I LIBRI NON SI BRUCIANO

Mai. Per nessun motivo. Non potrei mai bruciare neppure il Mein Kampf, addirittura neppure il Corano. E tuttavia non posso non provare un’immensa ammirazione per questa ragazza e per tutti quelli come lei, che bruciano lo strumento della loro oppressione,
corani bruciati
sapendo che stanno rischiando, e spesso rimettendoci, la vita, perché “quelli” sparano ad altezza d’uomo;
cecchino
sapendo, anche, che da quelle parti una bella pallottola subito è un privilegio che non a tutti è concesso. Alle mie parole aggiungo queste altre, con diverse annotazioni importanti che vale la pena di leggere (e con alcune osservazioni mie inserite nei passi in cui non concordo).

La repressione iraniana che nessuno racconta

di Michael Sfaradi

“Abbasso Rouhani”, “Abbasso Khamenei”, “Abbasso il dittatore”, “Non avremo pace finché non riavremo i nostri diritti e la nostra libertà”. Questo è quello che gli iraniani gridano nelle piazze di oltre 95 città in 21 province di tutta la nazione. E chi come noi, e penso di parlare a nome di tutti coloro che pubblicano su questo sito, crede nella libertà in ogni sua forma, non può esimersi dal raccontare tutto ciò che riesce a filtrare la pesante censura degli Ayatollah. Chi davvero crede nei principi fondamentali della democrazia deve in queste ore sentirsi al fianco dei giovani che nelle piazze iraniane rischiano la vita nella speranza di ottenere ciò che da noi, erroneamente, viene dato per scontato.

Quello che fa rabbia in tutto questo è che i media occidentali continuano inesorabilmente a ignorare o a minimizzare quello che sta succedendo in Iran, continuano a raccontare che la rivolta è dovuta solamente all’aumento del prezzo della benzina ignorando volutamente, e a questo punto è lecito anche pensare che a qualcuno faccia comodo, tutto il malessere di una nazione intera. Perché l’Iran di oggi è una grande bomba a orologeria che può saltare da un momento all’altro, e gli iraniani dettero prova di saper fare le rivoluzioni quando costrinsero lo Scià Mohammad Reza Pahlavi a scappare da Teheran con la coda in mezzo alle gambe [va detto però che la ferocia di Reza Pahlavi non era neppure lontanamente paragonabile a quella degli ayatollah: per questo con lui ci sono riusciti]. Allora seppero fare la rivoluzione ma furono incapaci a gestirla, solo per questo si ritrovarono nel giro di pochi anni, e con molto sangue versato, sotto un tallone d’acciaio della peggiore dittatura possibile, quella religiosa [sicuro che il motivo risieda “solo” per incapacità propria e non, invece, per le armi in possesso ai religiosi e la spietata determinazione a usarle senza risparmio?].

“Preti vendicativi, Napoleon cascò, sapete voi perché? Perché non vi scannò. Già due volte cadeste senza cavarne frutto, v’avverto, un terzo fulmine v’annienterà del tutto”. Questo scriveva Pasquino, la statua parlante, durante il tragico periodo della Roma papalina: altri tempi ma sempre di dittatura religiosa si trattava [però, sinceramente, non so se il paragone ci stia proprio tutto…]. Basta togliere la parola preti e mettere Ayatollah e quel verso antico diventa magicamente contemporaneo. Negli ultimi anni ci sono state altre rivolte della gente esausta, rivolte soffocate nel sangue dai Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, gli invasati poliziotti del regime, la speranza è che un terzo fulmine si abbatta su Teheran, ma non sulla meravigliosa città, ma sulle teste di coloro che, come nei tempi bui della storia, tengono schiava la gente per bene in nome di un Dio che non ha dato mai a nessuno il mandato per uccidere o reprimere.

Internet in Iran è sempre stato sotto stretta censura, da giorni però è completamente staccato e questo dato è una delle tante cartine tornasole di una situazione tesa e difficile: non erano mai arrivati a tanto. Tutto questo mentre i leader della dissidenza, rivolgendosi in particolare ai giovani che hanno diritto a vivere la loro vita nella libertà vera e non come il regime decide per loro, stanno esortando il popolo a non cedere. Hanno ribadito che fino a quando il regime corrotto, medievale [forse dovremmo smetterla di usare un periodo ricchissimo di fermenti culturali e artistici come emblema del peggiore oscurantismo e della più bieca ferocia] e non più accettabile nel mondo moderno rimarrà al potere, la povertà, i prezzi elevati, la disoccupazione, la corruzione, la repressione e tutte le discriminazioni che giornalmente vengono imposte al popolo indifeso non cesseranno. Hanno inoltre ricordato la questione mai chiusa del più crudele esempio delle violazioni dei diritti umani, consumato davanti agli occhi di un occidente impotente allora come lo è oggi, quando durante il massacro del 1988 circa 30.000 prigionieri politici furono fucilati senza alcun processo.

Persone torturate e uccise proprio da coloro che poi diventarono i leader dell’attuale regime che, con una faccia tosta da guinness dei primati, continuano a difendere a spada tratta il crimine commesso. Ad oggi nei loro confronti non è stata mai aperta nessuna inchiesta e anche il tribunale dell’Aja, sempre pronto a perseguire i facili bersagli, non ha mai preso posizione su quello che accadde allora e che accade ancora oggi, anche nel momento in cui vi scrivo, nell’ex regno del Pavone. Ma per onore del giusto non possiamo denunciare il regime iraniano senza mettere davanti alle proprie responsabilità chi in questi anni è stato complice dello stesso, come ad esempio l’amministrazione Obama a cominciare dal Presidente e dalla sua segretaria di Stato Hillary Clinton che, aprendo il tavolo di trattativa sul nucleare, tolsero di fatto le sanzioni e spalancarono le porte agli affaristi da tutto il mondo che, fregandosene della situazione, hanno rinforzato un regime che da quasi quaranta anni fa vivere un popolo intero nell’oppressione.

Impossibile dimenticare le fotografie del Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif sul balcone dell’Hotel a Ginevra che, ridendo come al varietà, faceva vedere ai giornalisti appostati i fogli dell’accordo come fosse stata carta igienica in procinto di essere usata. Non possiamo ignorare che l’Europa, sia come Unione Europea che come singoli Stati, con le due ultime lady Pesc Catherine Margaret Ashton, baronessa Ashton di Uphollandin e Federica Mogherini che, come delle brave Dhimmi sottomesse, sono sempre state più impegnate a trovare il velo da mettersi in testa in tinta con le scarpe e la borsetta che non a capire che le donne iraniane avrebbero fatto di tutto per bruciarli quei veli. Ma alle due Lady Pesc in nome e nell’interesse di qualcuno o di qualcosa che con l’Europa libera e democratica dei Padri Fondatori non ha nulla a che vedere, hanno sempre portato avanti una politica ambigua nella ricerca di tutti i modi possibili per aggirare le sanzioni americane anche prima dell’avvento alla Casa Bianca del premio Nobel per la pace, l’inventore delle primavere, pardon, degli autunni arabi che nel caso dell’Iran, che nazione araba non è, si sono trasformati in Inverni sciiti.

Anche la “grande stampa” ha le sue responsabilità ed ha sporcato sia l’etica dell’informazione che il dovere nei confronti dei lettori, ogni volta che ha evitato di affrontare l’argomento Iran o, quando lo ha fatto, lo ha minimizzato. Per non parlare poi della politica internazionale che non ha mai risposto alle richieste di aiuto che arrivano dai giovani iraniani o del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che non si è mai azzardato a riunirsi per discutere un argomento come i diritti umani in Iran neanche fosse un dogma divino da accettare per come è scritto, un dogma che non doveva mai essere discusso. Neppure quando le fotografie di centinaia di impiccati che penzolavano dalle gru facevano il giro del mondo, come se nelle commissioni anziché i più importanti politici internazionali ci fossero state le tre scimmiette che non vedono, non parlano e neanche sentono.

In conclusione, visto che al ridicolo non c’è mai fine, secondo alcune fonti l’Italia e l’Iran stanno lavorando a un incontro tra i rispettivi Ministri degli Esteri, Luigi Di Maio e Mohammad Javad Zarif. Sembrerebbe che il governo italiano, come se non avesse altri problemi interni urgenti e gravi da affrontare, invece di condannare e prendere iniziative contro la repressione in atto voglia invece diventare negoziatore tra Iran e Stati Uniti. Se questo risultasse vero rimarrebbe come una macchia sulla coscienza della nazione intera, una macchia difficile da dimenticare e impossibile da perdonare. (qui)

Può essere forse di qualche conforto ricordare che le donne iraniane sono state, come ho mostrato qui, quelle che contro l’oppressione khomeninista hanno lottato fino all’ultimo:

forse, chissà, saranno di nuovo loro a riportare la luce dopo la lunga tenebra.

barbara

I CRIMINI DI NETANYAHU

1.Il leader del Likud avrebbe ricevuto sigari cubani e un gioiello per la moglie (comprato dalla gioielleria Stern all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv) dal produttore miliardario di Hollywood Arnon Milchan, un vecchio amico dai tempi in cui Bibi era Ambasciatore in America, in cambio di esenzioni fiscali. Esenzioni fiscali che poi non ha mai ricevuto.

2.Netanyahu avrebbe discusso con il proprietario del giornale Yedioth Aharonoth, Arnon Moses, della possibilità di convincere Sheldon Adelson, proprietario del giornale Israel Hayom, l’unico vicino a Netanyahu, a ridurre la tiratura in cambio di un trattamento migliore sullo stesso Yedioth Aharonoth. Si è trattato di un dialogo avvenuto pubblicamente, di cui tutti gli israeliani erano al corrente, e che poi si è risolto con un nulla di fatto.

3.Netanyahu avrebbe favorito la fusione tra la rete satellitare Yes e la compagnia di telecomunicazioni Bezeq in cambio di un trattamento di favore sul sito Walla News, dello stesso proprietario di Bezeq, Shaul Elovitch. Anche questo avvenuto in dialoghi pubblici e non segreti.

4.Netanyahu e la moglie Sara avrebbero compiuto spese private con denaro pubblico (per somme che si aggirano ai 200 dollari). La denuncia è stata fatta da un cameriere che era stato licenziato.

Secondo il Premier tutte queste accuse sono inconsistenti e ha ribadito in più occasioni che se questa è corruzione sono corrotti tutti quelli che svolgono politica, anche nel modo più onesto. Per questo ha chiesto di trasmettere in tv le accuse reali in modo che tutti gli israeliani possano rendersi conto delle stesse e non valutare la sua posizione solamente in base a ciò che hanno raccontato giornalisti più o meno informati ma sicuramente di parte.

Intanto Avichay Mandelblit, il Procuratore Generale, fa il cerchiobottista fra il martello della stampa forcaiola e l’incudine di migliaia di prove su quattro procedimenti, prove che per la quasi totalità dei giornalisti sono schiaccianti mentre lui, da buon magistrato, sa che il collegio di difesa del Premier, formato da i dieci più importanti avvocati di Israele, potrebbe smontare uno a uno i procedimenti o sgonfiarli fino a renderli poco credibili o non penalmente perseguibili. In quel caso proprio Mandelblit si ritroverebbe con il cerino in mano mentre intorno a lui ci sarebbe un fuggi-fuggi generale, anche perché è lecito pensare che se fra quelle carte ci fosse stata veramente la metà di ciò che è stato pubblicato o raccontato in televisione, le manette da tempo sarebbero già scattate intorno ai polsi di Bibi Netanyahu.

Una conferma a tutto ciò è arrivata dalla professoressa Ruth Gavison, già Premio Israele per la Giustizia che, come riporta il quotidiano Israel Hayom, in una discussione che si è sviluppata sulla sua pagina Facebook ha dubitato sulle possibilità di Netanyahu di ottenere un giusto processo. La professoressa ha scritto: “Sono preoccupata che Netanyahu non abbia la possibilità di ottenere un processo giudiziario. Ci sono stati così tanti processi sulla stampa che ora un processo vero non riuscirebbe ad avere una sentenza diversa da quella già decisa sui media. Questa è una tragedia per Bibi ma anche una brutta pagina per il paese e per la società”.

Che la stampa israeliana sia quasi totalmente di sinistra, come ha spesso apertamente accusato il Premier Netanyahu, è un dato oggettivo, e nella rincorsa all’incriminazione ha esagerato al punto che, nell’inevitabile reazione, ha creato un fronte unico nel partito Likud a difesa del Premier, al punto che qualcuno già parlava di una consultazione interna per riconfermare Benjamin Netanyahu alla guida del partito e smentire in modo definitivo le voci che ci sarebbero dei pretendenti al posto di segretario disposti a defenestrare l’attuale leader.

Michael Sfaradi, 5 ottobre 2019, qui

Non solo in Italia è la magistratura a decidere la politica, per esempio assolvendo una negriera speronatrice di motovedette o perseguitando per un intero decennio un innocente.

barbara

LETTERA APERTA A HALINA, SOPRAVVISSUTA AD AUSCHWITZ

Sulla vergognosa esclusione, degna di un regime fascista, di una casa editrice al Salone del Libro.

Gli echi delle critiche e delle controcritiche intorno alla presenza della casa editrice Altaforte alla fiera del libro di Torino non si sono ancora spenti ma si possono già capire, al di là degli strascichi giudiziari che ne seguiranno, quali sono i risultati ottenuti e chi ne ha beneficiato. Innanzitutto vale la pena ripetere che il libro intervista su Matteo Salvini è della giornalista Chiara Giannini e che è stata lei, proprietaria dei diritti sull’opera, a decidere con quale editore pubblicare e non il Ministro degli Interni, vero obbiettivo delle proteste. C’è inoltre da considerare che, anche se vicina ad ambienti dell’estrema destra, la Edizioni Altaforte non risulta indagata dalla Magistratura per apologia di fascismo per cui, stando così le cose, l’averla messa alla porta solo sulla base di proteste provenienti da una parte politica non è un atto democratico. Anzi si è trattato di censura tipica dei regimi totalitari.
Questa mia presa di posizione non è per difendere un’ideologia come quella fascista che tanti lutti ha portato al mondo intero, ma per difendere l’ideale democratico che, al contrario del fascismo, del comunismo e di tutte le dittature politiche o religiose che la stoltezza umana è riuscita a creare, offre a chi ci crede le più ampie libertà possibili. «Ho sofferto troppo per stare a fianco di persone che propagano idee per le quali ho perso la mia famiglia e l’infanzia: se il Salone avesse detto sì a chi spera nel ritorno del fascismo, io a quest’ora ero fuori dai cancelli». Con questa frase Halina Birembaum scrittrice, traduttrice e poetessa, nata a Varsavia nel 1929 e sopravvissuta ad Auschwitz, ha aperto la presentazione della sua ultima opera.
Non conosco personalmente la signora Birembaum, ma dopo aver passato in Israele alcuni anni da volontario nei centri dove si riuniscono i pochi reduci dai campi di sterminio ancora in vita ed aver trascorso con loro molte ore a parlare, a giocare a carte o a scacchi, conosco la sua storia e quello che sto per scrivere lo faccio con profondo rispetto. Alla signora Halina Birembaum glielo hanno detto che con tutto il can-can organizzato intorno a quel libro lo stesso è volato nelle classifiche di vendita e che ora i ‘fascisti’ ringraziano? Se fossero stati ignorati probabilmente sarebbero stati relegati al dimenticatoio, mentre ora tutti in Italia conoscono il nome di quella casa editrice e le sue pubblicazioni andranno sicuramente a ruba. Ad Halina è stato detto che in diverse edizioni della fiera del libro a Torino è stata data la parola a terroristi con le mani sporche di sangue e con condanne passate in giudicato? Che i libri scritti da questi terroristi sono in libera vendita? La signora Birembaum è a conoscenza del fatto che in quella fiera è possibile acquistare il Mein Kampf di Adolf Hitler edito da edizioni clandestine e che lo stesso si può acquistare online per € 10,20 sul sito della Feltrinelli, l’editore più a sinistra d’Italia? Dopo la terribile esperienza nei campi di sterminio nazisti Halina Birembaum è riuscita a ricostruirsi una vita in Israele e oggi è residente a Herzliya, è al corrente che molti di quelli che le hanno battuto le mani per qualche minuto sono fra i maggiori esponenti del BDS e che delegittimando Israele vorrebbero la distruzione della nazione che le ha permesso di ricostruirsi una vita?
Ma non è tutto perché il prossimo anno l’Iran sarà l’ospite d’onore della kermesse e considerando che per ovvi motivi gli artisti iraniani in esilio in Europa, gli unici liberi di esprimere le loro idee e la loro arte, si terranno ben lontani da Torino, non mi sembra di aver sentito levate di scudi davanti a questa decisione che, ragionando con il metro adottato quest’anno, diventa un insulto all’intelligenza. In Iran non c’è alcuna libertà di espressione e basta un niente per finire sul patibolo. L’omosessualità è punita con la morte come l’apostasia e per rimanere nel tema della letteratura su Salman Rushdie, l’autore del libro ‘Versetti Satanici’ c’è ancora la fatwa, condanna a morte, emanata da Ruhollah Khomeyni in persona.
Quando è stata presa la decisione di invitare l’Iran qualcuno ha forse pensato a Ettore Capriolo, che tradusse i Versetti Satanici di Rushdie in italiano, e che per questo fu accoltellato e lasciato in una pozza di sangue da un killer spedito proprio dal paese che sarà ospite nel 2020? Probabilmente no, come non si è pensato che il governo dei prossimi ospiti d’onore ha fatto installare a Piazza Palestina a Teheran un orologio che conta, a ritroso, il tempo rimasto prima della distruzione di Israele, una minaccia allo Stato Ebraico che si rinnova secondo dopo secondo. L’invito è stato inoltrato nonostante le statue coperte ai Musei Capitolini, i quadri censurati dalla Saatchi, una delle più importanti gallerie d’arte inglesi, dopo le lamentele dei musulmani secondo i quali le due opere erano “blasfeme” perché sovrapponevano scrittura araba a immagini di nudo.
Ma su tutto questo c’è il silenzio assoluto, mentre basta muovere lo spauracchio del fascismo, come la muleta di un torero, che si serrano i ranghi e ci si copre di ridicolo.

Michael Sfaradi, 12 maggio 2019 (qui)

Qualcuno si è, giustamente, indignato per le oscene dichiarazioni della giornalista sulle limitazioni della libertà che sta subendo “uguali a quelle degli ebrei”. Beh, senza la buffonata dell’esclusione ce le saremmo risparmiate. Come ci saremmo risparmiati la sceneggiata del suo arrivo col libro e l’altrettanto ridicola sceneggiata del “Bella ciao” (lei sarebbe l’invasore per cacciare il quale vale la pena di morire? Siamo sicuri che questi antifascisti tutti d’un pezzo abbiano qualche conoscenza della Storia?) Insomma, io concluderei dicendo: dagli antifascisti mi guardi Iddio che dai fascisti mi guardo io.
Quanto a Bella ciao, meglio lasciarla alle resistenze vere, alle battaglie vere, ai rischi veri, ai morti veri.

barbara

AMOS OZ 2

Per integrare l’opera e per concludere bene l’anno. È molto lunga, ma le cose da dire sono oggettivamente molte.

Il 2 Luglio del 2008, ben 10 anni fa, scrissi una lettera aperta ad Amos Oz, pubblicata dal quotidiano Opinione delle Libertà Edizione 135 del 02-07-2008. in risposta a un articolo che Oz aveva scritto per il Corriere della Sera.
Come di prassi copia della lettera aperta fu da me recapitata alla redazione di Via Solferino 24 ore prima della pubblicazione. Non ho mai ricevuto risposta… oggi so che non la riceverò mai più.

Lo scenario ritrae Israele in periodo di guerra
I sondaggi rivelano pronti israeliani e palestinesi
LETTERA APERTA AD AMOS OZ
di Michael Sfaradi

Caro Amos, ho letto, con molto interesse, l’articolo che hai scritto e che è stato pubblicato sul “Corriere della Sera” del 27 giugno 2008. Articolo che hai letto al Teatro “Dal Verme” di Milano in occasione della “Milanesiana”. Sono consapevole che toccare una “sacra icona” come te ha i suoi rischi, ed è per questo che desidero mettere in chiaro che non sto criticando lo scrittore Amos Oz o qualcuna delle sue meravigliose opere, ma non condivido le tue idee politiche e sociali di cittadino del Medio Oriente e dello stato di Israele. Nella prima parte dell’articolo fai una poetica similitudine che descrive la vita nel mondo, triste e decadente, paragonandola a quella che si vivrebbe in un villaggio posto vicino ad un vulcano che minaccia un’eruzione. Una vita vissuta con una spada di Damocle che potrebbe cadere sulle nostre teste in ogni momento. La rappresentazione di una vita fatta di stenti e pessimismo, un continuo andare avanti senza speranza di felicità. Una descrizione che lascia senza fiato il lettore e che porta con se un retrogusto di incertezza per il futuro e restituisce un quadro di squallore in un presente incerto. Poi, parlando di Israele ci dici: “lo scenario ritrae Israele in periodo di guerra, in un periodo di territori palestinesi occupati, di minacce che Israele venga distrutto, di kamikaze, di colonie, di paura esistenziale”. Stai davvero descrivendo la vita in Israele?
A me non sembra che i nostri concittadini vivano così male, al contrario, ogni volta che ho voglia di andare a mangiare in qualche ristorante, di andare al cinema o al teatro, devo sempre prenotare con largo anticipo perché sperare di trovare un posto libero all’ultimo momento è una vera utopia. Scrivi di territori occupati, di kamikaze e di minacce; ma ti sei accorto che con il ritiro dalla striscia di Gaza e da parte della Cisgiordania i territori occupati sono diminuiti di oltre l’80% rispetto a quelli che Israele occupava venti anni fá mentre il terrorismo e le minacce sono aumentati? Hai fatto caso che i kamikaze sono drasticamente diminuiti e questo solo per merito di quel muro di protezione tanto odiato ma che a noi ha permesso di ritornare a vivere una vita normale? Racconti che la tua famiglia fu cacciata dall’Europa, ma non spieghi bene, chiaramente e fino in fondo, che tutto questo non sarebbe accaduto se allora fosse esistito lo stato di Israele. Anche se un mio maestro diceva che la storia “non si fa con i se e con i ma”, ho sempre avuto la sensazione che se Israele fosse stata presente nella storia come stato indipendente, le cose, nel corso dei secoli, sarebbero andate in maniera diversa. Non spieghi che se oggi il popolo ebraico può permettersi di vivere una vita allo stesso livello di dignità degli altri popoli occidentali senza più temere pogrom e persecuzioni, lo deve solo ed esclusivamente alla presenza del suo stato forte, libero e democratico. Mi chiedo quando i “pacifisti a tutti i costi” capiranno che la maggioranza del mondo arabo auspica e lavora, da sempre, per la distruzione dello stato ebraico e che noi siamo in guerra proprio per non permetterglielo. È vero, oggi siamo pesantemente minacciati, ma è anche vero che possiamo difenderci contando solo sulle nostre forze senza dover ricorrere alla benevolenza di nessuno.
Immerso come sei nelle battaglie cultural-pacifiste hai probabilmente perso il contatto con la gente, coloro che difendono la terra e la nazione giorno dopo giorno. Israele, lo stato che da sessanta anni ci permette di decidere il nostro futuro. Sono sessanta anni che, come scriveva il rimpianto Herbert Pagani su “Arringa per la mia terra”, non vogliamo più vivere in mezzo agli altri popoli come gli orfani affidati al brefotrofio e che non vogliamo più essere adottati. Sono sessanta anni che la nostra vita non dipende più dall’umore dei nostri padroni di casa e sono sessanta anni che non abbiamo più bisogno di affittare una cittadinanza. E, per finire, sono sessanta anni che non abbiamo più il bisogno di bussare alle porte della storia e di aspettare che ci dicano: “Avanti”. Dici giustamente che noi scrittori abbiamo la grande responsabilità di pesare la materia con la quale lavoriamo, cioè le parole. Sono d’accordo con te, la storia ci insegna che dalle parole dei cattivi maestri sono usciti pessimi allievi, che da parole brandite come un’accetta si materializza un’accetta vera e propria…io vado oltre, non solo le parole che usiamo possono essere pericolose come l’esplosivo al plastico, ma anche i nostri comportamenti. Mi chiedo come mai non sei venuto alla Fiera del Libro di Torino, eppure Israele era ospite d’onore e tu sei uno dei massimi esponenti della sua letteratura. Visto che l’anno scorso c’eri, e sono pronto a scommettere che ci sarai anche il prossimo anno, come mai proprio nel 2008 sei mancato? Come mai non sei riuscito a trovare neanche mezz’ora per fare visita ad una delle kermesse più importanti al mondo sia dal punto di vista editoriale sia letterario?
La tua presenza avrebbe avuto un rilievo enorme ed avrebbe dato importanza alla tua nazione in un particolare momento di cultura, musica e incontro con la gente che, curiosa ed amichevole, affollava lo stand dove era raccolto tutto quanto di buono Israele realizza per il suo popolo e per il mondo intero. Un momento per certi versi irripetibile, e tu lo hai perso. Non sarà forse che non volevi inimicarti la cara “Sinistra” che aveva deciso lo stolto boicottaggio? Non sarà che se avessi partecipato avresti perso la “carica” di israeliano “buono”? Ricordo la fotografia che ti ritraeva intento a raccogliere le olive dagli alberi di una proprietà palestinese, foto che fece il giro del mondo. Era una protesta, una delle tante che si susseguono giorno dopo giorno, una protesta con la quale non ero d’accordo ma che rispettavo. Non ho mai visto però una tua foto a spasso per le vie di Sderot, se sei andato a far visita e a portare un pizzico di solidarietà alla popolazione di una cittadina israeliana che non dista neanche tanti chilometri da Arad, dove abiti, non si è saputo. Nessuna fotografia è stata pubblicata. Se sei stato a Sderot lo hai fatto mantenendo un basso profilo in modo che non se ne parlasse, perché l’israeliano “buono” non mette in evidenza le ragioni d’Israele, al contrario, le nasconde e si dissocia.
L’israeliano “buono” è critico con il suo governo, giustifica il nemico e quando non lo può giustificare ignora e minimizza quello che fa. Concludi il tuo pezzo improvvisandoti profeta e dando una bella notizia in anteprima: “Dato che tutti voi sentite brutte notizie dalla mattina alla sera, sono venuto qui oggi per portarvene una bella: la grande maggioranza di ebrei israeliani e di arabi palestinesi è già pronta per un compromesso pragmatico e per una soluzione a due Stati. Pronta – non felice. Sia in Israele che in Palestina, una settimana dopo l’altra, i sondaggi rivelano che il paziente – israeliano e palestinese – è pronto, senza particolare entusiasmo, all’operazione volta a creare due Stati confinanti. Il paziente si è già più o meno rassegnato alla necessità dell’intervento – invece sono i dottori a essere fifoni. Con «dottori» intendo i capi di entrambe le parti”. Ma sei sicuro? Dove li ha fatti questi sondaggi? Secondo me sei talmente innamorato della pace che hai dimenticato troppe cose. Per esempio che da anni, non solo sotto la dittatura di Hamas, ma anche sotto il regime della “buonanima” di Arafat, la televisione palestinese ha indottrinato e continua ad indottrinare i bambini con cartoni animati dove i soldati israeliani uccidono e torturano i loro personaggi preferiti, instaurando un odio che non si cancellerà mai, creando generazioni pronte alla guerra e al martirio.
Hai dimenticato che Ahmedinejad ci sta preparando un nuovo olocausto che, a differenza del primo dove ci gasavano e poi ci bruciavano, questa volta ci vogliono servire la bruciatura nucleare… tutto in uno. Hai dimenticato che Hetzbollah, la mano militare dell’Iran, non ci darà mai pace, non ci farà mai vivere un giorno tranquillo ai nostri confini del Nord, esattamente come farà Hamas sempre più forte e più armata con i nostri confini a Sud. Nella tua euforia pacifista dimentichi che il fine di tutta questa gente è la distruzione del nostro stato prima di cominciare a costruire il loro, altro che la pace che profetizzi e che vedi solo tu e pochi altri sognatori. Dici che la gente è pronta… a che cosa? A dividere Gerusalemme? Ne sei così sicuro? A scendere dalle alture del Golan e rimettere tutto il Nord est di Israele sotto il tiro delle artiglierie siriane? Hai dimenticato quello che succedeva prima della guerra del 1967 quando giorno dopo giorno i villaggi e i kibbutz di frontiera erano sotto tiro esattamente come lo sono attualmente Sderot, Askelon e i kibbutz del Neghev? A chi vuoi far credere che da parte palestinese la maggioranza della popolazione si sia rassegnata alla pace? Ed anche se fosse, è giusta una pace che nasce da una rassegnazione e senza entusiasmo?
Cosa accadrà quando al posto della rassegnazione si insinuerà nei cuori della gente la rivendicazione? Una nuova guerra? Con questa prospettiva che senso ha una pace con le sembianze di una cattedrale nel deserto dalle fondamenta di fango? No, caro Amos, non deve essere la rassegnazione la base di una pace, ma l’accettazione dell’altro, della sua storia, della sua religione e delle sue tradizioni come vicino di casa. Un vicino con il quale si riesca a vivere in armonia, in collaborazione e nel rispetto nonostante le diversità. Perché mai i “dottori”, cioè i capi, dovrebbero essere “fifoni”? Fino a prova contraria non sono loro che vanno a combattere, ma il popolo. Forse, la mia è solo un’ipotesi, non se la sentono non perché hanno paura, ma semplicemente perché capiscono che i presupposti per una pace non ci sono. Da dove si vede tutto questo? Semplice… non esiste un Amos Oz Palestinese, Iraniano o Siriano, ed anche se nascesse tutto mi fa credere che non vivrebbe a lungo a meno di non rifugiarsi in occidente. Shalom con amicizia.

Oggettivamente, parlandone come da vivo, o era un coglione in buonafede, o era un bastardo in malafede. In nessuno dei due casi ci fa una gran figura, e in entrambi è stato un pericolo pubblico per Israele.

barbara

A PROPOSITO DI QUEI TRE BAMBINI TRAGICAMENTE VESTITI DI ROSSO

Comincio con questo post, che analizza alcune parti di un “normale” articolo tutto pancia e sentimento.

Strumentalizzare le notizie sui migranti 1

Questo articolo è decisamente polemico verso un certo modo di dare le notizie mescolando fatti ed opinioni in maniera che appaiano “pro domo sua”; più che della questione migranti, ma questi giochi i media li fanno spesso. Una fake news non è una notizia al 100% falsa, anzi le migliori fake news son notizie in cui l’80% è vero, il 10% inventato e il restante 10% omesso. È con l’omesso e l’inventato che spingono il vero a supportare l’interpretazione della notizia verso la direzione voluta.

Sotto è riportato un articolo che tratta del presunto naufragio di 120 migranti;

fonte: http://www.corriereromagna.it/news/cesena/27300/sono-120-vittime-le-vittime-su-un-gommone-alla-deriva.html

CESENA

«Sono 120 vittime le vittime su un gommone alla deriva»
L’esperienza da incubo vissuta da una giovane cesenate
27/06/2018 – 15:34
«Sono 120 vittime le vittime su un gommone alla deriva»
CESENA. Ha 25 anni ed ha appena vissuto un’esperienza che segnerebbe gli incubi di tutti. [piccola nota pedante da prof in pensione: a me le esperienze drammatiche segnano la vita, disturbano il sonno e provocano incubi. Cosa vuol dire “segnare gli incubi”?] A vita.

Giulia Bertoni, cesenate, ha vissuto da volontaria a bordo della nave di una Ong per alcune settimane. Ed ha dovuto assistere impotente al diniego di un salvataggio. (…)
«Ho ancora gli incubi ed i sensi di colpa per quella notte – ha raccontato a Repubblica – Sono 120 le persone su un gommone probabilmente annegate pur avendo la salvezza vicina. Hanno attraversato deserto e violenze. Vicino a loro c’era un mercantile che non si è mosso. A noi il coordinamento della capitaneria italiana a Roma ci ha imposto di non andare a soccorso. Noi abbiamo ubbidito, sbagliando. La mattina solo una giacca galleggiate era l’unica cosa rimasta in mare». (…)

presentata così la notizia sembra che da roma sia arrivato un ordine secco: “non muovetevi”. In realtà la vicenda si è svolta in maniera leggermente diversa, come si scopre leggendo in seguito; roma non da un ordine secco: “non andate” quanto risponde: “noi non siamo competenti, contattate i libici”. La differenza sembra piccola ma è sostanziale.

«La notte del giorno 18 ero di vedetta. Turni di 4 ore sul ponte della barca, al radar a controllare un mare sempre più mosso. Il nostro segnale radar non funzionava e quindi non eravamo visibili a nessuno. Ma abbiamo potuto comunque sentire su un canale delle emergenze, la conversazione tra un aereo (che segnalava ad 11 miglia un gommone con 120 persone) e una nave mercantile vicina e disponibile ad aiutare. Dopo vari scambi in realtà nessuno si è mosso per quel gommone. Ma li c’erano dei disperati al buio, con le onde che crescevano. Allora abbiamo deciso di chiamare il coordinamento a Roma».
«Cosa ci hanno risposto dal coordinamento? In sintesi non ci riguarda, chiamate la capitaneria libica – spiega la 25enne cesenate – Noi per rispettare il codice di condotta che ci obbliga a non superare le 24 miglia dalla Libia a meno che non ci sia un ordine, ci siamo allontanati. Non abbiamo soccorso il gommone in difficoltà».

Roma non ha detto di non andare in aiuto; ha detto che l’SOS era nella zona di competenza libica e che quindi erano da contattare le autorità libiche. E questo spiega molte cose; il centro di coordinamento di Roma non può autorizzare interventi al di fuori della propria zona SAR; nella zona libica, per le norme internazionali, son competenti le autorità libiche. Anche se Roma avesse autorizzato, l’autorizzazione era carta straccia e non sarebbe stata opponibile alle autorità libiche in caso di “problemi” e in più poteva causare qualche “imbarazzo” diplomatico con le autorità libiche.
Il 10% omesso: di cui parlavo sopra: roma non è competente, roma non può autorizzare e anche se avesse autorizzato tale autorizzazione sarebbe stata carta straccia.
Faccio notare come lo scrivere: “A noi il coordinamento della capitaneria italiana a Roma ci ha imposto di non andare a soccorso.” invece di scrivere: “Non siamo competenti; dovete contattare i libici” faccia interpretare la vicenda in maniera profondamente diversa.

Non sono stati nemmeno chiamati i Libici: «Il capitano non ha voluto, non so il perché. I migranti? Quella notte la Lifeline, più grande anche di noi che ci occupiamo di primo soccorso, era molto lontana.

Altra frase che ci fa porre delle domande anche gravi; perché il capitano non è intervenuto? Dare la colpa a roma è un pretesto infantile in quanto Roma non ha il potere di autorizzare l’intervento fuori dalla propria zona SAR. Quali sono i motivi reali per i quali non si son mossi? perché non hanno contattato le autorità libiche? Volendo fare il gombloddista fino alla fine, perché la nave navigava con il segnale radar non funzionante? avaria o spegnimento volontario?

Alla mattina è arrivata in zona e abbiamo pattugliato le acque dove avrebbe dovuto essere il gommone, restando comunque nei limiti. Di quelle persone nessun segno. Morte, probabilmente, annegate mentre noi tutti stavamo fermi. Della guardia costiera libica mai visto traccia». (…)

Io vedo un incendio, non chiamo il 115 e poi mi lagno che non sono arrivati i pompieri. Se li avessi avvisati poi potrei giustamente recriminare per il loro mancato arrivo, ma se non lancio l’allarme?

Un’Europa che si sta dimostrando razzista, secondo la 25enne cesenate: «Sono sicura che se ci fossero stati 100 tedeschi o italiani a bordo, nessuno avrebbe accettato questi ordini. E invece quel gommone con 120 persone è stato fatto affondare».

Ecco il 10% di impressioni e di opinioni che servono per piegare l’80%; velatamente si scrive che son stati fatti morire perché erano migranti e non perché erano cittadini europei. Che raccordato con la frase ad inizio articolo: “A noi il coordinamento della capitaneria italiana a Roma ci ha imposto di non andare a soccorso. ” porta il lettore, distratto, a concludere Italiani rassisti.
Peccato che all’interno dell’articolo emergano alcuni punti, diciamo controversi. Punti che una volta notati paradossalmente portano a pensare che si stia cercando un pretesto per attaccare il governo italiano. La nave sta ferma perché Roma non da un ordine che non poteva legittimamente dare, la nave non contatta i libici ma la colpa è del razzismo europeo. Alla fine molti finiranno a pensare: le solite finction strappalacrime fatte per indurre sensi di colpa.
Zappa sui piedi che si traduce in propaganda pro Salvini. E poi ci si stupisce che Salvini, nonostante le cazzate colossali, continui ad avere seguito, anzi dia l’impressione di essere più convincente. (qui)

Proseguo con questo post appartenente al genere cuore-che-sanguina, in cui inserirò qualche nota in corsivo.

Tre bimbi vestiti di rosso

[Che “bimbi” fa molto più strappacuore del banale bambini]

Li hanno vestiti di rosso, perché speravano così che in mare sarebbero stati più visibili, e sarebbero stati salvati.
[Nel senso che sapevano che avrebbero fatto naufragio, che tutti sarebbero finiti in acqua, che moltissimi sarebbero annegati, e ci hanno portato lo stesso i bambini ma con la precauzione di vestirli di rosso? Ma che carini! Ma che amore di genitori! Ma quanta prudente sollecitudine!]

Non è bastato. Non sono bastati i vestitini rossi e le scarpine allacciate con amore per salvarli dalla paura, dall’acqua e dalla morte.
[Nel senso che se qualcuno mi allaccia le scarpe con amore poi non rischio più di avere paura? Meno che mai di morire? Ganzo!]

Pensateci, voi che avete commentato sotto l’immagine di quei poveri corpicini scrivendo: “Tanto vale che siano morti, tanto qui sarebbero diventati delinquenti e spacciatori”.
Pensateci, ogni volta che allacciate ai vostri figli le scarpine, ogni volta che scegliete per loro un vestitino, un maglione, un paio di calzettoni.
[Nel senso che se compro un paio di calzettoni per mio figlio sono obbligata a pensare che tanto poi muore lo stesso?]

Pensateci, voi che con quei gesti vi definite buoni padri e madri, e brave persone.
[Nel senso che se un bambino muore con le scarpe addosso perdo il diritto di ritenermi una buona madre e anche una brava persona? Cioè che fra me e Mengele non c’è praticamente nessuna differenza?]

Pensateci, e pregate che i vostri dei siano più magnanimi di voi e il fato non voglia rendervi la pariglia.
[? Pariglia? Questa ho qualche difficoltà a seguirla]

Pregate che non vi tocchi mai allacciare scarpine e scegliere il colore di un vestito sperando che questo possa forse evitare ai vostri figli la morte.
[Posso fare una battutaccia beceramente misogina se non addirittura quasi fallocratica? Solo una professoressa zitella racchia frustrata appartenente alla razza moralmente superiore di quelli di sinistra può arrivare a questi livelli di vomitevole cinismo]

Erano vestiti di rosso, erano tre bimbi.
[Eggià, eran trecento eran giovani e forti ma porcaputtana sono morti lo stesso]

Non fate finta che la cosa non vi riguardi, non è così.
[Ecco, ti sei scaricata la coscienza: contenta?]
Qui. (Visto? Ho citato la fonte. Non ho tentato di spacciare per mio questo sublime capolavoro come fanno quelli invidiosi della tua eccelsa arte, quindi non avrai bisogno di fare un altro post per denunciare le internettian-blogghistiche malefatte perpetrate ai tuoi danni)

Infine una riflessione su questa foto,
bimbo in rosso
pubblicata da Michael Sfaradi su FB.

Salve a tutti. Sono anni che analizzo le fotografie pubblicate dai media e scoprire i falsi è ormai diventato un Hobby.

Le foto generalmente ritraggono momenti agghiaccianti che, a prima vista, non ci permettono di ragionare, i sentimenti hanno ragione sulla razionalità. Pallywood ci ha tristemente abituato a queste ciniche rappresentazioni. Ricorderete i giocattoli nuovissimi e pulitissimi e gli zainetti nuovi di fabbrica poggiati sulle macerie [qui, ndb]. La foto che vi faccio vedere è una di quelle dei tre bambini morti nel naufragio davanti alle coste libiche, sinceramente non so se è un falso ma qualche dubbio mi viene. Innanzitutto le ombre dei due uomini sulla sinistra non sono parallele e quella dell’uomo con la divisa blu va in altra direzione. I vestiti del bambino sono troppo puliti invernali a maniche lunghe (siamo in piena estate) e non sono bagnati, mentre le scarpette sono bene allacciate e anche loro nuovissime e asciutte. Dopo essere rimasto nell’acqua sarebbe almeno presumibile che le scarpe le avesse perse, difficile che un cadavere ripescato abbia ancora le scarpe, soprattutto quelle che non hanno i lacci ma dei semplici strap a feltro. Dalle pieghe dei pantaloncini, all’altezza delle ginocchia, si vede che non sono neanche umidi. Mentre i pantaloni della divisa blu sono bagnati lo si vede dal colore più scuro. Il bambino tiene il braccio sinistro, l’unico visibile, verso l’alto. un cadavere avrebbe il braccio a penzoloni e, soprattutto, dopo essere stato diverse ore in acqua avrebbe anche il pancino con rigonfiamenti post mortem, invece è liscio e uniforme.

Spero con tutto il cuore di non sbagliare e che si tratti di un falso teso solo a destabilizzare e a mantenere lo status quo.

RIPETO NON HO ALCUNA CERTEZZA, CONDIVIDO CON VOI I MIEI DUBBI

Prudentemente – e diplomaticamente – Sfaradi parla di dubbi; io, che non ho la responsabilità di un giornalista di professione come Sfaradi, ma ho in comune con lui una discreta competenza in fatto di foto tarocche, mi permetto di dire che di dubbi ce ne possono essere davvero pochi.
Alle osservazioni di Sfaradi aggiungo la posizione del tutto innaturale dell’uomo di spalle (chi porta un bambino lo tiene accostato al proprio corpo, non scostato di una buona ventina di centimetri, e tiene il busto eretto e non curvo in avanti, per non perdere l’equilibrio spostando il baricentro fuori dalla base del proprio corpo), mentre l’uomo di fronte ha la posizione di chi sta sorreggendo qualcosa, ma NON sta sorreggendo il bambino, senza contare che per portare un bambino di quella corporatura non servono di sicuro due uomini robusti.

Concludo con un augurio: voi, buoni di professione, voi che come avvoltoi, dalle vostre tiepide case, vi avventate famelici su ogni cadavere, meglio se bambino, per brandirlo contro i vostri avversari politici, voi che non solo non avete pietà per alcuna tragedia, ma arrivate addirittura a sperarle per farne un’arma politica, non vi augurerò che vi si sfaccia la casa, che la malattia vi impedisca, che i vostri nati torcano il viso da voi: mi limito ad augurarvi che il vostro marciume arrivi prima o poi a soffocarvi. Quando quel giorno arriverà, il mondo sarà sicuramente un posto migliore.

barbara

FATTO MARGINALE

Nei disordini siriani un tale viene rapito. Per la precisione un cristiano. Viene chiesto un riscatto. Il suo parroco greco ortodosso, padre Fadi Jalil Haddad prende il riscatto, un accompagnatore e va a cercare di liberare il parrocchiano. Ma viene rapito pure lui e l’accompagnatore. Viene chiesto un riscatto che, fatti  i calcoli, risulta essere superiore a 550.000 euro. nessuno, né la famiglia, né la chiesa sono in grado di pagare questa cifra.
Così i cadaveri dei tre rapiti vengono ritrovati uccisi in modo barbaro. Il sacerdote è stato scalpato e gli sono stati strappati gli occhi. Lo riconosce il rettore di un’altra parrocchia che non vuole neppure essere nominato, tanta è la paura.
Il Patriarca Ignazio IV Hazim celebra il funerale. Durante il funerale viene fatta esplodere una bomba. Due civili sono uccisi ed anche parecchi militari.
Il sacerdote era nato nel 1969. Aveva studiato teologia a Damasco e in Libano. Si era poi sposato ed era stato ordinato sacerdote nel 1995.
I comunicati ufficiali affermano che il sacerdote non aveva preso posizione per nessuna delle parti in conflitto. E aveva cercato di aiutare tutti.
È evidente che il timore dei cristiani in Siria per la propria incolumità, dopo questi fatti, sta aumentando.
Liberamente tratto da orthodoxie.com e da orthodoxologie.blogspot.com, sito che pubblica anche un lungo comunicato del patriarcato greco ortodosso.
I greco ortodossi in Siria sono circa 500.000.
Scusate il disturbo.
Xenia Gandini (qui)

Come ha giustamente titolato l’autrice della lettera, deve proprio trattarsi di un fatto marginale, addirittura insignificante, visto che nessuno dei nostri mass media, a quanto pare, ha ritenuto che potesse meritare almeno un trafiletto. Così come assolutamente irrilevanti sono le informazioni sull’assalto al consolato di Bengasi, e solo perché siamo paranoici ci siamo messi in testa che abbiano invece una qualche importanza.

barbara