che razza di impresa sia mettersi le mutande senza chinarsi neanche di un millimetro (e lo so, non c’è niente da fare: ogni volta che ho un incidente si finisce inevitabilmente a parlare di mutande). Nel frattempo comunque sto diventando un’autentica specialista nell’arte di raccogliere oggetti caduti per terra e aprire sportelli bassi con i piedi (qualcuno ha fatto invereconde illazioni su cos’altro potrò imparare a fare con i piedi, se mi esercito a sufficienza). Poi ho un bel po’ rivoluzionato la sistemazione della casa per rendere accessibili cose che al loro posto consueto non lo erano e ho contattato un’associazione privata per avere un po’ di aiuto (dalle istituzioni pubbliche non ne ho diritto, cioè nel senso che non esiste questo tipo di offerta). Certo che sputtanarmi l’intera stagione balneare, guardare il mare dalla finestra e fargli ciao ciao da lontano (sì lo so, è la canzone più cretina della storia dell’umanità, e cantata con quei due sedanini imbraghettati di rosa e quella vocettina della misericordia fa ancora più pena. E tanto peggio per voi, così imparate a farmi fracassare la spina dorsale), è di un deprimente, ma di un deprimente… Vabbè, proviamo a consolarci con questa:
Mi viene in mente la volta che in barella, mentre mi portavano in sala operatoria, digiuna da un giorno intero continuavo a strepitare “Voglio una fiorentina! Con le patate al forno!” Adesso ho una voglia di ballare, ma una voglia di ballare, ma una voglia di ballare (periodico fisso).
barbara