Luridi porci schifosi bastardi! Ascoltate, ascoltate dalla viva voce di una vittima che cosa sono arrivati a fare!
Sbatterli in galera tutti, dal primo all’ultimo, e buttare via la chiave!
barbara
Luridi porci schifosi bastardi! Ascoltate, ascoltate dalla viva voce di una vittima che cosa sono arrivati a fare!
Sbatterli in galera tutti, dal primo all’ultimo, e buttare via la chiave!
barbara
fra Biden e Trump
Vi ricordate di come Trump è stato messo in croce per un’unica frase pronunciata vent’anni prima? Vi ricordate la macchina del fango messa in moto contro di lui? Le marce di protesta? La vera e propria guerra scatenata contro di lui? E organizzata e promossa da queste caste e pudibonde signore:
Avverrà qualcosa del genere per il bravo democratico Joe Biden, difeso perfino dal padre delle ragazzine molestate? Perché se qualcuno avesse dubbi se si tratti di carezze affettuose o palpate oscene e moleste, credo che le facce e le reazioni del corpo delle donne, delle ragazze, delle bambine vittime delle sue attenzioni siano più che sufficienti a fornire la risposta. Ma nessuno farà niente, vedrete. Ed è esattamente lo stesso spettacolo che sta andando in scena ora con la gente in ginocchio di fronte a un criminale che, fra le sue varie imprese, poteva vantare anche quella di avere puntato la pistola contro la pancia di una donna incinta nella cui casa aveva fatto irruzione. Leggete un po’ qua.
“Quando le persone usano il piede di porco e iniziano a buttare giù porte per saccheggiare, non stanno protestando, non stanno facendo una dichiarazione: stanno rubando. Quando bruciano un edificio, commettono un incendio doloso. E stanno distruggendo e minando le imprese e le opportunità nelle loro stesse comunità. Quindi è del tutto appropriato che il sindaco e il governatore, con cui ho parlato ieri, lavorino per fermare questo tipo di violenza e di distruzione senza senso. Questa non è una protesta. Questa non è una affermazione. Sono teppisti che approfittano di una situazione per i propri scopi e devono essere trattati come criminali”.
Barack Obama, 28 aprile 2015, all’indomani delle violenze esplose a Baltimora e altrove dopo la morte in seguito all’arresto da parte della polizia dell’afroamericano Freddie Gray, nel suo ruolo di presidente degli Stati Uniti.
Il governatore del Maryland, in base a queste parole in totale accordo con Obama, chiese e ottenne l’intervento nelle strade della Guardia Nazionale. Ovvero, di un corpo militare.
“Parlo ai milioni di americani che sono scesi in strada e hanno fatto sentire la loro voce, un’ondata di proteste che nascono da una legittima frustrazione. C’è un cambio di mentalità in atto, una maggiore consapevolezza che possiamo fare meglio. E questa non è conseguenza dei discorsi dei politici, ma il risultato diretto della capacità di così tanti giovani di mobilitarsi. La spinta dei giovani fa ben sperare per il futuro. Voglio che sappiate che voi contate, che le vostre vite contano, che i vostri sogni contano”.
Obama Barack, 3 giugno 2020, all’indomani delle violenze esplose a Minneapolis e altrove per l’uccisione da parte della polizia dell’afroamericano George Floyd.
Giovanni Sallusti, 6 giugno 2020, qui l’articolo completo.
Poco importa che del comportamento del poliziotto debba rispondere il capo della polizia, che è nero. Poco importa che sopra il capo della polizia ci sia il sindaco, democratico, e che tutta la trafila di comando del Minnesota sia democratica, poco importa che tutto dipenda dal governo dello stato e non da quello centrale: superior stabat lupus, ma l’acqua l’ha sporcata Trump.
E concludo con una illuminante sintesi di
In due anni: sono corsi a Lampedusa e hanno messo le magliette rosse; le hanno tolte; sono diventati gretini con le borraccette di alluminio; hanno gettato le borraccette di alluminio; si sono ammassati in piazza come sardine; dalla piazza sono andati al bar e hanno abbracciato cinesi durante gli aperitivi; sono usciti dal bar e hanno messo al bando lo spritz; hanno smesso di assembrarsi e hanno praticato il “distanziamento sociale”. Hanno cantato Bella ciao dal balcone. Infine, si sono messi in ginocchio. Penso per vedere dove gli fosse caduto il cervello. Non l’hanno trovato.
In una cosa, caro Angelo Michele Imbriani, ti sbagli: il cervello non può essergli caduto. Confermano, comunque, di appartenere a pieno titolo al XXI secolo
barbara
Se l’accusato è democratico, il #MeToo non vale più
Leone Grotti 16 maggio 2020
Non è un periodo facile per il movimento #MeToo, quello che ha fatto del motto «credere alle donne» il proprio grido di battaglia e che da anni ormai trasforma ogni accusa di molestie in una prova e ogni assembramento su twitter in un tribunale digitale. Fino a quando a essere accusati di palpatine o avance indesiderate sono personaggi invisi al mondo progressista, all’interno del quale il movimento è nato, come il presidente Donald Trump o il giudice della Corte suprema Brett Kavanaugh, è tutto semplice. Il problema è quando il comandamento «crediamo alle sopravvissute» va applicato a donne che hanno malauguratamente accusato la persona “sbagliata”. Allora gli ingranaggi del sistema, che devono immediatamente portare a dimissioni o perdita della faccia dell’accusato secondo la Bibbia neofemminista, si inceppano.
CHE GUAIO PER JOE BIDEN
È il caso di Tara Reade, ex assistente del candidato alla Casa Bianca per il partito democratico, Joe Biden, che ha accusato di molestie sessuali il suo ex principale, che il mondo progressista americano ha nominato (anche se in modo un po’ riluttante) a suo nuovo paladino nella lotta contro il nemico di tutti i nemici: Trump.
Ora il candidato presidente si trova davanti a un bel guaio, avendo dichiarato in passato al pari di quasi tutti i candidati o elettori democratici: «Se una donna esce alla luce del sole esponendosi a livello nazionale, bisogna partire dal presupposto che l’essenza di quello che dice è vero». Anche nel caso dell’ex vicepresidente di Barack Obama? Beh, in questo caso è necessario fare qualche distinguo. Non basta più la parola della “vittima” e anche le femministe del #MeToo invocano un’indagine dei “fatti”.
LA RISCOPERTA DEI «FATTI»
Lo stesso Biden ha reinterpretato le sue stesse parole sulla necessità di «credere alle donne»: «Credere alle donne significa prendere sul serio coloro che fanno un passo avanti. Poi però bisogna guardare alle circostanze e ai fatti», ha dichiarato in una recente intervista con assoluto buon senso, lo stesso che non aveva utilizzato quando a essere sul banco degli imputati erano altri maschi bianchi ma di fede repubblicana.
Anche Fatima Goss Graves, presidente del National Women’s Law Center, improvvisamente si sente in vena di distinguo: «Parlando di “credere alle sopravvissute” non abbiamo mai inteso che le loro parole erano l’inizio e la fine di un’indagine. Intendevamo solo dire che vanno prese seriamente».
«ASCOLTIAMO LE DONNE, MA IO CREDO A BIDEN»
Stacey Yvonne Abrams, membro del Partito democratico molto attiva nella difesa delle donne, è arrivata a operare una completa giravolta nel caso Reade-Biden: «Credo che le donne meritino di essere ascoltate e credo sia necessario ascoltarle, ma credo anche che le accuse vadano investigate. E in questo caso credo a Joe Biden».
Contorcimenti che per Shaunna Thomas, fondatrice del movimento in favore dei diritti delle donne Ultra Violet, sono come una pugnalata: «È difficile per delle sopravvissute vedere che una donna ha più prove di qualunque altra prima di lei in situazioni simili ma viene gettata via da attori politi cinici».
«ACCUSE TERRIBILI, MA VOTERÒ PER LUI LO STESSO»
La verità è che martedì 3 novembre gli Stati Uniti eleggeranno il nuovo presidente e i democratici non possono permettersi che una Reade qualunque metta in discussione il loro candidato. «Le accuse a Biden sono terribili e il suo comportamento, stando alle accuse, non può essere scusato», ammette la democratica Stephanie Sims, tra i pezzi grossi di Lei vota Illinois, movimento a favore della rappresentanza politica femminile Ma aggiunge come scrive la Bbc: «Questo non cambia il fatto che voterò per lui».
È lo stesso ragionamento che farebbe con Trump? «Come elettrice devo guardare a un quadro più ampio. Devo guardare a ciò che l’amministrazione Biden farà per il paese. Altri candidati sono stati accusati da 25 donne. Lui solo da una». Così il movimento #MeToo, dalla sera alla mattina, scopre la ragion di Stato, fa propria la lezione di Machiavelli e accetta di essere un puro mezzo verso un fine più grande: la vittoria dei democratici alle elezioni. Con buona pace delle donne. (qui)
Questa fulgente nonché fulgida pagina che resterà negli annali della storia del femminismo, mi ha riportato alla memoria un episodio di tredici anni fa, di cui ho dato conto in un post che potete trovare qui, ma siccome il cannocchiale funziona a manovella per cui richiede lunghe pause per dare moto al manovellatore di riprendere fiato, ve la metto anche qui integralmente (ma se il cannocchiale funziona andate anche lì: ci sono alcune cose interessanti anche nei commenti, oltre alla foto).
PER SOLE DONNE
Ho cinquantasei anni, come sa chi mi conosce. Sono cresciuta in tempi in cui le donne che guidavano si contavano sulle dita, e se per la strada si vedeva un’auto parcheggiata male potevi giurarci che immediatamente partiva il coro “Scommettiamo che è una donna?”. Sono cresciuta col vicino di casa che non è mai riuscito a capacitarsi che mio padre mi facesse studiare, visto che tanto poi, essendo una donna, dovevo sposarmi e stare a casa a fare figli. Sono cresciuta con le mamme delle mie amiche e compagne di scuola – in classi rigorosamente femminili alle elementari e alle medie – che nella quasi totalità facevano le casalinghe. Sono cresciuta sentendo dire in famiglia – e in molte altre famiglie – “sta’ zitta tu che sei una donna”. Sono cresciuta sentendo dire che noi non siamo affidabili perché abbiamo il ciclo che ci rende instabili, che il nostro unico posto adatto è a casa a fare la calza e pulire il culo ai bambini, che il nostro unico valore è quello di avere un buco in cui infilarsi.
Sono cresciuta combattendo contro branchi di maschi stronzi, bastardi e deficienti: con le unghie, coi denti – e non metaforicamente; all’occorrenza anche a calci sui coglioni – neanche questi metaforici. Sono andata avanti combattendo da sola tutte le mie battaglie. Sono partita senza chiedere prima se ci fosse qualcun altro a partire con me. Ho percorso la mia strada senza mai far conto sugli uomini.
Chiarito questo, passiamo a quanto successo oggi: donne che decidono di dire basta alla violenza sulle donne. Donne che decidono di marciare tutte insieme per chiedere … beh, non lo so. A questo punto davvero non so più che cosa volessero chiedere. Perché la prima cosa che hanno deciso le organizzatrici della manifestazione è stata quella di escludere gli uomini: manifestazione per sole donne, così sta scritto nel loro sito. E io ho provato una violenta scossa alle budella – e no, neanche questa era metaforica. Perché, scusate, che cazzo vuol dire manifestazione per sole donne? Stiamo dicendo che gli uomini sono tutti stupratori assassini massacratori? O che altro? E con quali motivazioni si giustifica questa esclusione pregiudiziale? State un po’ a sentire.
Noi donne (tante, diverse) abbiamo bisogno di ricostituirci come soggetto politico forte e di rendere visibile questa forza, abbiamo bisogno per farlo di riflettere insieme. Un gruppo di donne quest’anno ha organizzato la manifestazione del 24 ed ha ritenuto fosse importante che ci fossero le donne per le donne…e non credo ci sia la volontà di imporre una pratica sulle altre, tutte sicuramente valide, c’è solo la volontà di affermare una presenza politica e culturale e come tale sarebbe auspicabile che venisse riconosciuta e valorizzata con la presenza di tutte.
Sono le donne ad essere impegnate nella lotta alla violenza maschile, abbiamo acquisito competenze personali e professionali negli anni, lavorando nei centri di accoglienza per donne vittime di violenza, organizzando convegni, portando avanti progetti, corsi di formazione e di sensibilizzazione (parola che mi piace poco) e quindi ci meritiamo che tutto questo sia visibile, ci meritiamo la Nostra Manifestazione! Per chi non volesse riconoscere tutto questo, faccia pure, visto che evidentemente non è in grado di fare altro!
Per esempio, si parla tanto di superare le logiche dicotomiche e poi nel momento in cui si organizza una manifestazione di donne per le donne si pensa all’esclusione (inclusione/esclusione, non è dicotomico questo?) fraintendendone e stravolgendone il senso.
é necessario un tessuto di relazioni (politico) per dare forza alle azioni di ognuna e avere il giusto riconoscimento per l’impegno e l’intelligenza di tutte.
Uno degli strumenti per agire violenza sulle donne è proprio l’isolamento e la contrapposizione con le altre…è sempre stato così, è una dinamica tipica!
Penso che le donne abbiamo ben altro da fare che sensibilizzare al “fenomeno” della violenza. Dobbiamo riflettere sulla nostra soggettività e sui nostri desideri, sugli investimenti affettivi, sulle aspettative, abbiamo ancora bisogno di una seria e continua decostruzione e ricostruzione critica e consapevole dei nostri spazi fisici e di riflessione…la strada è lunga ma la percorriamo ben volentieri.
Mi fermo qui coi deliri delle organizzatrici, per passare a quello che è successo oggi. Al grido di “Fuori i fascisti” sono state cacciate dal corteo Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna, tanto per cominciare: dobbiamo capirla così, che le donne del centro-destra si possono tranquillamente stuprare, seviziare, assassinare? Poi sono state cacciate anche Barbara Pollastrini e Livia Turco: fasciste anche loro? E per farla completa sono stati cacciati anche due cronisti e un fotografo che stavano facendo il loro mestiere, ossia “coprendo” la manifestazione, con l’unica motivazione che “siete uomini”. E garantisco che anche stavolta non è in senso metaforico che vi informo che ho avuto un conato di vomito. Da quant’era che non c’era una iniziativa così grandiosa contro la violenza sulle donne? Se ne poteva fare uno strumento di lotta prezioso, se ne poteva fare un trampolino di lancio per un’infinità di altre iniziative, e un branco di galline isteriche cui il padrone – rigorosamente maschio, beninteso! – non ha ancora dato il contrordine compagni lo ha distrutto. E questa occasione sprecata, mi sa, la pagheremo per anni. (Qui, per chi abbia voglia e stomaco di leggersi il delirio completo). [purtroppo il sito non esiste più: che abbiano avuto un rigurgito di vergogna? Viste le premesse dubito che sia nelle loro capacità]
La contestazione delle ministre. (E mi mancava solo di dover rivedere quel gesto schifoso, che speravo morto e sepolto)
La cosa consolante è che non solo gli uomini, ma anche le donne che hanno commentato questo post si sono trovate d’accordo con me nella condanna senza mezzi termini di questo abominio. Quando ero a Heidelberg, nell’89, c’erano stati due stupri, uno in pieno centro, di sera ma non tardi, l’altro di giorno in un alloggio per studenti. È stata organizzata una manifestazione, a cui ho partecipato insieme a una compagna di classe, e la cosa che entrambe abbiamo trovato più avvilente è stato il fatto che gli uomini presenti nel corteo si contavano sulle dita (numerosi erano invece quelli che, lungo il percorso del corteo, ci sbeffeggiavano mostrandoci, con le due mani a mezzo metro una dall’altra, le dimensioni che secondo loro erano in grado di soddisfarci e che, a quanto pare, erano generosamente pronti a offrirci. Da vomito), ma non per tutte, evidentemente, la solidarietà degli uomini è qualcosa di apprezzabile e desiderabile. Tornando alla porcata del mitù, di cui ho abbondantemente trattato in questo blog, credo che si potrebbe dire delle cosiddette femministe la stessa cosa che Abba Eban ebbe a dire dei palestinesi: non perdono mai l’occasione di perdere un’occasione – non per niente quelle di quella parte politica sono tutte filopallestinare, guarda caso.
barbara
Lo preciso perché lo so che non siete pratici di popolazioni scandinave e magari potreste prenderlo per svedese o norvegese, che sarebbe un errore molto grave, e invece no, è finlandese. Portato negli uffici della Polfer per accertamenti, prima ha palpato il seno a una poliziotta, poi “ha iniziato a compiere atti di autoerotismo davanti a lei”, scrive Il Giornale; per gli italofoni: si è masturbato. Arrestato, è stato immediatamente rilasciato, senza neppure l’obbligo di firma, trattandosi di “fatto di lieve entità”. Dopodiché, per mostrare la sua riconoscenza, il signor Darku Koku Asare si è fatto beccare, a breve distanza, altre due volte, sempre nei pressi della stazione, una volta con un bastone e una con un coltello. Indovinate un po’? Bravi, esatto, è di nuovo libero. Tutto perché è un nordicissimo finlandese: fosse stato un qualsiasi immigrato africano, i sorci verdi gli avrebbero fatto vedere! Davvero non se ne può più di questo sistema di due pesi e due misure.
barbara
Se spesso hanno effetti tanto catastrofici le crociate partite con le migliori intenzioni, figuriamoci quando partono dalle intenzioni più meschine e abbiette.
Non capita spesso che un hashtag si trasformi in una rivoluzione ma, come ogni rivoluzione, capita invece spesso che questa finisca per consumare se stessa. Pochi giorni fa il #MeToo ha affossato la carriera di una grande icona di sinistra, Ronald Sullivan, il primo professore di colore decano di facoltà a Harvard, ex braccio destro del senatore Barack Obama sulla giustizia penale, difensore di casi mediatici eclatanti di ingiustizia razziale come a Ferguson nel Missouri, cui è appena costato il posto da decano alla prestigiosa università americana per aver difeso in aula proprio lui, il primo imputato del #MeToo, Harvey Weinstein. “Nemico del #MeToo”, avevano scandito gli studenti alla volta di Sullivan, il cui caso arriva pochi mesi dopo quello di Roland G. Fryer, il più giovane economista di colore di ruolo a Harvard, travolto dalle accuse di sexual harassment. Sull’Atlantic di questa settimana Tom Nichols, autore del bel libro “La conoscenza e i suoi nemici” (Luiss University Press), scrive che questo fanatismo settario gli ricorda gli eccessi della Rivoluzione culturale in Cina. Perché ogni rivoluzione finisce per divorare i propri figli. Così è stato per la Rivoluzione d’ottobre, con la pletora di funzionari e di idealisti comunisti gettati nel Gulag, e la Rivoluzione culturale cinese, terminata con la distruzione dei quadri zelanti che l’avevano iniziata.
Il #MeToo è diventato un meccanismo di repressione in cui non è ammessa cautela o ammenda, dubbio o distinguo, e che ha finito per travolgere coloro che ne avevano alimentato le basi culturali. Mark Halperin, icona della Nbc, ha appena ripreso a tuittare. Charlie Rose mangia da solo al ristorante dove un tempo era una stella. La Hollywood del Big Entertainment, i celebrity chef come Mario Batali ora disgraced, il mondo della stand up comedy dei vari Aziz Ansari, i fotografi del super fashion come Terry Richardson e Bruce Weber, l’industria dei cartoni animati di John Lasseter e il Big Money, il silicio 2.0 con i tanti amministratori delegati sotto accusa.
Ma anche il Big Media e con esso il mondo dei grandi editori, come Hamilton Fish di New Republic. E la grande direzione d’orchestra, puro sound of music newyorchese. Prima il grande direttore d’orchestra James Levine ha concluso la sua carriera al Metropolitan di New York, dopo che tre uomini lo hanno accusato di molestie. Poi c’è stato il caso della leggenda del New York City Ballet, Peter Martins, abbattuto da accuse retrodatate come spesso accade nel #MeToo (poi decadute dopo un’inchiesta interna durata due mesi, ma il danno era fatto).
Infine, il musicista svizzero Charles Dutoit, rimosso dalle orchestre sinfoniche di San Francisco e Boston e dalla Canadian Broadcasting Corporation, la radio pubblica canadese famosa in tutto il mondo per le sue trasmissioni di musica classica, che ha deciso di continuare a trasmettere le registrazioni di Dutoit, ma senza più nominare il maiale di maestro. Dopo essere stato scagionato dalle accuse lo scorso dicembre, Dutoit è finito a dirigere orchestre in Francia e in Russia, un esito simile all’autoesilio europeo di Woody Allen, rimasto senza editore e senza Amazon.
Capita che il #MeToo distrugga il senatore Al Franken, accanito promotore di buone legislazioni femministe, e una femminista “cattiva” come Camille Paglia, da settimane al centro di un caso allo University of the Arts di Philadelphia, dove insegna da trent’anni e dove ora una fazione di professori e studenti censori vorrebbe licenziarla, sempre in nome del #MeToo, che Paglia avversa. “Camille Paglia dovrebbe essere rimossa dalla facoltà e sostituita da una persona gay di colore”, dichiara una petizione online.
“E’ forse la dimostrazione più letterale di come la rivoluzione consuma se stessa, come è stato detto per la prima volta durante il terrore rivoluzionario francese”, ha scritto Melanie Phillips sul Times.
Margaret Atwood, la più importante scrittrice canadese e autrice di “Handmaid’s Tale”, il romanzo distopico su un futuro in cui le donne fertili sono assegnate come schiave sessuali e diventato simbolo del #MeToo, ha accostato l’attuale clima da #MeToo alle “purghe di Stalin in Urss, le Guardie rosse in Cina, il regno dei generali in Argentina e gli inizi della Rivoluzione iraniana”. Queste cose, scriveva Atwood, “sono sempre fatte con lo scopo di inaugurare un mondo migliore. A volte sono usate come scusa per nuove forme di oppressione”.
Il #MeToo si è rivelato una gigantesca purga di liberal che Donald Trump neanche si potrebbe sognare. Non si fa in tempo a tenere la conta dei nomi che se ne aggiungono di nuovi in questo falò delle vanità.
II corrispondente del New York Times dalla Casa Bianca, Glenn Thrush, aveva appena finito di scrivere una lettera sulla sua pagina Facebook, incoraggiando i giornalisti maschi a difendere le donne, che il post gli si è ritorto contro e una serie di giornaliste lo hanno accusato.
La francese Catherine Deneuve lo aveva detto, #MeToo è diventato un cult, una setta, non un movimento di difesa delle donne abusate, ma una faida.
Leon Wieseltier, leggendario editor letterario di New Republic che si preparava a lanciare una nuova rivista, è stato accusato di avances inappropriate, baci non richiesti e osservazioni un po’ crude. Mentre le accuse ancora dovevano venire alla luce, Laurene Powell Jobs, la filantropa della Emerson Collective pronta a finanziare la nuova rivista di Wieseltier, ha deciso di staccargli la spina. E anche la Brookings Institution lo ha messo alla porta. Da due anni, Wieseltier è “non persona”. Il suo nome è appena riapparso sotto forma di blurb per un libro sulla storia ebraica, è stato “avvistato” mentre assisteva a un evento letterario a Washington e ha scritto un editoriale su Israele per Bloomberg.
Ha perso il lavoro come direttore della New York Review of Books l’anglo-olandese Ian Buruma, reo di aver pubblicato un articolo critico sugli effetti del #MeToo. Proprio Buruma, il darling dei ceti colti liberal urbani di qua e di là dall’oceano che hanno perorato il #MeToo, “professore di diritti umani” al Bard College, global thinker. Ha perso il posto un altro direttore di giornale, Lorin Stein, che dirigeva la Paris Review, da sessant’anni un faro del gusto letterario internazionale, un giornale che aveva lanciato le carriere di scrittori come Rick Moody, Jack Kerouac, Philip Roth e Adrienne Rich. “A volte in passato, ho offuscato il personale in modi che erano, ora riconosco, irrispettosi dei miei colleghi e dei nostri collaboratori, e questo li ha fatti sentire a disagio”, ha scritto Stein in una lettera alla redazione. La sua colpa è essere stato “occasionalmente coinvolto in comportamenti sessuali in ufficio”, ma ha detto che in tutti i casi, “il contatto sessuale era consensuale” e che sono avvenuti quando era ancora single. Stein, noto come il “paladino di nuovi talenti” letterari, ha inoltre rassegnato le dimissioni dalla sua posizione nella grande casa editrice Farrar, Straus e Giroux.
Il caso del direttore della Paris Review ha messo sotto i riflettori i famosi cocktailparty letterari, un altro classico come i concerti della vita culturale newyorchese. E’ caduto anche un altro cacciatore di talenti letterari, David Guillod dell’agenzia Primary Wave Entertainment. E’ saltata la poltrona di Garrison Keillor, il fondatore della Minnesota Public Radio, che adesso può essere visto esibirsi in un nightclub di musica jazz, il Crooners, alla periferia nord di Minneapolis. La radio aveva cancellato anche tutto l’archivio online di Keillor e il giornalista ha ottenuto che fosse rimesso su Internet.
Tutto qui. Damnatio memoriae per un’altra voce storica della radio newyorchese WNYC, Leonard Lopate, reo di qualche battuta sulle colleghe formose. Il mondo radiofonico americano è stato scosso nel profondo. Come con il caso di Michael Oreskes, direttore della National Public Radio. John Hockenberry, la voce della radio pubblica americana, ha avuto la “colpa” di mandare e-mail un po’ spinte a una collega. “Ho affrontato la rabbia implacabile di colleghi, il loro silenzio di pietra e, a mio avviso, codardo”, ha scritto Hockenberry su Harper’s. “Per quasi un anno ho vissuto da paria affrontando un silenzio glaciale o una aperta ostilità. Ho visto svanire presunti amici. Ho ascoltato colleghi, avvocati e professionisti di pubbliche relazioni dirmi che non sono assumibile. `Non sei più una persona, sei un archetipo’, mi ha detto un amico. `Sei coinvolto nella correzione di questa rivoluzione’, mi ha detto un’amica. Nell’ultimo anno ho trovato impossibile fare incontri di lavoro. Anche le proposte di lavoro sotto falso nome o anonimato sono state rifiutate. Per un certo periodo, l’unica occupazione che ho potuto contemplare era in una e-mail in cui si cercavano persone disabili per i negozi Walmart nello Utah e in Georgia”.
Ryan Lizza è stato licenziato dal New Yorker e poi dalla Cnn. L’accusa è di “condotta sessuale scorretta”. La Cnn lo ha reinserito, ma le sue lezioni alla Georgetown University sono saltate. Il sito Vox ha licenziato il direttore Lockhart Steele per “condotta inappropriata”. Ha subìto una clamorosa battuta d’arresto la carriera del giornalista politico Mark Halperin, dopo che sulla Cnn è stato accusato da alcune donne. La Nbc News lo ha sospeso, poi Hbo ha annunciato che non avrebbe più proseguito con una miniserie pianificata sulle elezioni presidenziali e basata su un libro di Halperin. Anche Msnbc ha rescisso il contratto di Halperin con la rete. Dall’inizio del 2019, Halperin ha ripreso a tuittare senza nuocere a nessuno, a metà aprile ha lanciato un nuovo blog politico e ora lavora con una associazione di ex carcerati.
Simile la vicenda di Matt Lauer, la star della Nbc caduta in disgrazia, e del direttore di riviste come National Enquirer e Us Weekly, Dylan Howard, che si è licenziato. #MeToo ha travolto la famosa rivista d’arte ArtForum, con il suo storico editore Knight Landesman che si è dimesso sulla scia delle accuse di cattiva condotta sessuale.
Si è dimesso anche il direttore della rivista, Michelle Kuo, in risposta alla gestione dell’affare.
E’ finito malissimo Stephen Henderson, il premio Pulitzer columnist del Detroit Free Press scelto come giornalista afroamericano dell’anno, dopo le accuse di comportamento inappropriato da parte di alcune sue colleghe. Henderson si è scusato, ma ha detto che era coinvolto solo in “conversazioni a sfondo sessuale”. Ma più che sufficienti.
Poi è stata la volta dello sceneggiatore premio Oscar di “Trash”, Paul Haggis. E’ letteralmente scomparso lo sceneggiatore Max Landis. William Jacoby si è dimesso nel frattempo da direttore della celebre rivista di politologia American Journal of Political Science dopo le accuse di due colleghe.
Travolta anche l’insospettabile Avital Ronell, la celebre filosofa femminista, docente di Letteratura comparata alla New York University, dove è stata accusata di molestie sessuali da uno studente, Nimrod Reitman. Per la Ronell si erano schierati tanti blasoni accademici, da Judith Butler a Slavoj Zizek, i maestri del postmoderno più postmoderno che ci sia. Ronell è stata dichiarata colpevole di molestie da parte della commissione accademica e l’università l’ha sospesa per un anno. Per lei si era battuto da Strasburgo anche Jean Luc Nancy, uno dei padri del decostruzionismo. Alla fine anche la paladina del #MeToo è stata decostruita e metooizzata. Ma è di pochi giorni fa l’annuncio che Ronell tornerà in autunno a insegnare. Donna, di sinistra e femminista militante, per lei è valsa un po’ di presunzione di innocenza (anche ideologica) in più.
Sono stati licenziati in tronco invece due editor del New York Daily News, Rob Moore e Alexander “Doc” Jones. Poca cosa, certo, rispetto alla fine che ha fatto Charlie Rose, uno degli anchorman più famosi d’America, cacciato in tronco dalla Cbs (via anche un altro giornalista della rete, Steve Chaggaris). Hollywood Reporter è andato a vedere che fine ha fatto Rose dopo essere caduto in disgrazia. “Rose una volta trasudava `l’atmosfera socialista della vecchia scuola di New York’, dice un dirigente dei media che lo conosce da un decennio, aggiungendo: `Quando Charlie va da Michael’s, gli ci volevano dieci minuti per arrivare al suo tavolo perché la gente andava da lui”. Oggi, quando Rose entra in quel noto ristorante newyorchese “si dirige verso il tavolo da solo e completa la cena da solo in meno di un’ora. Nessuno nel ristorante si avvicina a Rose né sembrò notarlo”.
Per sfuggire a questa dannazione c’è infine chi, come Benny Fredriksson, si è tolto la vita. Era stato accusato senza prove di “cattiva condotta sessuale”. Aveva perso il lavoro come capo del blasonato centro delle arti di Stoccolma, accusato di essere un porco.
Perché in questo gigantesco confessionale non si aspettano i processi né la fine delle inchieste, ci sono soltanto sospetti e delazioni, la cacciata senza perdono dei peccati e poi la dannazione eterna. Lenin diceva che come per fare una frittata si devono rompere delle uova, così per fare una rivoluzione è necessario qualche sacrificio. Questo orrendo backlash, le carriere distrutte di chi ce l’aveva messa tutta per pensare e dire sempre la cosa giusta, nella “logica” del #MeToo sono soltanto uova rotte sulla strada della redenzione rivoluzionaria di genere. La nuova guerra dei sessi.
GIULIO MEOTTI, Il Foglio, 18 maggio 2019
Del resto era già stato abbondantemente dimostrato qui che l’obiettivo non è mai stato quello di ottenere giustizia, neppure secondario, neppure marginale, neppure in ultima istanza, ma unicamente quello di distruggere il maschio. Oltre, beninteso, alle donne che si azzardassero a difendere spudoratamente qualche maschio col ridicolo pretesto che la colpevolezza non sarebbe provata, o che addirittura sarebbe provata l’innocenza, come se potesse esistere un maschio innocente, che razza di assurdità!
P.S.: ma sarà un caso che una decina abbondante di quei cognomi sono sicuramente ebraici, più un altro paio su cui non sono del tutto sicura?
barbara
La notte di capodanno nella Piazza del Municipio a Vienna un tizio, casualmente afghano, molesta sessualmente alcune donne, insistentemente, mette loro le mani addosso eccetera. Ad un certo momento una ragazza svizzera, sentendosi toccare il sedere, si gira di scatto e gli tira un ceffone in faccia facendogli un po’ di bua al naso (sanguinava, dice: chiunque abbia preso una bottarella al naso sa quanto poco ci voglia a farlo sanguinare). Beh, indovina un po’? Sono stati denunciati tutti e due (qui). E si noti anche la sequenza della notizia: PRIMA la reazione della ragazza, POI la spiegazione, ossia che era una risposta alle molestie sessuali (ricorda qualcosa?). Che poi magari se aveva la pazienza di aspettare vent’anni prima di accorgersi di essere stata molestata, non rischiava neppure la denuncia e tutti i titoli in prima pagina erano per lei.
barbara
Io, il video, lo leggo così.
Dunque, c’è questa signorina che ha un servizio da proporre a Weinstein (quindi si suppone, anche se non è esplicitamente detto, che sia stata lei a contattarlo e chiedergli un incontro). Dato che tutti sanno che razza di maiale sessuomane assatanato sia quel losco figuro, la signorina si prepara: si mette un vestitino che mette in risalto tutte le sue deliziose curve, per non parlare di quel culetto da sballo, e mette in azione una videocamera collegata (o incorporata) al computer. Lui bussa, entra, lei gli porge la mano, lui l’abbraccia in maniera contenuta, lei gli si slancia addosso schiaffandogli le tette sul petto e lui a questo punto (non un secondo prima) le accarezza un po’ la schiena. Poi lui le chiede se può flirtare con lei (“am I allowed?” Mi è permesso?); risposta (sorridendo, con aria rilassata): “Ummm… vedremo, un po’”. Se fossi maligna, quel “vedremo” lo interpreterei come “dipende da cosa mi dai in cambio”, ma dovrei esserlo davvero molto, e potete credermi che assolutamente non lo sono. Lui risponde: “Un po’, non molto, giusto? Va bene, allora non lo farò”. Ad un certo punto lui si sporge in avanti, presumibilmente le accarezza una gamba o una coscia: lei sorride, non si sottrae, non protesta, non mostra il minimo disagio. Lei gli espone la sua idea: un banalissimo trucchetto per avere un sacco di like su FB che si moltiplicano a catena (in giro vedo blogger e feisbuccaioli che ne mettono in atto di molto migliori) per meglio pubblicizzare il film. Lui commenta con un wow esattamente nel tono in cui uno potrebbe dire mi prude il naso o su quel muro c’è una mosca – se fossi maligna mi verrebbe da dire che proprio la cretinitudine dell’idea proposta rivela quanto questa non sia stata altro che un pretesto per attirare il danaroso orco in una trappola nella quale si aveva la certezza che sarebbe caduto in pieno, per provocarlo e infine, dopo la sua prevedibilissima risposta alla provocazione, sfilargli un pacco di soldi, ma dovrei esserlo davvero molto, e potete credermi che assolutamente non lo sono – e le comunica che accetta il suo servizio. Poi lei, senza una sola ragione al mondo, si sporge in avanti e lo tocca, pronunciando in tono allusivo una frase contenente la parola “hot”: provocazione che lui non si lascia sfuggire, replicando: “Tu sei hot”, a cui lei reagisce ridacchiando. Infine lui passa alla richiesta esplicita di fare “un po’ di più”, e lei di nuovo dice “un po’”, ammonendolo a non esagerare (ovvio: quando ho a che fare con un porco schifoso ti pare che gli dico no scusa io ti ho chiamato per parlare di lavoro? Ma quando mai! Ridacchio, faccio svolazzare con le mani i miei lunghi capelli e lo invito alla moderazione, come fa qualunque buon imbonitore che vuole alzare il prezzo – o qualunque prostituta di lusso, che non vuole rischiare di passare per una prostituta da due soldi che la molla subito lì sul marciapiede). Verso la fine del video lui le chiede che cosa fa dopo, dice che adesso ha da fare ma poi la vuole incontrare per un drink (con la fama che ha, dopo che ha mostrato il suo apprezzamento fisico verso di lei, dopo che ha chiesto di “fare un po’ di più”) e lei chiede: “A che ora?” Lui glielo comunica e lei risponde “OK”.
Poi, dice l’affranta fanciulla violata, una volta lì lui le ha proposto di salire in camera. E lei, attrice e imprenditrice ventottenne? Ci va. Totalmente ignara di che cosa mai potrebbe succedere in quella camera. E lì lui l’ha violentata. Ed è un vero peccato che non si sia portata dietro anche lì la videocamera, che avrebbe inesorabilmente documentato come lui le sia saltato addosso e lei abbia detto no ti prego e lui non se ne sia dato per inteso e le abbia strappato il vestito e lei abbia lottato con tutte le proprie forze ma sia stata costretta a soccombere alla superiore forza fisica del nemico e abbia ancora tentato di gridare e lui le abbia tappato la bocca con la sua lurida manaccia schifosa e alla fine non abbia potuto fare altro che arrendersi e soggiacere, infin che’l mar fu sovra lei richiuso.
POST SCRIPTUM: non avevo mai sentito prima la voce di Weinstein, l’ho sentita per la prima volta in questo video. Ebbene, lasciatemelo dire: ha una voce di un erotismo pazzesco. E, non essendo giovane, casta, innocente, candida e ingenua come le sue vittime, mi azzarderei a definirla una voce da cavamutande, nel senso che le mutande proprio vanno giù da sole – parlo per me, beninteso, perché io, quando devo incontrare un uomo, a qualunque titolo e con qualunque aspettativa, le mutande le porto, io.
POST POST SCRIPTUM: sarà mica per il fatto che oggi la bambolona sexy è così,
che a sette anni dall’episodio ha pensato bene di tirare fuori quel vecchio video accuratamente conservato in tutti questi lunghi anni, come un certo vestitino blu con macchie biancastre conservato nel freezer di casa?
barbara
barbara
Anche se immagino che il ragazzotto ci marci alla grande – ma sicuramente mai quanto ci ha marciato lei con Weinstein – è una bella soddisfazione davvero. Che poi, dico, se per essere stato scopato da A. A. chiede – e gli vengono riconosciuti – centinaia di migliaia di euro, che razza di schifezza deve essere scopare con quella donna?
Ma ora vorrei tornare un momento alla vicenda originaria – abbiate pazienza, ma io questa cosa a me mi ci appassiona un sacco. Ripercorriamola così come l’ha raccontata lei. Un produttore mi invita nella sua camera da letto; anche se ancora non sono stati scoperti tutti i vantaggi e soprattutto il gusto di denunciare al mondo le sue nefandezze e di trasformarlo in una sorta di infrequentabile cloaca umana,
non doveva comunque essere noto come la reincarnazione del casto Giuseppe, saldo come una roccia di fronte alle reiterate lusinghe della più bella del reame. Quanto a me, non ho dodici anni, vivo nel mondo del cinema da quando respiro, e ho una madre che è la zoccolitudine fatta persona. E io vado nella sua camera. Qui lui mi chiede di fargli un massaggio alla schiena. Non mi salta addosso, non mi fa lui delle cose dalle quali mi devo difendere e magari non sono in grado, no, mi chiede di fare io una cosa a lui. Senza, presumibilmente – altrimenti suppongo che sarebbe emerso – puntarmi un coltello alla gola o una pistola alla tempia. Io non sono fisioterapista, e lui sa che non lo sono: posso immaginare che abbia bisogno che gli sciolga una contrattura muscolare? A occhio e croce direi di no: non posso. E dunque lui si spoglia, si stende sul letto a pancia in giù e io comincio a massaggiarlo. Poi ad un certo punto lui si tira su, si gira, mi stende sulla schiena, mi rovescia la gonna e comincia a leccarmi. Fermiamoci un momento; il tizio non è un atleta ventenne che fa una giravolta e me lo ritrovo sopra prima ancora di essermi accorta che si è mosso: è un ciccione di età non verdissima, che con la lentezza e la presumibile goffaggine del caso si mette sulla schiena, gira me, si mette in posizione, solleva la gonna e comincia a lavorare. E io, nel frattempo? Distratta? Soprapensiero? Boh. Ma andiamo oltre, perché qui c’è una cosa che mi lascia parecchio perplessa: non ha mai detto che le ha strappato le mutandine. Non è curioso? Perché per leccarmela, se ho le mutande, bisognerà per forza togliermele, no? E trattandosi di un bruto che mi sta brutalizzando, difficilmente me le avrà sfilate con la lentezza sensuale di un gioco condiviso, cosa dite? E strappare le mutande è una cosa veramente brutale, se uno mi facesse una cosa del genere me ne ricorderei sicuramente per tutta la vita, e dunque come mai non ne ha mai parlato? A me vengono in mente due spiegazioni possibili. La prima è che la cosa sia stata talmente traumatica che per non impazzire ha dovuto rimuoverla. La seconda è che abbia intenzionalmente taciuto il dettaglio che lei aveva le mutande e che lui gliele ha strappate per paura che il Mossad, con questa ulteriore accusa, si sarebbe ancora di più accanito ad ammazzare lei e i suoi figli. Vabbè, vediamo ora la scena. Se uno più grande e grosso di me mi sta sopra, posso avere oggettive difficoltà a liberarmi, ma lui non è sopra di me: le possibili posizioni reciproche sono diverse, ma in nessuna io sono bloccata, in nessuna ho la minima difficoltà a sottrarmi, ma non mi sottraggo. Per timidezza? Per educazione? Boh. Ma proseguiamo: si è messo in posizione, in qualche modo che ancora non si è chiarito non ho le mutande e lui ha cominciato a lavorare. Ora, ammettiamo – perché siamo fatti di carne umana, e bisogna ammettere che alla carne umana queste cose succedono – che anche se non voglio, anche se lo detesto, anche se mi fa schifo sia come persona che come uomo (benché, per prendere in considerazione questa ipotesi, siamo costretti a cancellare tutto ciò che è avvenuto fino a questo momento), una volta che lui ha cominciato, il mio corpo irresistibilmente reagisce. Provo a immaginare come mi sentirei se mi dovesse capitare di godere durante un incontro sessuale imposto: molto probabilmente mi farei schifo. Mi detesterei. E la conseguenza più ovvia di tutto questo è che, per un normale meccanismo di autodifesa psicologica, detesterei lui molto di più che se non avessi goduto, non vorrei mai più vederlo, non vorrei neppure sentirlo nominare, mai più per il resto dei miei giorni. Difficilmente posso immaginare di passare i successivi cinque anni ad attraversare l’oceano per continuare a incontrarlo e a farmi fotografare mentre mi struscio addosso a lui come una gattina.
Io, comunque, le mutande le avrei avute.
POST SCRIPTUM: e fortuna che lui, almeno, non può parlare
barbara
Catherine Deneuve ha recentemente firmato un documento in cui si invitava, tra l’altro, a non confondere un corteggiamento insistente, dei complimenti di dubbio gusto, delle avance un po’ pesanti, con le vere molestie (tipo una persona in famiglia che approfitta di ogni occasione per incantonarti e allungare le mani, per intenderci – e tu sai perfettamente che se parlassi nessuno ti crederebbe e ti riempirebbero di botte per avere osato infangare quell’anima pura -, o il parroco, o l’istruttore scout, o l’allenatore di calcio. Eccetera) e queste ultime con lo stupro. In risposta a questa presa di posizione (che rivendica, in sostanza, il diritto di un uomo di provarci con una donna che gli piace, e quello di una donna di gradire un complimento), un “artista” di nome Alessandro Palombo ha realizzato e pubblicato questo fotomontaggio
il cui significato è chiaramente “meriteresti che capitasse a te”. Dimostrando di essere totalmente incapace di distinguere un’avance da un crimine, una pacca sul culo da un massacro. Dimostrando, cioè, che Catherine Deneuve ha ragione al 100%.
barbara
Come ormai tutti sicuramente saprete, dopo la coraggiosa denuncia di Asia Argento nei confronti del maiale Havey Weinstein, EBREO, suo amante per cinque anni reo di averla stuprata approfittando della sua giovinezza e della sua ingenuità, il mostro che le ha fatto vivere un incubo,
adesso «ha paura, non esce più di casa per timore degli agenti del Mossad assoldati da Weinstein: questa è gente che spara, che minaccia. Asia teme per la vita sua e dei suoi figli», e ancora, «sono agenti segreti, sono del Mossad che è poi uno dei servizi segreti più crudeli del mondo», come rivela suo padre, quel sant’uomo di Dario Argento. Vi viene da ridere? Fate male, anzi malissimo! Potreste giurare di non avere mai dato dell’imbecille a un ebreo? Eh? Potreste metterci la mano sul fuoco? Dopotutto mica tutti sono ortodossi, mica tutti girano con kippà, peot e le quattro frange del talled che escono da sotto la camicia o, in alternativa, un tatuaggio sulla fronte che dice “io sono ebreo”. Magari non lo sapevate affatto che era ebreo, ma lo era, e voi gli avete dato dell’imbecille e adesso avete il Mossad alle calcagna
e non lo sapete, non vi rendete conto dei pericoli che state correndo e che state facendo correre ai vostri figli, razza di incoscienti che non siete altro.
E adesso vi racconto una storia mia. Vengo da una famiglia poverissima, sono nata in una stanza in subaffitto con un gabinetto in comune con altre tredici persone, e ci sono rimasta fino a otto anni. Per poter studiare ho sempre lavorato, facendo praticamente di tutto, anche l’operaia e la donna di servizio. Un giorno, durante l’estate, un tizio che frequentava un circolo che frequentavo anch’io, mi propone di lavorare per una settimana in un suo ufficio al posto di un’impiegata che è in ferie, e naturalmente accetto di corsa. Il terzo giorno mi dice: “Tu che sei brava in matematica, vieni nell’altro ufficio a darmi una mano a sistemare la contabilità”. Usciamo dall’ufficio, entriamo in un condominio poco più in là, saliamo al terzo piano ed entriamo in un appartamento adibito (anche) a ufficio. Ci sediamo a una scrivania, uno di fronte all’altra, e comincia a raccontarmi che la tale impiegata è stata per anni la sua amante e quando si è sposata le ha fatto un ricchissimo regalo, e che l’ultima impiegata (quattordicenne!) è anche lei la sua amante e le fa sempre dei generosissimi regali, poi ha provveduto a informarmi che gli altri appartamenti di quel piano e tutto il piano sotto e tutto quello sopra sono vuoti e quello è blindato e uno potrebbe urlare fino a frantumarsi le corde vocali, garantito che nessuno lo sentirebbe, dopodiché mi è saltato addosso. La fortuna è stata che da due mesi, in quel circolo, tutti i giorni prendevo una barca e remavo per un paio d’ore.
Il tizio in questione non aveva un nome che sta sui giornali, e come lui ce ne sono milioni. Le donne che finiscono sotto le mani di questi individui sono decine, centinaia di milioni, non sempre hanno braccia allenate da un centinaio di ore di voga, e non sempre hanno alle spalle una famiglia poverissima, ma che un piatto di minestra riesce bene o male a metterlo in tavola. E non hanno nomi che permettano loro di ottenere attenzione da giornali e televisioni. Che cosa vuole significare questa storia? Niente, assolutamente niente: è una banalissima storia identica a milioni di altre storie altrettanto banali, tranne che per me dopotutto è finita bene e per tantissime altre invece no. E nessuna di noi si è fiondata a vantarsi anch’io anch’io (#metoo), perché quando si subiscono violenze vere c’è davvero poco da fare le belle statuine davanti alle telecamere.
PS 1: ma sarà poco carina la storia del più potente servizio segreto del mondo che si fa assoldare da un porcellucolo di mezza tacca che sta dall’altra parte del mondo per andare ad ammazzare le sue accusatrici? E che, in aggiunta, ordisce complotti inventando stupri e sevizie ai danni di un onest’uomo musulmano puro e innocente come acqua di sorgente?
PS 2: se in una notte senza luna, in mezzo a un bosco, disarmati, vi trovaste di fronte il capo del Mossad
e questo tizio qui,
qual è che vi farebbe più paura?
barbara