LA GIORNATA DELLA MEMORIA QUI

Per ragioni tecniche si è celebrata con due giorni di anticipo, e mi è stato chiesto di andare in sinagoga per dare eventualmente una mano, e così ho fatto. Durante la mattina sono venute quattro classi (quinta elementare e prima media), e giustamente gli sono state date prima un po’ di informazioni sull’ebraismo – inutile mettersi a raccontare come gli ebrei sono stati perseguitati a persone che non sanno neppure che cosa siano esattamente gli ebrei – e ho fatto un po’ di interventi anch’io. Parecchio interesse, molte domande, non tutte purtroppo soddisfatte (chi non è insegnante difficilmente è in grado di cogliere l’urgenza della domanda di un bambino e la necessità di porre la risposta come priorità rispetto alla lezione che ritiene di dover impartire).
Nel pomeriggio è venuto lo storico Marcello Pezzetti per un incontro a cui hanno partecipato, come si suol dire, le autorità civili militari e religiose. Il sindaco è stato l’unico che mi sono rifiutata di applaudire, lui che per ricordare la tragedia della Shoah non ha trovato di meglio che riproporre situazioni attuali, contrappuntando ogni frase con un martellante È LA STESSA COSA: l’Ungheria costruisce muri, È LA STESSA COSA – fanculo –, noi vogliamo vedere affondare i barconi, È LA STESSA COSA – fanculo – (anche se sappiamo benissimo che quando non c’era mare nostrum i morti nella traversata erano una minuscola frazione di quelli attuali), il fastidio per i ragazzi dei parcheggi che noi chiamiamo “quelli là”, È LA STESSA COSA – fanculo – (i ragazzi dei parcheggi, di cui ho già parlato, sono quei ragazzoni di un metro e ottanta e spalle da scaricatore di porto a cui devi pagare il pizzo per non ritrovarti con qualche brutta sorpresa sulla macchina. A me danno fastidio, evidentemente sono complice delle SS). E poi il vescovo, freschissimo di insediamento. Senza tonaca, anche perché ha venduto la macchina e gira in bicicletta, per la quale la tonaca non è esattamente l’indumento ideale (don Camillo la portava, ma aveva la bicicletta da donna); un aspetto col quale lo vedresti bene al tavolo di un’osteria, mazzo di carte in una mano e bicchiere di rosso nell’altra.
vescovo
E niente discorso scritto da leggere. Ha parlato per pochissimi minuti, ha detto dell’importanza della memoria, ché un albero senza radici non può fiorire, e della necessità di ricordare per essere sempre pronti a impedire che quanto è accaduto si ripeta. Punto. Niente paragoni. Niente richiami a fatti di attualità: stiamo ricordando la Shoah e si parla di Shoah, punto. Mi ci sono quasi spellata le mani ad applaudirlo. E infine Marcello Pezzetti, dalla faccia da ragazzino nonostante i sessant’anni suonati,
Pezzetti
che possiede la dote più importante per uno storico che fa divulgazione: è uno straordinario animale da palcoscenico. Perché è inutile che tu sappia tremila cose se alla terza smetto di ascoltarti perché mi stai annoiando a morte; lui è esattamente quel tipo di parlatore che ti affascina fin dalla prima parola, ti cattura e non ti molla più. E in questa occasione ha affrontato un tema diverso dai soliti: perché i sopravvissuti – quasi tutti – hanno aspettato decenni prima di parlare. Avendo intervistato un buon mezzo migliaio di persone, che sotto questo aspetto hanno mostrato un comportamento straordinariamente omogeneo, ha potuto elaborare osservazioni di grande valore e di straordinario interesse.
Due episodi a margine. Nel corso della mattinata ad un certo momento è entrata una signora, che dopo l’uscita delle scolaresche è andata a parlare con il portavoce e il vicepresidente della comunità, e ci si è soffermata a lungo. Poi si stacca da loro e viene verso di me, penso che voglia salutarmi prima di andarsene, e invece mi abbraccia, mi bacia, mi stringe le mani tra le sue, e poi torna a baciarmi, e poi mi racconta che lei è Avventista del Settimo Giorno, e che è tutto praticamente uguale, e che anche loro rispettano il sabato, e che siamo tutti figli di Dio e discendenti di Abramo, e che bisogna proprio che una volta andiamo a trovarli, solo per conoscere, mica per altro, tanto la loro chiesa non è molto lontana, magari una volta dopo la preghiera si va lì tutti insieme e conosciamo tutti i fratelli – e continua a stringermi le mani fra le sue, e ad accarezzarle, e a ripetermi l’invito e poi mi mette in mano una strisciolina di carta con il suo nome e il suo cellulare e poi mi riabbraccia e poi mi ribacia e poi mi ristringe le mani (non ho problemi coi contatti fisici, in generale, ma quando mi vengono così pesantemente imposti mi sento letteralmente braccata, in qualche modo violentata, anche). Il pomeriggio torno e me la ritrovo lì. Appena entro mi si fionda addosso, è venuta apposta per me, dice, e mi dà un foglietto su cui ha scritto tutto: nome, cognome, cellulare, fisso, indirizzo suo, indirizzo della chiesa, piccolo schizzo per arrivarci più facilmente, e poi posso andarla a trovare a casa sua e mi offre un tè e possiamo parlare tanto e possiamo diventare amiche. Mi sforzo di tirare fuori un mezzo sorriso, ringrazio, metto il foglietto in tasca, mi preparo a darle la mano per salutarla ma lei, velocissima, mi schiaffa in mano un blocchetto e una penna: il tuo nome e il tuo numero di telefono. E allora ho fatto quello che mai avevo fatto in tutta la mia vita né mai più, probabilmente, rifarò: ho scritto un numero falso.
Nel pomeriggio c’era anche un ragazzotto, belloccio un bel po’. Teneva in mano un libro con la copertina ostentatamente rivolta all’esterno; non era molto vicino, ma ho intravisto qualcosa tipo i poteri della mente, c’era un disegno con un cervello e delle ramificazioni rosse che non mi davano l’impressione di essere una rigorosa rappresentazione anatomica. E ad un certo punto lo sento imbonire una coppia di mezza età; non lo ascolto, ma mi arrivano cose come flussi di energia, auto guarigione, la mente che guida, ciofeche di questo genere. Continua a parlare fino a quando il signore di mezza età, approfittando di uno dei rari momenti in cui anche il peggiore imbonitore deve tirare il fiato, si intromette dicendo guarda, io parto da un principio: se ho un chiodo che mi fa male, o mi tiri via il chiodo, o il male non mi passa. Che è un argomento che dovrebbe essere in grado di stendere chiunque: non posizioni di principio, non è scientifico, non è provato, a cui un ciarlatano ben addestrato regolarmente obietta: sei tu col tuo scetticismo che impedisci alle forze positive di lavorare, no: ha messo là una cosa che più concreta non si potrebbe. E invece no, ha continuato implacabile a concionarli, e quando sono andati a sedersi perché la stanza si andava riempiendo in vista dell’inizio dell’incontro con Pezzetti, li ha seguiti ed è rimasto in piedi davanti a loro e non si è fermato fino a quando non è stato coperto dalla voce del vicepresidente al microfono. E non si può neanche dire braccia rubate all’agricoltura, perché chissà che danni planetari riuscirebbe a fare una tale testa di catamarano espanso.

barbara