è stata presa dall’FBI, alcuni di loro sono stati mandati in prigione, ma non sta ancora finendo, c’è ancora altro da fare.
Ma naturalmente, Merrick Garland non parla mai da solo. Il coro si unisce sempre a lui, perché si muovono sempre come un tutt’uno.
Frank Figliuzzi, per esempio, è stato un alto funzionario dell’FBI che ora lavora alla NBC News, ha twittato questa previsione/osservazione: “AG fa riferimento al Watergate. Capito? Merrick Garland si impegna a perseguire i sospetti del 6 gennaio a ‘qualsiasi livello’”. Un ex dirigente della NBC di nome Mike Sington ha scritto: “Non perdete la speranza, Trump potrebbe ancora essere arrestato“.
Arrestato per cosa? Immagino che non ci fosse spazio nel tweet per spiegare. Ma basta solo arrestato. Le persone cattive dovrebbero essere arrestate, questo è il punto. La cosa interessante è che ci sono un sacco di veri criminali che non hanno avuto spazio nel discorso di Garland.
Garland non ha fatto alcuna menzione del “pipe bomber” del 5 gennaio – Stiamo osservando l’anniversario del pipe bomber proprio ora. Quell’individuo è stato catturato – diremmo uomo ma non vogliamo entrare nello specifico nell’ambiente attuale – da un nastro di sorveglianza. Ha usato il suo telefono diverse volte. È tutto rintracciabile. Dov’è quella persona? Merrick Garland non ne ha parlato.
Ecco su cosa si è concentrato invece:
MERRICK GARLAND: “Abbiamo ricevuto più di 300.000 soffiate -+da cittadini comuni, che sono stati i nostri partner indispensabili in questo sforzo. Il sito web dell’FBI continua a pubblicare foto di persone in relazione agli eventi del 6 gennaio, e continuiamo a cercare l’assistenza del pubblico per identificare questi individui.”
Assicuratevi di controllare il sito web dell’FBIStanno pubblicando le fotoe non di persone che effettivamente lavorano per loro e che erano lì quel giorno. Non solo stanno pubblicando foto, le stanno togliendo dal sito, compresa la lista dei più ricercati. Ricordate Ray Epps? È in video diverse volte che incoraggia crimini, rivolte, violazioni del Campidoglio il 6 gennaio. Era sul sito dell’FBI. Ora è sparitoNon è stato accusato di nulla, a quanto pare. Perché? Questa è una buona domanda. Nessuno al Congresso sembra preoccuparsianche i senatori Repubblicani presunti conservatori.
Cosa sono impegnati a fare? Beh, sono impegnati a ripetere i punti di discussione che Merrick Garland ha preparato per loro.
SEN. TED CRUZ: “Ci stiamo avvicinando ad un solenne anniversario questa settimana ed è un anniversario di un violento attacco terroristico al Campidoglio, dove abbiamo visto le donne e gli uomini delle forze dell’ordine dimostrare incredibile coraggio, incredibile audacia, hanno rischiato la vita per difendere gli uomini e le donne che servono in questo Campidoglio.”
Siamo onesti, tutti i conservatori apprezzano Ted Cruz. Può non piacervi, ma dovete apprezzarlo. È legittimamente ritenuto intelligente, ed è una delle persone più capaci a servire al Congresso, forse la più capace. Non usa una sola parola a caso. Ogni parola che Ted Cruz usa è usata intenzionalmente, è un avvocato.
Ha descritto il 6 gennaio come un “violento attacco terroristico“. Tra tutte le cose che il 6 gennaio è stato, non è stato sicuramente un violento attacco terroristico. Non è stata un’insurrezione. È stata una rivolta? Certo, ma non è stato un “violento attacco terroristico“Mi dispiaceAllora perché ci stai dicendo che lo è stato, Ted Cruz? E perché nessuno dei tuoi amici Repubblicani che dovrebbero rappresentare noi e tutte le persone che sono state arrestate durante questa epurazione sta dicendo qualcosa?
Che diavolo sta succedendo qui? Ci state facendo credere che il Partito Repubblicano sia inutile come sospettavamo. Non può essere vero. Rassicuraci, per favore, Ted Cruz. (Qui)

Byron York – È la settimana del 6 gennaio e la caccia a Donald Trump continua

Giovedì 6 gennaio 2022 si è celebrato il primo anniversario della rivolta del Campidoglio. La Speaker della Camera Nancy Pelosi e i Democratici avevano pianificando una serie di eventi per commemorare l’occasione. Joe Biden ha tenuto un discorso. L’ex presidente Donald Trump doveva tenere una sua conferenza stampa (poi annullata). I media ne parleranno per tutta la settimana.
Ma la cosa più importante al momento in corso è il Comitato sul 6 gennaio della Camera. Soprattutto, i Democratici della Camera che hanno creato il comitato vogliono usarlo per processare Donald Trump – o, almeno, assicurarsi che gli sia legalmente proibito di ricandidarsi alla presidenza nel 2024 o, in mancanza di ciò, danneggiandolo politicamente così tanto da farlo perdere comunque anche se riuscirà a ricandidarsi.
Come conseguire questi obiettivi? Con il loro primo impeachment di Trump tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, alcuni Democratici avevano esplicitamente espresso la propria fiducia che il Presidente ne sarebbe rimasto così severamente macchiato da quell’impeachment tanto da non poter vincere la rielezione. Poi, dopo che Trump ha effettivamente perso nel novembre 2020, seguito dal suo rifiuto di accettare il risultato delle elezioni, e poi dalla rivolta del Campidoglio, speravano che un secondo impeachment avrebbe portato alla sua interdizione dal ricoprire nuovamente una carica pubblica.
Non è successoDonald Trump rimane, al momento, il principale candidato potenziale alle primarie presidenziali dei Repubblicani del 2024.
Ed è qui che entra in gioco il Comitato sul 6 gennaio.
I membri del comitato, i Democratici più i loro alleati Repubblicani selezionati personalmente da Nancy Pelosi, Liz Cheney e Adam Kinzinger, stanno cercando una qualsiasi ragione per sostenere delle accuse penali contro Donald Trump. Sembra aspettassero una decisione da parte di Trump se attendere o meno fino a dopo le ore 16:00 del giorno della rivolta – esattamente le 16:17 – per pubblicare un video che invitava i rivoltosi a ritirarsi e a tornare a casa.
La violenza si è svolta quel pomeriggio“, ha detto Liz Cheney il mese scorso. “Ma per 187 minuti il Presidente Trump si è rifiutato di agire“. Questi 187 minuti, a cui Cheney si riferisce spesso, sono apparentemente le tre ore e sette minuti che intercorrono tra la parte del discorso in cui Trump ha invitato i suoi sostenitori a protestare “pacificamente” al Campidoglio ed il video delle 16:17 in cui dice loro di andarsene. Durante questo periodocontrariamente all’affermazione fatta da Liz CheneyTrump aveva twittato due volte – una volta, alle 14:38, dicendo: “Per favore sostenete la nostra polizia del Campidoglio e le forze dell’ordine. Sono veramente dalla parte del nostro Paese. Rimanete pacifici!” e poi, alle 15:13, dicendo: “Sto chiedendo a tutti al Campidoglio di rimanere pacifici. Nessuna violenza! Ricordate, noi siamo il partito della legge e dell’ordine – rispettate la legge e i nostri grandi uomini e donne in uniforme. Grazie!” Infine, alle 16:17Trump ha postato un video in cui ha chiesto ai rivoltosi: “Ora dovete andare a casa. Dobbiamo riportare la pace. Dobbiamo ripristinare la legge e l’ordine”.
Liz Cheney non conta quei tweet – all’epoca forse la principale modalità di comunicazione di Donald Trump – nella sua formulazione della sua teoria dei “187 minuti”. Invece, dice che il fallimento di Trump nel chiedere immediatamente e con più decisione il ripristino dell’ordine ammonti ad una “negligenza del dovere” che potrebbe essere punita dalla legge ed usata per squalificare Trump dal ricoprire nuovamente la carica di Presidente.
Avrebbe potuto dire loro di ritirarsi“, ha detto Liz Cheney di Trump sulla ABC News domenica 2 gennaio. “Avrebbe potuto dire loro di andare a casa – e non l’ha fatto. È difficile immaginare una negligenza più significativa e più grave di questa”.
Liz Cheney ha notato che alcuni membri del Congresso, così come gli aiutanti di Trump e persino la famiglia del Presidente lo stessero esortando a fare una dichiarazione televisiva. “Qualsiasi uomo che non lo faccia… è chiaramente inadatto alla carica anche in futuro, chiaramente non potrà mai più trovarsi da nessuna parte nelle vicinanze dello Studio Ovale”, ha detto.
Liz Cheney stava solo esprimendo una sua opinione oppure delineando una strategia legale? Questa è la vera “domanda dietro la domanda” quando George Stephanopoulos della ABC le ha chiesto: “La sua mancata dichiarazione è una negligenza criminale?
Penso che ci siano… potenziali statuti penali che vengono in questione qui“, ha risposto la Cheney, “ma penso che non ci sia assolutamente alcun dubbio che sia stata una negligenza. E penso che una delle cose che la commissione dovrà considerare mentre stiamo esaminando una iniziativa legislativa è se avremo bisogno di pene più severe per quel tipo di negligenza del dovere”.
Osservate attentamente le parole di Liz CheneyDove vuole arrivare? Ecco una visione della situazione, dopo aver parlato con alcuni esperti legali e costituzionalisti di orientamento Repubblicano:
La negligenza non è un reatoTrump non può essere incriminato per negligenza. Si tratta, piuttosto, di qualcosa per cui il Congresso avrebbe potuto certamente rimuovere Donald Trump attraverso un procedimento di impeachment – ma questo non è successo. Il secondo impeachment di Trump si basava infatti su un singolo capo di accusa, che lo accusava di aver incitato alla rivolta contro il Campidoglio.
Quindi, come potrebbe il comitato sul 6 gennaio, come suggerisce Liz Cheney, invocare l’introduzione di “pene più severe” per “quel tipo di negligenza”? Certamente non per un crimine inesistente. E inoltre, la Costituzione impedisce al Congresso di approvare leggi penali che si applicano retroattivamente; i legislatori cioè non possono trasformare un atto del passato, che era legale nel momento in cui si è svolto, in un atto criminale che possa essere punibile in un secondo momento. Il Congresso non può nemmeno aumentare retroattivamente la pena per un crimine che sia già stato commesso. E, un’altra cosa: il Congresso non può approvare una legge per punire un singolo individuo, anche se questo singolo individuo è un ex presidente degli Stati Uniti.
Oltre a tutto ciò, la Commissione sul 6 gennaio non è un’inchiesta penaleIl Congresso non ha questa autorità. Il Dipartimento di Giustizia ce l’ha. Come comitato di supervisione del Congresso, il comitato sul 6 gennaio è tenuto ad avere uno “scopo legislativo“, cioè deve condurre una supervisione in modo da informare e creare una legislazione da sottoporre al vaglio del Congresso. Ecco perché Liz Cheney ha menzionato lo “scopo legislativo” di voler introdurre pene più severe” per la “negligenza del dovere“, anche se questo sembra legalmente impossibile. Ha fatto sembrare che il comitato stia effettivamente perseguendo una sorta di “riforma legislativa“, quando in realtà sta prendendo di mira Donald Trump.
Una cosa che il comitato, e la Camera nel suo complesso, può certamente fare è redigere il c.d. criminal referral – che consiste nel raccogliere delle prove ed inviarle al Dipartimento di Giustizia con la raccomandazione che un soggetto venga indagato. Questo è il motivo per cui Liz Cheney ha menzionato delle potenziali leggi criminali che potrebbero entrare in gioco.
Il Comitato sul 6 gennaio sta dunque chiaramente cercando qualsiasi prova che possa indicare che Donald Trump abbia violato qualche legge, così da poter poi chiedere alla Giustizia di perseguirlo. Per esempio, se il Dipartimento di Giustizia accusasse le persone intorno a Trump, o gli organizzatori della manifestazione del 6 gennaio, di “cospirazione”, potrebbe poi asserire che Trump stesso fosse parte attiva di quella cospirazione ed accusarlo di questo.
Finoranon abbiamo visto alcuna prova a sostegno di un argomento del genere, certamente non da parte del Comitato sul 6 gennaio. E per tornare allo “scopo legislativo” del comitato – non c’è modo che, anche se Trump fosse accusato di “cospirazione”, il Congresso possa introdurre delle nuove “pene più severe” da applicare ad una sua condotta del passato che impediscano Trump di ricoprire nuovamente la carica di Presidente.
Oltre alla Commissione sul 6 gennaio, le forze ‘anti-Trump’ stanno cercando altri modi per tenerlo fuori dalle elezioni del 2024.
Il più significativo tentativo è quello con il 14° Emendamento della Costituzione americana, che proibisce a chiunque abbia partecipato ad un’insurrezione o ad una ribellione [contro gli Stati Uniti], o abbia fornito aiuto o appoggio ai suoi nemici” di ricoprire una carica pubblica. (N.B. Approvato dopo la Guerra Civile, era originariamente destinato ad applicarsi solamente agli “ex funzionari confederati”). Ma per intraprendere qualsiasi azione ai sensi del 14° Emendamento, il Congresso dovrebbe prima stabilire che gli eventi del 6 gennaio costituiscano una insurrezione o ribellione” contro il governo degli Stati Uniti, e successivamente che Trump abbia partecipato attivamente all’insurrezione. Ma non basta, una tale sentenza dovrebbe anche reggere al vaglio di un tribunale.
I Democratici la perseguiranno? Non è chiaro. Ma, come minimo, sembra che stiano progettando di usare il 14° emendamento contro alcuni membri repubblicani del Congresso. Recentemente, Marc Elias – l’avvocato democratico che sta dietro allo sporco trucco del Dossier Steele nelle elezioni del 2016 – ha twittato: “La mia previsione per il 2022: prima delle elezioni di midterm, avremo una seria discussione sul fatto che dei singoli membri repubblicani della Camera debbano essere squalificati dalla Sezione 3 del 14° Emendamento dal servire nuovamente al Congresso. Potremmo persino assistere ad un contenzioso”. Elias ha allegato il testo della parte “insurrezione o ribellione” dell’emendamento.
I Democratici possono contare su Elias se vorranno andare fino in fondo. Dopo tutto, hanno raccolto enormi benefici politici dal caso messo in piedi dal falso Dossier Steele, e lui è sempre alla ricerca di nuovi modi, che siano legittimi o meno, per far deragliare il sistema a favore dei Democratici.
Niente di tutto questo è per difendere le azioni di Donald Trump quel 6 gennaio: nelle settimane precedenti a quel giorno, ha incitato i sostenitori a credere che le elezioni fossero state rubate. Ha rifiutato di concedere, anche dopo che le sue numerose sfide legali ai risultati dei singoli stati erano fallite. Poi, quando alcuni di quei sostenitori hanno preso d’assalto il Campidoglio, avrebbe dovuto immediatamente dire loro di fermarsi e di andare a casa, proprio in quel momento. Per molte persone, le azioni di Trump nelle settimane dopo le elezioni del 3 novembre 2020 sono state vergognose e lo hanno squalificato dal servire ancora come Presidente degli Stati Uniti.
Ma questo è un giudizio politico. I Democratici danneggeranno solamente la loro causa qualora tentassero di inventare qualche crimine o di abusare della Costituzione nel tentativo di impedire legalmente a Donald Trump di ricoprire nuovamente quella carica. Gli elettori potranno deciderlo da soli.
Tuttavial’anniversario ad un anno di distanza dal 6 gennaio trova i Democratici, sia nel Comitato del 6 gennaio che oltre, determinati a mantenere viva la lotta. E anche se i loro schemi ‘anti-Trump’ sembra improbabile che possano funzionare in senso legale, con l’aiuto di qualche mass media comprensivo, continueranno a focalizzare l’attenzione sul 6 gennaio per tutto il 2022.
Una domanda finaleMa le elezioni di novembre? Gli elettori sono profondamente preoccupati per l’economia, l’inflazione, il COVID-19, il crimine, l’educazione, la competenza di Joe Biden, ed altre questioni che stanno diventando sempre più difficili per i Democratici. Alcuni nel Partito sembrano pensare che fissarsi sull’anno scorso, e su un ex presidente in particolare, possa non essere il modo migliore per affrontare queste preoccupazioni. Il mese scorso, POLITICO ha riferito che i Democratici speravano che il [comitato sul 6 gennaioavrebbe concluso il suo lavoro questa primavera, lasciando al Partito un sacco di tempo prima delle elezioni di metà mandato per spostare l’attenzione sulle questioni ancora sul tavolo e che trovano un riscontro tra gli elettori”. Questo non accadrà.
Quindi, questa è la settimana del 6 gennaio. Ma se alcuni Democratici continueranno su questa posizione, ogni settimana del 2022 sarà la settimana del 6 gennaio. Ed allora gli elettori potranno dire la loro.
Luca Maragna, qui.

Hanno cominciato con la marcia delle donne perché Trump non le rispetta e le considera come meri oggetti, hanno proseguito con la buffonata della Russia, hanno fabbricato il 6 gennaio col rifiuto di rinforzare le difese intorno al Campidoglio in previsione di possibili disordini e tentativi di irruzione come tentativo postumo di impeachment per scongiurare una ricandidatura, nella quale sanno che con tutta probabilità avrebbe di nuovo la vittoria – già, perché quando i voti vengono seriamente controllati, gli imbrogli vengono fuori, eccome se vengono, altro che complottismo!
E se vi restano ancora cinque minuti, andate a leggere anche qui.

barbara

LE PRIORITÀ DEL SIGNOR BIDEN

L’insopportabile peso di essere Joe Biden…

L’umiliante fuga dell’America dall’Afghanistan ha mostrato un Joe Biden confuso e incapace, nella migliore delle ipotesi. Ma ha anche, forse, mostrato qualcosa che è ancor più repellente: un uomo arrogante, emotivamente manipolatore e profondamente cinico.
Non sto pensando principalmente alla sorprendente, ininterrotta serie di false previsioni promesse infrante di Biden, anche se ce ne sono molte. Ricordiamo che una presa di potere da parte dei Talebani fosse “altamente improbabile”, che “se ci sono cittadini americani rimasti, resteremo per farli uscire tutti”, o che gli afghani potevano stare sereni perché “staremo con voi proprio come voi siete stati con noi”.
Per quanto questi esempi e molti altri siano terribilmente orribili, rientrano nella gamma di affermazioni dei leader politici che sono tremendamente ironiche col senno di poi, ma che sembravano ragionevoli e più o meno plausibili quando vengono pronunciate. Questo perché rientrano in una bussola morale riconoscibile. Dovrebbero essere vere, e quindi si spera che lo siano.
Invece, sto pensando ai commenti che sono stati stranamente inappropriati anche quando Biden li ha fatti. Mark Schmitz, padre di Jared Schmitz, un marine americano ucciso da un kamikaze dell’ISIS-K all’aeroporto di Kabul il 26 agosto, ha rivelato che quando Joe Biden gli ha parlato alla Dover Air Force Base nel Delaware, il Comandante-in-capo ha parlato più di suo figlio, Beau, che del giovane i cui resti venivano portati fuori da un aereo militare parcheggiato sulla pista.
Perché Biden ha fatto questo?
La spiegazione caritatevole è che un Comandante-in-capo incapace ha immaginato che sarebbe stata una cosa empatica parlare di Beau Biden, un ufficiale della Guardia Nazionale che ha servito in Iraq e che è morto di cancro nel 2015. Forse Biden ha pensato che le sue parole avrebbero legato un padre di un militare in lutto ad un altro, anche se la morte di Beau non aveva nulla a che fare con il suo servizio nelle forze armate.
Ma c’è una possibilità molto più sgradevole. Vale a dire, il Comandante-in-capo si è rivolto di riflesso ad un periodo straziante della sua biografia per superare un evento imbarazzante in cui l’attenzione avrebbe dovuto essere concentrata sugli altri. In passato, Joe Biden ha ripetutamente citato la storia Beau Biden non per raggiungere il cuore di altre persone ma, piuttosto, per attirare l’attenzione e la simpatia su di sé.
Non sembra esserci fine alla volontà di Joe Biden di usare la memoria del figlio morto per un vantaggio politico. Come il Washington Post ha riportato un anno fa, per esempio, la memoria di Beau è stata messa in primo piano dal padre alla Convention Nazionale Democratica, dove Joe Biden doveva accettare la nomina presidenziale offertagli dal partito. C’era un sostanziale video tributo a Beau Biden, Kamala Harris ha anche parlato a lungo di lui, e così ha fatto Pete Buttigieg (citandolo come un collega veterano). I delegati sono stati poi intrattenuti da degli spezzoni del discorso di introduzione di Beau Biden a suo padre alla DNC 2008 a Charlotte – “richiamato dall’oltretomba”, per così dire – per presentare nuovamente suo padre.
Come ogni genitore, di tanto in tanto ho immaginato una calamità familiare che coinvolgesse uno dei miei figli. Ho trasalito per la vergogna e mi sono rimproverato quando, come a volte accade, la mia mente ha vagato ai pensieri di come avrei raccontato la cosa alla gente e quali sarebbero state le loro reazioni. Come posso preoccuparmi, penso con sgomento, di questioni marginali di presentazione, apparenza e simpatia e non riuscire invece a rimanere concentrato sull’orrore sostanziale di qualcosa di terribile che è accaduto a mio figlio o a una delle mie figlie?
Joe Biden enfatizza ripetutamente proprio ciò che la decenza suggerirebbe essere una cosa troppo profonda per essere usata per scopi estranei ed effimeri. Esalta le tragedie della sua famiglia, che sono incontrovertibilmente reali e terribili. Lo fa per guadagnare affetto. Per enfatizzare il suo atteggiamento di uomo del popolo, che porta un pesante fardello di tristezza. Il ricordo di Beau Biden è citato anno dopo anno dopo anno. È diventato ormai un riflesso, e come ogni cosa che riflette, il buon gusto e il buon senso spesso lo sconsigliano.
Sarebbe il caso di parlare con padri e madri caduti in lutto di recente, i cui figli e figlie sono stati uccisi nell’esecuzione sciagurata di una fuga sconsiderata dalle proprie responsabilità di “leader del mondo libero”. Quello è un momento in cui, qualunque sia il costo marginale, non si dovrebbe pensare al tornaconto politico.
La calamità della fuga dell’America dall’Afghanistan riguarda certamente Joe Biden. Ma quello che è successo a Dover riguardava il servizio individuale di uomini e donne che hanno dato la loro vita. Non riguardava l’uomo che ha lasciato che quelle vite venissero spezzate e che non poteva trattenersi dal guardare ripetutamente il suo orologio per vedere quanto ancora doveva sopportare.
Luca Maragna, qui.

Nel frattempo tutti questi gingilli sono ora puntati sulle nostre teste.

Nel frattempo l’America – e probabilmente non solo l’America – d’ora in poi sarà costantemente sotto ricatto grazie alle centinaia di cittadini americani lasciati in mano ai tagliagole.
Nel frattempo un numero imprecisato di terroristi si sono intrufolati, si stanno intrufolando, si intrufoleranno fra i profughi per venire a estendere e completare l’occupazione e l’islamizzazione del nostro territorio.
Nel frattempo c’è chi è riuscito a organizzare un volo per portare in salvo… 200 cani e gatti (Farthing si chiama il tizio, ma ho idea che ci sia un’acca di troppo). E pare che tutti stiano facendo salti di gioia per il successo dell’impresa. Restano indietro occidentali, collaboratori dei quali il signor Biden ha fornito ai talebani la lista con tanto di indirizzo e numero di telefono, e i cristiani, che per vent’anni avevano potuto tirare il fiato e ora riprenderà anche in Afghanistan il genocidio in corso in tutto il mondo islamico. Ma d’altra parte non si può avere tutto dalla vita, no?

barbara

L’INCENDIO DEL REICHSTAG

Giusto ieri un amico, parlando del cosiddetto assalto al Campidoglio, ha fatto riferimento all’incendio del Reichstag di Berlino. Ricordo, anche se sicuramente nessuno dei miei lettori lo ignora, che l’incendio, provocato dai nazisti, fu addebitato ai comunisti, il che fornì a Hitler il pretesto per trasformare in breve tempo la democratica carica di cancelliere in una dittatura a tutti gli effetti. Per tutte queste circostanze, l’accostamento mi sembra perfettamente pertinente. Riporto qui tre articoli che chiariscono diverse questioni relative alla vicenda.

Byron York’s Daily Memo – Condannando i rivoltosi del 6 gennaio

Le cause legali che hanno riguardato più di 600 persone accusate della rivolta del Campidoglio si stanno muovendo lentamente, molto lentamente, molto, molto lentamente. Ma alcuni dei primissimi processi si stanno avvicinando alla conclusione.

Negli ultimi giorni, due uomini, Scott Fairlamb dal New Jersey e Devlyn Thompson dallo Stato di Washington, si sono dichiarati colpevoli di aggressione criminale contro un ufficiale di polizia durante la rivolta. (Fairlamb si è dichiarato colpevole anche di ostruzione di un procedimento ufficiale, un altro reato). Le richieste di pena per entrambi gli uomini vanno da circa 3 anni e mezzo a 4 anni e mezzo di prigione. La sentenza è fissata per il 27 settembre.
Quale sarebbe una sentenza appropriata? Forse vale la pena di guardare ad un’altra rivolta avvenuta a Washington, il 20 gennaio del 2017, il giorno del giuramento di Donald Trump come presidente. Quel giorno, gruppi organizzati di anarchici vestiti di nero sono scesi nella capitale della nazione, distruggendo proprietà e attaccando la polizia.
Uno di loro era Dane Powell, un 31enne della Florida veterano dell’esercito. Secondo i documenti del tribunale, la mattina del giorno dell’inaugurazione, circa un’ora e mezza prima che Trump entrasse in carica, Powell, vestito completamente di nero e con il volto coperto da una maschera, faceva parte di un gruppo di dimostranti anti-Trump che scorrazzavano liberamente per il centro di Washington. Era armato con un martello e un “pesante bastone di legno con una bandiera fissata ad esso”, come riportato dai documenti. Il gruppo in cui si trovava ha vandalizzato diversi negozi e ristoranti.
Poi, Powell e circa 200 rivoltosi hanno caricato le file della polizia. Powell ha sfondato la linea ed “ha continuato ad impegnarsi nella violenza per le strade”, secondo i documenti. La polizia si riorganizzò poco dopo su un’altra linea di difesa e Powell attaccò anche quella. “In almeno tre diverse occasioni, [Powell] ha lanciato un mattone, una grossa pietra o un pezzo di cemento contro le forze dell’ordine in assetto”, dicono i documenti. “Più agenti sono stati portati all’ospedale dopo essere stati colpiti con mattoni, pietre o pezzi di cemento, includendo un agente che è stato colpito e che ha perso conoscenza”, come riportato dai documenti.
Powell è stato accusato di aggressione ad un ufficiale di polizia e anche di incitamento alla rivolta, un altro reato. I procuratori hanno detto che era “tra i più violenti” dei rivoltosi anti-Trump. “Ha dato inizio alle violenze”, ha detto il procuratore alla corte. “È venuto nel Distretto di Columbia per dedicarsi completamente alla violenza, nascondendo il volto, lanciando pietre e scappando”. La richiesta di pena richiedeva che Powell ricevesse da 1 a 3 anni di prigione.
Powell si è dichiarato colpevole ma ha rifiutato di collaborare con i procuratori. I suoi avvocati hanno sostenuto che ha agito per buone ragioni. Ha preso parte alla rivolta perché era “preoccupato per la direzione di questo paese” sotto Donald Trump, ha detto il suo avvocato alla corte. L’avvocato ha anche sostenuto che la polizia era responsabile di alcune delle violenze. La violenza in cui Powell si è impegnato, ha sostenuto l’avvocato, è avvenuta dopo che Powell si era semplicemente “lasciato trasportare” durante le proteste.
Il giudice ha condannato Powell a 4 mesi di prigione. Powell ha presto chiarito di non provare alcun rimorso per quello che aveva fatto. In un’intervista più tardi, nel 2017, disse: “Voglio che i compagni sappiano che sono andato in prigione con il sorriso sulla faccia”. Ha incoraggiato gli altri a non collaborare a loro volta con i procuratori. E disse anche: “Voglio che i miei compagni in Florida vadano avanti”.
Cosa significa questo per i rivoltosi del Campidoglio di oggi? Potrebbe non significare nulla. I giudici potrebbero rimanere all’interno delle richieste di condanna, o potrebbero scegliere condanne minori o maggiori. Ma in alcuni circoli politici, ci sono richieste di sentenze esemplari per i rivoltosiBasta guardare allo scrittore di The Nation, che è anche un appassionato sostenitore dell’abolizione delle prigioni. “Nessuno merita il trattamento brutale e disumanizzante che è endemico nel nostro sistema carcerario”, ha scritto a febbraio. “Eppure voglio ancora che ogni insurrezionista suprematista bianco fuori legge di Capitol Hill sia arrestato e perseguito nella misura massima consentita della legge”.
In una recente discussione sul caso Powell su Twitter, un certo numero di osservatori ha sostenuto che i rivoltosi del Campidoglio di oggi dovrebbero ricevere sentenze più pesanti perché il presidente Donald Trump li avrebbe esortati ad entrare nel Campidoglio.
Il Dipartimento di Giustizia non ha fatto una dichiarazione definitiva su tali questioni, ma i procuratori hanno cercato di far passare l’idea che la rivolta fosse un’insurrezione, anche se non hanno accusato nessuno di insurrezione.
Per l’ex procuratore federale Andrew McCarthy, questo è un problema.
Un aspetto inquietante dei casi sul 6 gennaio è l’erosione da parte dei Democratici e del DOJ del principio che la responsabilità è personale, per metterla al servizio della narrativa dell’insurrezione e della minaccia del suprematismo bianco”, ha detto McCarthy in uno scambio di email. “Gli imputati dovrebbero essere condannati in base a ciò che hanno fatto, così come avvenuto per tutti gli imputati che sono stati, storicamente, condannati per quell’accusa – non per ciò che ha fatto o detto Donald Trump. Questo è il punto di avere linee guida nelle richiesta di pena per le condanne federali. Se volete punirli per insurrezione, allora dovete accusarli e provare l’insurrezione“.
I processi per la rivolta del Campidoglio si trascineranno sicuramente fino al 2022. Le sentenze, specialmente se saranno ritenute troppo pesanti o troppo leggere, diventeranno parte della discussione politica in corso con l’avvicinarsi delle elezioni di metà mandato. Ma ricordate cosa dice McCarthy: La responsabilità è personale, e i singoli rivoltosi dovrebbero essere puniti per quello che hanno fatto, e non per quello che ha fatto qualcun altro.
Luca Maragna, 09/08/2021, qui.

Byron York’s Daily Memo – Una storia sulla rivolta del Campidoglio…

Il Dipartimento di Giustizia chiama l’indagine sulla rivolta del Campidoglio “una delle più grandi della storia americana, sia in termini di numero di imputati perseguiti che per la natura ed il volume delle prove”. Alcuni degli oltre 600 imputati sono accusati di gravi reati, avendo fatto irruzione nell’edificio del Campidoglio ed ingaggiato brutti scontri corpo a corpo con la polizia presente in numero insufficiente.
Ma come ha detto il direttore dell’FBI Christopher Wray, un gruppo molto più grande era coinvolto in comportamenti molto meno gravi. Essi “possono essere venuti con l’intenzione di essere solo parte di una protesta pacifica“, ha detto Wray al Congresso lo scorso marzo, “ma o sono stati travolti da — nella motivazione, o emozione, o qualsiasi altra cosa, impegnati in una sorta di comportamento criminale di basso livello. Violazione di domicilio, diciamo, del suolo del Campidoglio, ma non violazione dell’edificio. [È] ancora una condotta criminale, deve ancora essere trattata, ma in modo più rapido, nel momento opportuno”. (Wray ha fatto una distinzione tra il loro comportamento a quello di coloro che ha chiamato “il gruppo più pericoloso” – quelli che hanno fatto irruzione nel Campidoglio e si sono impegnati nella violenza contro le forze dell’ordine”).
Ora, considerate il caso di Karl Dresch. Quarant’anni, dalla penisola superiore del Michigan, Dresch è venuto a Washington – la sua prima volta in città – per la manifestazione del 6 gennaio “Stop the Steal“. Ha ascoltato il discorso del presidente Donald Trump e poi si è unito alla folla che si dirigeva lungo il Mall verso il Campidoglio. E quando è arrivato lì, è entrato attraverso una porta aperta. Ha vagato per circa 20 o 25 minuti e poi se n’è andato.
Dresch fu arrestato ed imprigionato il 15 gennaio. E’ stato accusato di cinque reati: “ostruzione di un procedimento ufficiale; ingresso e permanenza in un edificio o terreno riservato; condotta molesta e di disturbo in un edificio o terreno riservato; condotta molesta in un edificio del Campidoglio; e infine per aver sfilato, manifestato o fatto picchetti in un edificio del Campidoglio.”
I procuratori sapevano che Dresch, nelle parole di una nota del Dipartimento di Giustizia, “non si è impegnato in violenza fisica o distruzione di proprietà, né si è unito ad altri che tentavano di entrare nel Campidoglio degli Stati Uniti con violenza fisica”. Eppure il Dipartimento ha insistito per tenere Dresch dietro le sbarre sin dal momento del suo arresto. Prima è stato incarcerato in Michigan, poi trasferito brevemente in una prigione in Oklahoma, poi a Washington, DC.
Dresch è rimasto confinato nella sua cella per 23 ore al giorno. In attesa del processo, è stato tenuto dietro le sbarre per gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio e parte di agosto, più di sei mesi in tutto.
All’inizio di questo mese, Dresch e il Dipartimento di Giustizia hanno raggiunto un patteggiamento. Si è dichiarato colpevole di una sola accusa – sfilare, manifestare o fare picchetti in un edificio del Campidoglio”. Era un reato minore con una pena massima di sei mesi. Dresch è stato rapidamente condannato, multato per 500 dollari e lasciato libero.
Leggendo il memorandum di condanna del Dipartimento di Giustizia, è chiaro che Dresch non ha fatto irruzione nel Campidoglionon si è impegnato in alcuna violenza, e si è dichiarato colpevole di un singolo reato minore per il quale altri imputati probabilmente non avrebbero ricevuto alcuna custodia cautelare in carcere. Così i procuratori hanno cercato di sottolineare comunque “la gravità” di quel reato minore – l’accusa di aver fatto una sfilata – notando che altre persone (attenzione, non Dresch!) si fossero impegnate in atti di violenza durante la rivolta del Campidoglio. Quindi, i procuratori hanno sostenuto che con la sua sola presenza, quel giorno, Dresch abbia contribuito a rendere possibili le violenze.
“La condotta dell’imputato il 6 gennaio… ha avuto luogo nel contesto di una grande e violenta rivolta che ha fatto affidamento sui numeri per sopraffare le forze dell’ordine, irrompere nel Campidoglio ed interrompere il procedimento” di certificazione, hanno scritto i procuratori. “Se non fosse stato per le sue azioni, insieme a tante altre, il Campidoglio non sarebbe stato violato…“.
In un’altra occasione, i procuratori hanno indicato i post di Dresch sui social media – tra le altre cose, aveva postato che “Noi, il popolo, abbiamo ripreso la nostra casa… ora quei traditori sanno chi comanda davvero” – per sostenere che abbia sostenuto verbalmente la violenza, anche se non vi ha preso parte. “Anche se [Dresch] non si è impegnato in atti di violenza fisica o di distruzione, o è rimasto nel Campidoglio per un lungo periodo di tempo”, hanno scritto i procuratori, “la sua reazione agli eventi del giorno e le sue dichiarazioni sui social media mostrano il suo sostegno alla rivolta e l’incoraggiamento ai rivoltosi attraverso la sua stessa partecipazione”.
L’argomento ha lasciato Dresch perplesso. “A volte sembra che i giudici si stiano solo inventando le leggi per tenere le persone dentro”, ha detto Dresch in una recente intervista su YouTube con Jerrod Sessler, un candidato repubblicano al Congresso nello Stato di Washington. “Dicono che non lo fanno, ma usano i loro pensieri o le cose che hanno detto contro di loro per trattenerli qui, anche quando sono qui con accuse di non violenza. Che siano colpevoli o no, non sono accusati di alcuna violenza”. (Nel caso di Dresch, i procuratori hanno anche sottolineato che aveva un precedente, una condanna penale nel 2013 per aver guidato ad alta velocità inseguito dalla polizia).
Ma la cosa più odiosa è che Dresch è stato imprigionato per più di sei mesi in un caso che si è concluso con un patteggiamento per un reato con una pena massima inferiore al tempo che ha già scontato in prigione. Non è mai stato accusato di alcun crimine di violenza. Era stato originariamente accusato di un reato, ostruzione di un procedimento ufficiale, che è poi stato ritirato. Sembra che ci siano pochi dubbi che Dresch abbia scontato più tempo in prigione di altri accusati di reati simili.
Tornando a ciò che ha detto il direttore dell’FBI, Christopher Wray. Dresch sembra essere stato in quel gruppo di persone che “sono state travolte” dal momento e che si sono impegnate in un “comportamento criminale di basso livello”. Non era il tipo di accusa che giustificava la detenzione in carcere prima del processo, né era probabile che essa comportasse una lunga pena detentiva. Eppure è successo a Karl Dresch.
Recentemente ho scritto del caso di Dane Powell, un anarchico che si è dichiarato colpevole di un’aggressione criminale alla polizia durante le proteste del 20 gennaio 2017 a Washington, D.C. contro l’inaugurazione del presidente Trump. Powell era “tra i più violenti” tra quei manifestanti, hanno detto i procuratori. “In almeno tre diverse occasioni, [Powell] ha lanciato un mattone, una grande roccia o pezzo di cemento contro le forze dell’ordine”, hanno detto i documenti del tribunale. Powell è stato condannato a quattro mesi di prigione.
Una grande sfida in un caso politicamente carico come la rivolta del Campidoglio è, per i procuratori e i giudici, quella di sostenere le accuse di ogni imputato in prospettiva. Non importa quanto arrabbiati possano essere i procuratori per ciò che ha avuto luogo il 6 gennaio, ogni imputato deve essere processato per le proprie azioni, e non per quelle di altri.
Luca Maragna, 22/08/2021, qui.

 

Washington Examiner – L’FBI non ha trovato prove che la rivolta del Campidoglio sia stata un complotto per sovvertire la Democrazia

L’FBI ha trovato prove insoddisfacenti per poter sostenere che la rivolta del Campidoglio sia stata uno atto pianificato e coordinato per rovesciare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020, secondo un nuovo resoconto.

L’articolo della Reuters cita “quattro funzionari delle forze dell’ordine in servizio ed ex” che sono presumibilmente coinvolti direttamente od informati sulle indagini della rivolta del Campidoglio, ed afferma che il Bureau “ha trovato scarse prove che l’attacco del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti sia stato il risultato di un complotto organizzato per ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali“.
L’FBI “a questo punto crede che la violenza non sia stata coordinata centralmente da gruppi di estrema destra o da sostenitori di spicco dell’allora presidente Donald Trump“, sempre secondo Reuters. Ha anche riferito che “gli investigatori dell’FBI hanno scoperto che cellule di manifestanti, compresi i seguaci dei gruppi di estrema destra Oath Keepers e Proud Boys, avrebbero mirato a fare irruzione nel Campidoglio. Ma non hanno trovato prove che i gruppi avessero dei piani seri su cosa fare una volta che fossero entrati”.
I più importanti legislatori sono stati informati nel dettaglio dei risultati dell’indagine dell’FBI.
Una fonte ha detto che non c’è stata quasi nessuna discussione recente ai livelli più alti nel Dipartimento di Giustizia riguardo alla presentazione di accuse nel campo della ‘cospirazione sediziosa‘ e che anche le accuse di ‘associazione a delinquere‘ sono state scartate. L’agenzia di stampa ha riportato che “fonti all’interno delle forze dell’ordine” hanno riferito che nessuna accusa relativa ad individui o ad un gruppo che ha giocato “un ruolo centrale nell’organizzare o guidare la rivolta” sembra essere sotto indagine.
Il Dipartimento di Giustizia ha detto all’inizio di questo mese che più di 570 imputati sono stati arrestati nelle indagini sulla rivolta del Campidoglio condotte dall’ufficio del procuratore degli Stati Uniti nel Distretto di Columbia e che almeno 175 imputati sono stati accusati di “aggressioneresistenza o intralcio a funzionari o dipendenti“, compresi più di 55 imputati accusati di “aver usato un’arma mortale o pericolosa o aver causato gravi lesioni personali a un agente”. Il DOJ riporta che circa 80 agenti della polizia del Campidoglio e 60 agenti del Dipartimento di Polizia Metropolitana sono stati aggrediti durante la rivolta.
I procuratori hanno detto che “almeno 240 imputati sono stati accusati di aver ostacolatoinfluenzato o intralciato un procedimento ufficiale, o di aver tentato di farlo”, e circa 40 imputati sono stati colpiti da accuse di “concorso” relative alla “partecipazione all’ostruzione di un procedimento del Congresso e/o per aver ostacolato o ferito un membro delle forze dell’ordine. Molti degli imputati che erano stati colpiti dalle accuse di “cospirazione” sono stati membri del gruppo di destra Oath Keepers o dell’organizzazione Proud Boys.
Un altro “ex funzionario delle forze dell’ordine a conoscenza delle indagini” ha detto alla Reuters: “Dal 90 al 95% di questi sono casi monosoggettivi. Poi c’è un 5%, forse, di questi gruppi di militanti che erano più strettamente organizzati“.
Ma non c’era nessun grande schema tra Roger Stone e Alex Jones e tutte queste persone per prendere d’assalto il Campidoglio e prendere degli ostaggi”,
Un portavoce dell’FBI ha detto al Washington Examiner che “non abbiamo commenti sull’indagine in corso e vi rimandiamo ai documenti del tribunale sui casi del 6 gennaio”.
Michael Sherwin, l’ormai ex procuratore ad interim degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia, aveva detto nella trasmissione “60 Minutes” a marzo che le autorità stavano indagando sulla potenziale responsabilità penale di Donald Trump e che esistessero le prove per presentare accuse di “sedizione” contro alcune delle persone coinvolte nella rivolta del Campidoglio, entrambe cose a cui aveva accennato da gennaio. Ma tali accuse non sono mai state neanche presentate.
All’inizio di quest’anno, il giudice della Corte Distrettuale degli Stati Uniti Amit Mehta ha criticato il Dipartimento di Giustizia – di per sé un fatto eccezionale – dopo che i funzionari del DOJ avevano speculato sui mass media sulle possibili accuse di “sedizione” da presentare contro i membri degli Oath Keepers.
Il Dipartimento di Giustizia ha detto ai tribunali di essere in possesso di una “serie di prove” attraverso le quali gli imputati potrebbero essere scagionanti, ma che almeno alcune delle prove non sono state ancora fornite agli imputati a causa dell’enorme numero di casi relativi alla rivolta del Campidoglio. Circa cinque dozzine di imputati per la rivolta del Campidoglio sono ancora tenuti in custodia cautelare.
Democratici di spicco, tra cui Joe Biden, e coloro che partecipano l’indagine del Congresso sulla rivolta, continuano a sostenere che l’ufficiale di polizia del Campidoglio Brian Sicknick sia morto come risultato delle violenze del Campidoglio, nonostante l’ufficio del medico legale di Washington abbia concluso che la vera “causa della morte” fosse in realtà dovuta a “infarti acuti del tronco cerebrale e del cervelletto dovuti a trombosi acuta dell’arteria basilare”, un ictus sostanzialmente, e che la “modalità della morte” fosse stata “naturale“.
Anche altri due manifestanti hanno avuto attacchi cardiaci fatali durante la rivolta, ed un altro è morto per una sospetta overdose di droga. L’unica persona che è stata uccisa durante la rivolta è Ashli Babbitt, una veterana dell’Air Force di 35 anni e sostenitrice di Trump, che è stata colpita da un agente della polizia del Campidoglio mentre tentava di arrampicarsi attraverso la finestra di una porta rotta vicino alla Speaker’s Lobby. L’agente non è stato ancora accusato di omicidio.
Luca Maragna, 24/08/2021, qui.

Ho scelto di non inserirne altri precedenti a questi per non allungare ulteriormente questo già troppo lungo post; voglio tuttavia ricordare che i democratici hanno fin dall’inizio auspicato un processo spettacolare, gigantesco e con pene esemplari, che fin dall’inizio hanno avuto l’obiettivo dichiarato di arrivare all’impeachment di Donald Trump affinché non potesse mai più ricandidarsi in futuro, che la richiesta, in previsione di possibili disordini, di aumentare le forze di polizia in loco era stata rifiutata, che quelli che sono entrati al campidoglio hanno trovato le porte aperte (apertesi da sole?), e infine che è molto forte il sospetto – e solo per eccesso di cautela uso il termine “sospetto” anziché uno più forte – che fra quelli che si sono introdotti ci fosse un discreto numero di infiltrati, per non parlare delle enormi disparità di trattamento rispetto ad altri ben più cruenti assalti, oltre all’invenzione che questo “assalto al Campidoglio” sia qualcosa di mai avvenuto prima. In definitiva, una gigantesca trappola per incastrare Trump e i suoi sostenitori e toglierli di mezzo, anche come opposizione credibile, una volta per tutte.

barbara

I GENI DI CASA NOSTRA

Parlo di Pino Arlacchi, che chi ha un po’ di anni sulle spalle sicuramente ricorderà. Comincio con un vecchio articolo, per inquadrare la situazione.

AFGHANISTAN / FALLITO IL PIANO ONU

Così Arlacchi perse la guerra dell’oppio

Distruzione dei papaveri in cambio di 400 miliardi. Lo propose lo zar antidroga ai talebani. La produzione, al contrario, è raddoppiata

Sulla carta sembrava proprio un progetto bello e possibile: ridurre in dieci anni del cinquanta per cento le coltivazioni di droga nel mondo, sostituendole con colture alternative. Spesa prevista 500 milioni di dollari (mille miliardi di lire attuali).
L’ideatore dell’ambizioso piano, com’è noto, è l’italiano Pino Arlacchi, vicesegretario delle Nazioni Unite in quanto direttore dell’Undcp (United nations drug control programme). Ma a tre anni dalla crociata dello “zar dell’antidroga”, come è stato soprannominato, il progetto ha fatto flop. E proprio in Afghanistan, il paese dove fin dall’inizio le prospettive di successo erano tutt’altro che rosee. Ma lui, da buon calabrese cocciuto, ha voluto lanciare la sua sfida. Con un risultato finora tutto al negativo.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, nel paese al crocevia dell’Asia, retto dai talebani, i campi di papavero si sono talmente estesi nel corso dell’ultimo anno da produrre 4.600 tonnellate di oppio. Una cifra record che non ha precedenti e corrisponde al doppio del raccolto del 1998. Un balzo in avanti per l’Afghanistan che dal cinquanta per cento è passato a coprire per due terzi il mercato globale dell’eroina. E che fa impennare del 60 per cento la produzione mondiale della polvere bianca. Una montagna di droga mai raggiunta prima e che attraverso l’antica via della seta, dove una volta passavano carovane cariche di tessuti, spezie, gemme, porta la morte coprendo per l’80 per cento i mercati europei.
Arlacchi, pur essendo stato allertato fin dall’inizio dai media di mezzo mondo, ha voluto credere alle promesse dei talebani. A suo tempo si recò a Kandahar, la storica capitale dell’Afghanistan, per incontrarli. Promise oltre 400 miliardi di lire in dieci anni se avessero sradicato le coltivazioni di papavero. Non ti fidare gli dicevano in molti, quei soldi servono a comprare armi, a prolungare la guerra civile e a esportare il credo oscurantista degli studenti islamici al potere a Kabul. «Non finanziare un regime integralista che annulla le libertà e mortifica le donne», diceva l’allora commissario europeo Emma Bonino. Ma a tutti Arlacchi, dal suo quartier generale al settimo piano del palazzo dell’Onu a Vienna, dove ha varato programmi, impartito ordini, spostato uomini, cambiato organigrammi, ha risposto duramente agli attacchi di ieri, ostentando sicurezza e ottimismo.
E oggi? Proprio in questi giorni il problema Afghanistan è stato messo sul tappeto dal comitato tecnico dell’Onu. Ma Arlacchi non demorde, e per bocca del suo portavoce Sandro Tucci risponde che l’incremento della produzione del papavero è dovuto sì «a un aumento del 23 per cento della superficie coltivata ma anche alle ottime condizioni climatiche». Prevede una forte riduzione, attorno al 30 per cento per il prossimo raccolto, questa volta per le «avverse condizioni climatiche». Insomma sembrerebbe proprio un piano in gran parte affidato ai capricci di Giove.
Su quel 23 per cento di superficie in più coltivata e non distrutta, Arlacchi ha la sua risposta. Le colture servono a «sfamare un milione e 400 mila contadini». Di conseguenza lo Stato, ovvero il governo dei talebani, non può distruggere quelle coltivazioni, presenti in dieci delle 29 province afghane su un totale di 60 mila ettari di terreno e per il 96 per cento sotto il loro controllo. E allora perché continuare a finanziare piani che vengono disattesi? «C’è la guerra, e possiamo fare poco. E per rendere più difficile il contrabbando, avremmo bisogno di più soldi per aiutare i paesi limitrofi a combatterlo», dice Tucci. «Inoltre il leader dei talebani ci ha assicurato di aver emesso un editto che invita a ridurre la produzione di oppio».
Rimane il fatto che il regime teocratico dei talebani alla fin fine vorrebbe la scomparsa non tanto delle piantagioni di papavero quanto degli «infedeli», ovvero degli occidentali.
Dina Nascetti, 18.05.2000, qui.

Già: credere alla parola dei talebani non è proprio una buonissima idea, e l’arlacchino nostro ci ha sbattuto pesantemente il naso – anche con quelle sue tremende arrampicate sugli specchi. E ora, ventun anni dopo, che cosa ci racconta il nostro genietto di casa?

Pino Arlacchi: “E’ con l’invasione Usa che esplose la produzione illecita di oppio in Afghanistan”

Cari amici, interrompo il mio lungo silenzio, dovuto alla scrittura di un nuovo libro, per un commento sull’#Afghanistan dopo la vittoria talebana.
Mi occupo di quel paese da quasi 25 anni, ed ho formulato due proposte di soluzione dei suoi problemi più impellenti. La prima è stato il piano di eliminazione delle coltivazioni di oppio che ho elaborato durante il mio mandato ONU. Piano coronato da completo successo nell’estate del 2001. [Questo articolo di fine ottobre 2001 dice esattamente il contrario]
I talebani al potere, pressati dal programma che dirigevo e dal Consiglio di sicurezza, decisero di far rispettare la proibizione di coltivare l’oppio con il risultato di azzerarla quasi totalmente. [Eh, una paura si sono messi con le tue pressioni, ma una paura guarda…]
L’invasione americana dell’ottobre di quello stesso anno sloggiò i talebani dal governo e fu seguita da un accordo con i signori della guerra che riportò in pochi anni la produzione illecita ai livelli precedenti il 2001.
Nel gennaio del 2011 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza la mia proposta per una soluzione non militare della crisi afghana. Sul mio sito https://pinoarlacchi.it/en/mission-in-afghanistan potete leggere il testo della mia “Nuova strategia dell’Unione Europea per l’Afghanistan”.
A differenza del mio piano sull’oppio di dieci anni prima, questa strategia non ha avuto alcun seguito. È stata ignorata dalla Commissione europea e dagli Stati membri, che hanno persistito nel seguire le direttive americane. Il risultato finale (disastroso) è ora sotto i nostri occhi. [Il tuo risultato finale (disastroso) invece, sotto quale tappeto lo hai spazzato? E quante armi hanno comprato i talebani coi tuoi 400 miliardi di dollari? Quante persone hanno ammazzato con quelle armi? Quanto sangue hai sulle mani?]
In alcuni post successivi commenterò i principali temi sul tappeto.
Pino Arlacchi, 20/08/2021, qui.

E prosegue, sempre autoincensandosi.

Pino Arlacchi – Cosa succede in Afghanistan al di là del delirio mediatico

 Invito chiunque mi legga e mastichi una qualsiasi lingua straniera a informarsi sull’ Afghanistan evitando di leggere i maggiori quotidiani italiani. Quel paese sembra essere stato vittima di una invasione di mostri pervenuti dallo spazio e dotati di poteri sconfinati. Mostri che sono riusciti a far scappare da Kabul, terrorizzate, le forze del bene. Mostri assetati di vendetta e di sangue, soprattutto femminile, e che si apprestano a far diventare l’Afghanistan il santuario del narcotraffico e del terrorismo mondiale. [E pensare che invece sono tanto buoni, soprattutto con le donne, che trattano con una delicatezza che neanche i trovatori del dolce stil novo, che non farebbero male a una mosca, vendetta poi non sanno neanche come si scrive]

Delirio mediatico.

Cosa è successo invece, e cosa sta accadendo in Afghanistan in questi giorni?
Non c’è stata, innanzitutto, alcuna invasione di alieni, ma lo sbocco finale di due guerre. Una guerra civile tra i talebani ed i loro avversari iniziata quasi trent’anni fa, ed una guerra di liberazione contro una potenza occupante iniziata venti anni fa esatti. 
I talebani sono degli integralisti islamici estremi, portatori di un’ideologia oscurantista che implica la violazione di diritti fondamentali, in primis quelli delle donne. Ma sono anche una forza che ha finito col prevalere contro ogni genere di nemico grazie a un rapporto con la popolazione rurale afghana migliore di quello stabilito dai loro avversari. [Ecco, ve l’avevo detto, benefattori sono, angeli custodi, praticamente la mano destra di Dio]
I talebani che ho conosciuto non erano guerriglieri marxisti e neppure nazionalisti. Non combattevano per i poveri e neppure per costruire uno Stato-nazione. Si ispiravano, e si ispirano, ad una società di virtuosi, governata da precetti coranici, inaccettabile e odiosa ai nostri occhi [mentre agli occhi degli afghani è il paradiso in terra. È per quello che stanno accorrendo a Kabul da tutte le parti del Medio Oriente, per godere anche loro del paradiso]. Ma la società dei talebani è una società di afghani, non la Umma universale di altri estremisti. Gli studenti del Corano, perciò, non hanno mai operato al di fuori del loro paese e non sono interessati ad esportare il loro credo altrove [e dunque?].
Come sono allora riusciti a godere di quel minimo di consenso dal basso, o di semplice neutralità, che ha consentito loro di conquistare il Paese ed entrare a Kabul senza sparare un colpo?
Finanziamenti, armi e aiuti dall’estero? 
Quasi zero [ehm… La domanda, come si suol dire, è d’obbligo: ci sei o ci fai?], visto che il rubinetto saudita si è chiuso dopo il 2001 e visto che le grandi potenze regionali sono state a guardare aspettando che il frutto afghano cadesse nelle loro mani dopo la debacle euroamericana. 
Puntualmente avvenuta. Questa sì che è intelligence! O era sufficiente solo leggere i giornali e fare due più due? [Cioè adesso l’Afghanistan è caduto in mano alle grandi potenze regionali? Me la spieghi meglio, che non l’ho mica tanto capita questa?]
È bastato perciò ai talebani sedersi sulla riva del fiume ed aspettare. [I talebani?! Come i talebani? Ma non è nelle mani delle grandi potenze regionali che è caduto l’Afghanistan? Sei sicuro, come si dice dalle mie ex parti, di avere tutte le tazze nella credenza?]
Cioè resistere, garantire ordine e sicurezza alle zone sotto il loro controllo, assicurarsi perlomeno la neutralità della popolazione. Ed attendere ciò che era prevedibile già dieci anni fa: il crollo della baracca di corruzione, inettitudine militare ed amministrativa, indifferenza per i bisogni dei civili, messa in piedi dalle forze di occupazione. [Veramente Trump ha deciso il ritiro all’inizio del 2019 perché aveva stabilito che non avevano più niente da fare lì; tutto il resto, baracca di corruzione eccetera si trova nella fervida fantasia del signor Arlacchi. E davvero questo signore ha l’impressione che gli afghani, e le donne in particolare, preferissero i talebani agli americani? E come le spiega le fughe? Come spiega gli assalti all’aeroporto? Come spiega le madri che lanciano i figli oltre il filo spinato dell’aeroporto nella speranza di sottrarli all’inferno che aspetta tutti loro – come le madri ebree nel disperato tentativo di salvarli dai nazisti? Di disonestà intellettuale ne stiamo vedendo tanta, ma quella di quest’uomo le supera tutte]
L’analisi che avevo fatto nel 2011 per il Parlamento europeo parlava chiaro. Non c’era speranza di una soluzione militare, e senza una svolta radicale delle politiche occidentali l’Afghanistan sarebbe caduto nelle mani dei talebani. [Eh già, l’unico che ha capito tutto, ma vaffanculo, va’] [Ma poi perché “caduto”? Non hai appena finito di dire che non è vero che sono dei mostri, che hanno il sostegno popolare, che la gente preferisce loro agli americani?]
L’unica cosa che non avevo considerato nel mio rapporto era l’identità del vero futuro vincitore della guerra dell’Afghanistan: la Cina. [Ah, non le grandi potenze regionali? Non hai appena detto che è nelle loro mani che è caduto il frutto afghano?]
Pino Arlacchi, 22/08/2021, qui.

Per sapere perché il ritiro si è trasformato in una rotta disastrosa [Caporetto? Adua?] è meglio leggere qualcosa di più serio.

Niram Ferretti

EXIT STRATEGY

“Sono abbastanza vecchio per avere bene in mente la caduta di Saigon nel 1975…ce l’ho nel mio archivio dei ricordi”, ha dichiarato il generale Jim Jones, che ha servito come consigliere per la sicurezza nazionale sotto il presidente Barack Obama. “Fu molto doloroso da guardare. Questo è, almeno finora, ancora più doloroso”.
Costernazione.
“Quando si fanno questo tipo di cose, per quanto grandi o piccole siano, la prima cosa che si è fa è di evacuare i civili e le famiglie, poi il personale del governo degli Stati Uniti se necessario. E in seguito le ultime persone che se ne vanno sono generalmente i militari che forniscono la sicurezza per una evacuazione ordinata. Mi risulta che abbiamo fatto esattamente il contrario e non so perché.”
La risposta, per quanto sconcertante, è, per palese incompetenza. Inutile cercare improbabili moventi oscuri, ricorrere a fantasiose dietrologie. Il modo in cui gli Stati Uniti si sono lasciati dietro l’Afghanistan consegnandolo nelle mani dei talebani, resterà nei libri di storia come un degli esempi più clamorosi di come non si effettua un ritiro militare.
Il responsabile principale di tutto ciò è, ovviamente, il Commander in Chief, ovvero il presidente, colui che alla fine ha dato il via all’operazione, l’ha avallata, ha posto il suo sigillo.
Uscire di scena così non è degno di una grande potenza, non è degno di una piccola potenza. E’ semplicemente grottesco e surreale.

Incompetenza, senza dubbio. Ma non solo.

Parla Mike Pence: Biden ha rotto il nostro accordo con i Talebani

Mike Pence: Questa è un’umiliazione di politica estera diversa da qualsiasi altra cosa il nostro paese abbia mai sopportato sin dalla crisi degli ostaggi in Iran.

“La probabilità che ci siano i Talebani a dominare tutto e a controllare l’intero paese [l’Afghanistan] è altamente improbabile”, ha proclamato fiduciosamente Joe Biden a luglio. “Non ci saranno circostanze in cui vedrete persone sollevate dal tetto dell’ambasciata”.
Un mese dopo, lo scenario che il signor Biden riteneva impossibile è diventato una realtà terrificante. Negli ultimi giorni, il mondo ha visto civili in preda al panico aggrapparsi ad aerei militari statunitensi nel disperato tentativo di sfuggire al caos scatenato dalla ritirata sconsiderata del signor Biden. I diplomatici americani hanno dovuto implorare i nostri nemici di non prendere d’assalto la nostra ambasciata a Kabul. I combattenti talebani hanno sequestrato decine di veicoli militari americani, fucili, artiglieria, aerei, elicotteri e droni.
Il disastroso ritiro dell’amministrazione Biden dall’Afghanistan è un’umiliazione di politica estera diversa da qualsiasi altra cosa il nostro paese abbia mai sopportato sin dalla crisi degli ostaggi in Iran.
Ha messo in imbarazzo l’America davanti alla scena mondiale, ha portato gli alleati a dubitare della nostra affidabilità ed ha incoraggiato i nemici a mettere alla prova la nostra determinazione. Peggio di tutto, ha disonorato la memoria degli eroici americani che hanno aiutato a consegnare i terroristi alla giustizia dopo l’11 settembre, e tutti coloro che hanno servito in Afghanistan negli ultimi 20 anni.
Nel febbraio 2020, l’amministrazione Trump aveva raggiunto un accordo che richiedeva ai Talebani di porre fine a tutti gli attacchi al personale militare americano, di rifiutare ai terroristi un porto sicuro e di negoziare con i leader afgani la creazione di un nuovo governo. Finché queste condizioni fossero state soddisfatte, gli Stati Uniti avrebbero condotto un graduale e ordinato ritiro delle forze militari.
Approvato all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’accordo ha immediatamente portato in Afghanistan una stabilità mai vista da decenni. Negli ultimi 18 mesi, gli Stati Uniti non hanno subito una sola perdita in combattimento.
Quando abbiamo lasciato l’incarico, il governo afgano e i Talebani controllavano ciascuno il proprio territorio, nessuno dei due stava montando grandi offensive, e l’America aveva solo 2.500 truppe statunitensi nel paese – la più piccola presenza militare dall’inizio della guerra nel 2001.
La guerra infinita dell’America stava arrivando a una fine dignitosa, e la base aerea di Bagram ci assicurava la possibilità di condurre missioni antiterrorismo fino alla conclusione di quella guerra.
I progressi della nostra amministrazione per ottenere la fine di quella guerra sono stati possibili perché i leader Talebani hanno capito che le conseguenze della violazione dell’accordo sarebbero state rapide e gravi. Dopo che i nostri militari avevano eliminato il terrorista iraniano Qasem Soleimani, e le forze speciali statunitensi avevano ucciso il leader dell’ISIS, i Talebani non avevano dubbi che avremmo mantenuto la nostra promessa.
Ma quando il signor Biden è diventato presidente, ha rapidamente annunciato che le forze statunitensi sarebbero rimaste in Afghanistan per altri quattro mesi senza una chiara ragione per farlo. Non c’era alcun piano per trasportare i miliardi di dollari di attrezzature americane recentemente catturate dai Talebani, o per evacuare le migliaia di americani che ora si affannano a fuggire da Kabul, o per facilitare il reinsediamento regionale delle migliaia di rifugiati afgani che ora chiederanno asilo negli Stati Uniti con poco o nessun controllo.
Piuttosto, sembra che il presidente semplicemente non volesse mostrare di rispettare i termini di un accordo negoziato dal suo predecessore.
Una volta che il signor Biden ha rotto l’accordo, i Talebani hanno lanciato una grande offensiva contro il governo afgano e hanno preso Kabul. Sapevano che non c’era alcuna minaccia credibile di un atto di forza da parte di questo presidente. L’hanno visto inchinarsi a gruppi terroristici antisemiti come Hamas, ripristinare milioni di dollari di aiuti all’Autorità Palestinese e stare a guardare all’inizio di quest’anno mentre migliaia di razzi piovevano sui civili israeliani.
La debolezza istiga il male – e la grandezza del male che ora sta sorgendo in Afghanistan la dice lunga sulle debolezze del signor Biden. Per limitare la carneficina, il presidente ha ordinato più truppe in Afghanistan, triplicando la nostra presenza militare durante un presunto ritiro.
Dopo 20 anni, più di 2.400 americani morti20.000 americani feriti e oltre 2.000 miliardi di dollari spesi, il popolo americano è pronto a riportare a casa le sue truppe.
Ma il modo in cui il signor Biden ha eseguito questo ritiro è una vergogna, indegno dei coraggiosi uomini e donne americani in servizio il cui sangue macchia ancora il suolo dell’Afghanistan.
Luca Maragna, qui.

Piuttosto, sembra che il presidente semplicemente non volesse mostrare di rispettare i termini di un accordo negoziato dal suo predecessore.”
Esattamente come ha fatto con tutto ciò che aveva fatto Trump (a cominciare dalle tasse che T. aveva tagliato, permettendo così di favorire le assunzioni e abbassare drasticamente la disoccupazione, soprattutto fra neri e ispanici, che non a caso hanno votato per lui con percentuali mai viste prima nei confronti di un candidato repubblicano). No, questo non è il marito che si taglia i coglioni per fare dispetto alla moglie: questo è uno che ha tagliato i coglioni a un’intera nazione per fare dispetto a chi, quei coglioni, glieli aveva messi. E adesso, notate bene, si sta cercando di limitare la carneficina. Che difficilmente sarà evitata del tutto.

barbara

DUE PAROLE SUL DISASTRO AFGHANO

E sul perché Kabul è diventata una seconda Saigon. Riprendo tre articoli che mi sembrano chiarire bene i fatti e le cause.

Mike Pompeo: Biden non è riuscito ad eseguire il ritiro dall’Afghanistan

Joe Biden avrebbe supplicato i Talebani di rallentare la loro avanzata verso Kabul.

L’ex segretario di Stato Mike Pompeo reagisce all’invio di truppe americane di rinforzo in Afghanistan su “The Story”, Fox News.

L’ex Segretario di Stato Mike Pompeo ha criticato l’amministrazione Biden per quella che ha descritto come una debole pianificazione ed una cattiva esecuzione del ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan.
Pompeo, che ha aiutato a pianificare ed eseguire le prime fasi dello spiegamento verso il ritiro delle truppe dal paese, dopo 20 anni lì, ha detto a “The Story” che lui e il presidente Donald Trump si erano assicurati che ci fossero molteplici e applicabili “modelli di deterrenza” che avrebbero impedito il disastro che sta invece di fronte all’attuale Casa Bianca.
“[Sembra] che non siano stati in grado di eseguirlo”, ha detto. “La strategia dipende dalla pianificazione e dall’esecuzione. Sembra che ci sia stato un po’ di panico. Spero che abbiano il giusto numero di persone e che arrivino rapidamente. Spero che possano proteggere gli americani nel modo in cui l’amministrazione Trump aveva tutte le intenzioni di fare”.
Pompeo ha detto che Donald Trump aveva avvertito il negoziatore talebano Mullah Abdul Ghani Baradar che ci sarebbero state “brusche e severe conseguenze” se qualche americano fosse stato minacciato o ferito nel corso del ritiro.
“Se minacciate un americano, se anche solo spaventate un americano, e certamente se farete del male ad un americano, metteremo in campo tutta la potenza americana per assicurarci di arrivare fino al vostro villaggio, alla vostra casa”, ha ricordato ciò che era stato detto al negoziatore talebano.
“Eravamo stati molto chiari sulle cose che eravamo pronti a fare per proteggere le vite americane. Da quando abbiamo iniziato quei negoziati, all’inizio del 2020, non c’è stato un solo americano ucciso dai Talebani mentre il negoziato era in corso. Avevamo stabilito un modello di deterrenza. Spero che non l’abbiamo perso, per gli americani ancora sul campo lì a Kabul”.
Pompeo ha detto che la vera preoccupazione in Afghanistan non sono i Talebani in sé. La paura principale è che un ritorno dei Talebani riporti l’Afghanistan ad essere un nuovo “focolaio” per Al Qaeda e l’ISIS, come lo era prima dell’11 settembre 2001.
“La minaccia non viene dai Talebani. È dal fatto che i Talebani giocheranno a footsies con terroristi come Al Qaeda”, ha detto, aggiungendo che ad oggi, si stima che ci siano 200 o meno terroristi di Al Qaeda nel paese.
“Il presidente Trump ha fatto sempre capire chiaramente a me e al Dipartimento di Stato, che la nostra missione era chiara. Volevamo assicurarci che le nostre analisi fossero sempre basate sulle condizioni che avrebbero protetto meglio l’America, o almeno di ridurre il rischio che ci potrà mai essere un attacco da quel posto”, ha detto.
In precedenza, giovedì, il repubblicano più importante del Comitato per i Servizi Armati della Camera, il rappresentante Mike Rogers dell’Alabama, ha avvertito che Biden sta rischiando una “Nuova Saigon” – in riferimento agli Stati Uniti che fuggono dal Vietnam mentre l’esercito nordvietnamita entra nella proprietà del Palazzo Presidenziale sudvietnamita il 30 aprile 1975.
“Per mesi, ho fatto pressione sul presidente Biden per un piano per evitare proprio la situazione che sta accadendo ora in Afghanistan. Ora, le vite americane sono a rischio perché il presidente Biden non ha ancora un piano“, ha detto Rogers in una dichiarazione.
“Settimane fa, il presidente Biden ha promesso al popolo americano che non avremmo avuto un’altra Saigon in Afghanistan. Ora, stiamo guardando quella la nuova Saigon del presidente Biden svilupparsi davanti a noi”.
Un alto funzionario della Casa Bianca ha detto a Fox News che Biden ha tenuto una riunione sulle mosse da fare mercoledì sera, incaricando i suoi capi, e poi li ha incontrati di nuovo giovedì mattina. Anche il segretario alla difesa ed il consigliere per la sicurezza nazionale hanno informato Biden giovedì mattina, e lui ha dato l’ordine di schierano nuove truppe in Afghanistan per aiutare l’evacuazione degli americani. Biden avrebbe parlato poi separatamente con il segretario di stato per discutere la strategia diplomatica, ha detto il funzionario. (qui)

Mike Pompeo: In Afghanistan, la squadra di Biden sembra nel panico, avrebbero avuto bisogno di fare due cose…

Una strategia così complessa dipende dalla pianificazione e dall’esecuzione.

L’ex segretario di Stato Mike Pompeo reagisce all’invio di truppe americane di rinforzo in Afghanistan su “The Story”, Fox News.

Facciamola semplice. La mia missione rispetto al terrorismo in Afghanistan come segretario di stato nell’amministrazione Trump aveva solo due obiettivi, dice Mike Pompeo.
Primo, ridurre la minaccia del terrorismo radicale islamico in quel paese ed assicurarsi di fare tutto il possibile per evitare che si ripetano gli eventi, ormai accaduti quasi esattamente 20 anni fa, che hanno ucciso 3.000 persone negli Stati Uniti. Secondo, riportare a casa i nostri coraggiosi e giovani soldati, aviatori e marines e concentrarci sul terrorismo in tutto il mondo e sulla grande lotta per il potere che viene dalla Cina. Questo è tutto.
Tutto questo è iniziato con incontri chiari e diretti con i Talebani che stabilivano le condizioni che avrebbero dovuto essere soddisfatte per la partenza finale di tutti gli americani. Ho lavorato per negoziare queste intese.
Non ci siamo fidati del mullah Barader, il capo negoziatore talebano e dei suoi emissari. Non abbiamo dovuto farlo perché avevamo messo subito in chiaro il prezzo che sarebbe stato pagato se avessero violato i nostri rigidi paletti. Non abbiamo implorato i Talebani. Invece, a partire dal presidente Trump e proseguendo in basso per tutta la catena di comando, abbiamo sempre ricordato il prezzo che sarebbe stato chiesto per il loro cattivo comportamento.
Dal 29 febbraio 2020, il giorno in cui abbiamo firmato il nostro primo accordo con i Talebani, non un solo americano è stato ucciso da loro. Nemmeno uno.
Oggi, invece, l’amministrazione Biden starebbe supplicando i Talebani di non uccidere i nostri diplomatici alla loro partenza. Non è semplice debolezza, è anche pericoloso.
Il nostro modello per tenere al sicuro gli americani era la deterrenza – metti un americano a rischio, verremo al tuo villaggio, troveremo te e tutta la tua unità e ti faremo passare un giorno molto brutto fino a quando non ci implorerai di smetterla. Pensate a Quassem Soleimani.
Una strategia così complessa dipende dalla pianificazione e dall’esecuzione. Avevamo iniziato non solo a ridurre ordinatamente il rischio militare, ma anche a ridurre il numero di diplomatici nella nostra ambasciata a Kabul. Tutto per ridurre il rischio. Avevamo un piano ed eravamo determinati ad eseguirlo per raggiungere il duplice obiettivo che il presidente Trump aveva stabilito per noi.
Al contrario, sembra che il Team di Biden non abbia pianificato adeguatamente. Sembrano in preda al panico. Questo incoraggerà i Talebani ed incoraggerà Al Qaeda. 
L’invio da parte dell’amministrazione Biden di oltre 3.000 truppe americane in Afghanistan è il risultato di una cattiva pianificazione e di una scarsa leadership messa in atto nel tentativo di eseguire un’operazione che era stata impostata per avere successo dall’amministrazione Trump.
Sono sicuro che i nostri militari comprendono la missione che è stata stabilita: proteggere la patria da un attacco proveniente dall’Afghanistan. Ma l’amministrazione ha la volontà di imporre quella missione e portare una fine ordinata alla guerra in Afghanistan, mantenendo la deterrenza con i Talebani contro gli attacchi alle nostre truppe e alla nostra ambasciata mentre ci ritiriamo?
La minaccia in Afghanistan non viene solo dai Talebani. Proviene anche dai Talebani che consentono un rifugio sicuro ai gruppi terroristici come Al Qaeda.
Quando ho lasciato l’ufficio, c’erano meno di 200 militanti di Al Qaeda rimasti in Afghanistan. I leader di Al Qaeda erano fuggiti dall’Afghanistan a causa della pressione americana e non si nascondevano in Iran. Dobbiamo fare in modo che il numero di terroristi radicali islamici si riduca soltanto.
È tempo di ridurre le nostre operazioni in Afghanistan, ma deve essere fatto con forza, coraggio e pianificazione. Non è necessario che un ritiro americano porti a una disfatta. I due obiettivi possono ancora essere raggiunti, spero che questa amministrazione ci riesca. (qui)

Byron York’s Daily Memo – L’umiliazione in Afghanistan

Il governo dell’Afghanistan è crollato rapidamente di fronte a una nuova offensiva talebana. Gli Stati Uniti hanno esortato gli americani a “lasciare immediatamente l’Afghanistan”. L’amministrazione Biden ha inviato una piccola unità di truppe per accelerare l’evacuazione. In uno sviluppo particolarmente significativo, gli Stati Uniti hanno chiesto ai Talebani – per piacere – di non prendere di mira l’ambasciata americana una volta che avessero preso il controllo della capitale Kabul.
Al Pentagono, mercoledì, un giornalista ha chiesto al portavoce John Kirby, un ammiraglio della Marina fuori servizio, se il Dipartimento della Difesa “avrebbe potuto fare un lavoro migliore… nell’articolare quali fossero gli obiettivi in Afghanistan e come dovrebbero svolgersi le cose o come non dovrebbero quando ce ne saremo andati?”
La risposta è stata dolorosamente rivelatrice. Ha iniziato dicendo che non poteva parlare per tutti i 20 anni di storia della guerra afgana. Ha ammesso che “gli obiettivi sono cambiati nel tempo”. E poi ha detto: “Sarebbe sbagliato per noi non riconoscere che abbiamo contribuito a consentire alcuni progressi in Afghanistan. Più bambini nelle scuole, comprese le ragazze, opportunità economiche, politiche e sociali per le donne. Un governo democraticamente eletto – non dico che non sia impeccabile, ma almeno un governo. E condizioni di vita molto migliori, compresa l’aspettativa di vita”.
Kirby ha fatto eco ad una dichiarazione fatta quasi cinque anni fa, nell’ottobre 2016, dall’allora segretario di Stato John Kerry. Dall’inizio della guerra, ha detto Kerry, “la mortalità delle madri a causa del parto in Afghanistan è scesa del 75 per cento. L’aspettativa di vita media è passata da 42 anni a 62 anni. L’accesso all’assistenza sanitaria di base è salito alle stelle, dal 9 per cento al 67 per cento. Nel 2001, c’era solo una stazione televisiva, ed era di proprietà del governo. Ora, ci sono 75 stazioni e tutte tranne due sono di proprietà privata. Allora non c’erano praticamente telefoni cellulari, zero. Oggi, ci sono 18 milioni di telefoni cellulari, che coprono circa il 90% delle aree residenziali e collegano gli afgani al mondo”.
Potrebbe mai esserci un’affermazione più vivida di quanto sia andata terribilmente male la missione degli Stati Uniti in Afghanistan? Abbiamo reso l’Afghanistan un posto migliore! I telefoni cellulari! Le stazioni TV! Le ragazze nelle scuole! L’impegno degli Stati Uniti in Afghanistan è diventato forse l’esempio più spettacolare di costruzione di una nazione che non esiste. E ora sta finendo in un fallimento spettacolare perché una missione per costruire una nazione che non esiste è destinata a fallire.
Osama Bin Laden e i suoi scagnozzi hanno usato l’Afghanistan come quartier generale per pianificare gli attacchi dell’11 settembre. Dopo gli attacchi, che hanno ucciso 3.000 persone tra New York, Washington e Pennsylvania, il governo degli Stati Uniti aveva l’obbligo solenne di rintracciare ed uccidere ogni singolo terrorista che avesse avuto un ruolo nella pianificazione e nell’esecuzione di quegli attacchi. La missione non era quella di rendere l’Afghanistan un posto migliore. Non era ridurre la mortalità delle donne a causa del parto. Non era costruire cliniche sanitarie. Non era distribuire telefoni cellulari. Era uccidere i terroristi che avevano attaccato gli Stati Uniti. Poi si sarebbe trattato di mantenere quella presenza minima di intelligence che avrebbe avvertito il governo degli Stati Uniti di qualsiasi futura pianificazione terroristica in loco, e fermare anche quella.

Il fallimento è stato interamente bipartisan.

Ma il presidente repubblicano George W. Bush porta il peso della colpa maggiore per aver indirizzato la guerra afgana sulla strada sbagliata. Sebbene Bush abbia inflitto grandi danni ad Al Qaeda, ha anche dato inizio a quell’esercizio di “nation building“. E nel processo, non è riuscito a trovare e a uccidere Osama Bin Laden, o il suo vice Ayman al-Zawahiri, o il Mullah Omar, il leader talebano che ha aiutato e favorito gli attacchi. Quando, nel 2003, le forze statunitensi catturarono Khalid Sheikh Mohammed, il principale pianificatore dell’11 settembre, l’amministrazione Bush non riuscì a consegnargli la giustizia rapida che meritava. Khalid Sheikh Mohammed, che avrebbe dovuto essere giustiziato dagli Stati Uniti molti anni fa, è ancora vivo oggi, detenuto nella struttura americana di Guantanamo, a Cuba.
Il presidente Barack Obama, a suo grande merito, ha trovato e ucciso Osama Bin Laden. Ma le forze statunitensi non hanno mai preso Zawahiri, e nessuno oggi sembra sapere se sia ancora vivo o morto. Anche il Mullah Omar è sfuggito alla punizione degli Stati Uniti e, secondo quanto riferito, è morto di tubercolosi nel 2013.
D’altra parte, però, l’uso dei telefoni cellulari in Afghanistan è salito alle stelle…
Le forze statunitensi sono rimaste in Afghanistan durante gli anni di Bush, gli anni di Obama, gli anni di Trump e ora per la prima parte dell’amministrazione Biden. Date al presidente Joe Biden il merito di aver messo fine a questa vicenda mal concepita. Naturalmente, sapeva che l’Afghanistan sarebbe crollato quando gli Stati Uniti se ne fossero andati. Il fatto che si sia sgretolato così rapidamente è un’indicazione abbastanza buona che non fosse affatto pronto a stare in piedi da solo.
Nel frattempo, quello che viene definito il momento della “caduta di Saigon” si sta avvicinando. Alcuni daranno la colpa a Biden per aver abbandonato l’Afghanistan. Ma questo fallimento è durato 20 anni. L’attuale presidente, almeno, ha appena deciso di porvi fine.
Luca Maragna, qui.

In realtà a decidere di porvi fine era stato l’ex presidente: l’unica cosa che ha fatto quello attuale è stata di stravolgere il programma e trasformare il ritiro in una rotta disastrosa. Eppure per evitare un simile disastro sarebbe bastata una cosa sola: seguire il programma di Trump, che fino a quando è stato condotto da lui ha funzionato alla perfezione. Certo che se uno invece di imporre ai terroristi condizioni di ferro li supplica vi prego vi prego non fatemi male, gli sta, letteralmente, offrendo il  proprio culo su un piatto d’argento. D’altra parte coi democratici è sempre così che va a finire: con Obama le cosiddette primavere arabe costate finora centinaia di migliaia di morti e chissà quanti ancora ne costeranno, e il sacrificio degli studenti dell’«Onda verde» con l’aggiunta della strage di Bengasi perpetrata da Hillary Clinton (perpetrata alla lettera: per tre volte dalla CIA che aveva la postazione a cento metri dall’ambasciata è arrivata la richiesta di autorizzazione a intervenire, e per tre volte l’autorizzazione è stata negata), e con Biden lo smantellamento degli Stati Uniti e il disastro afghano, in soli pochi mesi. Ah, e a proposito di Obama, ci sono anche tutte le menzogne sull’Afghanistan. Per quanto riguarda il futuro della regione, comunque, non abbiamo motivo di preoccuparci: l’Onu è già intervenuto e ha pensato a tutto:

Loro, nel frattempo, ricominceranno presto ad andarsi a prendere le mogli così.

barbara

CHI BEN COMINCIA È A METÀ DELL’OPERA

Poi il titolo ve lo spiego dopo.

Biden Hiden riscrive la storia sul Coronavirus mentendo pubblicamente agli americani nel suo primo discorso alla nazione

Joe Biden parla della pandemia di COVID-19 durante un discorso in prima serata dalla East Room della Casa Bianca, giovedì 11 marzo 2021, a Washington, D.C.
Nel suo primo discorso alla nazione in prima serata, Biden Hiden ha parlato del Coronavirus e di come è stata gestita la pandemia, criticando pesantemente quanto fatto dall’Amministrazione di Donald Trump, ma finendo per mentire spudoratamente, come evidenziato dal The Washington Times in suo articolo, di cui riportiamo la traduzione integrale.

Biden reinventa la storia, le bugie nel primo discorso in prima serata

“Un anno fa, siamo stati colpiti da un virus che è stato accolto con il silenzio e si è diffuso senza controllo. Negazionismi per giorni, settimane, poi mesi, che hanno portato a causare ancora più morti”, ha detto il Joe Biden nel suo primo discorso alla nazione giovedì sera.
Menzogne palesi.
Già il 6 gennaio del 2020, il Centers for Disease Control and Prevention (CDC), sotto la guida dell’allora presidente Trump, ha emesso un avvertimento sui viaggi per Wuhan, in Cina, a causa della diffusione del Coronavirus.
Il 20 gennaio, il giorno in cui i cinesi hanno finalmente ammesso che il virus poteva essere trasmesso da uomo a uomo, gli Stati Uniti hanno annunciato che stavano già lavorando allo sviluppo di un vaccino.
Il 29 gennaio, Donald Trump ha formato una task force sul Coronavirus alla Casa Bianca e due giorni dopo ha dichiarato un’emergenza per la salute pubblica e ha limitato i viaggi da e verso la Cina.
Forse il signor Biden non stava prestando attenzione in quel momento – i Democratici, dopo tutto, erano ossessionati dall’impeachment di Donald Trump.
Quando il Coronavirus ha finalmente catturato l’attenzione dei Democratici (dopo l’assoluzione del signor Trump nel processo di impeachment) sono andati all’attacco, compreso il signor Biden, che ha definito “xenofobe” le azioni del presidente che vietavano i viaggi da e verso la Cina.
“Questo non è il momento per i record di isteria e xenofobia di Donald Trump – xenofobia isterica – e dell’allarmismo a guidare le scelte invece della scienza”, aveva detto il signor Biden al tempo.
Ron Klain, ora capo dello staff della Casa Bianca, aveva invece applaudito la Cina. “Penso che quello che si dovrebbe dire della Cina è che è stata più trasparente e più candida di quanto non sia stata durante le epidemie passate”, ha detto. Il signor Biden e il signor Klain non avrebbero potuto avere più torto. Il signor Trump ha subito pesanti colpi dal punto di vista delle pubbliche relazioni, ma così facendo ha salvato migliaia di vite americane.
A febbraio, mentre il signor Trump aveva giurato nel suo discorso sullo Stato dell’Unione di “prendere tutte le misure necessarie” per proteggere gli americani dal Coronavirus e lavorava con la FDA e sull’ampliamento di una partnership con il settore privato per “accelerare lo sviluppo” di un vaccino contro il Coronavirus, il signor Klain aveva minimizzato la gravità dell’epidemia.
“Una grave epidemia – ora, il Coronavirus può essere questo o può non essere questo. Le prove suggeriscono che probabilmente non lo sia”, aveva detto il signor Klain.
Il dottor Zeke Emanuel, che era consigliere della campagna di Biden, ha detto che “molti degli esperti stanno dicendo, ‘bene, il periodo caldo sta per arrivare e, proprio come con l’influenza, il Coronavirus sta per scemare e può spostarsi nell’emisfero meridionale’”.
E ha aggiunto, “al momento, la maggior parte delle persone sta pensando che ci potrebbe essere un po’ di reazione eccessiva da parte di molti, forse anche del nostro stesso paese. Se si guardano i numeri spassionatamente, ci sono poco più di 1.000 casi fuori dalla Cina”.
Sbagliato e ancora più sbagliato.
Il 24 febbraio, l’amministrazione Trump ha inviato una lettera al Congresso chiedendo almeno 2,5 miliardi di dollari per aiutare a combattere la diffusione del Coronavirus. Nello stesso periodo, la presidente della Camera Nancy Pelosi passeggiava per la Chinatown di San Francisco “alleviando le paure della gente” sul virus.
A marzo, quando molti media stavano ancora minimizzando il virus e criticando la risposta “xenofoba” del Presidente, il signor Trump ha donato il suo stipendio del quarto trimestre per combattere il Coronavirus e la sua amministrazione ha annunciato l’acquisto di circa 500 milioni di respiratori N95 in un periodo di 18 mesi per rispondere all’epidemia.
Il 4 marzo, il giorno in cui la CNN ha finalmente ammesso che il Coronavirus potrebbe essere più mortale dell’influenza, l’allora segretario alla salute e ai servizi umani Alex Azar annunciava che l’HHS stava trasferendo 35 milioni di dollari al CDC per aiutare le comunità statali e locali più colpite dal Coronavirus. Quattro giorni dopo, il signor Trump ha firmato una legge da 8,3 miliardi di dollari per combattere l’epidemia, con la maggior parte dei soldi da destinare alle agenzie federali, statali e locali.
Il 9 marzo, il signor Biden ha tenuto un comizio al chiuso in Michigan, apparentemente disinteressato al problema del virus che si stava diffondendo. Il 12 marzo, sempre il signor Biden aveva twittato: “Un muro non fermerà il Coronavirus. Vietare tutti i viaggi dall’Europa – o da qualsiasi altra parte del mondo – non lo fermerà”.
Di nuovo, sbagliato.
Mentre la maggior parte dei media mainstream e la campagna di Joe Biden erano troppo preoccupati a disquisire sull’origine del virus e perché fosse sbagliato che alla Casa Bianca fosse stato soprannominato “il virus della Cina” o “il virus di Wuhan”, l’amministrazione Trump stava lavorando per accelerare i test, accelerare lo sviluppo di potenziali vaccini e sviluppare un piano di distribuzione, ottenere attrezzature di protezione personale (PPE) per distribuirle agli Stati che ne avevano bisogno e stava preparandosi all’uso del Defense Production Act.
Sì, ci sono stati degli intoppi lungo la strada. Sì, ci sono state alcuni falsi ricorsi alla speranza rispetto ad alcune terapie. Sì, il signor Trump si è concentrato più sulle cose positive nelle sue dichiarazioni pubbliche che sul quelle negative. Eppure, la sua amministrazione stava lavorando instancabilmente e tenacemente per arginare la diffusione del virus, e per sviluppare un vaccino in tempi record.
E l’hanno fatto. L’operazione Warp Speed è stata un successo sorprendente – un successo di cui l’attuale presidente Joe Biden si sta giovando. Anche se non si può dire che non ci siano stati degli scettici all’epoca.
“Il vaccino contro il Coronavirus potrebbe arrivare quest’anno“, aveva detto Donald Trump. “Gli esperti dicono che avrebbe bisogno di un ‘miracolo’ per avere ragione”, riportava l’NBC il 15 maggio.
Meno male che il miracolo è arrivato.
Invece di incolpare l’amministrazione Trump nel suo primo discorso alla nazione, il signor Biden avrebbe dovuto dire solo “grazie“.
Ma immagino che questo avrebbe richiesto di voler effettivamente unire il paese – non di cogliere l’opportunità per demonizzare il suo avversario politico.

WashingtonTimes.com

LUCA MARAGNA, 12 MARZO 2021, qui.

E se ne avete tempo e voglia, potete ammirarlo in tutto il suo fulgore.

Il titolo si riferisce all’obiettivo di Biden – o meglio dei suoi burattinai – che è chiaramente quello di smantellare gli Stati Uniti. Iniziando da quello che aveva made America great again. E dunque ha cominciato il lavoro cancellando la persona, cancellando dalla memoria propria e degli americani tutto ciò che aveva fatto. Ed è stato proprio un esordio col botto. Dopodiché si passa a smantellare l’esercito, l’economia e il benessere, e poi anche

Lorenzo Capellini Mion

Lafayette, Louisiana

Con una furia ideologica senza precedenti la nuova Amministrazione continua a perseguire un’agenda politica a discapito dei propri cittadini e ha annullato la vendita di 80 milioni di acri (circa 32 milioni di ettari) di contratti di locazione petrolifera del Golfo del Messico distruggendo migliaia di posti di lavoro.
Una mossa devastante per uno Stato in cui circa 250.000 persone, che equivalgono ad altrettante famiglie, lavorano nell’industria petrolifera e non è un caso isolato visto che sono già 21 gli Stati che si stanno opponendo alla nuova politica energetica che come punta di diamante ha visto il folle blocco del progetto Keystone XL Pipeline che ha mandato su tutte le furie anche il Canada.
Nel frattempo il prezzo dei carburanti ha subito un impennata impressionante e gli Stati Uniti stanno perdendo la piena indipendenza energetica conquistata sotto l’Amministrazione dell’uomo arancione cattivo che nel contempo aveva migliorato tutti i parametri con cui si calcolano i danni ambientali.
E normalmente questa è la strada che conduce ad un’altra guerra su vasta scala in Medioriente, dove per esempio le forze statunitensi si stanno nuovamente riversando in massa in Siria.
Però non twitta nulla che disturba le anime belle.

il territorio nazionale, la diplomazia internazionale (Interessante il fatto che l’articolo sembra dare credito alla leggenda che Trump sarebbe stato eletto grazie alla Russia. Il giorno che i dem si inventeranno che è stato eletto grazie all’azione combinata di gatto Silvestro e Braccio di ferro finanziati da Cenerentola, i giornali lo pubblicheranno come verità di vangelo). Con conseguenze immediate, naturalmente:

Mosca richiama il proprio ambasciatore a Washington, “allo scopo di analizzare a fondo cosa fare riguardo le relazioni con gli Usa. Per noi la cosa importante è capire in quale maniera si possano riallacciare legami russo-americani, condotti in sostanza da Washington in un vicolo cieco. Non vorremmo che si giungesse a un degrado irreparabile.”

Potrebbe bastare definirlo assassino? Potrebbe, ma non al signor Biden:

“Il prezzo che pagherà, beh, lo vedrete a breve”

È una minaccia? Un’intimidazione? La bravata del bambino scemo che dice a quello più grande “ti do un pugno che ti spacco la faccia”? Un po’ poco, qualunque cosa sia, per impressionare un funzionario del KGB, che risponde, con la gelida imperturbabilità del funzionario del KGB

(i sottotitoli in realtà non sono corretti: non dice “chi lo dice sa di essere” come dicevamo noi da bambini, bensì “io gomma, tu colla”, vale a dire che le offese che mi lanci, su di me rimbalzano e si attaccano a te. Più qualche altra imprecisione) L’augurio di buona salute comunque ha immediatamente prodotto i suoi effetti:

Ma volendo si potrebbe anche dire “… e come è duro calle lo scendere e salir per l’altrui scale”. Guarda per esempio questa come è carina

Dopodiché arriva l’ineffabile organo ufficiale dell’Unione delle Comunità ebraiche che ineffabilmente scrive:

“Biden sta mantenendo le promesse”. In una intervista con La Stampa, lo scrittore Nathan Englander esprime il proprio apprezzamento per Joe Biden: “Ha trovato un Paese diviso e fatto a pezzi da Trump, dove i neonazisti manifestavano impuniti a Charlottesville e un’ordata di folli criminali ha invaso indisturbata Capitol Hill con la bandiera degli Stati Confederati. Di fronte a questa situazione spaventosa Biden sta mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale”. (qui)

E, a proposito della lotta al Covid:

“Partita male (con Trump) ha pagato un prezzo alto ma si riprende e recupera” (qui)

(I sinistri, cristiani, ebrei o atei che siano, non si smentiscono mai)
Per quanto riguarda il caso Putin, naturalmente Putin è un assassino, nessuna persona ragionevole potrebbe avere qualche dubbio. Ma il punto non è se Putin sia o non sia un assassino, o se fra i personaggi a cui Biden ha stretto e stringerà la mano ce ne siano di peggiori: il punto è che io posso dire che Putin è un assassino, un capo di stato – ma anche un qualsiasi politico di rango inferiore – no. Sono tuttavia convinta che la triade che tira i fili stia lasciando intenzionalmente che faccia una gaffe dietro l’altra, crei un incidente dietro l’altro, si renda ridicolo e si mostri inaffidabile, in modo che il mondo intero, quando sarà il momento, sia pienamente convinto che quell’uomo non è in grado di reggere uno stato – neanche se si trattasse di San Marino – e sia pronto a trovare ragionevole la sua messa a riposo e sostituzione. Forse, addirittura, senza neppure accorgersi che è esattamente a questo scopo che il burattino è stato messo sul palcoscenico. D’altra parte non c’era altro modo per fare arrivare a quel posto una donna che alle primarie è stata una delle persone meno votate. Perché per fare carriera i pompini possono indubbiamente essere utili, ma per arrivare ai vertici, se non hai le doti di una Teodora, ti servono giochi molto più sporchi.

barbara

FACCIAMO DI NUOVO UN SALTO NEGLI STATI UNITI

A proposito delle modalità di voto.

I funzionari hanno sollevato per anni preoccupazioni sulla sicurezza delle macchine per il voto negli Stati Uniti e dei sistemi software

Si è parlato in questi giorni di problematiche riguardanti i software per i sistemi elettorali usati in queste elezioni. Questo articolo del Washington Examiner entra più nel dettaglio. I funzionari hanno sollevato per anni preoccupazioni sulla sicurezza delle macchine per il voto negli Stati Uniti e sui sistemi software utilizzati.

Il software per il sistema di voto Dominion, che è stato utilizzato in più Stati dove sono state denunciate frodi nelle elezioni statunitensi del 2020, è stato rifiutato tre volte dagli esperti di comunicazione e dati del Segretario di Stato e del Procuratore Generale del Texas, per non aver rispettato gli standard di sicurezza di base.
A differenza del Texas, altri stati hanno certificato l’uso del sistema, inclusa la Pennsylvania, dove questa settimana è stata denunciata la frode degli elettori su più fronti. Dominion Voting Systems, una società canadese con sede a Denver, è una delle tre società utilizzate principalmente nelle elezioni statunitensi. Le altre società sono Election Systems and Software e Hart InterCivic.
Il sistema Dominion è stato implementato in North Carolina e in Nevada, dove i risultati delle elezioni sono stati contestati, e in Georgia e Michigan, dove un “problema tecnico” che si è verificato ha invertito migliaia di voti per il presidente repubblicano Donald Trump verso il candidato democratico Joe Biden.
Mentre Biden ha dichiarato la vittoria nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti contro Trump, la  campagna di Trump sta lanciando diverse cause per il riconteggio dei voti negli stati di tutto il paese, con l’accusa di frode elettorale.
Il sistema “Democracy Suite” di Dominion è stato scelto per l’implementazione in tutto lo stato nel New Mexico nel 2013, l’anno in cui è stato rifiutato per la prima volta dallo Stato del Texas.
La Louisiana ha modernizzato il proprio sistema di votazione per posta, implementando il software  ImageCast Centra, sempre di Dominion, in tutto lo Stato; La contea di Clark, in Nevada, ha implementato lo stesso sistema nel 2017. Circa 52 contee di New York, 65 contee del Michigan e l’intero stato del  Colorado  e del New Mexico utilizzano i sistemi Dominion.
Secondo uno studio di Penn Wharton, “The Business of Voting”, Dominion Voting Systems ha coinvolto circa 71 milioni di elettori in 1.635 giurisdizioni negli Stati Uniti nel 2016.
Dominion “si è messa nei guai” però con diverse aziende sussidiarie, che sarebbero state utilizzate per implementare presunti casi di frode. Una filiale è Smartmatic, una società “che ha svolto un ruolo significativo nel mercato statunitense negli ultimi dieci anni”, secondo un rapporto pubblicato da  AccessWire, con sede nel Regno Unito.
Il contenzioso sui “difetti” di Smartmatic sostiene che abbiano avuto un impatto sulle elezioni di medio termine del 2010 e del 2013 nelle Filippine, sollevando questioni di frode. Una revisione indipendente dei codici sorgente utilizzati nelle macchine ha rilevato molteplici problemi, ed ha concluso: “L’analisi del  software fornito da Smartmatic è inadeguato… il che mette in dubbio la credibilità del software”, ha riferito ABS-CBN.
Il Presidente di Smartmatic è un membro della Camera dei Lord britannica, Mark Malloch Brown, ex vicepresidente dei fondi di investimento di George Soros, ex vicepresidente della Banca Mondiale, principale partner internazionale di Sawyer Miller, una società di consulenza politica, ed ex vicepresidente del World Economic Forum che “rimane profondamente coinvolto negli affari internazionali”.
I rapporti globalisti della compagnia hanno spinto membri dei media e funzionari governativi a sollevare dubbi sul suo coinvolgimento nel processo elettorale statunitense.
A gennaio, i legislatori statunitensi hanno espresso preoccupazione per il coinvolgimento straniero, attraverso la creazione e la supervisione delle attrezzature elettorali statunitensi da parte di queste società. I massimi dirigenti delle tre principali società sono stati sollecitati dai membri  Democratici  e  Repubblicani  dello U.S. House Committee on House Administration della Camera degli Stati Uniti sull’integrità dei loro sistemi.
Sempre a gennaio, gli attivisti per l’integrità delle elezioni hanno espresso preoccupazione “per ciò che è noto come sicurezza della catena di approvvigionamento, la manomissione delle attrezzature elettorali durante la produzione”, ha riferito l’Associated Press. “Un documento presentato ai funzionari elettorali della Carolina del Nord da ES&S lo scorso anno mostra, ad esempio, che ha stabilimenti di produzione nelle Filippine“.
Tutte e tre le società “hanno affrontato critiche per la mancanza di trasparenza e riluttanza ad aprire i propri sistemi proprietari a test esterni”, ha riferito l’Associated Press. Nel 2019, sempre l’AP ha scoperto che queste società “avevano a lungo lesinato sulla sicurezza a favore della convenienza ed operavano sotto un velo di segretezza finanziaria ed operativa, nonostante il loro ruolo critico nelle elezioni”.
Nel loro terzo esame dei sistemi Dominion nel 2019, i funzionari del Texas hanno nuovamente rifiutato di utilizzarlo dopo aver identificato “molteplici problemi hardware e software che impediscono all’Office of the Texas Secretary of State di determinare che il sistema Democracy Suite 5.5-A soddisfi i requisiti del Codice di leggi elettorali del Texas”.
Gli esaminatori hanno espresso preoccupazioni specifiche sul fatto che il sistema “fosse adatto allo scopo previsto; operi in modo efficiente e preciso; e che fosse al sicuro da manipolazioni fraudolente o non autorizzate”. Hanno concluso che i sistemi Dominion e i dispositivi hardware corrispondenti  non  soddisfacevano  gli  standard  di  certificazione  del  Texas Election Code.
Lo scorso dicembre, un gruppo di politici Democratici ha inviato una lettera ai responsabili di società di  private equity che possiedono le principali società che forniscono i materiali per le elezioni, chiedendo loro di divulgare informazioni tra cui proprietà, finanze e investimenti nella ricerca.
“La lobby delle macchine per il voto, guidata dalla più grande azienda, ES&S, ritiene di essere al di sopra della legge“, ha affermato il senatore Ron Wyden, Democratico dell’Oregon. Membro del Comitato di Intelligence e co-firmatario della lettera. Ma nessuno li ha ritenuti responsabili anche per le questioni più elementari.
L’amministratore delegato di ES&STom Burt, ha respinto le critiche, dicendo a NBC News che era “inevitabile ed impossibile rispondere”, ed ha invitato il Congresso a implementare “una maggiore supervisione del processo elettorale nazionale”.
“Ci saranno persone che avranno opinioni da ora fino all’eternità sulla sicurezza delle apparecchiature, pregiudizi su quelle aziende che producono le apparecchiature, pregiudizi sugli amministratori elettorali che stanno conducendo le elezioni”, ha detto Burt a NBC News.
“Ciò di cui il popolo americano ha bisogno è un sistema che possa essere verificato, e poi quegli  audit  devono avvenire ed essere dimostrati al pubblico americano”, ha detto Burt.
Burt ha sostenuto l’anno scorso in un editoriale pubblicato da Roll Call, che era necessaria una supervisione e regolamentazione nazionale, inclusi i requisiti per i backup su carta dei singoli voti, controlli obbligatori post-elettorali e le risorse aggiuntive per la U.S. Election Assistance Commission.
NBC News ha esaminato i registri di spedizione online disponibili pubblicamente per ES&S ed ha scoperto che molte parti delle macchine elettorali statunitensi, inclusi dispositivi elettronici e tablet, sono state  prodotte in Cina e nelle Filippine. Quando ha sollevato preoccupazioni circa il potenziale di furto o sabotaggio di tecnologia, Burt ha affermato che le strutture all’estero erano “molto sicure” e che l’assemblaggio finale delle macchine avviene negli Stati Uniti.
L’Associated Press ha anche esaminato il software elettorale utilizzato da tutti i 50 Stati, dal Distretto di Columbia e dai Territori non incorporati. Circa 10.000 giurisdizioni elettorali a livello nazionale stavano utilizzando Windows 7 o un sistema operativo precedente, nel 2019, per creare schede elettorali, programmare macchine per il voto, il conteggio dei voti e il conteggio dei rapporti, ha rilevato l’AP.
Windows 7 ha raggiunto la fine della sua vita operativa nel gennaio 2020.
Dopo il 14 gennaio, Microsoft ha smesso di fornire supporto tecnico e di produrre “patch” per correggere le vulnerabilità del software, rendendo Windows 7 facile da hackerare, a meno che le giurisdizioni statunitensi non pagassero una tariffa per ricevere aggiornamenti di sicurezza fino al 2023, ha rilevato l’AP.
Secondo la sua valutazione, la fine del supporto per Windows 7 ha interessato più Stati, inclusi Arizona, Florida, Georgia, Iowa, Indiana, Michigan, Carolina del Nord, molte contee della Pennsylvania e il Wisconsin.

LUCA MARAGNA, 13 NOVEMBRE 2020, qui.

E a proposito dei brogli accertati.

Tucker Carlson: Sì, persone morte hanno votato in queste elezioni e i Democratici hanno contribuito a permettere che questo avvenisse

Gli elettori di Donald Trump credono ancora che queste elezioni siano state fondamentalmente ingiuste. Hanno ragione su questo.

È passata più di una settimana da quando sono stati espressi i voti finali e molti dei 72 milioni di elettori di Donald Trump credono ancora che queste elezioni siano state fondamentalmente ingiuste. Hanno ragione su questo.
I Democratici hanno cambiato completamente il modo con cui abbiamo votato in queste elezioni. Il nostro sistema non è mai stato così disorganizzato e non è mai stato più vulnerabile alla manipolazione. Quindi la scorsa settimana c’è stata una frode degli elettori?
Abbiamo lavorato a questa domanda sin dalla notte delle elezioni. Abbiamo cercato di essere attenti e precisi mentre lo abbiamo raccontato. In momenti come questo, la verità conta più che mai. False accuse di frode possono causare tanto danno quanto la frode stessa, e l’ultima cosa di cui l’America ha bisogno in questo momento è di subire ancora più danni.
Quello che stiamo per dirvi è accurato. Non è una teoria. È successo e possiamo dimostrarlo. Anche altre testate giornalistiche potrebbero provarlo. Hanno semplicemente scelto di non farlo. La posizione dei media in tutto il paese questa settimana è stata molto semplice: non ci sono state frodi degli elettori. Lo dicono ancora e ancora, ma di cosa stanno parlando esattamente? Non ve lo diranno. Quindi ve lo diremo noi adesso.
Meno di 15.000 voti separano Donald Trump da Joe Biden nello stato della Georgia. Il margine è abbastanza ristretto che vale la pena indagare nello specifico su quello che è successo. Il segretario di stato della Georgia ha ora confermato che ci sarà un riconteggio manuale di tutti i voti espressi.
Tra questi voti, gli auditor hanno trovato una scheda elettorale di una donna chiamata Deborah Jean Christiansen… Chi la conosceva è rimasto triste quando è morta lo scorso maggio. E potrebbero essere sorpresi di apprendere che anche dopo la sua morte, Deborah è riuscita comunque a registrarsi per votare e poi a votare, presumibilmente per Joe Biden. In un certo senso, è una storia stimolante, il trionfo del voto sulla morte.
E nessuno incarna perfettamente quella storia come James Blalock di Covington, in Georgia. Il signor Blalock è stato un postino per 33 anni fino alla sua morte nel 2006. James Blalock ha votato alle elezioni della scorsa settimana. Come ha fatto? Forse era solo uno di quegli straordinari corrieri postali che né la pioggia, né la neve, né l’oscurità della notte né la stessa morte potevano trattene dal consegnare la posta. Nel suo caso, forse votare dalla tomba non è stata davvero una frode, era solo dedizione.
Poi c’è Linda Kesler di Nicholson, Georgia. Linda Kesler è morta nel 2003. Diciassette anni dopo, ha votato ancora alle elezioni presidenziali. Edward Skwiot, di Trenton, in Georgia, ha trascorso la sua vita lavorando nelle costruzioni ed insegnando a scuola… Quando è morto cinque anni fa all’età di 82 anni, sembrava che se ne fosse andato per sempre da questo mondo. Ma no, la scorsa settimana ha votato per scegliere il presidente e non è stato l’unico. Al momento, non ci sono abbastanza di questi voti per alterare il risultato.
Ma il punto è questo: sono morti, ma hanno votato lo stesso. La domanda è: come hanno fatto? Come hanno espresso esattamente il loro voto? E la risposta è breve: per posta. Le persone decedute tendono a votare più spesso quando si rende loro più facile votare, e quest’anno abbiamo reso molto più facile votare per i morti.
Gli Stati hanno inviato schede elettorali e moduli di registrazione a milioni di persone, anche se non richiesti. Il pretesto era il COVID e l’emergenza sanitaria. L’effetto è stato quello di incoraggiare la frode.
Uno studio del 2012 di Pew ha rilevato che in questo paese c’erano ancora quasi 2 milioni di morti nelle liste elettorali. Lo studio ha anche rilevato che circa 24 milioni di registrazioni di elettori, ovvero 1 su 8 in America, non erano più valide o erano significativamente errate. Quasi 3 milioni di persone in America avevano registrazioni in più di uno Stato. Quindi cosa succede se inizi a inviare schede elettorali e registrazioni in base a liste come queste? Hai la garanzia di aumentare la quantità di voti fraudolenti, ed è esattamente ciò che hanno fatto i Democratici. I Repubblicani, dovremmo aggiungere, li hanno lasciati fare.
Prendiamo lo stato del Nevada, dove Joe Biden sta attualmente conducendo su Donald Trump con meno di 40.000 voti quest’anno. I Democratici e i loro avvocati si sono assicurati che il Nevada inviasse le schede – non le domande per votare, ma schede effettive – a ogni singolo elettore registrato nello Stato, indipendentemente dal fatto che volesse quella scheda o meno. Lo hanno fatto anche se erano perfettamente consapevoli che più di 41.000 persone registrate per votare in Nevada non hanno votato o non hanno aggiornato le loro registrazioni da più di dieci anni. Molte di queste persone sono morte o se ne sono andate, ma hanno comunque votato.
Una di quelle persone era un’ex insegnante di scuola elementare chiamata Rosemarie Hartle. Secondo il suo necrologio del 2017, Rosemarie era “amorevole, divertente, sfacciata e sarcastica (in un modo divertente), bella, potente, implacabile e stimolante”. Purtroppo, anche se se n’è andata, la sua registrazione elettorale è rimasta. È ancora sugli albi. Qualcuno ha ricevuto il voto di Rosemarie Hartle per posta e poi l’ha spedito. Non sappiamo chi sia stato. Vorremmo averlo scoperto, perché è una frode. È una minaccia per il nostro sistema e viene nascosta da un mezzo di informazione totalmente coinvolto nella presidenza di Joe Biden.
Abbiamo il diritto di sapere. Abbiamo l’obbligo di saperne di più. Ma grazie al blackout dei media, è lasciato ai siti conservatori indipendenti come The Federalist riferire ciò che gli altri dovrebbero riportare ma non fanno. Grazie a The Federalist, sappiamo che il 9 ottobre un uomo chiamato Fred Stokes Jr. ha ricevuto una scheda elettorale non richiesta nella contea di Clark, in Nevada. Tre settimane dopo, la contea ha ricevuto la sua scheda per posta. Le registrazioni delle votazioni indicano che la procedura di votazione è stata “completata”. Fred Stokes ha votato per il presidente, ma Fred Stokes era morto da tre anni. Morì nel giugno 2017 all’età di 90 anni.
In Pennsylvania, lo stato che ha nominato Joe Biden presidente eletto, probabilmente ci sono parecchi elettori morti. Come lo sappiamo? Perché ce l’ha detto lo Stato. Secondo un rapporto dello scorso dicembre del Dipartimento del Revisore Generale del Commonwealth, quasi 3.000 elettori potenzialmente deceduti erano rimasti registrati nelle liste elettorali. La campagna Trump afferma di aver trovato prove che alcuni di loro hanno votato quest’anno. Ad esempio, il 24 ottobre, i funzionari della contea di Allegheny hanno inviato una scheda elettorale a Denise Ondish. Era morta due giorni prima. Eppure, in qualche modo, i registri mostrano che i funzionari della contea hanno ricevuto quella scheda elettorale compilata il 2 novembre.
Perché è successo questo? Come possiamo evitare che accada di nuovo? Queste sono le domande. Alla prima è molto semplice rispondere: i Democratici lo hanno fatto. Capiscono che quando invii schede per posta ad un intero elenco elettorale non verificato, non puoi davvero sapere chi andrà a votare. Ma solo per assicurarsi che le frodi fossero possibili, i Democratici hanno intentato azioni legali in Nevada per eliminare la verifica della firma.
Nel 2019, molto prima della pandemia di coronavirus, il senatore Ron Wyden, Democratico dell’Oregon, ha sponsorizzato il “Vote by Mail Act”. Il voto per corrispondenza richiede che ogni stato faccia votare per posta in base all’intera lista degli elettori, anche se non verificata. Che tu lo chieda o meno, che tu sia vivo o meno, ottieni un voto. Non c’è altro modo per interpretarlo se non quello per cui i Democratici volessero favorire la frode.
Questa estate, i Democratici alla Camera dei Rappresentanti hanno approvato una cosa chiamata “HEROES Act”. Non solo avrebbero permesso di spedire semplicemente per posta le schede a tutti gli elettori d’America. Avrebbero anche impedito agli stati di limitare in qualsiasi modo la raccolta dei voti. Ciò significa che chiunque potrebbe raccogliere e restituire mazzi di schede di elettori morti o vivi ai seggi elettorali, e non ci sarebbe alcuna supervisione. È folle, ma aspettatevi di più. Le regole di voto allentate sono troppo utili per lasciar perdere la Sinistra.
A gennaio, i Democratici potrebbero benissimo ottenere il controllo del Senato degli Stati Uniti. Se ciò accade, molto cambierà. Ma una delle cose che accadrà è che convertiranno in legge l’”HEROES Act”. In questo momento, affermano che il voto universale per corrispondenza è necessario a causa del Coronavirus, ma mentono.
Sono anni che spingono per questa cosa e per una ragione. Dà loro un vantaggio perché aumenta l’incidenza delle frodi. Se abbiamo a cuore la nostra democrazia, dobbiamo esigere un voto pulito ed onesto, indipendentemente dal risultato.
Il sistema è ciò che dobbiamo proteggere. L’invio di schede elettorali ad intere liste di elettori non verificate, e non richieste, ti porta a far votare persone morte. E cosa comporta? Ci mette dove siamo ora: cinici, diffidenti, chiusi. Se vuoi governare una democrazia, hai bisogno soprattutto di una cosa: la fiducia sociale. Se vuoi che le persone abbiano fiducia sociale, se vuoi che credano nel sistema, non basta urlarle contro in televisione e dire loro che ci devono credere. Devi creare un sistema per cui valga la pena crederci.

Tucker Carlson, qui.

FoxNews.com

Ma tutto quello che ci sentiamo raccontare è che il folle Trump inventa frodi e brogli inesistenti per non mollare la poltrona – e a tutte le altre campane hanno legato il batacchio. E anche nel caso in cui le revisioni non dovessero portare a una vittoria di Trump, credo che tutto questo sia comunque sufficiente a mostrare il marciume di chi aspira a determinare i destini del mondo intero.

barbara