VEDIAMO IN DETTAGLIO IL MEDIO ORIENTE

I probabili riflessi negativi della vittoria di Biden sulla situazione del Medio Oriente

Dal 20 gennaio del 2021, per quattro anni, sul palcoscenico della politica americana reciteranno [forse!] due nuovi attori principali, il presidente Joe Biden e la vice-presidente Kamala Harris. Il suggeritore sarà Barack Obama. Questo è ciò che si profila dopo le elezioni presidenziali del 3 novembre, che hanno visto la sconfitta [forse!] di Donald Trump: una sconfitta che mette in pericolo tutti i risultati politici raggiunti da Trump nell’arena mediorientale. È per questa ragione che i nemici dell’ex presidente americano presenti nel Medio Oriente pregustano un cambio di rotta radicale nella politica americana verso la regione.
Il regime di Teheran, durante i quattro anni trascorsi, era stato sottoposto a una politica stringente, sul piano politico ed economico, da parte dell’Amministrazione repubblicana. In primo luogo, Trump aveva ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare, il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), firmato dall’Iran, dall’Unione Europea, dai paesi componenti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti), un accordo fortemente voluto dallo stesso Obama, ma che si era rivelato ben presto una cortina fumogena dietro la quale Teheran aveva continuato a sviluppare il suo progetto nucleare, come più volte denunciato da Netanyahu. A tutto ciò si erano aggiunte, da parte di Trump, sanzioni economiche sempre più pesanti al regime degli ayatollah, sanzioni che avevano messo in ginocchio Teheran e fortemente ridimensionato il peso della sua presenza politica nel Medio Oriente. Quest’operazione aveva rappresentato la base di partenza di una politica ad ampio raggio verso i paesi arabi sunniti, desiderosi di avere una protezione significativa contro le ambizioni egemoniche del regime sciita iraniano nel Medio Oriente. Tuttavia, questa politica aveva una prospettiva di ben più vaste finalità. Il coordinamento tra Netanyahu e Trump ha avuto lo scopo di raccogliere e sviluppare le aperture che il mondo arabo sunnita aveva mostrato di essere disposto a condividere con Israele. Da ciò è scaturita una fitta serie di incontri ad alto livello tra i rappresentanti di Israele e quelli dei paesi arabi, con la regia di Mike Pompeo, Segretario di Stato di Trump, gli Accordi di Abramo, firmati da Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, oltre alla volontà di altri Stati arabi di unirsi ad essi. La mappa del Medio Oriente stava, così, subendo una trasformazione epocale, foriera di una vera pacificazione della regione su basi stabili di collaborazione economica e politica. Ora, con l’avvento dei democratici alla Casa Bianca, questa situazione potrà subire mutamenti molto importanti, gravidi di conseguenze di segno opposto rispetto agli esiti fin qui raggiunti.
La ragione di tutto questo sta nella molto probabile formazione di un governo democratico alla Casa Bianca caratterizzato da una visione politica di sinistra. Il fatto stesso che un personaggio come Kamala Harris sia ora vice-presidente degli Stati Uniti, su suggerimento di Obama, sta a dimostrare la tendenza che potrà assumere il nuovo governo democratico sui problemi del Medio Oriente. Ma, dietro la figura di Harris, vi è tutto un mondo politico democratico che tende a influenzare, in modo diretto o indiretto, le decisioni di Biden nei suoi rapporti con Israele, con i palestinesi e con l’intero mondo arabo della regione in una direzione opposta rispetto ai risultati raggiunti dall’Amministrazione Trump. In primo luogo, con l’Iran. Il regime di Teheran nutre la speranza – fondata – che l’Amministrazione Biden reinserisca nuovamente gli Stati Uniti nel Jcpoa e azzeri le sanzioni economiche nei suoi confronti. Le conseguenze, in questo caso, sarebbero molto gravi. Il regime degli ayatollah riacquisterebbe fiducia nei suoi progetti regionali, oltre al fatto che il miglioramento progressivo delle condizioni economiche del paese potrebbe tacitare l’opposizione interna e ottenere di nuovo il sostegno della popolazione. In secondo luogo, il problema palestinese riacquisterebbe una centralità che potrebbe avere ripercussioni sui rapporti tra Israele e il mondo arabo sunnita. Infine, la Russia e la Cina, soddisfatti dai risultati elettorali americani, potrebbero avere spazi di manovra più ampi nel Medio Oriente, a danno dell’attuale posizione di Gerusalemme.
Antonio Donno, qui.

Va aggiunto il fatto che un Iran non più sottoposto a sanzioni, oltre a procedere ancora più speditamente verso l’atomica, vedrà migliorare la propria situazione economica, ed è altamente probabile che grazie  a questo torni ai livelli precedenti il finanziamento del terrorismo internazionale. Forse gli accordi già stabiliti con Israele da Emirati Arabi Uniti, Barhain e Sudan resisteranno (forse), ma quanti, fra quelli che stavano meditando di seguire l’esempio – a cominciare dal Libano, tuttora sotto la pesante tutela della Siria che è a sua volta legata a doppio filo con l’Iran – avranno il coraggio di sfidare un Iran di nuovo potente?

Abbas spera che Joe Biden abbia la memoria corta

È successo quattro anni fa. E’ martedì 8 marzo del 2016. Joe Biden, allora vicepresidente degli Stati Uniti in tournée nella regione, è appena arrivato in Israele e si reca direttamente al Centro per la Pace Shimon Peres, situato a Jaffa, per abbracciare calorosamente il suo venerabile fondatore. A poche centinaia di metri da lì, la folla si accalca sul lungomare nonostante la tensione per la sicurezza; due altri attentati terroristici avevano già marchiato quella mattina, uno a Gerusalemme e l’altro a Petah Tikvah. Bashar Masalha, un palestinese di ventidue anni che si trovava illegalmente in Israele, tira fuori un grosso coltello e inizia a colpire alla cieca i passanti. Prima di essere ucciso dalle forze dell’ordine, accoltella quattro turisti russi tra cui una donna incinta, un arabo che riesce a schivare il colpo e a fuggire, sei israeliani – uno di loro si salva colpendo violentemente l’aggressore con la sua chitarra – e Taylor Allen Force, uno studente americano di 29 anni che muore per le ferite riportate. Sui social network arabi si diffonde una vera e propria esplosione di gioia. Canti patriottici e foto dell’ “eroe” Masalha sono trasmessi in continuazione dalla televisione di Hamas a Gaza. La stampa mondiale, già mobilitata per la visita del vicepresidente, dà ampia copertura all’attacco e in particolare alla morte del giovane americano, che ha combattuto per il suo Paese in Iraq e Afghanistan. Il giorno successivo, Joe Biden va a Ramallah. Spera che Abu Mazen condanni l’attacco di Giaffa. Ma non è così. Il Presidente dell’Autorità Palestinese si accontenta di porgergli le sue condoglianze per la morte del giovane americano e di lui solo, mentre contemporaneamente la televisione ufficiale della suddetta Autorità trasmette un commovente omaggio all'”eroico Bashar Masalha” che ha dato la sua vita per la suprema gloria di Allah. Colui che era allora solo il vicepresidente di Barak Obama, rilascia una ferma dichiarazione, in cui esige che la leadership palestinese condanni gli attacchi terroristici contro degli israeliani e in particolare l’attentato del giorno prima, aggiungendo: “Lasciatemi dire con la massima fermezza che gli Stati Uniti condannano questi atti e condannano la mancata condanna di questi atti.” Ma le autorità di Ramallah respingono recisamente la sua richiesta. Quattro anni dopo, a Ramallah non è cambiato nulla: Abbas continua a incoraggiare ed a ricompensare il terrorismo. Il Politecnico di Palestina è stato appena dotato di un portale monumentale inneggiante alla gloria del terrorista Salah Khalaf, meglio conosciuto con il nome di Abu Iyad, il fondatore di Settembre Nero e il responsabile del massacro di undici atleti israeliani durante il Giochi Olimpici di Monaco nel 1972. Situata non lontano da Hebron, questa istituzione, che conta più di 6.000 studenti, ha lo scopo di formare l’élite dei giovani palestinesi e i leader di domani. Nel frattempo a Washington, Joe Biden che aveva affermato con tanta forza la propria determinazione e quella americana, è in procinto di diventare Presidente. Tuttavia Mahmoud Abbas probabilmente non ha nulla da temere. La signora Kamala Harris, pronta ad assumere la carica di vicepresidente se la vittoria di Biden viene confermata, il 31 ottobre scorso ha dichiarato in un’intervista al settimanale bilingue “The Arab American News” che la nuova amministrazione americana sarebbe pronta a riannodare, immediatamente e senza condizioni, i rapporti con i palestinesi e a fornire loro, senza indugio, assistenza economica e umanitaria. Ricordiamoci che in memoria del giovane americano assassinato, il Congresso americano ha approvato il Taylor Force Act che pone fine a qualsiasi aiuto americano all’Autorità Palestinese fintanto che quest’ultima continuerà a pagare gli individui colpevoli di terrorismo e le famiglie dei terroristi uccisi. La legge è entrata in vigore dopo essere stata firmata dal Presidente Trump il 23 marzo del 2018.
Michelle Mazel (qui)

Aggiungo un paio di cose extra. La prima relativa alle chiacchiere da mercato del pesce che continuano a diffondersi senza sosta.

Lion Udler

È stata smentita la notizia della #CNN secondo la quale il consigliere di #Trump Jared #Kushner l’avrebbe consigliato di accettare la sconfitta, il contrario è vero, l’aveva consigliato di procedere in ogni Stato dove ci sarebbero brogli elettorali.
Altre fake news che i media progressiste difendono senza alcuna fonte, che Melania sta contando i giorni per il divorzio…
E a proposito del “distacco” di Melania dal marito, del suo dissenso nei confronti della decisione di smascherare i brogli, dei propositi di divorzio:

La seconda sugli amori giovanili, e mai rinnegati, del signor Biden.

Nel 2007, Biden, nel suo libro Promesse da mantenere scriveva: ”Dal 1945 al 1980, Josip Broz Tito ha governato la Jugoslavia con personalità, determinazione e un’efficiente polizia segreta. L’astuto vecchio comunista mantenne insieme una federazione etnicamente e religiosamente mista”. E ancora: “Ci è voluto un certo genio per tenere insieme quella federazione multietnica e quel genio in particolare era Tito”. (qui)

La terza sull’ennesima colossale porcata messa in atto per non rischiare di offrire un vantaggio a Trump – e pazienza se per questo ritardo dovrà morire qualche americano in più.

Niram Ferretti

IL PRIMO MIRACOLO DELL’ERA BIDEN

Ma che strano, l’annuncio di un probabile vaccino contro il Covid 19, fatto dall’americana Pfizer e dalla tedesca Biontech, efficace, dicono, al 90%, giunge proprio adesso che Joe Biden risulta il vincitore delle presidenziali 2020.
Una settimana fa brancolavano nel buio, e poi, puff, improvvisamente, è giunto il risultato, proprio ora, nell’era escatologica che si inaugura con Joe Biden. Questo è il segno tangibile che è davvero cominciata.
Chissà se l’annuncio, fatto una settimana fa, avrebbe modificato l’esito del voto? Ma la storia, lo sappiamo, non si fa con i se.

La quarta la aggiungo io: ma tutti quei begli spiriti che gridavano inorriditi indignati disgustati per l’immorale arrivo alla Camera di Mara Carfagna grazie, si diceva, ai pompelmi offerti a Berlusconi, sulla sfolgorante carriera politica di una totalmente sconosciuta, fino all’altro ieri, Kamala Harris, nessun moralista ha qualcosa da ridire?

barbara