Protestò contro la richiesta giunta da Washington di ridurre le vittime civili: nel 1968 il ritmo mensile delle sortite dei B-52 contro gli obiettivi in Vietnam del Sud e nel Laos quasi raddoppiarono, salendo a millecinquecento, e nel marzo del 1969 i giganteschi aeroplani scaricarono centotrentamila tonnellate di bombe. […] Ciò nonostante, nell’aprile del 1969 Abrams disse a un giornalista: «Quando abbiamo tenuto l’iniziativa… il nostro tasso di uccisioni è stato spettacolare». Il più aggressivo dei suoi subordinati, e il più notoriamente indifferente agli interessi vietnamiti, era il maggior generale Julian Ewell, un ferino veterano della divisione aviotrasportata nella seconda guerra mondiale. Nel 1968-1969 Ewell comandò la 9ª divisione nel delta del Mekong, quindi assunse il comando della II Field Force. Scrisse: «Sarebbe ora di finirla con l’approccio “cuori e menti”. Nel delta l’unico modo per avere la meglio sul controllo e il terrorismo VC è la forza bruta». Ewell non accettò i dati raccolti dall’ispettore generale del MACV, ovvero che durante i sei mesi dell’operazione Speedy Express, compiuta dalla sua formazione, fossero morti settemila civili. Nell’aprile del 1969, il drenaggio illegale di carburante dall’oleodotto dell’esercito a nord di Phu Cat raggiunse i ventitremila ettolitri al mese, e a livello nazionale le perdite toccarono i centosettantamila ettolitri. Durante la riunione settimanale del MACV si discusse di punire qualche ladro a mo’ di esempio. Un ufficiale obbiettò: «Non si può sparare alla gente per qualche furtarello». Ewell rispose: «Stron-za-te». Abrams espresse il proprio disagio per le uccisioni indiscriminate. Ewell disse: «Non sono d’accordo, generale. Trovi un’unità di guastatori che sta minando la strada e ne uccidi due o tre, e quelli la piantano. Questa gente sa contare. E diamine, quando li metti in fila [i corpi] il loro entusiasmo cala parecchio. È così che abbiamo sgomberato la Route 4: facendoli fuori». Abrams fece ridere tutti i presenti al tavolo dicendo: «Va bene, esamineremo la proposta». A ogni modo esortò a prestare attenzione ai civili: «Non vogliamo un tasso di terrorismo statunitense superiore a quello VC». Ma Ewell continuò a fare a modo suo. Il pilota di un elicottero d’assalto Huey si trovò a lavorare per un generale di brigata della 9ª divisione, John “Mal Hombre” Geraci: «I suoi ordini erano: uccidi tutto quello che si muove». Geraci portava con sé un bastone da ufficiale che era solito puntare al petto degli altri ufficiali per sottolineare: «Voglio dei morti». La 9ª divisione perfezionò una tecnica che prevedeva di isolare una zona con la fanteria per poi tempestare con l’aviazione e l’artiglieria tutto ciò che conteneva. Il numero dei morti era certamente notevole, ma esageratamente maggiore rispetto a quello delle armi sequestrate, l’indicatore più plausibile del fatto che stessero morendo le persone giuste. Il 12 novembre 1969, i cablogrammi dell’Associated Press riportarono il primo resoconto del giornalista d’inchiesta freelance Seymour Hersh, secondo cui alcuni uomini della 23ª divisione di fanteria “Americal” avevano perpetrato un massacro di civili a My Lai, a pochi chilometri dal mare nella provincia di Quang Ngai, per il quale massacro sarebbero finiti davanti alla corte marziale. Nei mesi e negli anni che seguirono, emerse che il 16 marzo 1968 almeno 504 contadini di tutte le età e di entrambi i sessi erano stati assassinati senza motivo dalla compagnia C, 1° battaglione del 20° reggimento di fanteria – per la maggior parte a “My Lai 4”, una borgata che in realtà si chiamava Tu Cung. Si ritiene che My Lai – nota come Pinkville fra alcuni grunts – abbia visto il maggior numero di uccisioni ingiustificate fra le molte avvenute durante la guerra, anche se c’è chi sostiene che le truppe stanziate in Corea del Sud abbiano combinato cose ancora peggiori. Il capitano Ernest Medina, che comandava la compagnia C, aveva in precedenza ordinato di sparare a sangue freddo a due marinai al largo, e gli uomini dell’unità massacrarono altri civili senza incorrere in provvedimenti. Chi stuprava non era soggetto ad azioni disciplinari. […] Nei mesi successivi a My Lai, ancora più scioccante del massacro fu il suo insabbiamento istituzionalizzato. I comandanti ignorarono il vivido rapporto a caldo del pilota di elicottero warrant officer Hugh Thompson, che il giorno stesso sollevò coraggiosamente un putiferio su quello che aveva visto, e continuò a sollevarlo anche in seguito. Il comandante dell’unità operativa, il tenente colonnello Frank Barker, liquidò le manifestazioni di disagio dovute alle affermazioni del 1° battaglione del 20° reggimento, che sosteneva di aver ucciso 128 nemici senza aver catturato una sola arma, dicendo: «È una tragedia aver ucciso queste donne e bambini, ma è successo in una situazione di combattimento». Nel marzo del 1969 Ronald Ridenhour, mitragliere di elicottero, scrisse a trenta membri del Congresso, descrivendo le atrocità che i suoi compagni gli avevano raccontato in modo credibile, suscitando in patria una piccola ondata di sconcerto che in seguito diventò un’alluvione. Tuttavia, l’ufficiale di stato maggiore della 23ª divisione, il maggiore Colin Powell, poi segretario di Stato degli Stati Uniti, produsse un memorandum per l’aiutante generale che costituiva la più totale copertura della vicenda. […] Dalle indagini su My Lai emersero le prove di altri crimini di guerra perpetrati nello stesso periodo dalla compagnia Bravo del 4° battaglione del 3° reggimento di fanteria, per i quali non fu mai condannato nessuno. Quando il tenente generale William Peers condusse un’indagine completa e tardiva nel novembre del 1969, le sue conclusioni citavano ventotto ufficiali, compresi due generali e quattro colonnelli, che egli accusava di 224 reati militari gravi, dalla falsa testimonianza all’omissione di denuncia di crimini di guerra alla cospirazione per insabbiare le informazioni possedute, e per aver partecipato a crimini di guerra o per non averli impediti. Si scoprì che più di quaranta dei centotré uomini della compagnia C avevano preso parte al massacro, e non uno dei soldati di fanteria aveva provato a impedirlo, né a fermare gli stupri collettivi. Anche se il comandante della 23ª divisione, il maggior generale Samuel Koster, fu, seppur tardivamente, degradato a generale di brigata, la corte marziale non inflisse condanne per nessun crimine grave, eccezion fatta per il comandante del 1° plotone, il tenente William Calley, il 29 marzo 1971. Benché Calley fosse stato condannato alla reclusione, il presidente intervenne immediatamente per ordinare che fosse semplicemente «confinato nei suoi alloggi». Quando il capitano Medina fu assolto, il giudice gli augurò buon compleanno. Dei cinquemila telegrammi inviati alla Casa bianca sulla condanna a Calley, quelli a favore del tozzo tenente erano circa cento contro uno, e il dirigente nazionale dei Veterans of Foreign Wars disse: «Per la prima volta nella nostra storia abbiamo processato un soldato per aver eseguito il suo dovere». Nel novembre del 1969, quando la stampa dedicava le prime pagine alla vicenda di My Lai, Nixon esclamò più volte a un addetto militare della Casa bianca: «Ci sono dietro quegli stramaledetti ebrei di New York». Le reclute che marciavano a Fort Benning intonavano: «Calley… Calley… È uno dei nostri». AFN Saigon trasmise più volte una ballata registrata da un gruppo vocale dell’Alabama che si faceva chiamare C Company: «Mi chiamo William Calley, sono un soldato di questa terra / avevo giurato di fare il mio dovere e di avere la meglio, / ma hanno fatto di me un cattivo / mi hanno appiccicato un’etichetta». Alla fine il MACV ordinò alla stazione radio di cessare la messa in onda del disco, che pur vendette duecentomila copie, ma non poté eliminare le scritte come «Uccidi un gook per Calley» tracciate dai grunts a Saigon.
Hastings, Max. Vietnam: una tragedia epica 1945 -1975, Neri Pozza, pagg. 656-660.
Questa la dedico a quelli che “e l’Holodomor”, “e Katyn”, “e Stalin” per dimostrare che a tutti i massacri e stupri e crimini di guerra e crimini contro l’umanità di cui il cicciobello in mimetica accusa la Russia dobbiamo credere ciecamente, per via dei “precedenti”. Ecco, qui abbiamo l’America del Vietnam, e della Corea, e di tutto il resto che sappiamo: quindi è fuori discussione che quanto viene detto sul fatto che l’America sta combattendo la sua guerra da “Russia delenda est” per interposta Ucraina è meritevole di essere creduto ciecamente, giusto? Soprattutto ora che il pupazzo sembrerebbe disposto a concedere la Crimea e concludere la pace ma la NATO – ossia ovviamente chi regge i fili di tutto il teatrino – ha detto che non se ne parla neanche (com’era quella storiella dello stato sovrano?), e così come Ifigenia deve morire affinché le navi possano salpare, così devono morire gli ucraini affinché l’America possa continuare a combattere la Russia. E poi magari teniamo anche presente che loro le nefandezze della Russia stanno continuando a raccontarle, noi quelle dell’Ucraina le documentiamo.
A proposito, visto che molti sostenitori dell’Ucraina sono anche sostenitori di Israele e naturalmente oppositori del terrorismo palestinese, che cosa mi dite di questo?
E questo?
Poi vediamo questo, di due giorni fa
E beccatevi anche questo
(Campanello d’allarme ancora niente? Due domandine ancora niente?)
Aggiungo un suggerimento che, anche se le api per me significano pericolo di morte, condivido:
Claudia Premi

Per aiutare le api servono aiuole così… il costo è basso… semi di fiori misti di campo!
Aiutate le api, non aiutate Zelensky.
Comunque, anche se le provocazioni nei confronti della Russia dovessero arrivare a un punto tale da indurla a usare un’arma atomica, noi possiamo dormire i nostri sonni tranquilli perché

anche se qualcuno fa notare che
Vabbè, adesso è il momento di fermarci con la cronaca e regalarci una bella polka.
barbara