LO SAPETE VERO CHE AD AUSCHWITZ NON È MAI SUCCESSO NIENTE

Che l’olocausto non è mai avvenuto, che è una balla colossale inventata dai sionisti per impietosire il mondo e rubare impunemente la Palestina ai palestinesi che ci vivevano da dodicimila anni eccetera eccetera. Ecco, quanto segue è la prova documentale che ad Auschwitz, appunto, non è mai successo niente.

Rudolf Höss: non solo un assassino

Forse qualcuno ancora non sa (è strano, ma potrebbe essere così) che il primo comandante del campo di sterminio di Auschwitz, Rudolf Höss, prima di essere impiccato ha scritto un libro di memorie, con il titolo italiano “Comandante ad Auschwitz”. Ne riportiamo qui un estratto.

«Questo sterminio in massa, con tutti i fenomeni che lo accompagnarono, per quanto so, non mancò di lasciare tracce in coloro che vi presero parte. In verità, tranne pochissime eccezioni, tutti coloro che erano comandati a questo mostruoso «lavoro», a questo «servizio», ed io stesso, ebbero abbondante materia di riflessioni, e ne serbarono impressioni assai profonde. La maggioranza di essi, quando compivo i giri d’ispezione agli edifici destinati allo sterminio, mi si avvicinavano per sfogare con me le loro impressioni e le loro angosce, nella speranza che potessi aiutarli. La domanda che inevitabilmente sgorgava dalle loro conversazioni confidenziali era sempre una: è proprio necessario ciò che dobbiamo fare? È proprio necessario sterminare cosi centinaia di migliaia di donne e di bambini? E io, che nel mio intimo mi ero posto infinite volte le stesse domande, ero costretto a rammentar loro il comando del Führer, perché ne traessero conforto. Dovevo affermare che questo sterminio degli ebrei era veramente necessario, affinché la Germania, affinché i nostri discendenti, per il futuro fossero finalmente liberati dai loro nemici più accaniti.
È vero che l’ordine del Führer era indiscutibile per tutti, così come il fatto che questo compito dovesse essere assolto dalle SS. Ma ciascuno era tormentato da dubbi segreti. Quanto a me, in nessun caso avrei potuto esternare i miei dubbi. Per costringere i miei collaboratori a tener duro, dovevo a mia volta mostrarmi incrollabilmente persuaso della necessità di realizzare quell’ordine cosi spaventosamente crudele. Gli occhi di tutti erano fissi su di me; tutti scrutavano le impressioni suscitate in me dalle scene che ho descritto, tutti studiavano le mie reazioni. Insomma, ero al centro dell’attenzione di tutti, e ogni mia parola era oggetto di discussione. Dovevo perciò controllarmi all’estremo, perché sotto l’impressione di simili avvenimenti non venissero alla luce dubbi ed angosce. Dovevo apparire freddo e senza cuore, di fronte a fatti che avrebbero spezzato il cuore di ogni essere dotato di sentimenti umani. Non potevo neppure voltarmi dall’altra parte, quando sentivo prorompere in me emozioni anche troppo comprensibili. Dovevo assistere impassibile allo spettacolo delle madri che entravano nelle camere a gas coi loro bambini che piangevano o ridevano.
Una volta vidi due bambini talmente immersi nei loro giochi da non udire neppure la madre, che cercava di portarli via. Perfino gli ebrei del Sonderkommando non ebbero cuore di afferrare quei bambini. Lo sguardo implorante della madre, che certamente sapeva che cosa sarebbe accaduto di lì a poco, è qualcosa che non potrò mai dimenticare. Quelli che già erano entrati nelle camere a gas cominciavano a diventare irrequieti, e fu giocoforza agire. Tutti guardavano me: feci un cenno al sottufficiale di servizio e questi afferrò i due bambini che si dibattevano violentemente e li portò dentro, insieme alla madre che singhiozzava da spezzare il cuore. Provavo una pietà cosi immensa che avrei voluto scomparire dalla faccia della terra, eppure non mi fu lecito mostrare la minima emozione. Era mio dovere assistere a tutte le operazioni. Era mio dovere, fosse giorno o notte, assistere quando li estraevano dalle camere, quando bruciavano i cadaveri, quando estraevano i denti d’oro, tagliavano i capelli; dovevo assistere per ore e ore a questi spettacoli orrendi. Nonostante la puzza orribile, disgustosa, dovevo essere presente anche quando si aprivano le immense fosse comuni, si estraevano i cadaveri e si bruciavano. Attraverso le spie aperte nelle camere a gas dovevo assistere anche alla morte, perché i medici richiedevano anche la mia presenza. Dovevo fare tutte queste cose perché ero colui al quale tutti guardavano, perché dovevo mostrare a tutti che non soltanto impartivo gli ordini e prendevo le disposizioni, ma ero pronto io stesso ad assistere ad ogni cosa, cosi come dovevo pretendere dai miei sottoposti.
Il Reichsführer delle SS inviava spesso alti funzionari del Partito e delle SS ad Auschwitz, affinché assistessero alle operazioni di sterminio degli ebrei. Alcuni di costoro, che per l’innanzi erano stati zelanti assertori della necessità di queste stragi, assistendo a questa «soluzione finale della questione ebraica» diventavano molto silenziosi e pensosi. Spesso mi venne chiesto come potevo io, come potevano i miei uomini assistere di continuo a queste operazioni, come facevamo a resistere. Rispondevo sempre che tutte le emozioni umane dovevano tacere di fronte alla ferrea coerenza con la quale dovevamo attuare gli ordini del Führer. Ciascuno di quei signori dichiarava che non avrebbe voluto ricevere un compito analogo.
Perfino Mildner ed Eichmann, che senza dubbio erano tra i più «corazzati», non avrebbero affatto voluto prendere il mio posto: era un compito che nessuno mi invidiava. Spesso ho discorso a lungo, e a fondo, con Eichmann, su tutte le conseguenze legate alla soluzione finale della questione ebraica, senza però esternargli mai le mie intime angosce. Ho cercato anche, con tutti i mezzi, di scoprire quali fossero le sue vere convinzioni riguardo a questa « soluzione finale»; ma perfino sotto l’influenza dell’alcool – ciò che avveniva soltanto quando eravamo tra noi – egli sosteneva, in modo addirittura fanatico, la necessità di sterminare incondizionatamente tutti gli ebrei di cui potevamo impadronirci. Senza pietà, a sangue freddo, dovevamo eseguire il loro sterminio nel più breve tempo possibile. Ogni esitazione o compromesso, sia pure il minimo, un giorno sarebbe stato scontato amaramente».

E questo è un estratto dalla prefazione che ne ha fatto Primo Levi.

«A noi superstiti dei Lager nazionalsocialisti viene spesso rivolta, specialmente dai giovani, una domanda sintomatica: com’erano, chi erano «quelli dall’altra parte»? Possibile che fossero tutti dei malvagi, che nei loro occhi non si leggesse mai una luce umana? A questa domanda il libro risponde in modo esauriente: mostra con quale facilità il bene possa cedere al male, esserne assediato e infine sommerso, e sopravvivere in piccole isole grottesche: un’ordinata vita famigliare, l’amore per la natura, un moralismo vittoriano. Appunto perché il suo autore è un incolto, non lo si può sospettare di una colossale e sapiente falsificazione della storia: non ne sarebbe stato capace. Nelle sue pagine affiorano bensì ritorni meccanici alla retorica nazista, bugie piccole e grosse, sforzi di autogiustificazione, tentativi di abbellimento, ma sono talmente ingenui e trasparenti che anche il lettore più sprovveduto non ha difficoltà ad identificarli: spiccano sul tessuto del racconto come mosche nel latte.
Il libro è insomma un’autobiografia sostanzialmente veridica, ed è l’autobiografia di un uomo che non era un mostro, né lo è diventato, neppure al culmine della sua carriera, quando per suo ordine si uccidevano ad Auschwitz migliaia di innocenti al giorno. Intendo dire che gli si può credere quando afferma di non aver mai goduto nell’infliggere dolore e nell’uccidere: non è stato un sadico, non ha nulla di satanico (qualche tratto satanico si coglie invece nel ritratto che egli traccia di Eichmann, suo pari grado ed amico: ma Eichmann era molto più intelligente di Höss, e si ha l’impressione che Höss abbia prese per buone certe vanterie di Eichmann che non reggono ad un’analisi seria). È stato uno dei massimi criminali mai esistiti, ma non era fatto di una sostanza diversa da quella di qualsiasi altro borghese di qualsiasi altro paese; la sua colpa, non scritta nel suo patrimonio genetico né nel suo esser nato tedesco, sta tutta nel non aver saputo resistere alla pressione che un ambiente violento aveva esercitato su di lui, già prima della salita di Hitler al potere.»

Se Primo Levi dice che Höss non era un mostro, dobbiamo forse pensare che voglia alleggerire la gravità di quello che ha fatto? È vero il contrario. Rudolf Höss non è “solo un assassino”: è molto di più. Perché “non era fatto di una sostanza diversa da quella di qualsiasi altro borghese di qualsiasi altro paese”; perché era l’espressione di un’ideologia assassina che ha coinvolto nel crimine un’intera società costituita da persone “normali” come lui. E’ questa mostruosità sociale che deve sconvolgerci, non la mostruosità personale, tanto più caricata di colore oscuro quanto più se ne vuole prendere personalmente le distanze. Lo stesso può dirsi del “medico maledetto”, Josef Mengele. Anche lui, come Höss, voleva “soltanto” lavorare per il bene della sua nazione, mettere a profitto le sue capacità scientifiche e sfruttare l’ambiente “favorevole” che la società in quel momento gli metteva disposizione. E’ la mostruosità di questa normalità sociale che deve farci inorridire, più che l’anormalità di un mostro personale.
Ritengo, per inciso, che questo abbia voluto dire Giulio Meotti con il suo articolo “Professor Mengele”, riportato anche sul nostro sito. Ma molti non l’hanno capito. E in certi casi la cosa appare quasi incomprensibile. Marcello Cicchese.

(Notizie su Israele, 15 febbraio 2020)

Già, l’articolo di Meotti, che tante critiche indignate, inorridite ha suscitato in chi vi ha voluto vedere, niente meno, che una riabilitazione del famigerato dottor morte. Persone che hanno cancellato Meotti dalle proprie amicizie FB. Persone che hanno giurato che di lui non leggeranno mai più una sola riga. Evidentemente sapere che l’assassino Mengele aveva anche una solida preparazione scientifica li disturba molto. Evidentemente per stare bene hanno bisogno di pensare a Mengele come a un buzzurro semianalfabeta. Evidentemente anche loro, come troppi altri, quando la realtà confligge con la propria narrativa preferiscono cancellare la realtà e chi la diffonde. Probabilmente da sentimenti simili deriva anche il vezzo di definire Hitler “imbianchino”, cosa che trovo orribile, innanzitutto perché scredita una professione dignitosa e assolutamente necessaria, in secondo luogo perché Hitler questa professione non l’ha mai esercitata: Hitler era un pittore decisamente mediocre, ma era pittore, non imbianchino, e davvero non vedo l’utilità di questa falsificazione. E dunque onore a Meotti e a chiunque abbia il coraggio di proclamare la verità (e grazie anche a Marcello Cicchese che tanto si adopera a fare informazione).

barbara

ISRAELE, LA COSTITUZIONE E DANIEL BARENBOIM

Ma prima di parlare della Costituzione israeliana, due parole su quella italiana. La seconda parte dell’articolo 1 recita: “La sovranità appartiene al popolo”. Domanda: a quale popolo? Quello mozambicano? Delle isole Salomone? Azzardo troppo se penso che chiunque risponderebbe “al popolo italiano”? Azzardo troppo se suppongo che non sia stato specificato per il semplice fatto che è scontato che lo stato italiano è la patria del popolo italiano? Ci sono minoranze etnico-linguistiche in Italia? Sì: albanesi, catalani, croati, francesi, francoprovenzali, friulani, germanici, greci, ladini, occitani, sardi, sloveni per un totale di circa due milioni e mezzo di persone, riconosciuti e tutelati; ma la lingua ufficiale è una: l’italiano. Qualcuno lo trova scandaloso? Discriminatorio? Razzista? Fascista?
L’Italia ha deciso di stabilire la sua capitale a Torino, poi l’ha spostata a Firenze e infine a Roma, dopo averla sottratta con le armi al Vaticano che vi risiedeva da oltre un millennio e che l’aveva dotata del più grande patrimonio artistico esistente al mondo: ha chiesto il permesso a qualcuno? Qualcuno ha messo in discussione il suo diritto di farlo?
E passiamo ora a quella israeliana.

Legge Fondamentale: Israele, Stato Nazione del Popolo Ebraico

1) Principi fondamentali

A. La Terra di Israele è la patria storica del popolo ebraico, in cui lo Stato di Israele si è insediato.
B. Lo Stato di Israele  è la patria nazionale del popolo ebraico, in cui esercita il suo naturale, culturale, religioso e storico diritto all’autodeterminazione.
C. Il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele è unico per il popolo ebraico.

2) Simboli dello Stato

A. Il nome dello Stato è “Israele.
B. La bandiera dello Stato è bianca con due strisce azzurre verso le estremità e una stella blu di David al centro.
C. Il simbolo dello Stato è una menorah a sette bracci con foglie d’ulivo ad entrambi i lati e la scritta  “Israele” sotto esso.
D. L’inno nazionale è l'”Hatikvah”.
E. Ulteriori dettagli sui simboli di stati saranno determinati da legge ordinaria.

3) La capitale dello Stato

Gerusalemme, integra e unita, è la capitale di Israele.

4) Lingua

A. La lingua ufficiale è l’ebraico.
B. La lingua araba gode di riconoscimento speciale nello stato. La legge regolamenterà l’impiego dell’arabo nelle istituzioni di stato.
C. Questa previsione non pregiudica lo status riconosciuto alla lingua araba dalle normative preesistenti.

5) Ritorno degli esuli

Lo Stato è aperto all’immigrazione ebraica e al ritorno degli esuli

6) Collegamento con il popolo ebraico

A. Lo Stato si impegnerà affinché sia garantita la sicurezza dei membri del popolo ebraico in pericolo o in cattività a causa della loro ebraicità o cittadinanza.
B. Lo Stato agirà nell’ambito della Diaspora per rafforzare l’affinità fra esso e i membri del popolo ebraico.
C. Lo Stato agirà per preservare il patrimonio culturale, storico e religioso del popolo ebraico fra gli ebrei della Diaspora.

7) Insediamenti ebraici

A. Lo Stato considera lo sviluppo di insediamenti ebraici come valore nazionale e agirà per incoraggiare e promuoverne l’insediamento e il consolidamento

8) Calendario ufficiale

Il calendario ebraico è il calendario ufficiale dello Stato, e sarà affiancato dal calendario gregoriano come calendario ufficiale. L’utilizzo del calendario ebraico e di quello gregoriano sarà disciplinato dalla legge.

9) Giornata dell’Indipendenza e commemorazioni

A. La Giornata dell’Indipendenza è la festività nazionale ufficiale dello Stato.
B. La Giornata della Memoria per i Caduti in tutte le Guerre di Israele, per le vittime dell’Olocausto, nonché la Giornata del Ricordo dell’Eroismo, sono giorni di commemorazione dello Stato.

10) Giorni del riposo e Shabbath

Lo Shabbath e le festività di Israele sono i giorni di riposo fissati per lo Stato. I non ebrei hanno diritto a rispettare i loro giorni di riposo e le loro festività. I dettagli di questo tema saranno fissati dalla legge.

11) Immutabilità

Questa legge fondamentale non può essere emendata che da un’altra legge fondamentale, approvata dalla maggioranza dei membri della Knesset. (Traduzione a cura di Il borghesino)

Forse può essere interessante dare un’occhiata ad alcuni articoli della costituzione palestinese, tenendo presente che per “Palestina” o “terre palestinesi” non si intende Giudea-Samaria (“Cisgiordania”) e Gaza, bensì tutto il territorio di Israele.

Articolo (2) Il popolo palestinese ha un’identità indipendente. Essi sono l’unica autorità che decide il proprio destino e hanno completa sovranità su tutte le loro terre.
Articolo (3) La rivoluzione palestinese ha un ruolo guida nella liberazione della Palestina.
Articolo (4) La lotta palestinese è parte integrante della lotta mondiale contro il sionismo, colonialismo e imperialismo internazionale.
Articolo (5) La liberazione della Palestina è un obbligo nazionale che ha bisogno del supporto materiale e umano della Nazione Araba.
Articolo (6) Progetti, accordi e risoluzioni dell’Onu o di singoli soggetti che minino il diritto del popolo palestinese nella propria terra sono illegali e rifiutati.
Articolo (9) La liberazione della Palestina e la protezione dei suoi luoghi santi è un obbligo arabo religioso e umano.
Articolo (17) La rivoluzione armata pubblica è il metodo inevitabile per liberare la Palestina.
Articolo (19) La lotta armata è una strategia e non una tattica, e la rivoluzione armata del popolo arabo palestinese è un fattore decisivo nella lotta di liberazione e nello sradicamento dell’esistenza sionista, e la sua lotta non cesserà fino a quando lo stato sionista non sarà demolito e la Palestina completamente liberata.  (Enfasi mia, qui, traduzione mia)

Tornando invece alle democrazie – democrazie autentiche, indiscusse, riconosciute come tali da tutti (la precisazione è d’obbligo, dato che per il signor Ovadia Salomone, in arte Moni – e non sghignazzino i veneti – “Arafat non è un terrorista e chi dice questo è un pazzo. Arafat è il democratico e legittimo rappresentante del suo popolo”), può essere il caso di dare un’occhiata qui.

E veniamo ora al nostro Cicciobello.

Barenboim: «Mi vergogno di essere israeliano»

La legge sullo Stato nazionale del popolo ebraico

«Oggi mi vergogno di essere israeliano»: lo afferma il direttore d’orchestra Daniel Barenboim con un polemico intervento su Haaretz in seguito alla approvazione alla Knesset della legge che qualifica Israele come «lo Stato nazionale del popolo ebraico». Il significato di quella legge, sostiene, è che «gli arabi in Israele diventano cittadini di seconda classe. Questa è una forma molto chiara di apartheid». Barenboim sostiene che il parlamento ha tradito gli ideali dei Padri fondatori. Loro puntavano «alla giustizia, alla pace … promettevano libertà di culto, di coscienza, di lingua, di cultura». Ma 70 anni dopo, accusa, «il governo israeliano ha approvato una legge che sostituisce il principio di giustizia ed i valori universali con nazionalismo e razzismo». Barenboim conclude: «Non mi capacito che il popolo ebraico sia sopravvissuto duemila anni, malgrado le persecuzioni ed infiniti atti di crudeltà, per trasformarsi in un oppressore che tratta crudelmente un altro popolo».
(Il Messaggero, 24 luglio 2018)

Barenboim non si capacita e si vergogna. Non si capacita che Israele sia potuto sopravvivere duemila anni (in realtà sono molti di più), e quando un artista geniale non si capacita, non cerca di capacitarsi studiando e riflettendo un po’ di più, ma dà di piglio alla sua arte ed esprime ad alta voce il suo non aver capito niente. Poi aspetta gli applausi, che spesso, soprattutto quando si parla male di Israele, non tardano a venire. Ma oltre a non capacitarsi, lui si vergogna. Non del fatto di non aver capito niente, ma di essere israeliano. Nessuno gli dica che probabilmente in Israele sono molti di più quelli che si vergognano di lui.
Marcello Cicchese

E mi viene bene di riproporre questa cosetta a quattro mani fatta un po’ di anni fa.

LETTERA APERTA A DANIEL BARENBOIM

Stimatissimo e veneratissimo Maestro,
abbiamo appreso con dolore, con mestizia e anche, dobbiamo dirlo, con un po’ di vergogna, che un deplorevolissimo attacco mediatico è stato scatenato contro di Lei da parte di vari personaggi israeliani e anche da parte di altri ebrei del mondo libero. Questo è ciò che ci ha spinti a scriverLe questa lettera aperta, che cercheremo di pubblicizzare il più possibile: esprimerLe la nostra totale, incondizionata solidarietà. E la nostra sconfinata ammirazione per tutto ciò che Lei sta facendo, per la Sua coraggiosa opera a favore del meraviglioso popolo di Gaza, non ultimo mettendo a disposizione di questo popolo generoso la Sua sublime musica – tutte qualità, queste del popolo di Gaza, che i Suoi nemici non vogliono riconoscere. Che dire, per esempio, del fatto che da cinque anni stanno ospitando quel sionista, Gilad: cinque anni, cinque anni che gli provvedono vitto e alloggio e mai, mai una volta in cinque anni hanno chiesto un centesimo di rimborso spese? E sì che ne avrebbero bisogno, di contributi: basti pensare a quel missile teleguidato che hanno tirato sullo scuolabus: duecentoottantamila dollari per eliminare un unico, giovanissimo nemico! Quanti miliardi ci vorranno prima di liberare la Palestina dal fiume al mare? Eppure quelle anime generose continuano a ospitare il sionista completamente gratis! E i compatrioti di quel loro ospite cosa fanno invece di ringraziarli? Li criticano. E criticano Lei che generosamente si esibisce, immaginiamo gratis, di fronte a loro e di fronte agli eroici combattenti di Hamas che si dedicano senza risparmio alla loro lotta di liberazione – e sembra che la Sua presenza sia stata foriera di benefici effetti, visto che subito dopo Hamas e Fatah hanno trovato la forza di mettere una pietra sopra alle loro quotidiane carneficine reciproche occasionali piccoli dissidi e decidere uno storico accordo per combattere uniti contro l’unico vero, eterno nemico comune. Abbiamo saputo che questa volta, in questa Sua magnanima spedizione di pace, non ha potuto dirigere la Sua orchestra storica, la Divan – pare che ci fosse qualche difficoltà a far entrare nella Striscia i musicisti israeliani – ma ciò che conta è il risultato, no? E il risultato indiscutibile è stato l’entusiasmo di Hamas. Lei è talmente bravo, Maestro, da occultare persino i Suoi difetti congeniti: “Non sapevo che fosse ebreo”, pare abbia infatti detto un ragazzo palestinese per giustificare la propria presenza al concerto. Ed è vero: Lei è talmente bravo, talmente buono, talmente generoso, che non sembra neppure ebreo. E tanta è la nostra ammirazione per Lei che ci permettiamo di darLe due consigli: stracci il suo passaporto israeliano, Maestro: quegli ingrati sionisti non La meritano, non meritano di avere un concittadino come Lei. E si converta il più presto possibile alla religione di pace: non vorremmo davvero che ci dovesse capitare, dopo avere pianto il povero Juliano Mer-Khamis e il povero Vittorio Arrigoni, che ai loro e Suoi comuni amici avevano dedicato tutta intera la propria vita, di ritrovarci a piangere anche Lei.

Barbara Mella
Emanuel Segre Amar

07/05/2011

Sì, direi che ci sta proprio bene.

barbara

HEBRON, PATRIMONIO PALESTINESE

storico, artistico, religioso eccetera eccetera, da mettere sotto la protezione dell’UNESCO in quanto sito in pericolo. Messo in pericolo da Israele, beninteso.

Hebron nella Bibbia

Esempi:
– Allora Abramo levò le sue tende e venne ad abitare alle querce di Mamre, che sono a Hebron; e là costruì un altare all’Eterno. (Genesi 13:18)
– E Sara morì a Kirjath-Arba, (che è Hebron), nel paese di Canaan; e Abrahamo entrò a far lutto per Sara e a piangerla. (Genesi 23:2)
– Poi Giacobbe venne da Isacco suo padre a Mamre, a Kirjath-Arba, (cioè Hebron), dove Abrahamo e Isacco avevano soggiornato. (Genesi 35:27)
– Allora Giosuè lo benedisse e diede Hebron in eredità a Caleb, figlio di Jefunneh. Per questo Hebron è rimasta proprietà di Caleb, figlio di Jefunneh, il Kenizeo, fino al giorno d’oggi, perché aveva pienamente seguito l’Eterno, il Dio d’Israele. (Giosuè 14:13-14)
– Davide condusse anche gli uomini che erano con lui, ognuno con la propria famiglia, e si stabilirono nelle città di Hebron. (2 Samuele 2:3)
– Il tempo che Davide regnò a Hebron sulla casa di Giuda fu di sette anni e sei mesi. (2 Samuele 2:11)
– In Hebron a Davide nacquero dei figli… Questi nacquero a Davide in Hebron. (2 Samuele 3:2,5)
– Allora tutte le tribù d’Israele vennero da Davide a Hebron e gli dissero: Ecco, noi siamo tue ossa e tua carne. Già in passato, quando Saul regnava su di noi, eri tu che guidavi e riconducevi Israele. L’Eterno ti ha detto: Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai principe sopra Israele. Così tutti gli anziani d’Israele vennero dal re a Hebron e il re Davide fece alleanza con loro a Hebron davanti all’Eterno, ed essi unsero Davide re sopra Israele. Davide aveva trent’anni quando cominciò a regnare e regnò quarant’anni. Hebron regnò su Giuda sette anni e sei mesi; e a Gerusalemme regnò trentatré anni su tutto Israele e Giuda. (2 Samuele 5:1-5)
– Allora tutto Israele si radunò presso Davide a Hebron e gli disse: Ecco noi siamo tue ossa e tua carne; … Così tutti gli anziani d’Israele vennero dal re a Hebron, e Davide fece alleanza con loro a Hebron davanti all’Eterno; quindi essi unsero Davide re sopra Israele, secondo la parola dell’Eterno pronunciata per mezzo di Samuele. (1 Cronache 11:1,3).

*

Hebron nel Corano

Esempi:

 

 

Marcello Cicchese su http://www.ilvangelo-israele.it/

L’amico David Pacifici mi fa notare che in questa interessante carrellata di citazioni bibliche della città di Hebron manca quella che è forse la più importante di tutte: l’acquisto in contanti, da parte di Abramo, della Grotta di Machpelà per seppellirvi la moglie Sarah, come si può leggere qui.

Poi, già che ci siamo guardiamoci anche questo video

e leggiamo il solito, imprescindibile, Ugo Volli.
E prossimamente su questi schermi:
baccalà
barbara

10 MAGGIO 1933

10 maggio 1933: ottanta anni fa, il rogo dei libri di Berlino

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MILANO – Ricorre oggi l’ottantesimo anniversario del rogo dei libri di Berlino, avvenuto nella notte del 10 maggio 1933. È ricordato per essere stato senza dubbio il più vasto e pianificato incendio di libri della storia contemporanea.
IL ROGO – La notte del 10 Maggio 1933, cinque mesi dopo l’ascesa di Hitler al potere, Berlino fu illuminata dal rogo dei libri. Migliaia di studenti tedeschi, scandendo slogan contro “la decadenza” e “la corruzione morale”, gettarono dentro un unico falò più di 20.000 volumi.
STUDENTI UNIVERSITARI PROMOTORI DEL ROGO – Il rogo non fu organizzato dal governo, bensì dagli studenti stessi, infervorati dalla propaganda nazista che stigmatizzava gli intellettuali in genere, ma in particolar modo quelli ebrei o di sinistra. Gli studenti dell’Università di Berlino passarono settimane a compilare liste di scrittori e libri “non tedeschi”, perlustrarono poi biblioteche pubbliche e private alla ricerca dei volumi incriminati.
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GLI AUTORI DELLE OPERE BRUCIATE – Il 10 maggio gli studenti trasportarono i libri con camion e carri in una piazza della capitale, su cui si affacciavano l’Università di Berlino e il Teatro dell’Opera di Stato. Là diedero fuoco ai cosiddetti “libri decadenti”. Il governo approvò entusiasticamente il rogo e nelle settimane seguenti, i roghi dei libri apparvero in centinaia di altre città tedesche. Tra i libri distrutti vi furono le opere di alcuni dei maggiori pensatori, scrittori ed intellettuali del tempo: Karl Marx, Bertolt Brecht, Thomas Mann, Joseph Roth, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Ludwig Wittgenstein, Hannah Arendt, Edith Stein, Max Weber, Erich Fromm, l’architetto Walter Gropius, i pittori Paul Klee, Wassili Kandinsky e Piet Mondrian, gli scienziati Albert Einstein e Sigmund Freud, i registi Fritz Lang e Franz Murnau.
IL DISCORSO DI GOEBBELS – Durante il rogo, Joseph Goebbels, politico e scrittore tedesco, tenne un violento discorso contro la cosiddetta “cultura degenerata”. “Studenti, uomini e donne tedesche, l’era dell’esagerato intellettualismo ebraico è giunta alla fine. Il trionfo della rivoluzione tedesca ha chiarito quale sia la strada della Germania e il futuro uomo tedesco non sarà un uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere ed è in tale prospettiva e con tale scopo che vogliamo educarvi. Vogliamo educare i giovani ad avere il coraggio di guardare direttamente gli occhi impietosi della vita. Vogliamo educare i giovani a ripudiare la paura della morte allo scopo di condurli a rispettare la morte. Questa è la missione del giovane e pertanto fate bene, in quest’ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del passato. È un’impresa forte, grande e simbolica, un’impresa che proverà al mondo intero che le basi intellettuali della repubblica di Novembre si sono sgretolate, ma anche che dalle loro rovine sorgerà vittorioso il padrone di un nuovo spirito”. (Libreriamo, 10 maggio 2013)

Il prof. Hermann Haarmann, docente di Kommunikationsgeschichte alla Freie Universität Berlin, ha recentemente affermato che dalla sua ricerca nelle fonti è emerso che il rogo dei libri del 10 maggio 1933 non fu ideato dal ministro della propaganda Joseph Goebbles ma dalla “Deutsche Studentenschaft”, l’associazione degli studenti tedeschi, che con questa azione voleva esprimere la sua adesione al nuovo governo. Goebbels in un primo tempo era sfavorevole all’iniziativa perché temeva che questo fatto, all’inizio dell’attività del governo nazista, potesse generare una reazione sfavorevole nella popolazione. Soltanto il 9 maggio, il giorno prima di quello stabilito, Goebbels decise di “salire sul treno in corsa” e dare la sua adesione all’iniziativa degli studenti accettando di fare un discorso nella manifestazione. Marcello Cicchese

Poi, cinque anni dopo, hanno bruciato le sinagoghe, e dopo un altro paio d’anni, le persone, come da programma. Chi brucia un libro, brucia l’umanità intera (no, non perdete tempo a googlare: non è una citazione, l’ho detto io). Per questo chi brucia un libro – qualunque libro, anche un autentico manuale di odio e di morte quale il Corano – non avrà il mio applauso.

barbara