NON È FRANCESCA

Inizierò questo post con qualche nota personale.
Da quando è iniziata la guerra, sulla quale fin dal primo giorno ho preso una posizione molto netta, parecchi dei miei lettori si sono riposizionati – non tutti allo stesso modo. Qualcuno “non mi riconosce” (il motivo è molto semplice: non mi conosceva, anche se credeva di sì). Qualcuno non mi capisce, mi critica, e occasionalmente me lo dice, educatamente (le mie risposte lo sono state un po’ meno, oggettivamente, e me ne scuso. A proposito, se sei interessato a conoscermi, qui di fianco c’è un indirizzo email). E poi c’è chi, a causa della posizione che ho preso e del tipo di documenti che pubblico, ha smesso di leggermi. Ovviamente il fatto di perdere un lettore è l’ultima cosa al mondo a preoccuparmi, la qualità mi interessa molto più della quantità. Quello che non solo mi preoccupa, ma proprio mi fa paura, è la quantità di gente che si rifiuta di affrontare qualunque cosa che contrasti con la vulgata: vedo il rifiuto totale della discussione, del confronto, il rifiuto totale di qualunque microscopica divergenza dall’unico pensiero consentito; vedo gente che banna a dozzine per volta dai propri profili coloro che osano scrivere commenti scomodi perché “non voglio dover leggere idiozie”; vedo giornalisti che fanno quello che dovrebbe essere l’unico compito di un giornalista, ossia porsi e porre domande, indagare, mettere in discussione qualunque verità preconfezionata, li vedo, dicevo, derisi, sbeffeggiati, insultati, cacciati dai programmi che li ospitavano e dalle università in cui insegnano, intimati a riconsegnare premi ricevuti per la loro attività di indagine e ricerca della verità come inviati di guerra, inviti a metterli a tacere (come Mussolini per Matteotti?), chiudere loro la bocca, silenziarli. E ho visto amicizie pluridecennali chiuse con un lapidario “non posso continuare a dialogare con te”. Nessun argomento ha diritto di cittadinanza al di fuori di quelli conformi al Verbo stabilito, perché quello, e solo quello è LA Verità. E c’è stato chi è addirittura arrivato all’infamia di tirare fuori il termine negazionismo (giuro, mi viene freddo a scriverlo) nei confronti di chi sottolinea le palesi incoerenze e contraddizioni.  Qualcuno ha citato Katyn, per dire che i russi sono stati capaci di commettere una tale mostruosa strage attribuendone poi la paternità ai tedeschi, e quindi perché non dovremmo credere che adesso abbiano fatto quella di Bucha? Ecco, Katyn mi sembra un ottimo esempio: uno dei belligeranti ha perpetrato un orribile eccidio e poi ne ha attribuito la responsabilità al nemico, e dato che quel nemico era l’invasore, il colpevole, il cattivo per definizione, la menzogna è stata creduta. Le successive indagini, effettuate prima dall’accusato, poi da fonti indipendenti, hanno poi dimostrato che l’attribuzione dell’eccidio era falsa. Adesso abbiamo dei morti civili sulle strade di una città ucraina, e una delle due parti in causa ne incolpa l’altra. E nonostante i numerosissimi elementi che contrastano con la versione ufficiale, nonostante l’illogicità della cosa, nonostante sia nota e ben documentata l’efferata spietatezza dei nazisti ucraini, nonostante la prudenza che l’esperienza dovrebbe suggerire, tutti ci credono. Ci credono perché si rifiutano di prendere in considerazione le prove contrastanti, o addirittura di leggere i documenti in questione, per non rischiare che i fatti si scontrino con l’ideologia e la verità precostituita. E a me questa gente fa paura. Questa gente è quella che il Duce ha sempre ragione, il Führer ha sempre ragione, il compagno Stalin ha sempre ragione, gli ebrei sono la causa di tutti i nostri mali, lo ha detto lui, i kulaki sono la causa di tutti i nostri mali, lo ha detto lui, i russi sono un pericolo per l’Ucraina e per l’Europa e per il mondo intero, dobbiamo strangolarli economicamente e armare i loro nemici perché Russia delenda est, e se dissenti, anche solo in minima parte, sei un nemico del popolo, da cancellare, da spazzare via. Indegno di esistere. E chissà se questa brava gente – parecchi di loro ebrei, parecchi di loro, anche fra i non ebrei, filoisraeliani – si rende conto che questo è lo stesso, identico giochetto che dal ’67 in poi viene fatto con Israele (a proposito: è iniziato il mese sacro di Ramadan ed è partita la solita mattanza in Israele: ve ne siete accorti? Questa invece è la lotta contro l’apartheid israeliana nei campus americani

Forte, no?). In realtà è tutto sotto gli occhi di tutti, ma siccome abbiamo deciso che non è Francesca, bisogna per forza che sia Filippa Maria. E tuttavia ci sono quelle famose riprese satellitari, che smentiscono irrefutabilmente la vulgata antirussa, ma tranquilli, non è Francesca. E ci sono le foto col bracciale bianco – quei “collaborazionisti” dai quali i miliziani ucraini, appena rientrati, si sono precipitati a ripulire la città

e sui quali Capuozzo, sì, il solito rompiscatole di Capuozzo, si pone qualche domanda, ma non preoccupatevi, non può essere Francesca. E poi c’è questo organo ucraino in cui si lamenta che i russi hanno lasciato mine dappertutto, ma nessun cenno di morti, ma è escluso che possa essere Francesca. E c’è anche questa splendida registrazione, in cui uno dei due interlocutori è incazzato nero perché non è stata messa sulla strada neanche una donna, il che toglie parecchia credibilità alla narrazione del massacro di civili da parte dei russi e l’altro gli assicura che non succederà più – cioè che la prossima volta che insceneranno una strage russa lavoreranno con più attenzione – ma non agitatevi, non è Francesca, garantito. E ci sono quelle foto (un’immagine vale più di mille parole, lo sappiamo, e quindi le guardiamo, le foto, tutte, con molta molta attenzione) coi morti per strada e la gente che ci passeggia in mezzo, con aria del tutto indifferente, come se non ci fossero,

che addirittura ci cammina sopra senza neppure accorgersene, proprio come se non ci fossero,

ma voi dormite i vostri sonni sereni: è chiaro che non può essere Francesca. Ed è anche sempre più chiaro chi e perché ha tutto l’interesse a fomentare la narrazione dei crimini di guerra russi e io, davvero, non capisco come qualcuno abbia potuto inventarsi che fosse Francesca. Poi adesso è arrivato un missile a Kramatorsk,

lanciato naturalmente dai russi, che ha provocato una trentina di morti e un centinaio di feriti Si tratta di un Tochka U, di fabbricazione russa ma non più usato in Russia da tre anni e attualmente in dotazione unicamente all’esercito ucraino. Nella foto sottostante si può vedere un esemplare di questo tipo di missile, i rottami del missile atterrato a Kramatorsk e un missile Iskander, quello usato dai russi.

Inoltre il missile è arrivato da sud-ovest, zona attualmente sotto controllo ucraino, ma Francesca a Kramatorsk non ci è neppure andata, figuriamoci.
E arrivati a questo punto, direi che vale la pena di ascoltare anche un po’ di gente che le guerre le ha conosciute da vicino.

Giancarlo Vitali Ambrogio

Come ormai mi capita di dire spesso non ho più parole per descrivere gli orrori di questa guerra scellerata e non ho più parole per descrivere, anticipandolo, il burrone dentro cui ci sta spingendo Biden con la complicità dei governi europei e di una “stampa” senza più misura nell’accompagnarli per mano, ubbidiente e compatta: non più diplomazia, pressione politica, accordo di pace ma, guerra permanente e ucraini sacrificabili sognando la distruzione della Federazione russa e di conseguenza un’equa ridistribuzione delle enormi riserve di materie prime strategiche presenti nel sottosuolo dello “Zar”.
Mi chiedo se gli ucraini ne siano coscienti.
Malauguratamente per ora i risultati sono questi:
– morte, distruzione, sofferenze e dolore senza una fine prevedibile per il popolo ucraino e presto per quello russo;
– seri rischi che la guerra possa estendersi all’Europa o alla meglio che possa trasferire pur a distanza i suoi pesantissimi, inevitabili effetti sociali ed economici;
– aver “spinto” forse definitivamente la Cina e la Russia ad abbracciarsi in una alleanza che lascia prevedere il risorgere della guerra fredda di recente memoria, anzi freddissima, perché questa volta non sarà più fra occidente e Russia ma fra occidente e oriente, con tutte le terribili conseguenze che comporterà.
Complimenti alla Politica d’occidente!
Si poteva fare meglio?
Leggete sotto cosa racconta il Wall Street Journal
P.S. consigliato a chi è interessato a vedere tutta la storia al di la di Putin boia: oggi il Fatto Quotidiano riporta quello che definisce lo scoop di febbraio del Wall Street Journal. La ricostruzione dei fatti ricorda che cinque giorni prima dell’invasione russa, il cancelliere tedesco propose all’Ucraina un accordo con la Russia che sarebbe stato siglato da Biden e Putin in persona, nel quale Kiev si impegnava a dichiararsi neutrale rinunciando alla Nato: Kiev, cioè Zelens’kyi, non accettò sostenendo “di non credere che Putin avrebbe tenuto fede a un accordo di quel tipo” e perché ” la maggioranza degli ucraini vuole la Nato”
Di nuovo, non ho parole!

LETTERA DI 10 EX CORRISPONDENTI DI GUERRA CONTRO LA PROPAGANDA DEI NOSTRI MEDIA

“Ecco perché sull’Ucraina il giornalismo sbaglia. E spinge i lettori verso la corsa al riarmo”: lo sfogo degli ex inviati in una lettera aperta. “Basta con buoni e cattivi, in guerra i dubbi sono preziosi”
Undici storici corrispondenti di grandi media lanciano l’allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto: “Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin”. L’ex inviato del Corriere Massimo Alberizzi: “Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni”. Toni Capuozzo (ex TG5): “Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori. Trattare così il tema vuol dire non conoscere cos’è la guerra”.
“Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male”. Inizia così l’appello pubblico di undici storici inviati di guerra di grandi media nazionali (Corriere, Rai, Ansa, Tg5, Repubblica, Panorama, Sole 24 Ore), che lanciano l’allarme sui rischi di una narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto nel giornalismo italiano (qui il testo integrale sul quotidiano online Africa ExPress). “Noi la guerra l’abbiamo vista davvero e dal di dentro: siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti”, esordiscono Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Amedeo Ricucci, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò. “Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell’era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi“, notano i firmatari. “Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo”.
“L’opinione pubblica spinta verso la corsa al riarmo” – Gli inviati, come ormai d’obbligo, premettono ciò che è persino superfluo: “Qui nessuno sostiene che Vladimir Putin sia un agnellino mansueto. Lui è quello che ha scatenato la guerra e invaso brutalmente l’Ucraina. Lui è quello che ha lanciato missili provocando dolore e morte. Certo. Ma dobbiamo chiederci: è l’unico responsabile? Noi siamo solidali con l’Ucraina e il suo popolo, ma ci domandino perché e come è nata questa guerra. Non possiamo liquidare frettolosamente le motivazioni con una supposta pazzia di Putin“. Mentre, notano, “manca nella maggior parte dei media (soprattutto nei più grandi e diffusi) un’analisi profonda su quello che sta succedendo e, soprattutto, sul perché è successo”. Quegli stessi media che “ci continuano a proporre storie struggenti di dolore e morte che colpiscono in profondità l’opinione pubblica e la preparano a una pericolosissima corsa al riarmo. Per quel che riguarda l’Italia, a un aumento delle spese militari fino a raggiungere il due per cento del Pil. Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione. L’emergenza guerra – concludono – sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre”.
Alberizzi: “Non è più informazione, è propaganda” – Parole di assoluto buonsenso, che tuttavia nel clima attuale rischiano fortemente di essere considerate estremiste. “Dato che la penso così, in giro mi danno dell’amico di Putin”, dice al fattoquotidiano.it Massimo Alberizzi, per oltre vent’anni corrispondente del Corriere dall’Africa. “Ma a me non frega nulla di Putin: sono preoccupato da giornalista, perché questa guerra sta distruggendo il giornalismo. Nel 1993 raccontai la battaglia del pastificio di Mogadiscio, in cui tre militari italiani in missione furono uccisi dalle milizie somale: il giorno dopo sono andato a parlare con quei miliziani e mi sono fatto spiegare perché, cosa volevano ottenere. E il Corriere ha pubblicato quell’intervista. Oggi sarebbe impossibile“. La narrazione del conflitto sui media italiani, sostiene si fonda su “informazioni a senso unico fornite da fonti considerate “autorevoli” a prescindere. L’esempio più lampante è l’attacco russo al teatro di Mariupol, in cui la narrazione non verificata di una carneficina ha colpito allo stomaco l’opinione pubblica e indirizzandola verso un sostegno acritico al riarmo. Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni e nemmeno chi si informa leggendo più quotidiani al giorno riesce a capirci qualcosa”.
Negri: “Fare spettacolo interessa di più che informare” – “Questa guerra è l’occasione per molti giovani giornalisti di farsi conoscere, e alcuni di loro producono materiali davvero straordinari“, premette invece Alberto Negri, trentennale corrispondente del Sole da Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani. “Poi ci sono i commentatori seduti sul sofà, che sentenziano su tutto lo scibile umano e non aiutano a capire nulla, ma confondono solo le acque. Quelli mi fanno un po’ pena. D’altronde la maggior parte dei media è molto più interessata a fare spettacolo che a informare”. La vede così anche Toni Capuozzo, iconico volto del Tg5, già vicedirettore e inviato di guerra – tra l’altro – in Somalia, ex Jugoslavia e Afghanistan: “L’influenza della politica da talk show è stata nefasta”, dice al fattoquotidiano.it. “I talk seguono una logica binaria: o sì o no. Le zone grigie, i dubbi, le sfumature annoiano. Nel raccontare le guerre questa logica è deleteria. Se ci facciamo la domanda banale e brutale “chi ha ragione?”, la risposta è semplice: Putin è l’aggressore, l’Ucraina aggredita. Ma una volta data questa risposta inevitabile servirebbe discutere come si è arrivati fin qui: lì verrebbero fuori altre mille questioni molto meno nette, su cui occorrerebbe esercitare l’intelligenza”.
Capuozzo: “In guerra i dubbi sono preziosi” – “Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori”, argomenta Capuozzo. “Invece è proprio in queste circostanze che i dubbi sono preziosi e l’unanimismo pericolosissimo. Credo che questo modo di trattare il tema derivi innanzitutto dalla non conoscenza di cos’è la guerra: la guerra schizza fango dappertutto e nessuno resta innocente, se non i bambini. E ogni guerra è in sè un crimine, come dimostrano la Bosnia, l’Iraq e l’Afghanistan, rassegne di crimini compiute da tutte le parti”. Certo, ci sono le esigenze mediatiche: “È ovvio che non si può fare un telegiornale soltanto con domande senza risposta. Però c’è un minimo sindacale di onestà dovuta agli spettatori: sapere che in guerra tutti fanno propaganda dalla propria parte, e metterlo in chiaro. In situazioni del genere è difficilissimo attenersi ai fatti, perché i fatti non sono quasi mai univoci. Così ad avere la meglio sono simpatie e interpretazioni ideologiche”. Una tendenza che annulla tutte le sfumature anche nel dibattito politico: “La mia sensazione è che una classe dirigente che sente di avere i mesi contati abbia colto l’occasione di scattare sull’attenti nell’ora fatale, tentando di nascondere la propria inadeguatezza. Sentire la parola “eroismo” in bocca a Draghi è straniante, non c’entra niente con il personaggio”, dice. “Siamo diventati tutti tifosi di una parte o dell’altra, mentre dovremmo essere solo tifosi della pace”.

Quindi è chiaro: è assolutamente escluso che possa essere Francesca.

barbara

QUANDO SI DICE

Quando si dice la transizione verde

Quando si dice la democrazia

Quando si dice metti la mascherina che c’è il virus

Quando si dice l’informazione

cadendo in verticale senza rompere il soffitto! Certo che sono davvero dei fenomeni questi costruttori di razzi russi.

Quando si dice l’inclusione

Will Thomas è un nuotatore, ma talmente schiappa che stava al 462° posto. Un giorno però ebbe un’idea geniale: decise di farsi chiamare Lia, e di colpo passò dal 462° posto nello stile libero maschile al primo posto in quello femminile. In altre parole, in nome dell’inclusione le ragazze sono state di fatto escluse dalle competizioni femminili.
Ora ha vinto i 500 SL nei campionati universitari di nuoto ad Atlanta, stracciando tutte. Ma la seconda, terza e quarta classificata hanno mandato un esplicito messaggio, ricomponendo, insieme, il loro podio, quello vero. Quello delle ragazze.

Forse la cosa giusta da fare, da parte delle ragazze, sarebbe di restar ferme sulla pedana di partenza e lasciare nuotare da solo il cazzoforo, ma è anche possibile, coi tempi che corrono, che il rifiuto di competere con una persona a causa del suo “genere percepito” sia punibile con l’espulsione dal gruppo sportivo.

Quando si dice mi mancano le parole

Quando si dice che il nazismo ucraino è una balla inventata da Putin

Lorenzo Capellini Mion

Kyev, Ucraina

La guardia d’onore del reggimento del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky rende omaggio al funerale di un membro della divisione delle SS Galichina.
Era il giugno 2021.
Le SS in Ucraina si resero responsabili di eccidi con pochi paragoni quanto a ferocia, in special modo contro ebrei e polacchi.
È solo uno delle diverse centinaia di esempi che si potrebbero fare come centinaia statue e strade intitolate ai collaboratori nazisti in Ucraina dove, dopo il colpo di Stato del 2014, i governi che si sono susseguiti hanno eretto monumenti in onore di collaboratori dei nazisti e di autori dell’Olocausto ad un ritmo sbalorditivo.
Ve lo lascio qui come spunto per quando si sente parlare di denazificazione.

Quando si dice l’abito non fa il monaco

Quando si dice che solo i dissidenti russi hanno il coraggio di sfidare il potere presentandosi in televisione con un cartello controcorrente

Quando si dice i bei tempi di una volta

barbara

E POI INVECE ALLA FINE FORSE NO

Ho mantenuto un prudente silenzio quando, subito dopo il fatto, sono emersi i primi dubbi su quelle scritte coi caratteri tondeggianti, come li fanno gli arabi, e non squadrati, come li fanno gli ebrei.
Duma 1
Duma 2
Ho continuato a mantenere un prudente silenzio quando è stato reso noto che la casa si trovava al centro del villaggio, facendo sorgere pesanti dubbi sulla possibilità che i “coloni ebrei estremisti” potessero avere scelto un bersaglio in posizione tale da dover poi, una volta appiccato l’incendio che avrebbe svegliato l’intero villaggio, attraversarlo tutto – conoscendolo poco o niente, e al buio – per rientrare nelle proprie case.
Poi però sono successe ancora altre cose, e adesso il silenzio lo rompo. È successo che i “coloni ebrei estremisti” in detenzione amministrativa (come? Detenzione amministrativa? Ma non era quella cosa orrendissima che Israele usa solo per i palestinesi? No? Ah) hanno cominciato a essere liberati per totale mancanza di indizi, o perché i loro alibi hanno retto alle verifiche. È stato appurato che tra la famiglia Dawabsha, vittima dell’attacco di quella notte, e un’altra famiglia del villaggio, è in atto una vecchia faida. E che quella stessa notte era stata incendiata anche un’altra casa, sempre di un appartenente a quella famiglia. E un’altra era stata incendiata in febbraio, e ancora una l’altro ieri, e poi un’auto: sempre appartenenti alla stessa famiglia.
Possiamo considerare tutto questo alla stregua di una prova, spendibile in tribunale, dell’innocenza dei “coloni ebrei estremisti”? Penso di no. Ma sufficiente a porre seriamente in discussione le prime affrettate conclusioni, credo proprio di sì. Soprattutto se pensiamo alla “strage della spiaggia di Gaza” con la solita scena strappalacrime della bambina che strepita sgangheratamente di fronte alle telecamere per la morte del padre – non senza aver provveduto, prima di chiamare la stampa e mandare in scena la bambina, a far sparire ogni traccia del missile palestinese che aveva colpito e sterminato la famiglia. O la povera famiglia di Gaza sterminata nella casa fatta saltare in aria, salvo poi vedere chiaro come il sole dalle riprese aeree che la casa era saltata da sola per “simpatia”, dato che era stata trasformata in una santabarbara, quando un missile israeliano aveva centrato i terroristi che trasportavano esplosivo poco lontano da lì. O tutte le montature di “Piombo fuso”. O la strage del mercato di Shijaiyah. O i nove bambini uccisi nel parco giochi di Shati – e qui mi fermo, perché fra quattro giorni parto, e per elencare e documentare tutti gli omicidi, stragi, massacri perpetrati dai palestinesi e spacciati per opera israeliana, quattro giorni non bastano davvero. Penso comunque che questa pur ridottissima panoramica possa bastare a dare un’idea di quanto sia opportuna la prudenza nell’attribuzione di responsabilità per i fatti che succedono da quelle parti.
Forse qualcuno si starà chiedendo se provo sollievo. No, naturalmente: il dolore per la morte atroce di un infante bruciato vivo non può certo trovare sollievo nel fatto che l’assassino sia qualcuno invece che qualcun altro. Né, se alla fine risulterà che anche questo attacco, come gli altri quattro, fa parte della faida interna al villaggio, se ne dedurrà che gli ebrei e gli israeliani siano tutti buoni e tutti santi (“Israele sarà un Paese normale quando avrà i suoi ladri e le sue puttane”, diceva Ben Gurion. E i suoi figli di puttana, aggiungo io, che non possono mancare).

Sollievo certamente no, dicevo, ma una punta di soddisfazione maligna sì, quella la provo proprio, nei confronti di uno squallido personaggino che pochi giorni dopo il tragico evento si è permesso di dichiarare che

Mi è sembrata insufficiente la reazione dei rabbini in Israele e nel mondo di fronte agli abbietti omicidi perpetrati nei giorni scorsi da alcuni giovani israeliani nei confronti di un infante arabo in un villaggio della Cisgiordania e di una ragazza ebrea nelle strade di Gerusalemme. Gli uccisori […] erano o erano stati tutti allievi di accademie rabbiniche, o presunte tali, agivano in nome di principi che, a loro dire, derivavano dalla tradizione ebraica, e si prefiggevano obiettivi dettati, sempre a loro dire, dalle norme dell’ebraismo. In sintesi, il programma degli assassini e delle altre (non molte) migliaia di persone che sono accomunate nella stessa ideologia, è lo stabilimento di uno stato fondato sull’applicazione integrale della halachah (il diritto ebraico tradizionale) su tutto l’antico territorio storico della Terra d’Israele, qualunque esso sia, e senza alcuna esclusione di mezzi, compreso l’omicidio.” (qui)

Ecco, lo voglio proprio vedere, questo signore dalla faccia come il ****, lui che trova insufficiente l’immediata condanna, senza appello, senza giustificazioni, senza attenuanti, dell’intero rabbinato israeliano e mondiale, lui che sa con certezza, prima di ogni indagine, che gli assassini sono usciti dalle scuole rabbiniche, lui che sa che cosa hanno fatto, per quale causa lo hanno fatto, a quale fine lo hanno fatto, lo voglio proprio vedere con quale faccia oserà presentarsi al mondo il giorno in cui avessimo davvero prove spendibili in tribunale dell’infamia della sua uscita. Io, nel frattempo, me ne sto seduta sulla riva del fiume, e aspetto.

barbara

L’UNRWA LO AMMETTE

È stato un missile di Hamas a colpire la scuola dell’Onu, che del resto era abitualmente usata, già da molti anni, come base di lancio.
Quanto alla questione dei morti civili, il fatto è che quando questi, avvertiti dall’esercito israeliano dell’imminente attacco, tentano di scappare, succede questo (se non capite né l’arabo né il tedesco, accontentatevi di guardare le figure: sono sicura che saranno ampiamente sufficienti a darvi un’idea).

barbara

CARA ROSARIA APREA,

che qualcuno evidentemente deve considerare bella, dal momento che, leggo, sei una miss, anche se a me non sembrerebbe mica tanto
rosaria_aprea
(e qualcuno sicuramente dirà che la mia è tutta invidia. Lo dicono sempre, quindi non è il caso di badarci granché), avrei due parole da dirti. Ma prima, nel caso qualcuno dei miei lettori fosse stato distratto, o non avesse la memoria pronta, riporto l’articolo pubblicato dal Corriere della Sera di ieri.

CASERTA – Getta la spugna il legale che nelle ultime settimane ha assistito Rosaria Aprea, la ventenne della provincia di Caserta picchiata dal fidanzato tanto da rimetterci la milza, eppure convinta di volerlo perdonare e tornare con lui. Dopo aver ripetutamente cercato di convincere Rosaria che stava facendo la scelta sbagliata, l’avvocato Carmen Posillipo ha deciso di rinunciare al mandato. Perché il comportamento della Aprea, «collide con la mia etica professionale e con le mie strategie difensive», spiega. E per essere più chiara aggiunge: «Non voglio assistere all’anteprima di un omicidio».
Da quando la ragazza è finita in ospedale dopo essere stata presa a calci dal ventisettenne Antonio Caliendo (ora in carcere con l’accusa di lesioni gravissime e in attesa della decisione del Tribunale del riesame che proprio ieri ha affrontato il caso), l’avvocato Posillipo le è stato accanto come e più di una amica. È andata a trovarla ogni giorno, le ha parlato cercando di calmarla quando Rosaria cominciava ad agitarsi, e anche dopo che lei se n’è uscita con la storia che voleva tornare con Antonio («perché lui mi ama e cambierà sicuramente») ha continuato ad assisterla. E ha dovuto spiegarle molte cose. Per esempio che non bastava che Rosaria ritirasse la denuncia per far scarcerare Antonio, perché il reato era troppo grave e il magistrato decide autonomamente, non si basa sul perdono della vittima. Poi quando la ventenne le ha fatto capire che avrebbe rilasciato volentieri qualche intervista a pagamento in modo da avere i soldi per pagare la cauzione e far uscire il fidanzato, l’avvocato con pazienza le ha spiegato che le cose in Italia funzionano diversamente dai telefilm che Rosaria vede in tv. Ma alla fine, quando ha capito che l’intenzione della ragazza, dimessa ieri  dall’ospedale, era di andare a Casal di Principe, dove vivono i familiari di Antonio e dove c’è una casa pronta per lei, il fidanzato e il loro bambino di un anno, l’avvocato Posillipo non se l’è sentita più di continuare. (Fulvio Bufi)

Ecco, quello che voglio dirti, mia cara Rosaria, è che sono immensamente dispiaciuta. Mi dispiace veramente tantissimo che quell’impiastro del tuo fidanzato, dopo anni di allenamento a menarti, sia riuscito solo a spappolarti la milza, col bel risultato di far spendere a noi contribuenti un sacco di soldi per curarti e di condannare quella povera creatura innocente di tuo figlio a continuare a vivere con una criminale che, pur di continuare a farsi sbattere dall’energumeno, non si fa il minimo scrupolo a farlo vivere in un inferno e ad esporlo ad ogni sorta di violenze. Mi auguro con tutto il cuore che la prossima volta – perché NATURALMENTE ci sarà una prossima volta – il suo lavoro sia più accurato.

Poi, visto che ci sono, vorrei dire due parole anche alla madre di Fabiana Luzzi, 15 anni, colpita con venti coltellate e poi bruciata viva dal fidanzato, che ha dichiarato che «anche quel ragazzo è una povera vittima» (capisco che il dolore possa anche far impazzire, ma anche nel dolore dovrebbe esserci un limite all’indecenza), e all’avvocato della “povera vittima”, Giovanni Zagarese che ha provveduto a informare che il ragazzo «è molto provato»: egregi signori, sono alla ricerca di due piccoli razzi, diciamo dieci centimetri di diametro e una trentina di lunghezza. Dotati di una piccola testata nucleare. La vostra fantasia vi aiuterà sicuramente a indovinare dove ve lo dovete infilare.
fabiana-luzzi
barbara