NONNI E NIPOTI

nonni e nipoti
No, non sono due foto prese a caso: i quattro di sotto sono proprio i nipoti dei quattro di sopra. Perché per qualcuno “mai più” vuol dire proprio mai più sul serio. E per far sì che questo “mai più” si concretizzi, quattro chiacchiere alle ricorrenze comandate non bastano.

barbara

BUON COMPLEANNO YONI!

Yoni
Sarebbero settantatre, giusto una manciata più di me, se non fossi morto eroicamente da quarantatre. Morto mostrando al mondo che “mai più” significa realmente “mai più”, e se ci sono ebrei in pericolo, si prende e si va a salvarli, non importa quanto impossibile sia la missione; e tocca, ancora una volta, citare David Ben Gurion: “Chi non crede nei miracoli non è realista”, e proprio perché Israele è estremamente realista, i suoi miracoli sono pane quotidiano.

barbara

E A PROPOSITO DI MEMORIA

Ripesco dai miei ricchi archivi questi tre pezzi. I primi due riguardano due articoli di Giuliano Zincone da me commentati, pubblicati su Informazione Corretta quindici anni e mezzo fa.

CARO SHARON, NON SAREBBE ORA DI DIMENTICARE LA SHOAH?

di Giuliano Zincone

Questo articolo pubblicato a pag. 17 di Sette, che vorrebbe essere intelligentemente provocatorio, è in realtà un’ammucchiata, di dubbio gusto, di pregiudizi ed errori.

Zincone esordisce spiegando che ritiene giusto commemorare gli eventi gloriosi del passato, gli eroi, “tutte le persone che hanno meritato monumenti perché, soffrendo, lottando, lavorando o combattendo, ci hanno tramandato una qualche fulgida eredità”. Meno d’accordo è che si insista “ossessivamente a perpetuare la memoria degli eventi luttuosi” (per inciso: forse sarebbe giusto che a commemorare la Shoah fossero i nazisti, visto che per loro è stato un fulgido successo). E qui parte all’attacco:

Un popolo intero (uno Stato, un governo) s’è costruita un’identità fondata su lutti recenti o antichissimi.
E questo è esattamente ciò che si chiama “parlare senza sapere di che cosa si sta parlando”: con questa affermazione Zincone dimostra infatti di non avere la minima idea di che cosa sia l’ebraismo e di quali siano i suoi valori fondanti – né quelli dello stato di Israele.

Ariel Sharon, primo ministro d’Israele, giustifica la repressione dei palestinesi evocando la Shoah (Tragedia) che sterminò milioni d’ebrei.
Doppio errore: primo, Sharon non ha mai attuato nessuna repressione dei palestinesi bensì una pura e semplice difesa di Israele dal terrorismo, secondo, né Sharon né nessun altro israeliano si è mai sognato di giustificare alcunché evocando la Shoah. Ed è davvero singolare come continui ad avere credito questa strana leggenda (ricordiamo, tra l’altro, il discorso di Kofi Annan all’inaugurazione dell’orgia antisemita di Durban). Il sospetto è che si tratti di quella che in psicanalisi si chiama “proiezione”.

Davvero: una cultura straordinaria come quella ebraica, che ha dato al mondo non soltanto una religione, ma anche una quantità sterminata di artisti sublimi e allegri, non può ridursi alla celebrazione perpetua di cordogli e paure. Eppure è così. Davanti al Muro del Pianto si commemora ancora, con strazio, un evento di duemila anni fa: la distruzione del Tempio di Gerusalemme, eseguita dagli antichi romani.
E potremmo chiedere a Zincone che cosa ne pensi del fatto che i cristiani commemorino ancora un evento luttuoso di duemila anni fa eseguito dagli antichi romani. E potremmo chiedergli se ricorda che quella distruzione è stata la causa di una diaspora durata duemila anni, e di duemila anni di persecuzioni e massacri culminati in quella Shoah che egli suggerisce di dimenticare.

Rispettosamente, ritengo che una cura a base di oblio sarebbe utile e opportuna.
Rispettosamente, riteniamo che una cura a base di fosforo sarebbe utile e opportuna per Giuliano Zincone.

 

“LO DICONO ANCHE GLI EBREI …”
ultima spiaggia dei malpensanti

Tre settimane fa Giuliano Zincone aveva pubblicato su “Sette”, supplemento del Corriere della Sera, un articolo – puntualmente criticato in questo sito – in cui parlava di un governo, una nazione, un intero popolo fondati sul ricordo della Shoah, accusava Sharon di usare strumentalmente la Shoah come giustificazione per qualunque azione gli venga in mente di compiere e invitava caldamente a dimenticare la Shoah. Sommerso di critiche, ha deciso di tornare sull’argomento per meglio chiarire il suo pensiero e, come spesso accade in questi casi, il risultato è ciò che nel Veneto viene qualificato come “pezo el tacòn del buzo” (peggio il rammendo del buco). Già il titolo, non imputabile a Zincone, ma che riassume bene il suo pensiero, la dice lunga: “Cari lettori, ribadisco: ricordare la Shoah non fa sempre bene”. E siamo perfettamente d’accordo, c’è un sacco di gente a cui non fa per niente bene ricordarla: a tutti coloro – e non pochi sono ancora vivi – che l’hanno perpetrata o che vi hanno collaborato, a quelli che in qualche modo la giustificano, a quelli che “Sì, certo, Hitler ha esagerato, però”, a quelli che, per un motivo o per un altro, hanno la coscienza sporca e non amano doversi confrontare con essa. A tutte queste persone ricordare la Shoah fa molto male.

E veniamo al merito dell’articolo. “Ho elogiato l’oblio in una mia recente rubrica – scrive Zincone – e, tra gli altri esempi, ho menzionato anche il culto delle memorie negative che, secondo me, assedia il popolo ebraico e che disegna la sua identità agli occhi del mondo”. A parte il fatto che, per la verità, non ricordiamo “altri esempi” – ma non vogliamo sottilizzare – già in questa frase ci sarebbe del lavoro estremamente interessante per uno psicanalista: perché Giuliano Zincone vede il popolo ebraico assediato dal culto delle memorie negative, mentre il popolo ebraico non si vede affatto così? Perché questo fantomatico “culto” disegna l’identità dell’ebraismo agli occhi di Zincone, che egli poi scambia per gli occhi del mondo? E perché mai Zincone si immagina che il popolo ebraico non abbia altro da fare che preoccuparsi di come lo vede Giuliano Zincone? “Per questo ho ricevuto molte accuse d’ignoranza e (addirittura) d’antisemitismo – continua Zincone – Non ho alcuna intenzione di ritrattare ciò che ho scritto ma capisco che è impossibile persuadere chiunque ad abbandonare le proprie persuasioni profonde”. Verissimo: si è dimostrato che non c’è fatto o evidenza al mondo capace di convincere Zincone ad abbandonare le sue fantasiose convinzioni. “Esiste un’associazione – prosegue – che si chiama ‘I figli della Shoah’ e che, dunque, coltiva il ricordo della Tragedia”. Estremamente interessante – e ci si perdoni la deformazione professionale – quel “dunque”: tra il chiamarsi “Figli della Shoah” e il coltivare un colpevole ricordo della Tragedia, per Zincone, c’è uno strettissimo rapporto di causa-effetto. Vorremmo informare il signor Zincone, per quello che può valere, che anche chi scrive questa nota, pur non avendo alcun rapporto personale con la Shoah, fa parte della suddetta associazione, e ciononostante si veste di rosso e di giallo, racconta barzellette e ogni tanto, sì, ogni tanto le accade persino di ridere; non passa i suoi giorni e le sue notti a macerarsi nel dolore e nel pianto e non ha votato la propria vita al culto delle memorie negative – ma difficilmente Zincone sarà disposto a prendere in considerazione questi trascurabili dettagli. E incalza: “Secondo me un simile atteggiamento è triste e luttuoso: nella Bibbia, in fondo, si celebrano le vittorie di Davide, non i disastri”. E dunque il buon Zincone attribuisce, di sua iniziativa, un certo atteggiamento al “popolo ebraico” (circa tredici milioni di persone, evidentemente, secondo Zincone, prodotte con lo stampino), decide che quell’atteggiamento è “triste e luttuoso”, ossia fortemente negativo, e chiede agli ebrei di liberarsene (e, per inciso, per potersi permettere di citare la Bibbia, forse sarebbe il caso di leggerne qualcosina di più di una mezza pagina). “Ma questa è soltanto una mia opinione, che non è affatto offensiva”: se un’opinione sia o non sia offensiva, bisognerebbe chiederlo a chi ne è investito, non certo a chi l’ha formulata. Spiega poi che l’oblio è salutare e pacifico perché le memorie e i rancori suscitano micidiali desideri di rivincita, e a questo proposito vorremmo invitare il signor Zincone a denunciare pubblicamente tutte le organizzazioni ebraiche occupate a tempo pieno a vendicarsi ammazzando tedeschi, polacchi, ucraini ecc.: sono organizzazioni criminali, e noi abbiamo il diritto di conoscere i criminali che si aggirano fra di noi!
E arriviamo al gran finale. “Tra le molte obiezioni che ho ricevuto, due investono il cuore del problema. Nella prima si afferma che non è vero che gli ebrei tendano a definirsi come ‘Il popolo della Shoah’. Nella seconda si dichiara che la memoria delle persecuzioni è inevitabile e sacrosanta. Rispondo. 1) E’ possibile che molti israeliti siano stanchi di vedersi rappresentati esclusivamente come vittime. Ma non c’è dubbio che questa sia la loro immagine divulgata e accettata nella cultura dell’Occidente. [segue una rassegna di libri e film sulla Shoah] Tutto questo costruisce intorno agli ebrei un’identità che assomiglia a una gabbia. 2) Ricordare le sofferenze è giusto, ma non ci si può limitare a questo. Altrimenti si rischia di trascurare la cultura, l’arte, l’allegria che gli ebrei diffondono nel pianeta: promesse di vita, non eterni funerali”. E rispondiamo alle risposte di Zincone: il suo ragionamento è molto simile al gioco del gatto che rincorre la propria coda credendola un giocattolo e non rendendosi conto che il giocattolo non c’è. Certo che gli ebrei sono stufi di questa gabbia, solo che non se la sono costruita loro: gliel’hanno costruita tutti gli Zincone di cui il pianeta purtroppo trabocca: LORO perseverano a volere gli ebrei vittime (e trovano intollerabile che si difendano per smettere di esserlo); LORO hanno creato e divulgato questa immagine dell’ebreo; LORO si rifiutano di vedere la cultura, l’arte, l’allegria che gli ebrei non hanno mai smesso di diffondere nel pianeta; LORO sono incapaci di vedere altro che gli eterni funerali. E memori di una tecnica vecchia di millenni, ribaltano la responsabilità di tutto questo sugli ebrei.
E infine la ciliegina sulla torta: “Sulla Stampa è citato un libro (Ebrei senza saperlo) di Alberto Cavaglion, intellettuale israelita, che scrive: ‘L’eccesso di memoria è una fuga dal presente, dalla responsabilità dell’azione politica’. Cavaglion forse ha ragione. Ma aggiungerei che l’eccesso di memorie (negative) è anche una fuga dalla serena felicità. Shalom, fratelli”. E anche questa è una tecnica antica e ben consolidata: quella del “lo dicono anche gli ebrei”. Sappiamo che esistono poliziotti che spacciano droga, ma nessuno spacciatore si è mai giustificato dicendo: “Lo fanno anche i poliziotti”, né abbiamo mai sentito un pedofilo protestare : “Ma se lo fanno anche i preti!”: nessuna persona ragionevole sarebbe disposta a prendere in considerazione simili argomenti. Ma quando si tratta di ebrei, la tattica funziona sempre: basta che un ebreo, uno qualsiasi dei tredici milioni, dica qualcosa di negativo nei confronti di altri ebrei o di un qualche aspetto dell’ebraismo, e immediatamente scatta la molla, immediatamente gli antisemiti si buttano come squali sulla preda per poter gridare al mondo intero: “Ecco, vedete, lo dicono anche gli ebrei!” Loro, evidentemente, si sentono giustificati; noi non li giustificheremo mai.

Doverosa nota postuma. Quando ho scritto questo testo non conoscevo Alberto Cavaglion; adesso lo conosco, e ritengo estremamente improbabile che possa avere scritto qualcosa di ostile all’ebraismo. Ritengo molto più probabile che Zincone abbia estrapolato una frase alla quale, senza riportare il contesto specifico, si può far dire ciò che si vuole. E si noti, per inciso, quel “intellettuale israelita”: evidentemente il signor Zincone temeva che “ebreo” fosse una brutta parola.

E arrivo al terzo documento, di sedici anni fa. Dopo Giuliano Zincone che invitava gli ebrei a smettere di crogiolarsi nel proprio vittimismo, è stato il turno di Sergio Romano, che ha affermato che  gli ebrei sono praticamente impegnati a tempo pieno a scovare antisemiti – di cui sembrano avere un gran bisogno – difficilissimi da trovare, dal momento che di antisemiti non ce ne sono praticamente più. Avevano entrambi ragione, come dimostra questo messaggio ricevuto dall’EBREA Deborah Fait, dallo stesso autore dei messaggi riportati qui.

Salve ebrea di merda, sporca come tutti gli ebrei a causa di una patina di infamia non lavabile nemmeno con l’acido muriatico.
Ancora viva? Nessun eroico kamikaze si è fatto esplodere per ripulire quella terra che occuppate abusivamente senza averne diritto?
Ricordatevi bene, state tirando eccessivamente una corda,e quando questa si spezzerà partiranno le vendette che saranno assai più truculente della causa che le ha generate. E allora la vostra memoria storica di popolo aborto dell’umanità rimpiangerà i campi nazisti* che al confronto vi sembreranno dei villaggi vacanze.

ISRAELE NON DEVE ESISTERE PERCHE’ LA PRETESA DI RIVENDICARE LA TERRA CHE FU DEI VOSTRI AVI DUEMILA ANNI FA E’ RIDICOLA ED ARROGANTE.
UNITI QUINDI IN UN ANTISEMITISMO SENZA ESITAZIONI, UNITI NELLA LOTTA PER LO STERMINIO DEL POPOLO EBREO.
MORTE A TUTTI GLI EBREI E AGLI AMERICANI VOSTRI AMICI!!!!
LIBERIAMO L’EUROPA DAL COMPLOTTO PLUTO-GIUDAICO-AMERICANO, NESSUNA PIETA’ PER L’EBREO E PER L’AMERICANO TORTURATO, LE BESTIE DEVONO AVERE UN TRATTAMENTO DA BESTIE!!!!

SALUTI

IL CAPO ISPETTORE

* Impossibile non ricordare le parole di Mordekhay Horowitz: «Gli arabi amano i loro massacri caldi e ben conditi…e se un giorno riusciranno a “realizzarsi”, noi ebrei rimpiangeremo le buone camere a gas pulite e sterili dei tedeschi….».

Poi vorrei invitarvi a leggere questo bell’articolo dell’amica Gheula, e infine ricordare che “mai più” ha un solo significato possibile: questo.
mai più
barbara

MAI PIÙ

Un “mai più” sostenuto da mezzi appropriati.

Diario di un soldato – Testimoni

Una cerimonia dall’atmosfera intensa, un susseguirsi di testimonianze e di voci, di inni di speranza e frasi semplici pronunciate con grande passione. Una cerimonia solenne, sorprendentemente seria se teniamo in considerazione lo spirito che da sempre contraddistingue gli israeliani, per la circostanza, dai toni volutamente spenti. Celebro così Yom HaShoah, per la prima volta in una base militare, per la prima volta dal giorno dell’arruolamento, sotto un cielo privo di stelle. Osservo e ascolto, assimilo dall’angolo riservato ad un soldato semplice quale sono, mentre gli oratori di fronte a me sfoggiano gradi, spille e simboli di ogni colore e forma. La scala gerarchica si fa sempre più chiara nella mia mente. Prende dunque la parola, per ultima, la comandante del mio battaglione. “Qualche anno fa ho preso parte ad un progetto chiamato Edim be Madim (testimoni in divisa), sono partita in Polonia insieme ad un variegato gruppo di comandanti, abbiamo studiato e visitato senza sosta, abbiamo visto e toccato con mano l’orrore. Il seminario si è concluso con una cerimonia nel campo di Auschwitz e d’un tratto, guardandomi intorno, mi sono immaginata cosa un superstite allo sterminio potesse provare nel vederci indossare la divisa con tanto orgoglio. Due bandiere di Israele ai nostri lati, un aereo dell’aviazione israeliana sopra le nostre teste. Tra sogno e realtà, mi sono ripromessa in quel preciso istante che mai più il popolo ebraico sarebbe stato vittima di odio e discriminazioni, mai più nessun ebreo avrebbe nascosto la propria identità, subito alcuna violenza. Mai più”. Abbasso lo sguardo e trovo finalmente le stelle assenti sopra di me. Decine e decine di candele accese riflettono ora la speranza di un popolo che non cesserà mai di esistere. Brillano sotto i miei occhi lucidi proprio come fossero stelle, di quelle che non si spengono nemmeno dopo il più feroce degli uragani.
David Zebuloni (Moked, 6 maggio 2016)

La cerimonia era questa.

E mai più vuol dire proprio mai più, se ne facciano una ragione svastiche, mezzelune e falci e martelli.

barbara

ISRAELE DIECI (8)

Yad Vashem 2

Ad un certo punto, scendendo verso la Valle delle Comunità, a una curva del sentiero ci si imbatte in questo
donatori 1
donatori 2
donatori 3
che ho ripreso da tre angolazioni in modo da farci entrare quasi tutto. Sono i nomi dei benefattori che con le loro donazioni hanno permesso la costruzione della Valle stessa, facendo scolpire su ogni blocco il nome di una comunità annientata dalla Shoah.
Ho poi visto per la prima volta nel Viale dei Giusti – sicuramente per distrazione mia nelle visite precedenti, dato che leggo che è stato installato nel 1987 – il Memoriale del Giusto Ignoto, che mi sembra bellissimo.
giusto ignoto 1
giusto ignoto 2
giusto ignoto 3
Evidentemente quello doveva essere il giorno delle rivelazioni perché, sempre per la prima volta, ho visto questo,
Musch-Woortman
la cui storia ho raccontato qualche anno fa qui.
E poi loro, i nostri meravigliosi ragazzi che ogni momento rischiano la vita per proteggere il proprio popolo, mantenendo concretamente fede a quel “mai più” giurato sulle ceneri di Auschwitz.
soldati 1
soldati 2
soldati 3
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barbara

A QUARANT’ANNI DA ENTEBBE

La vicenda è già stata ricordata in questo blog e nel precedente qui, qui e qui (raccomando, nel secondo, i due straordinari video linkati). Quest’anno mi affido alle parole di Fiamma Nirenstein.

 

Così quarant’anni fa lo Stato di Israele nacque la seconda volta

Il Giornale, 02 luglio 2016

Solo una spinta imprescindibile, una necessità morale dettata dalla storia, poteva ispirare quaranta anni fa, il quattro di luglio, un’azione come quella che Israele osò condurre a 3500 chilometri di distanza dai propri confini, a Entebbe, in Uganda, per salvare i 106 ostaggi imprigionati nel terminal dell’aeroporto da un commando palestinese-tedesco. Forse si tratta del gesto più impossibile che sia invece mai stato realizzato da un Paese per affermare un principio salvando più di cento vite umane.
l commando di soldati israeliani che compì l’operazione contava cento ragazzi divisi in squadre, di cui la prima all’assalto era guidata da Jonathan Netanyahu, il fratello dell’attuale Primo Ministro. “Yoni” fu l’unico soldato ucciso durante l’Operazione Entebbe, chiamata poi operazione Jonathan. L’obiettivo: piombare di sorpresa al salvataggio degli ebrei prigionieri del commando terrorista, scardinando per sempre la norma per cui gli ebrei sono facile preda della follia antisemita che sotto forme diverse si accanisce su di loro nel corso della storia senza che nessuno reagisca.
Due membri del gruppo palestinese di Wadie Haddad, insieme a un uomo e una donna tedeschi, Wilfried Bose e Brigitte Kuhlmann membri della banda comunista Baader Meinhof, sequestrarono il volo Air France 139 da Tel Aviv a Atene e [diretto a] Parigi. I terroristi salirono a Atene, armati di pistola e bottiglie molotov nascoste in scatole di caramelle e in una falsa bottiglia di champagne. Bose, che aveva pernottato all’Hotel Rodos, una volta penetrato con le armi nella cabina di pilotaggio mentre i suoi compagni tenevano sotto la minaccia del fuoco i 246 passeggeri, si dichiarò il nuovo comandante del volo nella mani, disse, della “Che Guevara Force” e gli dette il nome “Haifa”.
L’aereo fu fatto discendere a Bengasi e poi dopo il rifornimento si diresse a Entebbe, in Uganda, il Paese nelle mani della follia violenta e opportunista del dittatore Idi Amin Dada, che ospitò e aiutò i terroristi per stringere un rapporto col mondo arabo e sfruttare la preda che portavano con sé nell’hangar maggiore dell’aeroporto. Tutta la vicenda del rapimento si svolge su due scene: quella per cui con brutalità crescente le parti in commedia vennero inesorabilmente precisate. I palestinesi furono le belve al guinzaglio dei due comunisti tedeschi sempre più simili nel comportamento ai loro genitori nazisti per istinto e per scelta.  Dal primo momento l’obiettivo sono chiaramente gli ebrei, sono loro il classico nuovo-antico odiato nemico, la preda necessaria contro “l’imperialismo e il capitalismo sionista”, come spiegò Bose, ridotti a oggetti, sottouomini, merce di scambio con quaranta prigionieri palestinesi di Israele. La donna, in una mimesi crescente col modello della kapò, urla “schnell, schnell” spingendo di corsa, come i deportati scesi dal treno di Auschwitz, la massa dei viaggiatori verso l’hangar della prigionia; mostra solo un odio maggiore quando un anziano viaggiatore le mostra il numero del campo di concentramento tatuato sul braccio. E con Bose compie, una volta fatti entrare tutti i viaggiatori terrorizzati, accatastati sul pavimento fra cui bambini e vecchi, il gesto che probabilmente ha spinto il governo israeliano a tentare l’impossibile: la selezione degli ebrei, dando all’antisemitismo la sua evidente forma moderna, quella dell’identificazione con lo Stato d’Israele. I passaporti vengono ammucchiati su un tavolo, tutti gli israeliani vengono fatti passare in una hall adiacente tramite un buco nel muro creato là per là dai volenterosi soldati di Idi Amin Dada, e sui 249 passeggeri, ne restano 107 con la squadra di piloti, hostess, stuart francesi che si sono rifiutati di lasciare i prigionieri. Gli ebrei vengono chiamati uno a uno per nome, e la voluttà della perversione di ripetere la scena del nazismo è del tutto evidente. Gli altri 148 vengono liberati, e l’aereo Air France riparte con i suoi “ariani”.
Per capire come si arrivò a decidere l’inosabile, dunque si deve immaginare che la scena a Gerusalemme è di indicibile angoscia, ed è quella per cui un amico di Yizhak Rabin la cui figlia era stata rapita, gli chiese direttamente (in mezzo alla tempesta di interrogativi che occupava la stampa, la radio, l’opinione pubblica, le menti di Shimon Peres ministro della Difesa e di Motta Gur, capo di Stato Maggiore): “Fino a quando giocheranno alla roulette coi nostri figli?”. Il massacro di Maalot del 1974, in cui erano stati assassinati dai palestinesi 22 ragazzi a scuola era ancora molto vicino, e così la strage di Monaco. Furono giorni di ansia terribile; l’incertezza durò persino per una parte del volo di otto ore con cui gli Hercules israeliani, nottetempo, raggiunsero l’obiettivo. Il permesso giunse solo quando il commando era già vicino alla meta in mezzo a una tempesta di fulmini.
Ma durante i tre giorni precedenti, mentre si avvicinava la scadenza del mezzogiorno del 4 luglio in cui i primi ostaggi, secondo l’annuncio dei terroristi, sarebbero stati giustiziati, un piano era già stato disegnato in silenzio, provato, rivisto in ansiose riunioni con Netanyahu e Muki Betzer, alla testa dell’unità speciale della Sayeret Matkal, oltre che col comandante Dan Shomron. Rabin, Peres, Gur, sapevano di non avere le informazioni indispensabili per un’operazione tanto rischiosa. Yoni ebbe con Shimon Peres una riunione a quattr’occhi quando ormai Rabin aveva quasi avviato una trattativa con i terroristi. Peres chiese a Yoni se pensava di potercela fare, Yoni gli risposte che gli pareva di sì, anche se aggiunse che spesso non si hanno tutte le informazioni necessarie quando ci si avvia a una impresa di grandi dimensioni. Rabin ebbe l’eroismo di decidere per il sì.
Molti nomi di primo piano come quelli di Matan Vilnai o di Shaul Mofaz e di Ehud Barak (che preparò il terreno in Kenia per il rifornimento al ritorno) sono stati implicati nella preparazione e nella realizzazione del piano a una velocità supersonica. Dal primo aereo dei quattro partiti da Tel Aviv prese la via del terminal nel buio contando sulla sorpresa un commando di 29 persone con in testa una Mercedes nera seguita da due jeep, a simulare una visita di Idi Amin Dada. Una sparatoria improvvisa con le guardie, proprio al terminal, colpì Yoni a morte. Ma non fermò la liberazione degli ostaggi e l’uccisione dei terroristi. Nonostante la sparatoria, il commando israeliano lavorò come un orologio. La forza d’animo di Yoni e quella di Betzer, che oggi reclama per sé una parte maggiore nell’impresa di quella che, nell’ombra della memoria di Yoni, gli è stata attribuita, è rimasta l’impronta maggiore nella memoria collettiva di Israele. La sua immagine di ragazzo puro falciato sul campo mentre amava la vita, è diventato i modello di quell’audacia incurante che tutto il mondo invidia a Israele, quella che l’ha portata a bombardare il reattore di Osirak (altra impresa impossibile), a rapire Eichmann, a vincere con inimmaginabile velocità la Guerra dei Sei Giorni. Entebbe è con la Guerra dei Sei Giorni l’impresa che più di ogni altra ha cambiato l’ immagine degli ebrei nel mondo. Non più pecore al macello, ma padroni della loro vita e anzi protagonisti di imprese impossibili per la maggior parte dell’umanità; non più abbandonati al fato e alla violenza, soli, ma col diritto di pensare che qualcuno verrà, e saranno i soldati di Israele. Nessun ebreo è più solo al mondo da quando esiste Israele.
Degli israeliani ne morirono 3, compresa un’anziana donna per sua sfortuna ricoverata in un ospedale ugandese. La morte di Yoni resta uno degli episodi più tragici della storia di Israele; la gioia incontenibile di fronte al ritorno di figli, mogli, madri, ne fu funestata come oggi lo è il vitale lavorio quotidiano di un Paese democratico dai quotidiani attacchi terroristi. Come allora, nel mondo nessuno dedica alle sue tragedie parole di solidarietà, e tantomeno viene in aiuto come invece Israele fa con gli altri Paesi colpiti dal terrore. Dopo Entebbe il Consiglio di Sicurezza dell’ONU discusse una richiesta di condanna di Israele, proprio così, e Kurt Waldheim descrisse l’operazione come “una seria violazione della sovranità di uno Stato membro”. Misera consolazione: la mozione non passò. Ancora oggi, a ogni risposta di Israele al terrore, il Consiglio di Sicurezza cerca di condannare Israele.

Aggiungo un’importante informazione lasciatami nei commenti al primo dei post sopra linkati:

E’ importante ricordare che Michel Bacos, il capitano dell’Airbus, si rifiutò di abbandonare gli ostaggi, affermando che tutti i passeggeri erano sotto la sua responsabilità. Con lui restarono anche tutti gli altri 11 componenti dell’equipaggio, rifiutando di salire sull’altro aereo dell’Air France venuto a prendere i passeggeri non israeliani che erano stati lasciati liberi. Voleva restare anche una suora francese, cedendo il suo posto ad un ostaggio, ma fu portata via a forza. Alla fine di tutto il capitano Bacos ricevette una nota di biasimo dai suoi superiori per essere rimasto con gli ostaggi e fu anche sospeso dal servizio.
Michel Bacos
(qui)

Concludo con una nota personale: se la musica di Wagner fa venire voglia di invadere la Polonia, l’operazione Entebbe mi fa venire voglia di invadere Israele con una immensa, sconfinata, inesauribile inondazione di amore. E giusto per restare in tema di “mai più”, va ricordato anche questo.
Ah, stavo quasi per dimenticare: per chi sa l’ebraico, e per chi si accontenta di guardare le figure, qui uno splendido film sulla vicenda (io l’ho fatto vedere a scuola, e i miei bimbi ne sono rimasti entusiasti).

barbara

MESSAGGIO DEGLI EBREI ALLE NAZIONI

Caro mondo,
tu ci critichi perché difendiamo il nostro patrimonio e la nostra patria ancestrale. Noi, gli ebrei del mondo, ricordiamo alle nazioni del mondo:
Quando siamo stati condotti nelle camere a gas, non hanno avuto niente da dire.
Quando siamo stati convertiti a forza, non hanno avuto niente da dire.
Quando siamo stati buttati fuori da un paese solo per essere ebrei, non hanno avuto niente da dire.
Ma quando adesso ci difendiamo, tutto ad un tratto LORO hanno qualcosa da dire.
Come ci siamo vendicati dei tedeschi per la loro soluzione finale?
Come ci siamo vendicati degli spagnoli per la loro Inquisizione?
Come ci siamo vendicati dell’Islam per averci ridotti a dhimmi?
Come ci siamo vendicati delle bugie dei Protocolli di Sion?

Abbiamo studiato la nostra Torah
Abbiamo innovato in medicina
Abbiamo innovato nei sistemi di difesa
Abbiamo innovato nella tecnologia
Abbiamo innovato in agricoltura

Abbiamo fatto musica
Abbiamo scritto poesie
Abbiamo fatto fiorire il deserto
Abbiamo vinto premi Nobel
Abbiamo fondato l’industria cinematografica
Abbiamo finanziato la democrazia

Abbiamo adempiuto la parola del Signore, diventando una luce fra le nazioni della terra.
Si è dimostrato per gli ultimi 2000 anni che per noi quando si arriva al dunque, l’indifferenza regna sovrana.
Ora lasciateci in pace – e andare a risolvere i problemi di casa vostra mentre noi continuiamo la nostra quadrimillenaria missione di valorizzare il mondo che condividiamo.
Ora, sembra, l’Europa è sulla buona strada per ricevere la ricompensa dell’essersi liberata degli ebrei. Forza Germania! Prenditi in casa più “migranti”, che puoi!
(autore sconosciuto, traduzione mia)

E ricorda sempre che mai più vuol dire mai più.
mai più
E poi ricorda anche che
donne F16
(noi ci si vede fra qualche giorno)

barbara

ENTEBBE, 39 ANNI FA

Qualcuno, ancora oggi, si chiede – non certo in buona fede – se Israele abbia il diritto di esistere, se sia stato giusto creare questo stato (domanda, peraltro, assolutamente mal posta: la 181 non ha “creato” lo stato di Israele: ha riconosciuto l’esistenza di uno stato che di fatto esisteva già, in tutti i suoi aspetti; a differenza di quelli che oggi “riconoscono” uno stato che non esiste, da nessun punto di vista). La risposta, chiara e luminosa, potrebbe compendiarsi in quest’unica parola: Entebbe. L’esistenza di Israele, se mai ne servisse una giustificazione, sarebbe giustificata dalla concreta realizzazione di quel “mai più” giurato sulle ceneri di Auschwitz.
Ne ho parlato qui e qui. Oggi, come novità, vi offro questa animazione.

barbara

PER NON PERDERE DI VISTA I FATTI

Inondations et écoulements de boue en Colombie, Décembre 2010

Effondrement d’un immeuble, Nairobi, Kenya, Janvier 2006

Délégation humanitaire en Inde, 2001

Délégation humanitaire en Nouvelle-Orléans, 2005

Délégation humanitaire en Grèce, 1999

Délégation humanitaire au Mexique, 1985

Délégation humanitaire au Cambodge, 1975

Délégation humanitaire au Japon, 2011

Tremblement de terre en Haïti, Janvier 2010

Tremblement de terre en Turquie, 1999

Délégation humanitaire en Macédoine, 1999

Guerre civile de Bosnie, 1992

Délégation humanitaire en Roumanie, 1989

Délégation humanitaire de la Marine israélienne en Grèce, 1953

Attentat à Burgas, Bulgarie, 2012

Tremblement de terre au Sri Lanka, 2004

Génocide au Rwanda, 1994

Tremblement de terre en Arménie, 1988

Attentat à Buenos Aires, Argentine, Juillet 1994

Guerre civile en Yougoslavie, Août 1992

Délégation humanitaire au Ghana, 2012

Explosion à Taba, Égypte, 2004

Délégation humanitaire aux Philippines, Novembre 2013

Poi diamo un’occhiata ai medici in campo
medici
(Clic per ingrandire. Come potete vedere, lo 0,1% della popolazione mondiale ha mandato oltre il 30% degli aiuti)

E poi fila di corsa a leggere qui.

barbara